un Museo evoluto e innovativo di arte deve mettere necessariamente insieme i campi della
tecnologia e dell’arte, tra innovazione tecnologica e il potenziale artistico.
Non soltanto l’utilizzo dello spazio fisico ma la diffusione della realtà
virtuale che di fatto ha creato una rivoluzione visiva modificando radicalmente sia la nostra percezione delle immagini, sia la nostra relazione
con la realtà. Gli spazi virtuali possono suggerire mondi immersive
sperimentabili direttamente. I visitatori si immergono nella percezione del
dato virtuale e in tal modo vengono coinvolti fisicamente tramite elementi
interattivi che modellano già il nostro presente e sicuramente il
nostro prossimo futuro. In un progetto di un museo immaginario virtualità
e realtà sono quindi strettamente collegati tra loro, con l’esigenza di mettere
in collegamento spazi fisici con gli spazi immaginari.
La
descrizione:
Per tale motivo, partendo idealmente
come prototipo base dalla mappa del piano terra del Museo Marino Marini di
Firenze è stato ideato un percorso espositivo immaginario di
opere con 12 mostre già svolte da noi in 12 spazi che possono essere
ulteriormente divisi anche in tre rispettive sale ciascuno, al fine di
rendere la complessa relazione tra spazi virtuali e fisici del museo
materialmente percettibile per il pubblico. In una società che fa affidamento
sull'innovazione tecnologica i musei e l’ esposizioni come questa sono
necessari per far conoscere in modo interattivo a 360° l’arte in
tutto il pianeta terra. Il Progetto Bongiani Museum da noi
ideato con una piattaforma
online,si rivolge proprio alle fondazioni
e ai musei oltre che agli utenti dell’arte, ben sapendo di dover investire sulle nuove tecnologie. Il gioco e la visita
interattiva è destinata a un pubblico italiano e internazionale di tutte le età
con lo scopo essenziale di incuriosire e invogliare a visitare
concretamente il museo.
L’interfaccia
Virtuale:
Con l’attuale
interfaccia interattiva preposta tra startup e cultura, il museo del
futuro risulta uno spazio virtuale veloce capace di rispondere alle esigenze
concrete degli utenti del web e far conoscere l’arte in modo semplice,
diretto e “democratico” ad un pubblico sempre più vasto e interessato.Uno
spazio sempre aperto; non ha una superficie fisica ma solo virtuale, ed è
visibile 24 ore su 24 in tutto il mondo. Questa nuova straordinaria
realtà sperimentale che usa al
meglio le tecnologie esistenti per innovare,crediamo, possa
essere concretamente di aiuto alla diffusione e alla conoscenza degli
eventi e delle proposte culturali attivate in qualsiasi museo
reale. Del resto, un progettocome
questo risulta innovativo non solo perché fa cose nuove ma anche e
soprattutto perché fa cose in modo nuovo applicando nuovi paradigmi e una nuova
filosofia culturale.
Ingresso Virtuale
Home Page
Le sale del Museo Virtuale
L’idea di un Flipper-museo
Come ipotesi di base abbiamo immaginato di
utilizzare l’idea del gioco di un flipper, con una pallina metallica dal significato
ludico e nello stesso tempo altamente tecnologico che diventa il simbolo ideale
di un percorso espositivo museale. Utilizzando come ipotesi progettuale la mappa
reale del piano terra del Museo Marino Marini di Firenze abbiamo immaginato una
piattaforma prototipo simile ad un
flipper con 12 sale espositive. (in ambito virtuale le sale potrebbero essere
molte di più).
Cliccando con il mouse nell'apposito numero di sala si ha la
visione delle opere in modo immediato e interattivo.La visione di un museo virtuale come questo permette di
relazionare con un grande numero di utenti in varie parti del globo, che seduti anche a casa su un divano possono permettersi
di visionare e conoscere le opere in vista di un probabile viaggio alla scoperta del reale museo prescelto. Di certo, un contributo concreto e fattivo alla diffusione capillare dell'arte di un museo.
