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mercoledì 28 febbraio 2018

UN ARTISTA AL MESE / Fausto Melotti


  UN  ARTISTA  AL  MESE / Marzo 2018

Ogni primo del mese e per 12 mesi verranno presentati  in queste pagine 12 artisti  con alcune opere significative  integrate da video e relativa biografia sintetica. Una collezione immaginaria e  ideale di arte contemporanea, una raccolta dei sogni  e anche dei  desideri.  Non ha la pretesa  di essere una raccolta museale definita, completa.  È la raccolta del momento, soggetta anche  a ulteriori aggiornamenti,   e   cambiamenti  sostanziali.  Nasce, soprattutto,   dal desiderio  di far conoscere alcuni artisti nati tra gli anni 20 e 60,  ancora non del tutto conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni  hanno  definito in modo  poetico e originale  una propria visione personale dell’arte.  Sandro  Bongiani



Fausto  Melotti




UN  SOFFIO  DI  VENTO

 Poema visivo 
dedicato a Fausto  Melotti

  
La vita  di un uomo è fatta di  oscuri tintinnii di campane appese per la gola, di cadute, di miraggi e anche  di memorie solitarie che nascono da cadenze antiche.
Solo nell’oscurità il silenzio  incarna  essenze malinconiche  senza tempo.  
La luce vola oscura tra fruscii e  rintocchi che sbattono cupi nell’aria come presagi dell’invisibile.
Solo nella fantasia il silenzio magicamente  vola e prende forma.
L’aspro vento  di Rovereto  sfiora e accarezza le  frange dei cenci appesi ad una trave  di ferro sibilando oscuri presagi e mirabili incanti, per poi  adagiarsi  fiera  sopra  la  polvere che il tempo ha  conservato.
Solo nei ricordi   il silenzio  diventa poesia   tra una  metamorfosi  e un battito d’ali che il tempo   si appresta a cancellare.
Nella penombra dei  pensieri,  insolite  presenze di latta e di ruggine  colano  orgogliosi lungo remoti pendii  per condensarsi in entità sospese.
Solo nel silenzio dell’oscurità gli incanti   si trasformano in  note  e  in contrappunti musicali nel tentativo  di esserci ancora.

Giovanni Bonanno © 2012




Le  opere:






L’esposizione di Fausto Melotti (Rovereto, 1901; morto a Milano nel 1986) accoglie,  in maniera cronologica, oltre duecento opere tra terracotte, disegni, ceramiche, gessi e sculture in ottone,  in un arco di tempo che va dal 1930 al 1986. La sua scultura nasce tra tradizione, rinnovamento del linguaggio e della scultura contemporanea: sensitiva, volubile, capricciosa; per questo  sembra che voli tanto appare leggera e precaria. Sono apparizioni provvisorie in attesa  di un soffio di vento per rianimarsi, per divenire viaggio, essenza, racconto. Apparizioni  che non tentano di "definirsi in forma”,  ma vivono l’istante come  momento sfuggente, insostanziale. Presenze che hanno bisogno dell’aria e dell’atmosfera per sopravvivere, includendo nell’azione  forze che possono apportare nuovi sviluppi. 

L’artista non fa leva  sull'accostamento casuale e ironico dell’objet  trouvè di matrice  duchampiana, non cerca  la provocazione e neanche  fa leva sull'utilizzo degli oggetti tout court,  ma incentra tutto il suo lavoro  sulla manualità, sulla manipolazione dei  materiali semplici e soprattutto sulla trasfigurazione in base ad un emergente bisogno espressivo e comunicativo. Per tale motivo i materiali non vengono mai presentati per quello che sono ma trasformati in funzione di una sintesi, per la carica di suggestione che possono trasferire.  Sono  presenze che tendono alla tensione, al flusso indefinito, nel tentativo di trasformarsi in contrappunto poetico e per apparire come favola. Una visione in realtà complessa e intricata. Un transitare veloce,  decisamente solitario,  sospeso al di là del logico e del consueto. Quelli di Fausto Melotti sono segni poetici situati nella dimensione più oscura e vera della penombra, presenze senza tempo in cui la vita, per un attimo, si è rappresa. Una rappresentazione decisamente inconsistente, immateriale, transitoria, sospesa tra un apparire indeterminato  che  cerca,  anche per un solo attimo di  trasformarsi in vertigine e  svelarsi.


sandro bongiani
Exibart, mostra visitata il 21 dicembre 2011





Il Video:

Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura    

Fausto Melotti porta armonia nelle sale del Castello di Miradolo  a San Secondo di Pinerolo, mostra conclusasi  11 febbraio 2018.


durata 18:05 









Fausto  Melotti  (1901 - 1986)

Fausto Melotti nasce a Rovereto (Trento) nel 1901. Nel 1915 si trasferisce con la famiglia a Firenze dove conclude gli studi secondari. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. Nel frattempo porta a termine i cinque anni di studi musicali, conseguendo il diploma in pianoforte e intraprende lo studio della scultura, a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Si iscrive poi all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Si diploma nel 1928. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale del mobile di Cantù per un corso di plastica moderna. L’artista così si esprime: " Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare col proprio cervello." Nel 1935 aderisce al movimento "Abstraction-Création", fondato a Parigi nel 1931 da Herbin, Vantongerloo, Hellion, Arp, Gleizes, Kupka, Tutundjian e Volnier, con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. Nello stesso anno rende anche esplicita la sua adesione al gruppo degli astrattisti milanesi partecipando alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino ed esponendo a Milano, alla Galleria del Milione, una sua personale con sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. "Attraverso queste opere è possibile scorgere l’operazione che Melotti sta sperimentando: il trasferimento dei valori musicali alla scultura. La musica diviene presupposto fondamentale, autentica disciplina della ricerca artistica, nuova metafora che apre a inedite esperienze. E’ la musica a guidare la scultura nel processo di defisicizzazione della materia; è lo studio della musica a presupporre l’idea di contrappunto nella scultura: Melotti giunge ad una sorta di "astrazione musicale" nel campo delle arte figurative: "…un’arte [che] è stato d’animo angelico, geometrico".
La sua prima esposizione non ha alcun esito positivo in Italia, né tra i critici né tra gli artisti, mentre riceve la dovuta considerazione, in Francia, grazie a Léonce Rosenberg, e in Svizzera, dove nel 1937 consegue il Premio internazionale La Sarraz.
Nello stesso anno, in occasione della VI Triennale di Milano, crea per la Sala della Coerenza disegnata dallo studio B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressuti, Rogers) un’opera-chiave, la Costante Uomo. L’idea è totalmente inedita e originale: dodici sculture scandiscono ritmicamente lo spazio in un progetto che, concertando armonicamente colore, parola e piani, suggella a paradigma d’opera d’arte l’installazione ambientale.
Dal 1941 vive per due anni a Roma, dove partecipa al progetto di Figini e Pollini per il Palazzo delle Forze Armate e nel frattempo realizza disegni, dipinti e compone poesie che, con il titolo Il triste Minotauro, saranno pubblicate da Giovanni Scheiwiller nel 1944. Nel dopoguerra, per vivere, si dedica alla ceramica e raggiunge, attraverso una tecnica raffinatissima, una qualità artistica ineguagliabile. Testimonianza ne sono i premi: il Gran Premio della Triennale di Milano nel 1951; nel 1958, la "Grande medaglia d’oro ad artefice italiano" dal Comune di Milano; nel 1959 la medaglia d’oro di Praga e anche quella di Monaco di Baviera. Nel 1967 espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione che lo ripropongono all’attenzione del pubblico e della giovane critica. Da questo momento ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero che lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua opera multiforme: sculture, bassorilievi, teatrini e opere su carta.
Così scrive Germano Celant: "È sull’uscita o sul dialogo tra penombra e luce, alla frontiera tra essenza e movimento, dove i corpi fluidificano e si presentano sinuosi e leggeri che Melotti imposta la sua ricerca, che esprime una svolta nuova alla scultura, perché non lavora più sul togliere dal pieno, ma sul far emergere dal vuoto."
Nel 1973 consegue il Premio Rembrandt, giudicato il Nobel delle arti; nel 1977 gli viene attribuito il Premio Biancamano.
Nel 1974 la casa editrice Adelphi pubblica una sua raccolta di scritti e poesie intitolataLinee, a cui viene conferito, nel 1975, il Premio Diano Marina. Nel 1978 sempre Adelphi pubblica Linee, secondo quaderno. Nello stesso anno riceve il Premio FeltrineIli per la scultura.
Nel 1979 un’antologica del suo lavoro è presentata a Milano a Palazzo Reale. Nel 1981 la città di Firenze gli dedica una mostra al Forte Belvedere.
Da questo momento in poi si susseguono le mostre personali e collettive in Italia e all’estero, che lo vedono tra i protagonisti dell’arte contemporanea. Firenze, Roma e Venezia ospitano importanti personali, ma è presente anche a New York, Londra, Zurigo, Vienna, Francoforte, Monaco e Parigi.  Muore a Milano il 22 giugno 1986.

giovedì 11 maggio 2017

PAVILION LAUTANIA VIRTUAL VALLEY


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

 1887 - Kurt Schwitters &  Marcel Duchamp “UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente”  a cura di  Giovanni Bonanno. 
  
