sabato 31 gennaio 2015

Artlante Vesuviano, Mostra Collettiva a Sarno




ARTLANTE VESUVIANO

 memoria e presenza dell’opera nei linguaggi contemporanei dell’arte

a cura di Raffaella Barbato e Luisa D’Auria

 Vernissage Sabato 31 gennaio ore 18.00

Collettiva dʼarte contemporanea
Vernissage Sabato 31 gennaio ore 18.00
Dal 31/01/2015 al 28/02/2015, visitabile su appuntamento



Negli spazi dellʼazienda TEKLA s.r.l, in Sarno, oggi  31 gennaio, alle ore 18.00,
sʼinaugura la mostra dʼarte contemporanea evento “ARTLANTE VESUVIANO, memoria e presenza dellʼopera nei linguaggi contemporanei dellʼarte”.

Curata da Raffaella Barbato e Luisa DʼAuria, con il coordinamento organizzativo di ValeriaPrete, da un progetto di Franco Cipriano e Francesco Prete, la mostra presenta lavori di cinquantadue artisti che operano nellʼarea da Napoli a Salerno. Attraverso la molteplicità  dei linguaggi espressivi del contemporaneo, sʼintende rilevare una situazione territoriale della presenza attiva dellʼarte. Si propone una mappa iniziale della ricerca nell'area  campana, configurata nellʼattraversamento di linguaggi, forme di produzione e generazioni.




La mostra è promossa da TEKLA s.r.l., azienda che dal 1999 incoraggia iniziative per la diffusione dellʼarte contemporanea sul territorio. Nel progetto e nella realizzazione dellamostra gli spazi della fabbrica diventano laboratorio di vitalità artistica e culturale, con eventi che propongono, nelle diramazioni della ricerca espressiva, una polifonia di voci e di linguaggi dellʼarte e dʼincontri di riflessione su aspetti storico-critici della pratica artistica contemporanea internazionale e sul territorio. Lʼiniziativa si articola come uno spazio di confronti e dialoghi tra le particolari flessioni del senso dellʼarte nellʼepoca attuale. Differenze che nel tessere la loro singolarità si manifestano come intensità culturali dellʼesperienza - formale, concettuale e poetica - dei percorsi espressivi nei contesti territoriali. In profonda risonanza con la memoria dei luoghi, sono linguaggi in sintonia con le interrogazioni dellʼarte contemporanea nellʼera delle culture globali. Nella comunità delle alterità di linguaggi e di senso che nello scenario artistico si realizza, lʼarte può indicare la via della coesistenza e della valorizzazione delle differenze, ʻparlandoʼ ai contesti sociali con la lingua della pluralità e della solidarietà. Il territorio che il progetto “Artlante Vesuviano” vuole percorrere è lo spazio di memoria e presenza dellʼopera dellʼarte. Il corpo dellʼopera è densità di tempo e di materia, “pensiero-immagine” che rivela inedite esperienze del visibile e ogni riflessione sullʼopera è ascolto dei suoi sempre nuovi enigmi. “Artlante vesuviano” sul territorio dellʼarte, aperto sempre al futuro delle espressioni, muove la sua interrogazione culturale e civile, per altri spazi e forme di socializzazione. Unʼesperienza che parte dallʼimprenditoria più consapevole e sensibile del valore della cultura e che è cammino per una dinamica interazione tra arte e ambiente, tra ricerca innovativa e realtà produttive.





Installazione di Ernesto  Terlizzi, Mare Nostrum - tecnica mista china carta e cartone




Insieme delle  opere 
esposte a Sarno:
Mare Nostrum,  (7 opere)








 
  