Da questo momento si apre la schermata della sala con la relativa visione delle opere inserite. ( in ogni parete vi possono essere max 6 opere per un totale di 24 opere per sala. Nulla vieta di inserire un numero inferiore di opere).
I VARI STEP DESCRITTIVI DEL PROGETTO:
SI ENTRA NELLA SALA INTERATTIVA SCELTA:
inizia la visita virtuale alle opere presentate
in una sala interattiva del Bongiani Museum
Ingrandimento di un'opera presente nella sala
le opere nelle sale interattive del museo virtuale
VERIFICA L'INTERATTIVITÀ' DI UNA DELLE MOSTRE VIRTUALI PRESENTI IN QUESTO PROGETTO Visit. Crucifixion – Shozo Shimamoto
La cappella degli affreschi (o Brancaccio) è una cappella della chiesa
di San Domenico Maggiore di Napoli affrescata da Pietro Cavallini nel 1308 circa.
È di fatto l'unica cappella della chiesa che conserva un ciclo di affreschi
risalente all'epoca angioina, quindi al periodo di edificazione del
complesso religioso. L’opera di Pietro Cavallini con la scena della Crocifissione
di Cristo si trova lungo
la parete di sinistra. Pietro Cavallini, il quale all'epoca del suo arrivo a
Napoli fu ospite illustre di Carlo II d'Angiò, dando vita ad un rapporto
lavorativo che legherà il pittore alla famiglia angioina fino al 1317.
Shozo Shimamoto, Crocifissione,
courtesy of photo Kristia & JJhan, 1993
Milano 13 Marzo – La Porta di
Milano accoglie 6 grandi sculture, modelli in scala per interventi monumentali
destinati all’arredo urbano, e un bronzo storico, la Grande donna seduta, del
1955, di uno dei maggiori scultori italiani del Novecento.
SEA presenta a La Porta di
Milanoall'aeroporto di Malpensa, fino al 30 giugno, Shaping
the space una mostra che celebra Carlo Ramous (Milano, 1926-2003), uno dei
maggiori scultori italiani del Novecento.
Con questa iniziativa, SEA ribadisce il
proprio rapporto privilegiato con l’arte, iniziato sette anni fa con la
costruzione de La Soglia Magica, un’opera che è diventata la Porta di Milano,
il luogo d’eccellenza dove ospitare eventi espositivi che salutano i passeggeri
in arrivo e in partenza dal Terminal 1. Di qui sono passati grandi maestri
quali Fausto Melotti, Marino Marini, Gio Ponti, Giuseppe Pellizza da Volpedo, e
autori appartenenti al panorama artistico contemporaneo, quali Helidon Xhixha,
Carlo Bernardini, Alessandro Busci e altri.
Con Carlo Ramous, scultore milanese che
a Milano ha lasciato importanti testimonianze, si sottolinea il legame
dell’aeroporto con la città e le sue atmosfere.
Opere monumentali di Carlo Ramous presenti a Milano
Dopo l’importante
retrospettiva allestita alla Triennale di Milano nell’estate 2017, Ramous torna
protagonista di una esposizione che raccoglie sei grandi sculture, modelli in
scala per interventi monumentali destinati all’arredo urbano, accanto a un
bronzo storico, la Grande
donna seduta, del 1955, testimonianza della sua iniziale ricerca figurativa. Carlo
Ramous, autore di opere entrate nell’immaginario collettivo per la loro
presenza nell’orizzonte della città, ha indagato per anni, nel corso della sua
produzione matura, i rapporti ideali fra la scultura e l’ambiente circostante.
Ha studiato forme aperte, in grado di assorbire i ritmi del vissuto
metropolitano. Ha disegnato linee dinamiche, giochi calcolati di vuoti e di
pieni, elementi metallici capaci di dialogare con l’architettura e con i luoghi
che li ospitavano.
Fra i suoi lavori più
conosciuti spiccano Gesto
per la libertà (1972) in piazza Conciliazione a Milano e Timpano(1972), collocata nel
parco della Triennale del capoluogo lombardo.
