mercoledì 19 marzo 2025

Salerno, Memorial "Outsider Art Brut" dedicated to Jean Dubuffet 1901-1985

 

 


 

 

 

 

 


 “Outsider Art Brut” 2025

Progetto collettivo Add to & Return

 


 

Memorial a 80 anni esatti da quando Jean Dubuffet coniò il termine “Art Brut” per descrivere le opere degli autori “outsider” e a 40 dalla scomparsa dell’artista francese (1985), viene ricordato in Italia con un progetto internazionale “Outsider Art Brut” a cura di Sandro Bongiani con la presentazione di 51 opere di altrettanti artisti internazionali invitati che hanno voluto essere presenti a questo importante appuntamento collettivo.

Art Brut è il termine coniato nel 1945 dall'artista francese Jean Dubuffet, per indicare gli artisti autodidatti che indagano con le loro esperienze al di fuori dei limiti restrittivi della società, condividendo appieno i valori degli emarginati della società e con il desiderio altresì di legittimare in senso espressivo le opere d'arte create anche da pazienti psichiatrici nate spesso da fragili stati mentali e soprattutto da problemi esistenziali e sociali, frutto spontaneo di una tensione e carica espressiva non mediata dalla logica del mercato dell’arte. In tempi non recenti Dubuffet scriveva:  La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L’arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l’intelligenza né con la logica delle idee. L’Art Brut non è  da considerarsi "arte brutta", ma spontanea, non ricerca il bello, ma si concentra sulla natura e sulla vita per contrapporsi agli orrori e oggi alle difficoltà dell’esistenza. Una ricerca per certi versi condivisa in parte dal mondo degli artisti dell’arte postale per quanto riguarda, soprattutto, la marginalità e l’inattualità rispetto il prodotto artistico proposto dal mondo del sistema ufficiale dell’arte. Brut significa altro e primitivo in opposizione a “culturale”, ma anche puro, autentico, incontaminato. L’Art Brut nasce da una imperiosa necessità interiore e convive duramente le più importanti  tensioni della vita gettando un ponte tra il visibile e l’invisibile in cui le inaspettate convergenze sono intessute di libertà e di cammino solitario. 

L’artista francese a partire dal 1945 inizierà a raccogliere e collezionare opere espressamente di Art Brut, lavori spontanei, immediati, creati da persone prive di una specifica formazione artistica che vivono spesso ai margini della società o sono internate in ospedali psichiatrici, che nella stagione del 1954  proverà a definire col termine di  “Art Brut”. Nel 1951 la collezione di Dubuffet, costantemente ampliata grazie all'acquisizione di opere di autori prevalentemente europei, venne trasferita provvisoriamente a East Hampton, nei pressi di New York, dove rimase fino al 1962. Nel 1971 Dubuffet preoccupato di trovarle una nuova collocazione presso un ente pubblico, considerò l’opportunità di riportarla in Svizzera, Paese in cui era nata. La Collection de l'art brut venne inaugurata nella sua nuova sede, il castello settecentesco di Beaulieu, nel febbraio del 1976, oltre 5000 opere realizzate da quasi 500 artisti. Oggi, la “Collection de l'Art Brut” di Losanna possiede una straordinaria raccolta di oltre 70.000 opere nate dal nucleo iniziale della donazione di Dubuffet e arricchita nel corso di diversi anni.

Di sicuro - scrive Sandro Bongiani - “la nostra società malata di protagonismo e di solitudine, per comodo, ha sempre fatto una netta distinzione tra un’arte ingenua e quella colta, innestando un alto spartiacque che ha sempre delimitato le due esperienze, purtroppo, si è capito troppo tardi che non esiste una chiara linea di demarcazione che possa separare facilmente le due situazioni”. Uno degli artisti che capì per primo questo grosso dilemma è stato Jean Dubuffet, che con “l’Art Brut” creò quel movimento capace di evidenziare l’arte dei malati di mente da quella cosiddetta ”accademica”. Il binomio “arte e follia” si era posto già nel mondo greco con la “ispirazione”, che faceva dell’artista un esecutore prediletto degli dei.  Cesare Lombroso, nell’Ottocento, capì anche che l’arte era sinonimo di follia e che la follia era una esigenza prioritaria per produrre arte, infatti, nel 1882, scriveva: “La follia soventemente sviluppa l’originalità dell’invenzione parchè si  lascia  più libero il freno dell’immaginazione  dando  luogo a creazioni da cui rifuggirebbe una mente troppo calcolatrice per paura dell’illogico e dell’assurdo...”. Lo stesso Dubuffet, spesso, confessava: ”Credo che in Occidente si abbia torto a considerare la follia come valore negativo, credo che la follia sia un valore positivo molto prezioso”. Una lucida presa di coscienza verso il fascino indiscreto dell’insolito, del mistero, essendo  sempre stato  interessato ad indagare sul versante “non logico e razionale” della visione e quindi a dare degna dignità e destino alla follia e all’ossessione della creazione.

