giovedì 13 agosto 2015

Ryosuke Cohen / Sit - in Flash 56 Biennale di Venezia 2015






PERFORMANCE SIT- IN FLASH
Sandro Bongiani for Ryosuke COHEN
56th Venice Biennale
09/08/2015




Performance flash and subsequent sit-in Cohen with the delivery of the card dedicated to Ryosuke Cohen visitors to the 56 Venice Biennale in 2015 was carried out by Sandro Bongiani Aug. 9 at the entrance of the Biennale and also to Piazza San Marco and surroundings as an attempt to believe disobedience to a corrupt system and global it prefers commercial speculation and the monolithic monopoly of ideas rather than share the creativity and freedom advocated by contemporary artists.

The result is a peaceful form and temporary occupation of an area in order to draw attention to the real issues of contemporary art and in particular of an artist of great interest as the Japanese artist Ryosuke Cohen.

The document is annexed flesh event held in Venice from Sandro Bongiani. 




PERFORMANCE SIT- IN FLASH
SANDRO BONGIANI FOR RYOSUKE COHEN

56a  Biennale di Venezia 
09.08.2015

La  performance  flash e il conseguente  sit-in  Cohen  con la consegna delle card  dedicate a Ryosuke Cohen  ai visitatori della 56 Biennale di Venezia 2015 è stata  svolta  da Sandro  Bongiani il 9 agosto presso  l’ingresso della  Biennale   come tentativo di convinta disubbidienza ad  un sistema corrotto e globale che preferisce la speculazione commerciale e il monopolio monolitico delle idee piuttosto che condividere la creatività e la libertà auspicata dagli artisti contemporanei.

Ne risulta una forma  pacifica e provvisoria di occupazione di un'area allo scopo di attirare l'attenzione  sulle reali problematiche dell’arte contemporanea e in particolare su un artista di grande interesse come l’artista giapponese  Ryosuke Cohen.


-The document is annexed flesh event held in Venice from Sandro Bongiani.

-Si allega la documentazione dell’evento flesh svolto  a Venezia da Sandro  Bongiani.








SIT- IN FLASH   
FOR RYOSUKE COHEN

























© Collezione Bongiani Ophen Art Museum 








mercoledì 12 agosto 2015

Ryosuke COHEN / FRACTAL PORTRAIT PROJECT 2015


FRACTAL PORTRAIT PROJECT 2015
Italy, France, Belgium.Holland, Germany



from August 7 to August 25 included (dal 7 agosto al 25 agosto incluso).
I will go on a trip with Noriko Shimizu (my pertner) for portrait project.At each place I am planning to draw a portrait of mail artist. Please get in tiuch with them on FB to join in this movement.



- Venezia (aug.7,8,9) - Tiziana Baracchi - Ruggero Maggi (maggiruggero@gmail.com) - Sandro Bongiani Artecontemporanea, 
- Ventimiglia(10)-Cecilia Solamito
- Le Vigan (11,12) -Philippe Pissier 
- Limoges (13,14) - Michel Della Vedova (michel.della-vedova@wanadoo.fr)
- Paris (16) - Paul Lamontellerie 
- Gent (17) - Ria Bauwens 
- Brussels (18) - MailWorks Brussels
- Charleroi (19) - Thierry Tillier 
- Nismes (20) - Musée Du Petit Format 
- Maastricht (21) - Rod Summers (rodvec@planet.nl ) 
- Euskirchen (22,23) - Axel Rüdiger Westphal 
- Minden (24,25) - Peter Kuestermann.

martedì 4 agosto 2015

VINCENZO NUCCI: I QUADRI DELL'ANIMA



VINCENZO   NUCCI

"dipingere è un’esigenza dell’anima"


VINCENZO  NUCCI



RICORDANDO  
IL MIO AMICO  E  MAESTRO  
VINCENZO  NUCCI

Sabato 8 agosto 2015, presso il Teatro Samonà, a Sciacca, dalle ore 19, avrà luogo una serata di commemorazione del pittore Vincenzo Nucci con una mostra nel foyer del Teatro fino a sabato 22 agosto.