Opere esposte di Ernesto Terlizzi
 




Artisti in esposizione: Giovanni Alfano, Michele Attianese, Mathelda Balatresi, Francesca
Capasso, Gabriele Castaldo, Fiormario Cilvini, Mary Cinque, Franco Cipriano, Ugo
Cordasco, Antonio Davide, Gerardo Di Fiore, Adelaide Di Nunzio, Gaetano Di Riso, Nunzio
Figliolini, Vincenzo Frattini, Rosaria Iazzetta, LALOBA (Anna Crescenzi & Renata Petti),
Paolo La Motta, Mario Lanzione, Barbara La Ragione, Nino Longobardi, Guglielmo
Longobardo, Lello Lopez, Salvatore Manzi, Rosaria Matarese, Luigi Pagano, Rosa
Panaro, Alessandro Papari, Peppe Pappa, Massimo Pastore, Pier Paolo Patti, Mario
Persico, Eliana Petrizzi, Ivan Piano, Giuseppe Pirozzi, Felix Policastro, Anna Maria
Pugliese, Carmine Rezzuti, Clara Rezzuti, Angelo Ricciardi, Rinedda, Angelomichele Risi,
Vincenzo Rusciano, Quintino Scolavino, Antonio Serrapica, Tony Stefanucci, Ernesto
Terlizzi, Pasquale Truppo, Carla Viparelli, Salvatore Vitagliano, Ciro Vitale, Marco Zezza
Catalogo a Cura di Raffaella Barbato e Luisa DʼAuria; progetto grafico WHIP agency
Il progetto è patrocinato dal Rotary Club, Comune di Sarno, Provincia di Salerno,
Accademia delle Belle Arti di Napoli, Confindustria, Ordine degli Architetti della Provincia di Salerno.




Location mostra: Showroom e spazi industriali Tekla srl, Sarno (Sa), Località Ingegno lotto
54, Zona Industriale, pressi uscita A30.Uscita autostrada Sarno A30, svoltare a sinistra, percorrere 150 metri, allʼaltezza dellʼospedale girare a sinistra.Dal 31/01/2015 al 28/02/2015 visitabile su appuntamento
Info: info@teklaweb.it
tel 0818631935 n° verde 800219300






venerdì 30 gennaio 2015

MODERNA MAGNA GRAECIA / 9 Artisti siciliani a confronto




locandina definitiva

MODERNA MAGNA GRAECIA.
Artisti siciliani contemporanei
Dal 17 gennaio al 14 marzo 2015
La mostra che si è inaugurata il 17 gennaio alla galleria FerrarinArte di Legnago ha per protagonisti nove autori di riconosciuta importanza nella storia dell’arte italiana e internazionale del secondo Novecento e di oggi, accomunati dalle origini siciliane. Estranei però a qualsiasi posizione “regionalista” e indifferenti a prospettive rivolte a una dimensione specificamente locale, gli artisti di cui si presenterà l’opera, soprattutto con lavori di recente elaborazione, hanno operato e operano secondo i linguaggi di una contemporaneità di ampio respiro, formatasi nelle vicende dell’arte nazionale e internazionale del secondo Novecento, attraverso la pittura e mediante elaborazioni compiute con materiali e forme di ricerca di vario genere, fondate su spiccate posizioni individuali.
Artisti attivi a Roma, a Milano e negli altri centri dell’arte italiana, e operanti su diversi fronti, i nove autori inseriti nel progetto della mostra (Carla Accardi, Pietro Consagra, Emilio Isgrò, Elio Marchegiani, Ignazio Moncada, Pino Pinelli, Antonio Sanfilippo, Paolo Scirpa, Turi Simeti) sono tra i protagonisti di una storia originale, che, pur muovendosi all’interno di una apertura verso i linguaggi della contemporaneità, presenta singolari relazioni con la loro terra d’origine.
Nelle loro realizzazioni, che risentono delle ricerche in senso astratto che usano il segno come materiale espressivo, delle spinte oltre la dimensione del quadro e della pittura in senso spaziale e oggettuale, della sperimentazione su tecnologie innovative, della necessaria revisione del linguaggio plastico,  interpretando diversi volti della produzione artistica recente e impegnandosi a caratterizzare l’arte contemporanea nella sua qualità universale, ciascuno di essi porta con sé alcuni caratteri di quel “genius loci” che qualifica, con i luoghi, le persone che vi sono nate, vi hanno operato, hanno agito in relazione o in reazione ad essi.
La locuzione Moderna Magna Graecia intende portare l’accento sulla doppia direzione di uno sguardo immerso nella modernità e in confronto con il proprio tempo, che però denota e rilancia legami imprescindibili con una storia che si fonda su radici lontane e sempre vive.
Il profilo degli autori e delle opere che si presentano ha le sue origini nei linguaggi dell’arte del secondo dopoguerra e degli anni Sessanta-Settanta, nel crescere di diversi climi espressivi, dalle forme d’astrazione che si manifestano dentro e attorno al concetto e alla materialità del quadro, del colore, della superficie, alla riflessione teorica e pratica sul rapporto segno-significato, alla ricerca applicata a tecnologie avanzate, tendenze di cui sono stati validi e originali esponenti.
Ciò nonostante, alcuni caratteri originari possono essere riconosciuti nel loro fare artistico, anche solo per le ragioni storiche che hanno portato l’arte contemporanea a confrontarsi con alcuni aspetti delle radici culturali millenarie dell’isola collocata al centro del Mediterraneo, della sua atmosfera e del suo paesaggio.
Il progetto critico, concepito da Giorgio Bonomi e Francesco Tedeschi, su sollecitazione di Giorgio Ferrarin, intende riflettere sul doppio binario del processo “centrifugo” di una “diaspora” che porta gli artisti nati in una regione che si è trovata alla periferia degli sviluppi aggiornati dell’arte a uscire dalla propria terra, e di quello “centripeto”, che fa riemergere una nuova dimensione del “Genius Loci”, in cui si riflette la continuità del confronto con le matrici culturali originarie alla luce degli sviluppi che da esse conducono a una reale apertura al mondo.