 

Gli artisti presenti: Alexander Limarev, Novosibirsk - Russia, Alfonso Caccavale, Afragola - Italia, Alfonso Lentini, Belluno - Italia, Angela Caporaso,  Caserta - Italia, Angelo Ricciardi, Torre Annunziata - Italia, Annalisa Mitrano, Legnano - Italia, Claudio Romeo, Besana in Brianza - Italia, Coco Gordon, Lions  CO - USA, Diego Arellano, Paranà - Argentina, Enzo Patti, Palermo - Italia, Ernesto Terlizzi, Angri  - Italia, Fabio Di Ojuara, Crearà - Mirim, Rio Grande - Brasile, Franco Panella, Monreale - Italia, Gian Paolo Roffi, Bologna - Italia, Giorgio Moio, Giugliano in Campania - Italia, Giovanni Bonanno, Salerno - Italia,  Gretel  Fehr, Milano - Italia, Irina Tall Novikova) - Minsk Republic of Belarus, Jack Seiei, Tamagawa - Giappone, John M. Bennett, Columbus OH - USA, Katsura Okada, New York - USA, Lorenzo Lome Menguzzato, Trento - Italia, Luigi Auriemma Napoli - Italia, Maria Castillo, Cordoba - Argentina, Maria Teresa Cazzaro, Padova - Italia. Maribel Martinez, La Plata - Argentina, Mauro Molinari, Velletri - Italia, Maya Lopez Muro, San Giovanni  Valdarno - Italia, Miguel Jimenez, Sevilla - Spagna, Nicolas de La Casiniere, Nantes - Francia, Nicolò D'Alessandro, Palermo - Italia, Oronzo Liuzzi, Corato - Italia, Patrizia Cacciaguerra (Tictac), Munich - Germania, Péter Abajkovics, Budapest - Ungheria, Pietro Lista, Cava dè Tirreni - Italia, Pina Della Rossa, Napoli - Italia, Raffaele Boemio, Afragola - Italia, Renata e Giovanni Stradada, Ravenna - Italia, Rolando Zucchini, Scandolaro - Italia, Rosa Cuccurullo, Cava dè Tirreni - Italia, Rosalie Gancie, Hyattsville - USA, Ruggero Maggi, Milano - Italia, Sabela Bana, Coruna - Spagna, Serse Luigetti, Perugia - Italia, Spike Spence, Toronto - Canada, Stefan Brand Stifter, Mainz am Rhein - Germania, Stella Maris Velasco, Puerto San Martin - Argentina, Stephen Tomasko,  Cambridge (Ohio) - USA, Uwe Hofig, Erfurt - Germania, Virginia Milici, Quinto di Treviso - Italia, Vittore Baroni, Viareggio - Italia.

 

 

 

Evento / Sandro Bongiani Arte Contemporanea

Memorial Outsider Art Brut Jean Dubuffet

Progetto Internazionale collettivo add to & Return con 51 artisti invitati

Galleria: Sandro Bongiani Vrspace 

https://www.sandrobongianivrspace.it/  


 

La Biografia:

Jean Dubuffet

1901, LE HAVRE, FRANCIA — 1985, PARIGI, FRANCIA

Jean Dubuffet nasce a Le Havre, Francia, il 31 luglio 1901. Studia in una scuola d'arte e nel 1918 si reca a Parigi per frequentare l'Académie Julian, che lascia dopo sei mesi. In questo periodo incontra Suzanne Valadon, Raoul Dufy, Fernand Léger e Max Jacob, e rimane affascinato dal libro di Hans Prinzhorn sull'arte degli alienati. Nel 1923 viaggia in Italia e nel 1924 in Sudamerica. Smette di dipingere per circa dieci anni e lavora come disegnatore industriale, occupandosi poi dell'azienda vinicola di famiglia. Si dedica esclusivamente all'arte a partire dal 1942.