Altri progetti hanno
raggiunto spazi pubblici e musei di tutto il mondo. Da Roma a New York, da
Venezia a Chiba City in Giappone. Invitato alla Biennale di Venezia (1958, 1962
e 1972), nel 1974 ha allestito opere monumentali in Piazzetta Reale, accanto al
Duomo. Di alcune di queste la mostra presenta i bozzetti, come Frantumazione del 1979 o Lo Schermo distratto del 1981, oltre
alle fotografie d’epoca scattate alle sue opere da maestri dell’obiettivo come
Enrico Cattaneo nelle diverse occasioni istituzionali.
Nel corso della mostra sarà presentata
una mappa milanese con i luoghi che ospitano le sculture del maestro e,
successivamente, un catalogo Idesia editoria dedicato all’evento.
L’esposizione è parte del programma di Novecento Italiano, il palinsesto lungo un anno, promosso per raccontare, ricordare e riflettere sulla grande avventura culturale del secolo scorso.
Biografia:
Carlo Ramous nasce a Milano nel
1926; frequenta il Liceo Artistico presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna,
per continuare gli studi presso l’Accademia di Brera con Marino Marini e Giacomo
Manzù, dove espone per la prima volta un’opera nel 1946. La serie delle mostre
personali di rilievo comincia più tardi, con mostre importanti presso la
Galleria del Milione di Milano (1956), la Galleria del Cavallino di Venezia
(1962) la Galleira Jolas (1971). Risale al 1962 la sua prima partecipazione con
un gruppo di opere alla Biennale di Venezia, dove viene presentato da Gillo
Dorfles. Vi tornerà dieci anni più tardi (1972) con una sala all’interno della
rassegna Aspetti
della scultura contemporanea, con uno stile completamente mutato.
Mentre la critica più attenta, sia in Italia sia all’estero, scrive del suo
lavoro (Giuseppe Marchiori, Giovanni Carandente, Guido Ballo, Enrico Crispolti,
Herta Wescher, Marco Valsecchi), Ramous avvia una collaborazione con
l’architetto Mario Tedeschi, che porta alla realizzazione delle facciate a
rilievo per le chiese di Santa Marcellina a Milano e San Giovanni Bosco a
Baggio, inizio di una lunga collaborazione con architetti e progettisti ben
rappresentata dal monumentale intervento sullo stabilimento tipografico di Cino
Del Duca progettato da Tullio Patscheider a Blois. La sua scultura assume
presto una importante dimensione urbana, ben rappresentata dalle grandi mostre
di sculture all’aperto nel centro storico di Parma nel 1973 e in Piazzetta
Reale a Milano nel 1974. Una delle opere esposte allora, Gesto per la libertà, troverà collocazione
nel 1981 in piazza Conciliazione a Milano, prima di una serie di grandi
sculture collocate dall’artista in Italia e all’estero, fino alla realizzazione
di Ad
astra nel Chou Park a Chiba City, in Giappone (1992). Carlo Ramous muore a
Milano nel 2003. (Segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno).
Tre artiste per “forzare il limite di un confronto”
Lorenza Boisi,Veduta mostra, BOISI-GALINDO-PALAZZARI, Passaggi di stato, Reggia di Caserta, 2018. Foto The Knack Studio
Una mostra interessante a più voci presso le sei sale delle Retrostanze settecentesche (Ex Terrae Motus) e il Vestibolo superiore della Reggia di Caserta.
Passaggi di stato: una mostra dedicata a tre artiste sotto il segno del femminile, Lorenza Boisi, Regina José Galindo e Valentina Palazzari, a cura di Bruno Corà e Davide Sarchioni (visibile fino al 20 marzo 2018).
Giovani artiste della stessa generazione e di diversa provenienza culturale e visione poetica accumunate dall’interesse a relazionare in un inedito confronto che pur nella diversità delle proposte, tentano di “forzare il limite di un confronto”. L’intento primario è per l’appunto sperimentare la coesistenza delle visioni, un possibile dialogo sia tra le loro opere sia con lo spazio fisico e magico della Reggia.