E' di Paolo Scirpa il manifesto ufficiale degli spettacoli classici del 2015 a Siracusa




Scelti i tre traduttori. Il nuovo manifesto affidato al siracusano Paolo Scirpa.


Teatro Greco, Ciclo di Spettacoli Classici, scelti i tre traduttori.
Il nuovo manifesto affidato al siracusano Paolo Scirpa
SIRACUSA - Sono Guido Paduano  per “ Supplici” di Eschilo, Giulio Guidorizzi per “Ifigenia in Aulide” di Euripide e Giusto Picone per “Medea” di Seneca i traduttori scelti per il cinquantunesimo ciclo di spettacoli classici in programma al Teatro greco di Siracusa dal 15 maggio al 28 giugno.
La scelta è arrivata al termine del consiglio d’amministrazione della Fondazione Inda, presieduto da Giancarlo Garozzo, e costituito anche da Walter Pagliaro, Paolo Giansiracusa, Arnaldo Colasanti e Antonio Presti. Il consiglio ha poi deciso di affidare al siracusano Paolo Scirpa la realizzazione del nuovo manifesto degli spettacoli classici.
“Con la nuova stagione la Fondazione entra nel secondo secolo di vita – ha dichiarato Garozzo –. La macchina operativa dell’Istituto si è già messa in moto per coniugare ancora una volta la qualità degli spettacoli ai grandi numeri in termini di presenze. Abbiamo scelto tre tra i più illustri nomi nel mondo della filologia classica con l’obiettivo di offrire un momento unico al pubblico che deciderà di assistere al ciclo di spettacoli classici”.



Inoltre segnaliamo alla direzione del Teatro Greco di Siracusa  il "Progetto archetipo del Teatro greco di Siracusa con luci al neon, ideato tra 1988/2003,  Ø 10 m,  che l'artista siciliano aveva presentato nella Retrospettiva dal titolo  "L'Utopia Praticabile", tra il novembre del 2010 e gennaio del 2011  all'Ophen Virtual Art Gallery di Salerno, come progetto-evento   da realizzare all'interno della cavea del teatro siragusano. 