Nel 1944 tiene la prima personale alla Galerie René Drouin di Parigi. Negli anni quaranta frequenta assiduamente Charles Ratton, Jean Paulhan, Georges Limbour e André Breton; in questo periodo lo stile e i temi delle sue opere risentono dell'influenza di Paul Klee. A partire dal 1945 inizia a raccogliere e collezionare opere di Art Brut, lavori spontanei, immediati, creati da persone prive di una specifica formazione artistica affette da disabilità o disturbi psichici. Nel 1947 tiene la prima personale a New York, alla Pierre Matisse Gallery.

Dal 1951 al 1952 risiede a New York. Ritorna in seguito a Parigi, dove nel 1954 tiene una personale al Cercle Volney. Lo Schloss Morsbroich a Leverkusen, in Germania, è il primo museo che gli dedica, nel 1957, una retrospettiva, a cui fanno seguito altre importanti mostre al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, al Museum of Modern Art di New York, all'Art Institute of Chicago, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, alla Tate Gallery di Londra e al Museo Solomon R. Guggenheim di New York. Nel 1964 espone a Palazzo Grassi, Venezia, i dipinti della serie L'Hourloupe, iniziata due anni prima. Nel 1967 pubblica la raccolta di scritti Prospectus et tous écrits suivants. Nello stesso anno realizza le sue strutture architettoniche e, poco dopo, inizia numerose commissioni per sculture monumentali da porre all’aperto. Nel 1971 realizza i suoi primi oggetti scenici, i practicables. Nel 1980-81 un’importante retrospettiva è allestita all'Akademie der Kunst di Berlino, al Museum Moderner Kunst di Vienna e alla Joseph-Haubrichkunsthalle di Colonia. Nel 1981 il Museo Solomon R. Guggenheim di New York gli dedica una mostra in occasione del suo ottantesimo compleanno. Dubuffet muore a Parigi il 12 maggio 1985.

 

 

La presentazione:

“L’arte inquieta tra corpo, ossessione e creatività”

Presentazione di Sandro Bongiani, Salerno 10 marzo 2025

 


A 80 anni esatti da quando Jean Dubuffet coniò il termine “Art Brut” per descrivere le opere degli autori “outsider” e a 40 dalla scomparsa dell’artista francese (1985), viene ricordato in Italia con un progetto internazionale “Outsider Art Brut” a cura di Sandro Bongiani con la presentazione di 51 opere di altrettanti artisti internazionali invitati che hanno voluto essere presenti a questo importante appuntamento collettivo.

Art Brut è il termine coniato nel 1945 dall'artista francese Jean Dubuffet per indicare gli artisti autodidatti che indagano con le loro esperienze al di fuori dei limiti restrittivi della società, condividendo appieno i valori degli emarginati della società e con il desiderio altresì di legittimare in senso espressivo le opere d'arte create anche da pazienti psichiatrici nate spesso da fragili stati mentali e soprattutto da problemi esistenziali e sociali, frutto spontaneo di una tensione e carica espressiva non mediata dalla logica del mercato dell’arte. In tempi non recenti Dubuffet scriveva:  La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L’arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l’intelligenza né con la logica delle idee. L’Art Brut non è  da considerarsi "arte brutta", ma spontanea, non ricerca il bello, ma si concentra sulla natura e sulla vita per contrapporsi agli orrori e oggi alle difficoltà dell’esistenza. Una ricerca per certi versi condivisa in parte dal mondo degli artisti dell’arte postale per quanto riguarda, soprattutto, la marginalità e l’inattualità rispetto il prodotto artistico proposto dal mondo del sistema ufficiale dell’arte. Brut significa altro e primitivo in opposizione a “culturale”, ma anche puro, autentico, incontaminato. L’Art Brut nasce da una imperiosa necessità interiore e convive duramente le più importanti  tensioni della vita gettando un ponte tra il visibile e l’invisibile in cui le inaspettate convergenze sono intessute di libertà e di cammino solitario. 

In tal senso, Dubuffet  polemizzando con il sistema dell’arte ufficiale nel 1978 scriverà a Guglielmo Achille Cavellini una lettera in cui si rimarcherà di come viene gestita male la creatività dai “divulgatori” e dagli improvvisatori dell’arte contemporanea, scrivendo: “Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del pubblico e della  società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e  singolare attività. La saluto e la elogio. Vivissimi auguri”. (Da una lettera di Jean Dubuffet  a Guglielmo Achille Cavellini, del 15-10-1978 conservata nell’Archivio Guglielmo A. Cavellini di Brescia).