Tre artiste decisamente differenti per caratteristiche e tipologie metodiche e tecniche che ci prepongono uno spaccato, seppur limitato, delle diverse proposte in atto. Nelle sale della Reggia si percepiscono “i passaggi di stato” da una visione all'altra, con opere bidimensionali a parete che convivono con l’installazione e l’oggetto tridimensionale, sollecitando rimandi e associazione attraverso l’utilizzo dei diversi materiali, un passaggio decisamente fluido carico di tensione e di attraversamenti e un procedere avanti e indietro senza soluzione di continuità.
Passaggi di umore, da un linguaggio all'altro percepiti sotto il segno della diversità. In tale dinamica convivono e si relazionano i lavori della Palazzari votati all'innesto e alla precarietà duttile dei materiali legati ai processi di ossidazione nella dimensione più consunta e trascorrente del tempo, (un particolare omaggio è presentato nell'imponente Scalone d’Onore di Luigi Vanvitelli con un’installazione monumentale).
La pittura estemporanea della Boisi permane condizionata dalla pratica di ceramista, votata alla figurazione e a motivi naturali che cerca di ambientarsi con la decorazione maestosa e ornamentale della Reggia.
Tutt'altro si avverte dalle ricerche performative sul tema del corpo umano, tra fotografia e video art svolte dall’artista guatemalteca Regina José Galindo, senza dubbio la più lucida e convincente, che ossessivamente rimarca l’importanza del corpo e dell’azione performativa come strumento urgente di comunicazione e denuncia sociale.
Regina José Galindo (Città del Guatemala, 1974), Aún no somos escombros, 2016, color video, stereo sound, 19’, Courtesy l’artista e Prometeogallery.
Insomma, tre piccole e importanti personali in cui i risultati sono condizionati dalla diversità di visione immaginativa e soprattutto per la complessa e concreta relazione che si può instaurare con le imponenti sale della Reggia di Caserta
PADIGLIONE TIBET a cura di Ruggero Maggi FINISSAGE MERCOLEDI' 14 MARZO a partire dalle ore 20.00 ORE 21.15 performance NO CHAIN 10 marzo 1959, il Dalai Lama costretto a fuggire dal Tibet ...tragica data per il suo popolo...sono passati 59 anni ma nulla è stato fatto per ridare speranza e libertà... un momento per ricordare.
PADIGLIONE TIBET a cura di Ruggero Maggi PROROGATO fino al 14 MARZO 2018 1 FEBBRAIO - 14 MARZO 2018
FINISSAGE MERCOLEDI' 14 MARZO a partire dalle ore 20.00 ORE 21.15 performance NO CHAIN
Padiglione Tibet, a cura di Ruggero Maggi, presentato dall'1 al 28 febbraio 2018 presso CENTRO NATURA all'interno di SetUp+ il contenitore degli eventi culturali che si svolgono a Bologna durante SetUp Contemporary Art Fair, è stato prorogato fino al 14 marzo, giornata conclusiva in cui, oltre all'installazione-video e la mostra Lucente Spirito, verrà presentata la performance No Chain (ore 21.15) SPIRITUALITA' ED ARTE COME CIBO PER LA MENTE E PER L'ANIMA installazione-video (montaggio di Matteo Pieri) con estratti delle precedenti quattro edizioni (2011/2013/2015/2017) di Padiglione Tibet nato come evento parallelo alla Biennale d’Arte di Venezia. La Biennale veneziana offre da sempre l’opportunità ad ogni Paese di presentare le proprie realtà artistiche più rappresentative con i Padiglioni Nazionali. L’appello per la dignità di un popolo si può estrinsecare anche attraverso un progetto artistico. Una forma di riscatto culturale voluto fortemente da molti paesi e che, per Padiglione Tibet“il padiglione per un paese che non c'è”ideato da Ruggero Maggi nel 2010, ha assunto anche una valenza sociale.
Tibet: una nazione che evoca da sempre un sentimento religioso, mistico, di pace, una vitale “centralina” spirituale per tutti gli esseri umani.
Padiglione Tibet, un’idea che nella propria semplicità racchiude una forte carica emozionale, è un sogno che ha lasciato il segno ponendosi l’obiettivo di far incontrare la sensibilità della cultura contemporanea occidentale con quella tibetana. Un unico tema declinato nei modi della pittura, della scultura, della performance, del video per realizzare un grande evento che sottolinei coralmente il profondo senso di spiritualità dell'universo tibetano.