Dal 6 maggio 2017 al 26 novembre 2017– Due proposte  internazionali presentate in contemporanea con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia  2017 






LAUTANIA  VIRTUAL  VALLEY
“UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente” 
Kurt Schwitters “1887 - KURT MERZ / ECOLOGY”

Testo critico di Giovanni Bonanno



 KURT SCHWITTERS / 1887- Kurt Merz/Ecology

Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017 intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”,   a due artisti dadaisti come Kurt Schwitters  e Marcel Duchamp nati nel 1887, che sintetizzano magnificamente il concetto  d’indagine inteso come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi.  Una invenzione a tutto campo giocata su  “universi possibili” tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. Lo Spazio Ophen dopo aver dedicato l’attenzione nel 2015, in occasione della precedente Biennale di Venezia a due artisti giapponesi come Shozo Shimamoto e Ryosuke Cohen,  “dentro e fuori il corpo”, (The World's  Futures / Inside and outside the body), intende ora indagare il lavoro dei  due artisti  dadaisti e globali  tra “Aperto e Chiuso / Closed and Open” con due  rispettive mostre a loro dedicate volte ad approfondire ciò che sottende il processo creativo. Lo studio abitazione dell’artista, nella dimensione creativa, temporale e spaziale definisce l’estensione verso l’altro nella  necessità di metabolizzare e trasformare la  realtà.
Per questa prima mostra collettiva internazionale dedicata a Schwitters, in occasione della ricorrenza dei 130 anni dalla nascita  (Hannover, 20 giugno 1887 – Kendal, 8 gennaio 1948),  sono state inviate a diversi artisti contemporanei  delle postcard con la foto del primo Merzbau, per intenderci quello di Hannover del 1923 - 1943, l’assemblaggio nella casa dell’artista, distrutto nel 1943, chiedendo a loro, nel rispetto del pensiero di arte totale di Schwitters,  un intervento “aggiuntivo” di  ideale condivisione, un  intervento per  “continuare” coscientemente e coerentemente l’opera di Schwitters,  che essendo “un work in progress”  non è destinato in alcun modo ad un possibile e definitivo completamento dell’opera. Del resto, i tre Merzbau, hanno avuto il triste destino di essere stati o distrutti (come per esempio quello di Hannover) oppure di  rimanere  non completati a causa della morte improvvisa dell’artista tedesco. In questa collettiva internazionale sono presenti 66 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema ufficiale  dell’arte. 

Cos’è Merzbau? 
Kurt Schwitters, protagonista solitario e isolato del dadaismo tedesco, dopo una breve fase espressionista e cubista, decise ben presto di abbandonare  i modi tradizionali  di fare pittura per preferire l’utilizzo di materiali poveri  sotto forma di collage con oggetti recuperati di ogni tipo. Uno dei suoi  primi collages porta il titolo di Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare.  L’opera Das Merzbild del 1919, risulta già un assemblage con una composizione di vari materiali: fili e maglia metallica con corde, carta e cartone di vario tipo. Nella parte centrale dell’opera è presente in modo evidente la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz - und Privatebank. Quest’opera è andata dispersa dopo essere stata esposta in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte e considerata degenerata. La parola Merz, come quella di “Dada”,  nata casualmente senza alcun significato, verrà attribuita a tutto diventando la cifra personale di tutta l'attività successiva dell’artista tedesco. Senza alcun dubbio la sua creazione più nota è un'installazione intitolata il Merzbau, costruita, con materiali trovati, detta dallo stesso artista  “Cattedrale della miseria erotica”, esistita ad Hannover tra il 1923 e il 1944 prima di essere distrutta dai bombardamenti. All'interno di questa costruzione ambientale, l'artista  aggiungeva  sviluppando lentamente frammenti di cose di recupero trovate. L'opera, intesa come un work in progress volutamente provvisorio, non si concluse mai. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern Art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, rimasto, dopo il secondo anch’esso incompiuto  a causa della prematura morte dell’artista in Gran Bretagna nel 1948.