L’artista francese era nato a Le Havre nel 1901 ed era morto nel 1985 a Parigi. A circa vent’anni aveva iniziato a dipingere, ma è soprattutto nella seconda metà del secolo che aveva trovato, grazie alla complicità dei malati di mente, gli stimoli e la situazione adatta per dare una “sterzata vitale” a tutta la storia dell’arte. In tanti lunghi anni di lavoro, Dubuffet ha sempre lavorato per cicli, dalla “Preistoria” (1917-1942), dove si alternano momenti di abbandono e di ripresa dell’ attività, fino alla produzione continua che va dal 1942 al 1984, dalla materia e dell’informale degli anni 50 al ciclo dell’Hourloupe del 1974, tutto proteso verso un’arte totale, per poi concludere con l’ultimo ciclo di lavoro in cui cerca di riprendere le vecchie ricerche e definire strani grovigli di materia che stanno sospesi tra la figurazione e l’astrazione, tra l’essenza selvaggia e la natura. Nell'immediato dopoguerra Dubuffet scopre nella Svizzera romanda la collezione dello psichiatra Walter Morgenthaler. La raccolta di Morgenthaler comprendeva diverse migliaia di opere, eseguite da artisti schizofrenici ricoverati nella clinica psichiatrica di Waldau (BE).

A partire dal 1945, inizierà a raccogliere e collezionare opere espressamente di Art Brut, lavori spontanei, immediati, creati da persone prive di una specifica formazione artistica che vivono spesso ai margini della società o sono internate in ospedali psichiatrici, che nella stagione del 1954, appunto, proverà a definire col termine di  “Art Brut”. Nel 1951 la collezione di Dubuffet, costantemente ampliata grazie all'acquisizione di opere di autori prevalentemente europei, venne trasferita provvisoriamente a East Hampton, nei pressi di New York, dove rimase fino al 1962. Nel 1971 Dubuffet preoccupato di trovarle una definitiva collocazione presso un ente pubblico, considerò l’opportunità di riportarla in Svizzera, Paese in cui era nata. La Collection de l'art brut venne inaugurata nella sua nuova sede, il castello settecentesco di Beaulieu, nel febbraio del 1976, con oltre 5000 opere realizzate da quasi 500 artisti. Oggi, la “Collection de l'Art Brut” di Losanna possiede una straordinaria raccolta di oltre 70.000 opere nate dal nucleo iniziale della donazione Dubuffet e arricchita nel corso di diversi anni. Di fatto, questo museo risulta un punto di riferimento inscindibile e prioritario se si vuole comprendere concretamente il pensiero e le opere d’impronta Art Brut. Libero da preconcetti, attento a riflettere silenziosamente su possibili “nuove situazioni” e soprattutto, a rimettersi continuamente in gioco, cambiando spesso i connotati al suo lavoro e progettando situazioni sempre più imprevedibili. Insieme ad André Breton fonderà la “Compagnie de l’art brut” supportata dalle riflessioni personali scritte nei “Cahiers de l’Art Brut. Dubuffet rimane nell’arte il personaggio più singolare del novecento, l’unico che ha saputo liberarsi dalle costrizioni della cultura ufficiale, e alla bisogna, dare fiato al flusso   del pensiero spontaneo e selvaggio.

 

La normalità “anormale”