 

Nato a Sciacca nel 1941 e scomparso il 25 aprile di questo 2015, Nucci si è distinto nel panorama della pittura italiana contemporanea per una attenzione cromatica e stilistica peculiare, che ha portato i suoi paesaggi ad essere apprezzati, ricercati, esposti e collezionati fra gli intenditori di tutta Europa.
L’omaggio che la città di Sciacca gli dedica, con la cura della famiglia dell’artista, è stato pensato da Marco Goldin, curatore di fama internazionale che ha dedicato nell’ultimo ventennio grande attenzione critica alla pittura di Nucci. La serata vedrà succedersi ai microfoni per un breve ricordo, una suggestione, una lettura dell’opera, lo stesso Marco Goldin, Aldo Gerbino e Calogero Mannino, che ricorderà anche l’impegno di Vincenzo Nucci come animatore culturale della città nei primi anni ’80. In qualità di assessore alla cultura prima e consigliere comunale poi, Nucci infatti diede vita a una stagione nella quale Sciacca riuscì a imporsi all’attenzione nazionale, per la qualità degli artisti invitati ad esporvi e dei critici chiamati a presentarli.
In occasione della serata dell’8 agosto saranno esposti, nel foyer del Teatro Samonà, simbolicamente, gli ultimi cinque paesaggi dipinti da Nucci.
I quadri dell’anima, recita il titolo della manifestazione, parafrasando un appunto del pittore fissato all’asse del cavalletto: dipingere è un’esigenza dell’anima.
La mostra proseguirà nel foyer del Teatro fino a sabato 22 agosto.






Visiona
le ultime opere 
create da Vincenzo Nucci


 Vincenzo Nucci,  riflessi della palma, 2014




Vincenzo Nucci, paesaggio del Belice 2014



Vincenzo Nucci, dal mio studio 2014


Vincenzo Nucci, paesaggio 2014.


Vincenzo  Nucci, giardino mediterraneo, 2015


Vincenzo Nucci, giardino mediterraneo, 2015






“Tra Luce, Malinconia e Memoria”
Presentazione di Giovanni Bonanno

11 giugno -  27 novembre 2011

ILLUMINAZIONI:
                          “Tra Luce, Memoria e Malinconia”                                     

(Retrospettiva in Contemporanea  con la  54° BIENNALE di VENEZIA - Padiglione Italia, 2011

             
Vincenzo Nucci da circa un quarantennio di ricerca dipinge ossessivamente i luoghi della memoria, della malinconia, con antiche ville secolari dove il tempo si è apparentemente rappreso e fermato. I suoi primi lavori negli anni Sessanta hanno avuto come tema centrale la guerra in Vietnam e il terremoto in Sicilia con una pittura pienamente aggiornata rispetto l’esperienze culturali e artistiche che si svolgevano in quel tempo in campo internazionale. Dopo circa un decennio di attività, di colpo, ha visto l’artista siciliano allontanarsi dalle vicende prettamente sociali e il tema ricorrente della sua pittura è diventato soltanto la sua Sicilia. Per diversi anni Vincenzo Nucci ha continuato a osservare curioso il paesaggio della sua fascinosa Sciacca con la casa padronale e le inquiete buganvillee fiorite dai colori vellutati che si arrampicano avidi a scrutare il mare Mediterraneo e l’orizzonte immacolato dell’Africa araba. Per molti anni l’artista ha dipinto in modo ossessivo solo paesaggi, quei paesaggi del Belice con  gli orizzonti dati come “logos indefinito”, come superamento del dato provvisorio del reale e del visibile. Un visibile che s’incarna nella figurazione ma nel contempo la trascende e la proietta in una dimensione soffusa, intima  in cui l’apparire si trasforma in essenza malinconica carica di silenzio e di cose non completamente svelate. L’artista ormai lavora  sul crinale ossessivo di una figurazione in cui le immagini vivono la dimensione sospesa  e impalpabile del momento.