Un ponte sensibile tra la cultura Occidentale e quella Tibetana densa di affascinanti e mistiche suggestioni spirituali, linguistiche ed artistiche; un passaggio da Est ad Ovest, che crei quella sfumata ma necessaria vibrazione poetica per interagire e comprendersi. Padiglione Tibet: ponte fra culture.
LUCENTE SPIRITO mostra costituita da una selezione di opere dal profondo contenuto spirituale e concettuale come "The Quest" vero e proprio work in progress di due artisti: Carla Bertola e Alberto Vitacchio protagonisti congelati nell'atto fotografico insieme con le pietre megalitiche, divenendo anch'essi elementi immobili e silenziosi del paesaggio; le opere verbo-visive titolate "Fiabe al vento"di Marcello Diotallevi che traggono ispirazione direttamente dal vento della poesia e dalla naturale inclinazione dell'artista verso un'ironica interpretazione della realtà e della vita; le evocative immagini fotografiche di Anna Maria Di Ciommo che ricreano i momenti in cui i Lama Tibetani realizzano splendidi mandala, sintetizzate in una frase di S.S. il Dalai Lama: "Ero intelligente e volevo cambiare il mondo. Ora sono saggio e sto cambiando me stesso"; le opere-oggettodi Roberto Testori che nel loro biancore riflettono soluzioni concettuali ricche di significati spirituali e poetici. Poesia visiva che si alterna ad una sedimentata descrizione di tracce, di piccoli oggetti che ritrovano il loro spazio in una decontestualizzazione intelligente e raffinata.
MERCOLEDI' 14 MARZO ore 21.15 NO CHAIN performance di danza contemporanea di K7
coreografia di Kappa musica di Paola Samoggia danza Giuseppe Spinelli, Laura Onofri
“...ho pensato a Padiglione Tibet, al ponte tra due culture…. al collegamento… alla denuncia della situazione attuale che però volge verso una libertà raggiunta con l’aiuto delle due culture assieme, l’aiuto di tutti…. In attesa la campana a lastra è libera di muoversi nel vento…. come una bandiera di preghiera….” (Paola Samoggia)
Durante il finissage è possibile cenare presso il Ristorante BioVegetariano di Centro Natura dalle ore 19.15 alle 22.00.
PADIGLIONE TIBET a cura di Ruggero Maggi centro natura via degli albari 4a bologna 1 febbraio – 14 marzo 2018
finissage mercoledì 14 marzo 2018 a partire dalle ore 20.00 ore 21.15 performance No Chain orari di apertura: lunedì sabato 10 - 22.30 | domenica 10 – 18.30 info:051.235643 | www.centronatura.it | maggiruggero@gmail.com| 320.9621497
Ogni primo del mese e per 12 mesi verranno presentatiin queste pagine 12 artisticon alcune opere significativeintegrate da video e relativa biografia
sintetica. Una collezione immaginaria e ideale di arte
contemporanea, una raccolta dei sogni e anche dei desideri.
Non ha la pretesa di essere una raccolta museale definita,
completa. È la raccolta del momento, soggetta anche a ulteriori aggiornamenti,
e cambiamenti sostanziali. Nasce,
soprattutto, dal desiderio di far conoscere alcuni artisti
nati tra gli anni 20 e 60,ancora non
del tutto conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni hanno
definito in modo poetico e originale una propria visione personale
dell’arte.SandroBongiani
Fausto Melotti
UN SOFFIO DI VENTO
Poema visivo dedicato aFausto Melotti
La vita di
un uomo è fatta di oscuri tintinnii di campane appese per la gola,
di cadute, di miraggi e anche di memorie solitarie che nascono da cadenze
antiche.
Solo nell’oscurità il silenzio incarna essenze
malinconiche senza tempo.
La luce vola oscura tra fruscii e rintocchi
che sbattono cupi nell’aria come presagi dell’invisibile.
Solo nella fantasia il silenzio
magicamente vola e prende forma.