Una occasione ancora interessante  da attuare  per vedere  concretamente all'opera il grande artista cinetico siciliano ormai conosciuto a livello internazionale  per  la  personale visione  percettiva del suo lavoro.                     Sandro  Bongiani





giovedì 22 gennaio 2015

Bologna/ Segno Intimo, personale di Anna Boschi




Per la notte bianca di Arte Fiera in cui tutte le gallerie di Bologna saranno aperte dalle ore 18 alle 24, ritorna dopo 20 anni l’artista bolognese Anna Boschi  con una  interessante personale  allo Spazio9 dal titolo “Segno Intimo”.


Dal 24.01.2015 fino al 27.02.2015
SEGNO INTIMO - La poesia visiva di Anna Boschi
SPAZIO9
via Val d'Aposa 1/C, Bologna
dalle 18:00 alle 24:00
http://www.spazio9aposa.com



Spazio9PlanB è l'organizzatore/promoter di questo evento
Inaugura sabato 24 gennaio 2015, in concomitanza della White Night Arte Fiera 2015, presso Spazio9, via Val d’Aposa 1/C a Bologna, “Segno Intimo – La poesia   indaga e sperimenta la poetica del segno, inteso come risultato dell’estrapolazione e della sintesi tra pittura, scrittura e immagine.


Nel clima avanguardistico dell’Italia di fine anni ’60 si sviluppa una corrente detta Poesia Visiva o Visual Poetry, che si pone l’obiettivo di scardinare il linguaggio standardizzato della comunicazione visiva e del linguaggio, attraverso una estremizzazione del segno grafico e un uso anti-precostituito dell’immagine pubblicitaria. In questo senso significante e significato perdono il loro senso originario verso una nuova libertà di espressione, in un connubio tra fisicità ed emotività, quotidianità e intimità. Anna Boschi si inserisce a pieno titolo come artista poetico-visiva all’interno di questa corrente di sperimentazione, proponendo lavori che fanno della parola stampata e scritta, e delle immagini “comuni, la base per astrarre e contemporaneamente creare nuovi collegamenti e significati. Nata a Bologna, dove tuttora vive, quest’artista lavora su linea, colore e immagine, utilizzando tecniche diverse, dal collage alla colatura del colore “pieno” quasi informale, dai libri d’artista alle installazioni, su diversi supporti e materiali come legno e juta. La sua ricerca, che dura da più di quarant’anni, volge lo sguardo al mondo della comunicazione, utilizzando i suoi stilemi ma capovolgendone il senso, utilizzando l’ironia e la critica sottile per mettere in discussione l’iconicità diretta del segno-immagine e della parola. 


 Nelle sue opere ritagli di giornale e figure perdono il loro significato originale e, unendosi alla parola scritta a mano, rivelano una nuova intimità e profondità. Si potrebbe parlare di appunti privati di un diario segreto che l’artista mette a disposizione di chi saprà interpretarne il contenuto, svincolato da un tempo e da uno spazio, estratti liberamente dall’inconscio. Anna Boschi non manca di citare e chiamare alla memoria poeti e artisti a lei vicini, da Neruda a Pessoa, da Perec a Hesse, Guillermo Deisler e Jiří Kolář. I suoi lavori rivelano una dimensione femminile e delicata. Una raffinatezza e eleganza che riportano alla sensibilità dell’artista: le sue opere sono infatti lo specchio della sua anima, riportano i segni del suo passaggio e del suo intelletto. A partire dai lavori degli anni ’70 dove si predilige una linea informale, di ritagli, strappi e frammenti, con un uso del colore dominante e istintivo, l’artista emiliana nel corso della carriera attua via via uno “svuotamento” della superfice, fino ad un uso del nero pieno, delle linee rette e dei cerchi perfetti. L’immagine e la parola diventano parte di un mondo interiore, che sulla tela arrivano come segni di pura sintesi.


Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art  di Salerno

domenica 11 gennaio 2015

Ray Johnson/ New York Times



Randy Kennedy's New York Times Article on Ray Johnson is Now Online
Ray Johnson's Art World
On view through January 16
Open tomorrow, January 10, 11-5









Image



Randy Kennedy's New York Times article Always on His Own Terms: Ray Johnson Defies Categories 20 Years After His Death is now online (text below). The article will appear in the Arts & Leisure section of the paper this Sunday, January 11.