Sono magiche visioni che si posizionano  metaforicamente tra natura e storia, tra coscienza e sofferta aspirazione. La tela di Nucci non è altro che il “sudario della memoria”, dei ricordi rappresi, del passato trascorso che affiora come dolce ricordo  e si condensa in materia più concreta e lirica. La visione dell’artista saccense nasce quindi  da questa   particolare capacità di trasportarci in un altrove praticabile in cui sentiamo persino i suoni, gli odori e i profumi delle diverse stagioni isolane; l’odore di terra dopo un temporale, il profumo del basilico, le cicale sospese all’ombra di una palma gentilizia a cantare e ricordarci i memorabili momenti di vita trascorsi accanto ad un solitario casolare di campagna.  Insomma, la pittura di Enzo  Nucci è intrisa di insolite memorie cariche di nostalgia e  di profondo e assorto silenzio. Il paesaggio per l’artista siciliano non è semplice descrizione o pura sensazione percettiva ma inesorabile ossessione, struggente apparizione di memorie di luce non del tutto corporee ma che lasciano comunque tracce sostanziali ancora visibili. Tutta la sua pittura è intrisa di passato, di ricordi sedimentati in una dimensione  alquanto provvisoria ma immediata. 
Per il pittore siciliano, l’arte è essenzialmente   evocazione, sortilegio, vertigine. Forse il suo mistero sta tutto racchiuso nel suo  magico studio arroccato tra tante fitte case arabe pressate a dismisura sopra il porto che formano  la parte antica e più vera della città di Sciacca.  Lì prendono forma i ricordi e nascono le architetture e i giardini con insoliti paesaggi svuotati di ogni presenza umana; solo la memoria della natura nella sua mitica essenza e nel silenzio più maestoso. Una visione decisamente “sospesa”, di confine, dilatata a dismisura che si concede ai flussi illogici dell’anima per diventare aria, vento africano, apparizione e anche superba emozione poetica. Da lì,  l’artista scruta gli umori del giorno e elabora le sue  misteriose visioni dai colori tenui che si trasformano per incanto in tonalità di colore  alquanto ricercati. Come dice Philippe Daverio, “quell’architettura siciliana che proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell'infinito della luce e della percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al sole il colore della loro identità mediterranea”. Secondo Nucci, Il percorso pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di emozioni, di ricerca infinita, di dubbi, e poi d’immagini, di silenzio assorto e anche di interminabili viaggi che l’occhio compie in cerca di qualche autentica certezza.

Quella di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di Nucci la luce è l’unica certezza, lavera presenza che può  tentare di svelare la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione  in cui il sale per strano sortilegio s’impasta con i  delicati ricordi  del passato e con il sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in  apparizioni misteriose, sfuggenti.  I ricordi di luce impressi nella tela attraverso la pittura non posseggono una forma definita e definitiva, sono solo presenze che condividono la dimensione di chi è diseredato e tenta invano di resistere, di esserci ancora, “dove la natura - come dice Aldo Gerbino - si stempera nella grazia di un estenuato ricordo, come sopraffatto da quella lacerazione nostalgica che concede quel tanto che basti al passato”.
Una natura ritrovata che nasce da un assiduo contatto con artisti del suo tempo come Ruggero Savinio, Piero Guccione, Carlo Mattioli, legati da profonde affinità di come poter trattare e intendere il visibile e anche dal continuo approfondimento  con il passato, come Pierre Bonnard che Nucci ama più di tutti per la rara capacità che ha il pittore francese di trattare la dolce materia e farla vibrare in delicate e ricercate intensità cromatiche.  Nella pittura di Vincenzo Nucci  le antiche ville padronali dal tufo macerato dal tempo appaiono come presenze sfuggenti, quasi apparizioni metafisiche. La densa materia del colore ad olio o del pastello a contatto con la luce sembra che si sfarini trasformandosi improvvisamente in essenza malinconica, in delicata e soffusa presenza onirica con il  vento maestoso e prepotente del Carboi che di notte, all’ombra di una palma araba africana,  sembra che sibili malinconici ricordi di un tempo ormai trascorso e intanto di giorno accarezza compiaciuta l’aspra e selvaggia radura ancora non domata del selvaggio Belice. Questa è l’emozione che si respira   guardando gli insoliti   scorci paesaggistici in cui la luce siciliana si distende beffarda come timida apparizione. Paesaggi della memoria che incarnano provvisoriamente il mistero della vita, paesaggi in/cantati rilevati nella dimensione più intima e sofferta dell’anima. Questa è la  pittura di Vincenzo Nucci.       Giovanni  Bonanno

                                                                                                            
                                                                                                     