L’aspro vento di
Rovereto sfiora e accarezza le frange
dei cenci appesi ad una trave di ferro sibilando oscuri presagi e mirabili
incanti, per poi adagiarsi fiera sopra la polvere che
il tempo ha conservato.
Solo nei ricordi il silenzio diventa
poesia tra una metamorfosi e
un battito d’ali che il tempo si
appresta a cancellare.
Nella penombra dei pensieri, insolite presenze
di latta e di ruggine colano orgogliosi lungo
remoti pendii per condensarsi in entità sospese.
Solo nel silenzio dell’oscurità gli
incanti si trasformano in note e in contrappunti musicali nel tentativo di esserci ancora.
L’esposizione
di Fausto Melotti (Rovereto,
1901; morto a Milano nel 1986) accoglie, in maniera cronologica, oltre duecento
opere tra terracotte, disegni, ceramiche, gessi e sculture in ottone, in
un arco di tempo che va dal 1930 al 1986. La sua scultura nasce tra tradizione,
rinnovamento del linguaggio e della scultura contemporanea: sensitiva,
volubile, capricciosa; per questo sembra che voli tanto appare leggera e
precaria. Sono apparizioni provvisorie in attesa di un soffio di vento
per rianimarsi, per divenire viaggio, essenza, racconto. Apparizioni che
non tentano di "definirsi in forma”, ma vivono l’istante come
momento sfuggente, insostanziale. Presenze che hanno bisogno dell’aria e
dell’atmosfera per sopravvivere, includendo nell’azione forze che possono
apportare nuovi sviluppi.
L’artista
non fa leva sull'accostamento casuale e ironico dell’objet trouvè
di matrice duchampiana, non cerca la provocazione e neanche
fa leva sull'utilizzo degli oggetti tout court, ma incentra tutto il suo
lavoro sulla manualità, sulla manipolazione dei materiali semplici
e soprattutto sulla trasfigurazione in base ad un emergente bisogno espressivo
e comunicativo. Per tale motivo i materiali non vengono mai presentati per
quello che sono ma trasformati in funzione di una sintesi, per la carica di
suggestione che possono trasferire. Sono presenze che tendono alla
tensione, al flusso indefinito, nel tentativo di trasformarsi in contrappunto
poetico e per apparire come favola. Una visione in realtà complessa e
intricata. Un transitare veloce, decisamente solitario, sospeso al
di là del logico e del consueto. Quelli di Fausto Melotti sono segni poetici
situati nella dimensione più oscura e vera della penombra, presenze senza tempo
in cui la vita, per un attimo, si è rappresa. Una rappresentazione decisamente
inconsistente, immateriale, transitoria, sospesa tra un apparire
indeterminato che cerca, anche per un solo attimo di
trasformarsi in vertigine e svelarsi.
sandro bongiani Exibart, mostra visitata il 21 dicembre 2011
Il Video:
Fausto Melotti. Quando la
musica diventa scultura
Fausto Melotti porta
armonia nelle sale del Castello di Miradolo
a San Secondo di Pinerolo, mostra conclusasi 11 febbraio 2018.
Fausto Melotti nasce a Rovereto (Trento) nel 1901. Nel 1915 si trasferisce con la famiglia a Firenze dove conclude gli studi secondari. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. Nel frattempo porta a termine i cinque anni di studi musicali, conseguendo il diploma in pianoforte e intraprende lo studio della scultura, a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Si iscrive poi all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Si diploma nel 1928. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale del mobile di Cantù per un corso di plastica moderna. L’artista così si esprime: " Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare col proprio cervello." Nel 1935 aderisce al movimento "Abstraction-Création", fondato a Parigi nel 1931 da Herbin, Vantongerloo, Hellion, Arp, Gleizes, Kupka, Tutundjian e Volnier, con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. Nello stesso anno rende anche esplicita la sua adesione al gruppo degli astrattisti milanesi partecipando alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino ed esponendo a Milano, alla Galleria del Milione, una sua personale con sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. "Attraverso queste opere è possibile scorgere l’operazione che Melotti sta sperimentando: il trasferimento dei valori musicali alla scultura. La musica diviene presupposto fondamentale, autentica disciplina della ricerca artistica, nuova metafora che apre a inedite esperienze. E’ la musica a guidare la scultura nel processo di defisicizzazione della materia; è lo studio della musica a presupporre l’idea di contrappunto nella scultura: Melotti giunge ad una sorta di "astrazione musicale" nel campo delle arte figurative: "…un’arte [che] è stato d’animo angelico, geometrico".