Ecologia e arte totale
Tutto il suo lavoro ruota sul concetto  di “ecologia e arte totale” inteso come recupero di oggetti  rimessi nell’ambiente. Hans Richter scrive di Schwitters: “tutto ciò che era stato gettato via, tutto ciò che amava è ripristinato  con onore nella vita per mezzo della sua arte”. Noi consideriamo “rifiuto” la materia che ha esaurito la sua normale funzione mentre potrebbe essere  ripresa, riutilizzata come fonte di una nuova vita, ristrutturata per un nuovo scopo, per una nuova creazione. Secondo Schwitters, “la materia può essere trasformata, ma mai rimossa”. Tutto è rifiuto, per cui le cose devono essere costruite necessariamente utilizzando i frammenti delle cose trovate, non a caso possiamo parlare di “pensiero ecologico”.Questa idea  verrà applicata a vari livelli e ad ogni aspetto del suo lavoro, dal collage alla grafica, dal testo poetico alla musica. L’opera d'arte rappresenta con lui  la visione essenzialmente ecologica e cosciente dell’arte e del mondo, con l’urgente bisogno verso il recupero dei materiali usati che gli altri considerano rifiuti. Alla base di questa insolita poetica nulla viene scartato ma riutilizzato e rimesso a nuovo uso.  L’opera, quindi, intesa come riuso di oggetti di rifiuto trovati diventa il fondamento di tutta l’attività dell’artista tedesco. Per usare la terminologia della cultura popolare e contadina – secondo noi – “Schwitters usa ogni parte del maiale”, perché del maiale si adopera  tutto e non si deve buttare nulla, neanche le ossa. Nel Merzbau di Hannover, l’artista  ha immesso le stesse idee sulle quali si fonda  tutta la produzione dei suoi collage, solo che diversamente dai collage di carta, lui stesso poteva vivere all'interno dello spazio, in una sorta di “collage tridimensionale” che conteneva i quartieri, le grotte e gli angoli nascosti dei ricordi e della memoria. Nel Merzbau del 1923, come per il territorio di una città, l’artista vi distingueva diversi quartieri e frazioni con una “cattedrale della miseria erotica”,  la cava dell’omicidio sessuale” in cui era presente una sorta di corpo femminile fratturato dipinto in rosso, una “grande grotta dell’amore” e  “una grotta di Goethe”. Praticamente un insolito labirinto ambientale, con una struttura costruita nel tempo a recuperare ossessioni oscure e  memorie autobiografiche.
Rimane l’opera omnia intesa come zona cupa della mente, di conseguenza, cresce a dismisura come una  grande città e le cavità, le valli, le grotte devono avere necessariamente una vita, una struttura propria e un carattere autonomo; una cavità ospita il tesoro scintillante dei Nibelunghi, mentre la grotta sex-crimine ha un orrendo cadavere mutilato di una ragazza sfortunata.  Lo stesso Schwitters descrive la costruzione del primo Merzbau: “It grows the way a big city does…I run across something or other that looks to me as though it would be right for the KdeE, so I pick it up, take it home, and attach it and paint it, always keeping in mind the rhythm of the whole…As the structure grows bigger and bigger, valleys, hollows, caves appear, and these lead a life of their own within the over-all structure…Each of the caves or grottoes takes its character from some principle component. One holds the glittering treasure of the Nibelungs…and the Goethe grotto has one of his legs and a lot of pencils worn down to stubs…the sex-crime cave has one abominable mutilated corpse of an unfortunate girl…an exhibition of paintings and sculptures by Michelangelo and myself being viewed by one dog on a leash…a 10% disabled war veteran with his daughter, who has no head but is still well preserved…”(Schmalenbach, 132-33).
Ognuna delle grotte, quindi,  prende il suo carattere da qualche elemento principale; integrati all'interno della struttura vi erano i singoli santuari  dedicati a molti amici e autori dadaisti, con oggetti e frammenti del proprio corpo (una piccola bottiglia di urina, un’unghia,  interruttori rotti, bottoni, biglietti del tram, etichette colorate di formaggio Camembert, un mozzicone di sigaretta, bicchieri capovolti e persino una ciocca di capelli), utilizzati allo sviluppo e alla crescita progressiva dell’installazione ambientale. Con quest’opera non possiamo più parlare semplicemente di scultura, oppure di arredamento totale alla maniera delle ambientazioni del Bauhaus o di quelle futuriste. Ormai, l’opera  deve dilatarsi  oltre il quadro estendendosi in tutto lo spazio della stanza che lo ospita. Inizialmente l’artista di Hannover incominciò a occupare lo spazio del suo studio con una prima colonna centrale, aggiungendo poi anche le altre due costruite con una religiosità laica in maniera estensiva e casuale. In circa vent’anni di lavoro, questo particolare “environment” divenne una sorta di autoritratto autobiografico e speculare dei sui pensieri e dei  contatti sociali con gli altri. Un diario intimo fatto di immagini, di oggetti e di spazio con una costruzione  in corso  in fase di definizione. Luogo concreto e vivibile, dunque,  in cui l’artista depositava i pensieri e i propri oggetti più cari, le testimonianze più vere che  gli consentissero di colmare il vuoto e la distanza tra la vita di ogni giorno e l’arte. La struttura tridimensionale crebbe in maniera apparentemente disordinata e caotica  carica di particolari richiami  simbolici e affettivi divenendo, di fatto, “l’opera ecologica e globale di una intera vita” destinata a rappresentare simbolicamente un sistema olistico, ovvero, una  particolare concezione totale.  Di certo, nel  Merzbau vi sono contenuti e accumulati  una  vasta e svariata gamma di  allusioni e di archetipi culturali addensati nello spazio a definire un procedere ciclico e temporale che emula e imita il procedere della vita cronologica nel suo farsi e disfarsi, con momenti passati sommersi e nascosti da quelli più recenti, come accade in una naturale crescita geologica o biologica. L’uso della ricercata funzione simbolica olistica da parte di Schwitters rende il Merzbau una occasione appropriata  per riflettere “in senso ecologico” su una particolare visione del mondo e sull’intero ecosistema del pensiero umano.          Giovanni  Bonanno  13 aprile 2017.