Biografia

Vincenzo Nucci è nato a Sciacca (Ag) nel 1941 e qui ha sempre lavorato. Frequenta l’Istituto d’Arte di Palermo e l’Accademia di Belle Arti di Agrigento. Le sue prime personali, nel decennio fra il 1960 ed il 1970 in varie città italiane, lo vedono impegnato nei temi sociali e drammatici come la guerra del Vietnam e il terremoto del Belice. Dal 1980 Nucci dipingerà solo paesaggi, anzi il paesaggio Siciliano, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose bouganville fiorite di lacche rosse, le antiche rovine di Selinunte e, infine, lei, la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Nel 1989 è invitato alla Biennale Nazionale Città di Milano, Palazzo della Permanente. Nel 1991 conosce Philippe Daverio che lo invita ad esporre alla rassegna d’arte “Anni Ottanta in Italia” all’Ex Convento di San Francesco di Sciacca e successivamente organizza una sua personale alla galleria Daverio a Milano. Nel 1992 conosce Marco Goldin che gli organizzerà nel 1994 una mostra antologica a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con scritti in catalogo dello stesso Goldin, di Guido Giuffrè e di Marco Vallora. A Conegliano, Palazzo Sarcinelli esporrà ancora nella rassegna “Da Fattori a Burri, Roberto Tassi e i pittori”, nella mostra “Una donazione per un nuovo museo”, e ancora nel 1998 “Elogio del pastello, da Morlotti a Guccione”. Sempre su invito di Marco Goldin, nel 1999 terrà una mostra antologica del pastello “Opere 1981-1999″, a Treviso nella Casa dei Carraresi, con testi di Marco Goldin ed Enzo Siciliano. Nel 2003-2004 la Provincia Regionale di Palermo organizza una sua mostra antologica al Loggiato San Bartolomeo, “Opere 1981-2003″, con scritto in catalogo di Aldo Gerbino. Nel 2006 è invitato da Philippe Daverio alla LVII edizione del Premio Michetti di Francavilla al Mare. Nel 2007 è presente alla mostra “Arte Italiana 1968-2007. Pittura”, curata da Vittorio Sgarbi al Palazzo Reale di Milano.  Del 2008 la mostra personale “Impressioni di luce” alla Galleria 61 di Palermo e l’antologica “Opere 1984 – 2008” presso l’ex Convento di San Francesco a Sciacca con testo in catalogo di Philippe Daverio. Del 2010 la personale “Gli uomini del paesaggio” alla Galleria Spazio Forni di Ragusa e la collettiva “Mare Nostrum” alla Galleria Forni di Bologna.  Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia. Ci ha lasciato il 25 aprile del 2015.

lunedì 3 agosto 2015

56 Biennale Di Venezia / ALBERTO FORTIS AL PADIGLIONE TIBET 2015



EVENTI ARTISTICI
PADIGLIONE TIBET, 6 LUGLIO


Pad. Tibet  2015




FORTIS… FORTISSIMO!
di Angela Zenato

A lasciare senza parole, completamente assorbiti dalla sua forte personalità è stato proprio Alberto Fortis, conosciutissimo cantautore e poliedrico strumentista.

Sarà stata l'atmosfera colorata, soffusa, sfumata, il gran pubblico appassionatissimo, raccolto nello spazio interno a semicerchio, e lo spirito dell'esposizione del Padiglione Tibet, o tutte queste cose assieme, ma un'ondata di magia inseguiva l'altra, con sorpresa.

Ascoltare Fortis è stato rigenerante, rivitalizzante ed inaspettato! Quando e' arrivato in padiglione, sereno, candido, si è avvicinato al pianoforte per le consuetudinarie "prove", ecco, sin da lì sembrava volesse proprio farlo suonare per bene, il suo piano! Un riscaldamento come tanti altri, ma che rendeva il timbro della persona.

Il concerto, ho pensato, dev'essere per lui un momento metamorfico, se dopo alcuni gentili "sì, grazie", "potremmo spostare le luci, per favore?", è entrato in scena scatenato ed... alato! Calzava infatti un paio di scarpe bianche con le ali: un Mercurio canoro!

Eh, certo! Effettivamente a lui non spettava forse di ricordare che gli eventi della serata portavano con sè il messaggio profondo raccolto nel Padiglione e quanto raggiunto, spiritualmente, anche nella sua vita?

Certamente... esso chiedeva di essere comunicato nella maniera più incisiva possibile: con il canto, gridandolo al mondo, con le note poetiche che la musica può, più dell'oratoria.