La sua prima esposizione non ha alcun esito positivo in Italia, né tra i critici né tra gli artisti, mentre riceve la dovuta considerazione, in Francia, grazie a Léonce Rosenberg, e in Svizzera, dove nel 1937 consegue il Premio internazionale La Sarraz.
Nello stesso anno, in occasione della VI Triennale di Milano, crea per la Sala della Coerenza disegnata dallo studio B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressuti, Rogers) un’opera-chiave, la Costante Uomo. L’idea è totalmente inedita e originale: dodici sculture scandiscono ritmicamente lo spazio in un progetto che, concertando armonicamente colore, parola e piani, suggella a paradigma d’opera d’arte l’installazione ambientale.
Dal 1941 vive per due anni a Roma, dove partecipa al progetto di Figini e Pollini per il Palazzo delle Forze Armate e nel frattempo realizza disegni, dipinti e compone poesie che, con il titolo Il triste Minotauro, saranno pubblicate da Giovanni Scheiwiller nel 1944. Nel dopoguerra, per vivere, si dedica alla ceramica e raggiunge, attraverso una tecnica raffinatissima, una qualità artistica ineguagliabile. Testimonianza ne sono i premi: il Gran Premio della Triennale di Milano nel 1951; nel 1958, la "Grande medaglia d’oro ad artefice italiano" dal Comune di Milano; nel 1959 la medaglia d’oro di Praga e anche quella di Monaco di Baviera. Nel 1967 espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione che lo ripropongono all’attenzione del pubblico e della giovane critica. Da questo momento ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero che lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua opera multiforme: sculture, bassorilievi, teatrini e opere su carta.
Così scrive Germano Celant: "È sull’uscita o sul dialogo tra penombra e luce, alla frontiera tra essenza e movimento, dove i corpi fluidificano e si presentano sinuosi e leggeri che Melotti imposta la sua ricerca, che esprime una svolta nuova alla scultura, perché non lavora più sul togliere dal pieno, ma sul far emergere dal vuoto."
Nel 1973 consegue il Premio Rembrandt, giudicato il Nobel delle arti; nel 1977 gli viene attribuito il Premio Biancamano.
Nel 1974 la casa editrice Adelphi pubblica una sua raccolta di scritti e poesie intitolataLinee, a cui viene conferito, nel 1975, il Premio Diano Marina. Nel 1978 sempre Adelphi pubblica Linee, secondo quaderno. Nello stesso anno riceve il Premio FeltrineIli per la scultura.
Nel 1979 un’antologica del suo lavoro è presentata a Milano a Palazzo Reale. Nel 1981 la città di Firenze gli dedica una mostra al Forte Belvedere.
Da questo momento in poi si susseguono le mostre personali e collettive in Italia e all’estero, che lo vedono tra i protagonisti dell’arte contemporanea. Firenze, Roma e Venezia ospitano importanti personali, ma è presente anche a New York, Londra, Zurigo, Vienna, Francoforte, Monaco e Parigi. Muore a Milano il 22 giugno 1986.
Benvenuto nella visione di questo Blog di Arte Contemporanea dell' ARCHIVIO OPHEN VIRTUAL ART MUSEUM, un archivio privato Italiano creato da Giovanni Bonanno nel 1989 in provincia di Como. Attualmente si trova a Salerno.
Dal 2008 gli articoli del Blog Archivio Ophen Virtual Art di Salerno sono sempre stati accessibili a tutti, e lo resteranno. In diversi anni di lavoro abbiamo fatto molte cose, e ancora desideriamo farne di nuove. Questo è un Blog senza banner pubblicitari, in cui si ha la libertà di consultare le varie pagine e commentare gli articoli presentati. Grazie per la collaborazione.
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