Biografia
Kurt Schwitters  ‹švìtërs›,  - Pittore (Hannover 1887 - Ambleside 1948). Studiò all'accademia di Dresda (1909-14) e, dopo una fase espressionista e cubista, nel 1918 creò le sue prime opere astratte. Per la sua personalità e il carattere estroso, Schwitters. viene spesso accomunato al movimento dada, del quale tuttavia non fece mai parte effettiva, nonostante l'amicizia che lo legò prima a T. Tzara e H. Arp, poi a R. Hausmann e Hanna Höch, esponenti del dada berlinese. Ben presto abbando’ i tradizionali materiali pittorici, immettendo sulla tela, con la tecnica del collage, gli oggetti di scarto più disparati, da biglietti del tram a frammenti di giornali, stoffe, spugne, tappi, bottoni. Uno dei suoi collages porta il titolo di Das Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare. Una composizione equilibrata con vari materiali: fili metallici, corde, maglia metallica, carta e cartone di vario genere, in cui in posizione pressappoco centrale compare la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz- und Privatebank. Il quadro è andato disperso dopo essere stato esposto in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte degenerata.  
Nato casualmente, questo termine Merz accompagnò e caratterizzo’ tutta l'attività successiva di Schwitters. Pertanto, egli chiamò Merzplastiken i suoi rilievi, Merzdichtungen le composizioni in prosa o in poesia, formate da frammenti di frasi, parole, modi di dire, come An Anna Blume (pubblicato su Der Sturm) e ancora Die Blume Anna e Memoiren Anna Blumes in Bleie. Nel 1921 fece un ciclo di conferenze a Praga con Hausmann e H. Höch e sulla sua scia compose una Ursonaate, basata sullo stesso principio di sfruttamento della sonorità della voce umana. Nel 1922-23 fu in Olanda con T. van Doesburg. Nel gennaio 1923 uscì il primo numero della rivista Merz e nello stesso anno iniziò il primo Merzbau (distrutto da un bombardamento nel 1943), una costruzione che attraversava i varî piani della sua casa di Hannover, fatta di oggetti eterogenei, aggiunti di giorno in giorno. Sempre in contatto con i movimenti di avanguardia, Schwittars. fece parte dei gruppi "Cercle et Carré" e "Abstraction-Création". Nel 1937 lasciò la Germania per stabilirsi in Norvegia, dove a Lyvaker iniziò un secondo Merzbau, anche questo distrutto. Nel 1940, invasa la Norvegia dai nazisti, l’artista si rifugiò in Inghilterra e fino al 1945 rimase internato in un campo di prigionia. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, tuttavia, rimase incompiuto nel 1948 per  l’improvvisa morte.