Visiona l'evento del 6 luglio 2015 
del Padiglione Tibet 
evento Parallelo alla 56 Biennale di Venezia



performance di Alberto  Fortis








Fortis (frame Archivio Padiglione Tibet)





Fortis (frame video Cristian Michelini)






Fortis (frame video Cristian Michelini)





Fortis (frame Archivio Padiglione Tibet)







FORTIS… FORTISSIMO!
by Angela Zenato

After the concert we were left without words, completely absorbed by strong and polyedric personality of the renowned musician and songwriter Alberto Fortis. The atmosphere was so smooth and coloured, the peaceful breath so deep in the Tibet Pavilion, that the audience was pleasantly surprised, kept together around the inner theatre. The listening became energetic and passionate, transforming reality into spiritual feelings.
When Fortis arrived to the Pavilion, he was calm, almost pure in his movement, practising his piano in a intimate relationship. Since that moment, it seemed to me he really did want to make it play right! It was a common exercise for him, but it also shown his powerful skills! I thought the concert to be as a metamorphic moment to him, when after some delicate "thank you" or "could you provide for the lights?", suddenly, he introduced himself similar to Mercury, dressing white winged shoes! Surely, his musical performance has to be interpreted as a universal message, spreading deep and spiritual hopes, as only voice, as only musical poetry, more than the rhetoric can do. 






56 Biennale Di Venezia / TULKU, LE INCARNAZIONI MISTICHE DEL TIBET - Padiglione Tibet 2015




EVENTI ARTISTICI
PADIGLIONE TIBET, 6 LUGLIO



Pad. Tibet  2015





 Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet
di Piero Verni e Giampietro Mattolin

I tulku sono quei maestri spirituali che scelgono di ritornare nel mondo, esistenza dopo esistenza, per essere di aiuto agli esseri viventi.
La tradizione di queste reincarnazioni mistiche è una caratteristica peculiare del Buddhismo vajrayana, la forma  dell’insegnamento del Buddha diffusa in Tibet, regione himalayana e Mongolia.
Profondamente radicata nelle culture di questi Paesi, fuori però dall’universo tibetano questa usanza è stata spesso fraintesa.
Scopo di “Tulku, le incarnazioni mistiche del Tibet” è quello di fornire al lettore, attraverso un linguaggio semplice e chiaro, un quadro  esauriente di cosa effettivamente sia la tradizione dei tulku e di come interagisca con le società nelle quali è presente.
Grazie anche alle numerose interviste concesse agli autori dal Dalai Lama e da altri importanti lama buddhisti, questo libro ricostruisce la storia, l’orizzonte religioso ed etnico, l’attuale condizione e il futuro di questa fondamentale componente della civiltà tibetana.
Di particolare interesse inoltre, i capitoli dedicati alla vita del VI Dalai Lama (il più eterodosso di tutto il lignaggio) e all’infanzia dell’attuale quattordicesima reincarnazione, prima che venisse riconosciuta e insediata a Lhasa in qualità di massima autorità del Tibet.
Da segnalare infine come dalle pagine di questo volume (sia grazie al testo sia all’imponente apparato fotografico di cui si avvale) emerga anche una nitida immagine del Tibet e dei luoghi in cui i tulku esercitano la loro funzione spirituale.




PADIGLIONE TIBET, 6 LUGLIO
EVENTI ARTISTICI ED INTERCULTURALI
 di Angela Zenato

La serata del 6 luglio il Padiglione Tibet ha festeggiato gli ottant'anni del Dalai Lama all'interno di uno spazio presto rivelatosi un magico tavolo rotondo.
La sorpresa di un ambiente tanto eclettico mi ha inserita in contesti sempre mutevoli, passando dalle rappresentazioni quasi metafisiche della performance di danza di Ksette, sul calar della sera, alle note incise e potenti di Alberto Fortis all'interno, attorno al quale ho visto trasformarsi un piccolo teatro greco dove la bellezza dell'arte e gli animi tutti hanno espresso un'incredibile, palpabile energia dagli echi antichissimi.

La linea conduttrice - cultura Tibetana e riflessioni interculturali - ha seguito sentieri ed espressioni di libertà artistica significativi, portati alla ribalta in un contesto architettonico minimale e sacro, quale perfetto spazio di continuità tra oriente ed occidente, insomma, un perfetto padiglione per un paese che non c'è, laboratorio di idee, riflessioni ed esperienze da condividere!