Ray Johnson's Art World is on view at Richard L. Feigen & Co. through January 16.

Hours:
Saturday, January 10, 11-5
Monday-Friday, 10-6

ALWAYS ON HIS OWN TERMS
Ray Johnson Defies Categories 20 Years After His Death

By Randy Kennedy, The New York Times
January 8, 2015

Twenty years ago next week, the artist Ray Johnson jumped off a low bridge in Sag Harbor, N.Y., and backstroked placidly out to sea. Two teenage girls saw him plunge into the frigid water and tried to alert the police, but when they found the station closed they went to see a movie instead, a detail many of Mr. Johnson’s friends said would have delighted him.

Why he took his life at the age of 67 — when he was healthy, had money in the bank for the first time and was one of the most revered underground artists of the last half of the 20th century — is a question none of those friends have been able to answer. (The poet Diane di Prima wrote angrily: “I can’t imagine what you thought you were doing/what was the point of jumping off that bridge/after so many years of playing it cool.”) But in many ways Mr. Johnson conducted his death exactly as he had conducted his life and his work — enigmatically, defiantly on his own terms and with an intense privacy that somehow coexisted with a compulsively public persona.

Mr. Johnson heralded several art movements, almost simultaneously. He was making work that looked like Pop in the 1950s, years before his friend and sometime rival Andy Warhol did. He was a performance artist before there was a term for such a thing. He mined ground later occupied by Conceptual art (whose pretensions he loved to razz: “Oh dat consept art,” says a figure in one of his collages.) And he was the father of mail art, spreading his collages and Delphic text works through a vast web of fellow artists, friends and complete strangers, making him a one-man social-media platform for a pre-Internet age.

But every time mainstream recognition approached, Mr. Johnson — who lived as frugally as a monk and played the art world’s holy fool — seemed to dance away. Courted in the 1990s by the pinnacle of commercial acceptance, the Gagosian Gallery, he turned even that courtship into farce by demanding a million dollars each for collages then selling in the four-figure range; they’ve since advanced only into five figures.

“He was a guerrilla fighter against materialism and fame, and in a sense he’s still fighting today,” said Frances F. L. Beatty, president of Richard L. Feigen & Co., the gallery that represents Mr. Johnson’s estate.

But the art world may be finally starting to conquer Mr. Johnson’s will to resist it. A spate of books, exhibitions and museum acquisitions has come along in recent months, as his work has been discovered, yet again, by a generation of younger artists, like Matt Connors, Hanna Liden, Adam McEwen and Harmony Korine. This time, as money and power loom ever more powerfully in art circles, it seems to be Mr. Johnson’s role as a heroic-comic Bartleby that makes him particularly attractive to younger artists. But the shape-shifting ways in which he operated outside art’s normal channels — through the post office, street performances and artist’s books — also resonate for 21st-century artists whose work fits uneasily into the conventions of museums and galleries.

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Performa, the performance-art biennial, is organizing a tribute to Mr. Johnson for its 2015 iteration, which takes place in November. One aspect will be the dissemination — through ads, mailings and websites — of Johnson material, like a silhouette of his profile that he mailed out during his lifetime and asked people to alter and send on. The idea, said RoseLee Goldberg, Performa’s founder and director, is to stimulate a similar kind of free-form exchange now, online, on paper, and through other means, with Mr. Johnson as presiding spirit.

“We want to start it very early, so it will have time to grow extra arms and legs and heads,” she said.

As correspondent and collagist, Mr. Johnson was manically prolific. Even now, bins, binders and file folders full of unseen and largely unstudied material reside in closets — and an unused bathroom — at the East 69th Street townhouse of the Feigen gallery, “the Ali Baba’s cave of Ray’s archive,” as Ms. Beatty calls it. (Some of that work is on display in a show at the gallery through Jan. 16, “Ray Johnson’s Art World.”)

Waiting recently for a visit from curators from the Metropolitan Museum of Art, who were interested in seeing some Johnson works for acquisition, Ms. Beatty flipped on a closet light to show floor-to-ceiling stacks of light-blue archival boxes.