Portare nel nostro al di qua immagini reali etniche e proporre un confronto artistico costante ha gettato le basi per porre l'arte quale mezzo di comunione transcontinentale, quasi fosse una preghiera di salvezza. Tra le elaborazioni artistiche più meditative, i passi di danza calati nell'oscurità della sera, come domande inespresse, lungo un futuro tutto da percorrere, si muovevano accompagnati da un'entità muta, simile nei gesti ad una sofferente creatura, estenuata, costretta alla violenta ripetizione dei movimenti. Che in quell'acqua possano esser cadute lacrime? Che sia una sorta di passione, di corpo, di sacrificio scaraventato, crudo, nella petrosa realtà, in serpeggiante silenzio, sferzando sulla pietra la vita come una frusta?

La performance ha tramutato in gesto i passi, i movimenti in piccolo teatro, teso, racchiuso in un essenziale piazzale tinto di blu, tinto dal cielo, dal tramonto, dal blu dell'acqua, ombreggiando e disegnando la parete, a moltiplicarne i gesti…


Un'altra ripetizione, un'altra, identica, storia.…





Visiona l'evento del 6 luglio 2015 
del Padiglione Tibet  
evento parallelo alla 56 Biennale di Venezia


performance di danza 
di Ksette


Tulku (foto di Angela Zenato)



Tulku (foto di Angela Zenato)




Ksette Orizzonte (frame video Cristian Michelini)




Ksette Orizzonte (frame video Cristian Michelini)




Ksette Orizzonte (frame video Cristian Michelini)




Ksette Orizzonte (frame video Cristian Michelini)




Ksette Orizzonte (frame video Cristian Michelini)







Tulkus, the mystic incarnations of Tibet
by Piero Verni and Giampietro Mattolin

Tulkus are those spiritual teachers who choose to return to the world, lifetime after lifetime, in order to help living beings.  This tradition of mystic reincarnation is peculiar to Vajrayana Buddhism, the form of Buddha's teaching found in Tibet, the Himalayan regions and Mongolia.  Although it has deep roots in the culture of these countries, outside of the Tibetan sphere this tradition has often been misunderstood.
The aim of “Tulkus, the mystic incarnations of Tibet” is to give the reader, using clear and simple language, a comprehensive picture of what the tulku tradition actually involves and how it interacts with the societies in which it is found.  Also drawing on  numerous interviews granted to the authors by the Dalai Lama and other important Buddhist lamas, this book reconstructs the history, the religious and ethnic context, the current state and the future of this fundamental component of Tibetan civilisation.
Of particular interest are the chapters dedicated to the life of the sixth Dalai Lama (the most unorthodox of the entire lineage) and to the childhood of the current fourteenth incarnation, before he was recognised and enthroned in Lhasa as the highest authority in Tibet.  A clear picture of Tibet and the places in which tulkus exercise their spiritual function emerges from both the text of this book and the impressive collection of photographs enhancing it.


TIBET PAVILION, 6th OF JULY 2015
ARTISTIC AND INTERCULTURAL EVENTS
by Angela Zenato

The evening of July 6th, the Tibet Pavilion celebrated the eightieth birthday of the Dalai Lama, in a space soon revealed as a magical round table. I found myself in a ever changing context, hosting eclectic artistic events: from the metaphysical dance performance by Ksette, at sunset, to the deep and powerful notes by Alberto Fortis, transforming the inner space in a small greek theatre, where the beauty of the souls remind me an incredible ancient universal energy. The leading line -
the Tibetan heritage and the inter cultural reflections - was focused on the repression and freedom needs, expressed through contemporary art, videos, performance and meetings, brought to the fore in a minimalist and holy architecture.
The Tibet Pavilion,“the never-never country's pavilion”, represents the perfect connection between East and West culture, a laboratory of ideas and a place in which sharing thoughts. Thanks to these purposes, art becomes a transcontinental language, bringing us images of different livings almost it was a prayer talking about Salvation. One of the most significant performance was the contemporary dance elaboration, surrounded by the evening lights out of the Pavilion, where the movements looked like unexpressed questions, slowly dancing on the stone square, speaking about repetition, forced actions and violence. Is that Water composed by tears? Does it refer to the Passion, or to a tired, sacrificed body, which is lashed against the raw reality? Such a silent performance was not only a dance exhibition, but also a theatre, out of the church, acted on a blue square, painted by a deep nocturnal sky and the blue water a round. The movements found their shadows repeated on the stonewall, multiplying the unspoken questions.