“You could happily, as far as I’m concerned, spend the rest of your life right in here,” she said. (A small army of doctoral students and scholars is indeed at work now sorting through his vast output.)

Raised in a working-class family in Detroit, Mr. Johnson hit the ground running as an artist before he was out of his teens. In 1945, he ended up at Black Mountain College, the Modernist hothouse near Asheville, N.C., where he studied with Joseph Albers and Robert Motherwell and began friendships with John Cage, Jasper Johns and the sculptor Richard Lippold, with whom he was romantically involved for many years.

After moving to New York and working as a studio assistant to the painter Ad Reinhardt, he began making works that he called “moticos” — possibly an anagram of the word “osmotic” — filled to overflowing with the pop-culture imagery from magazines, advertising and television that was starting to saturate society. Elvis Presley and James Dean surfaced repeatedly, like twin deities, and Mr. Johnson often took this work to the streets, displaying it on sidewalks and in Grand Central Terminal to generally perplexed passers-by.

“Some people just didn’t get it, and other people like me thought he was an absolute genius,” said the painter James Rosenquist, with whom Mr. Johnson corresponded for years, often asking him to forward mailed artworks on to Willem de Kooning.

“Sometimes I did what he asked and sometimes I just couldn’t part with them,” Mr. Rosenquist said, adding: “I really miss him because I accumulate all these strange things that I’d like to mail him, but I can’t because he’s not there.”

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Influenced by ideas of chance and Zen Buddhism, Mr. Johnson came to develop a hieroglyphic-like language in which image and word melted into each other, a language so complex it cried out not for curators but military code-breakers.

William S. Wilson, one of Mr. Johnson’s closest friends and a leading scholar of his work, recalled the almost religious gravity with which Mr. Johnson viewed not only making art but also putting it into the world. Mr. Wilson once drove Mr. Johnson to see the publisher Harry Abrams, who was interested in buying work. Mr. Johnson emerged from Mr. Abrams’s office in a fury with his briefcase of collages, Mr. Wilson said, “and flung himself on my lap crying because Abrams had asked him to throw in a 13th collage for free if he bought a dozen, as if Ray was selling eggs.”

Of course, such a stance meant that developing a market for Mr. Johnson’s work during his lifetime was next to impossible, and in many ways his critical stature still suffers because of this. “He kind of landed by default in the book and ephemera world, and to a large extent that’s really where his work has been living,” said Brendan Dugan, owner of the NoHo bookstore and gallery Karma, which organized an exhibition of late Johnson work last fall.

Mr. Dugan said he had been drawn to Mr. Johnson in part because of his avid following among younger, punk-influenced artists but also those whose work seems to have little affinity with Mr. Johnson’s, like Mr. Connors, an abstract painter who is featured in “The Forever Now: Contemporary Painting in an Atemporal World” on view now at the Museum of Modern Art.

In an email, Mr. Connors said: “I am always very excited by artists who create their own very specific codes, languages and grammars. He’s speaking his own language and talking to and about specific people, but he also loves to share it with you.” The effect is “kind of like a queer and gossipy downtown Joseph Beuys.”

For the show at Karma, Mr. Dugan was allowed to pore over reams of paper works in the Feigen archive, made by Mr. Johnson mostly in the last decade of his life, “and what I saw was a total discovery to me, because a lot of it was very raw and very punk,” he said. “Here was this guy in his 60s, and he’s still up to it, to the very end, pulling in new material from the culture and making this very weird stuff that feels very contemporary now.”

Ms. Beatty, who struggled for years to get Mr. Johnson to agree to a major exhibition at the Feigen gallery, remembered that he called her three days before he died. “And he said, ‘Listen, Frances, I’m planning to do something big and after that, you’ll finally be able to do your show.’ And I had no idea what he was talking about, but I thought maybe he was actually giving in, after playing cat and mouse for so long.

“Well, of course, little did I know, and that’s how it always was with Ray — how little did we know,” Ms. Beatty said, adding, “It was a lived-for-art life, 100 percent, all the way to the end.”