Di sicuro la nostra società malata di protagonismo e di solitudine, per comodo, ha sempre fatto una netta distinzione tra un’arte ingenua e quella colta, innestando un alto spartiacque che ha sempre delimitato le due esperienze, purtroppo, si è capito troppo tardi che non esiste una chiara linea di demarcazione che possa separare facilmente le due situazioni. Oggi, in un contesto assai alienato e diffuso è molto più facile trovare la cosiddetta “anormalità”; quante persone vanno a curarsi dall’analista perché soffrono di strane fobie, di nevrosi e persino di allucinazioni. Come è possibile tracciare una linea che demarchi concretamente la normalità dall’anormalità, la logica dal delirio e il gioco dall’ossessione. Tutto ciò risulta difficilmente credibile. Certamente, uno degli artisti che capì per primo questo grosso dilemma è stato Jean Dubuffet, che con”l’Art Brut” creò quel movimento capace di evidenziare l’arte dei malati di mente da quella cosiddetta ”accademica”. Il binomio “arte e follia” si era posto già nel mondo greco con la “ispirazione”, che faceva dell’artista un esecutore prediletto degli dei.  Cesare Lombroso, nell’Ottocento, capì anche che l’arte era sinonimo di follia e che la follia era una esigenza prioritaria per produrre arte, infatti, nel 1882, scriveva: “La follia soventemente sviluppa l’originalità dell’invenzione parchè si  lascia  più libero il freno dell’immaginazione  dando  luogo a creazioni da cui rifuggirebbe una mente troppo calcolatrice per paura dell’illogico e dell’assurdo...”. Lo stesso Dubuffet, spesso, confessava: ”Credo che in Occidente si abbia torto a considerare la follia come valore negativo, credo che la follia sia un valore positivo molto prezioso”. Una lucida presa di coscienza verso il fascino indiscreto dell’insolito, del mistero, essendo  sempre stato  interessato ad indagare sul versante “non logico e razionale” della visione e quindi a dare degna dignità alla follia e all’ossessione della creazione.

 

Apparire e non essere

Mai come oggi l’uomo è stato relegato a una condizione di insostanziale e semplice comparsa in cui l’apparire non corrisponde a un “esserci”, un uomo omologato anche per suo stesso volere “a una dimensione” come lo intendeva Herbert  Marcuse nella pubblicazione del 1964,  in cui il sistema ha privato persino la possibilità di sognare. Un apparire dell’uomo contemporaneo che alla ricerca ansiosa del successo sociale rimane imbrigliato per essere soltanto l’emblema  più deviante di questa falsa e inquieta società. Di certo, nessuna epoca storica, per quanto assolutistica e dittatoriale ha conosciuto come oggi un simile processo di massificazione, poiché nessun tiranno era in grado di creare un sistema di condizioni d'esistenza tali in cui l'omologazione e la solitudine fosse l'unica possibilità di vita per essere accettati.” Pertando, nella vita come nell’arte e in qualsiasi campo di rapporti sociali si procede oggi per inerzia con  proposte  e messaggi decisamente  “deboli” prelevati momentaneamente  dal presente, che non hanno la forza e il carattere di resistere al tempo e alla vita, spesso  annichiliti   già dall’inizio per essere facilmente assorbiti da un sistema sociale e culturale destinato all’omologazione collettiva.

 

La follia, lo specchio della nostra esistenza

La follia non è semplicemente una patologia da confinare negli ambiti della psichiatria. È, prima di tutto, una condizione umana che ci riguarda tutti, perché ognuno di noi si muove su un confine sottile tra razionalità e smarrimento. La follia è lo specchio della nostra esistenza, le fragilità che tentiamo di nascondere sotto la maschera della normalità, una forma di linguaggio spezzato, rotto come un giocattolo di un bambino che urla verità profonde sull’essere al mondo, perché  la sola razionalità, la logica, essendo limitante non ci permette di comprendere appieno Il disordine, l’imprevisto e persino il dolore. Secondo il Filosofo, psicanalista e saggista Umberto Galimberti: “la follia originaria, “comprende i bambini, i poeti, i folli e noi stessi  ogni qualvolta che sogniamo. Nel sogno collassa il principio della contraddizione e d’identità, il principio di casualità per cui invece della causa-effetto ci troviamo a vivere l’effetto-causa, il collasso del tempo e dello spazio, e non appena la coscienza si eclissa collassa tutto l’ordine della ragione.  Questa è la prova inconfutabile  che la follia ci appartiene. Noi siamo follia”.

È proprio ogniqualvolta si cerca di celare il dubbio vi è la tirannia e l’inutilità della logica e della ragione, per tale motivo dobbiamo smettere di relegare la follia al margine e iniziare a dialogare con essa, per ascoltare ciò che può dirci di più di quello che sappiamo e sul nostro essere al mondo. Una verità decisamente scomoda e di disagio che non intendiamo affatto ascoltare e che spesso nascondiamo per paura di essere diversi. Di certo la follia è un’esperienza dell’anima, un tentativo di comprensione che può emergere solo dentro  uno sfuggente  sfondo abissale che è soprattutto caos e anche sofferenza, per cui, per accedere agli abissi della follia occorre per forza di cose distanziarsi dal recinto protetto dalla ragione e abbandonare le solite certezze. Infatti, soltanto nella dimensione folle la ragione collassa e nel profondo tormento visionario la follia prende il sopravvento per scandagliare gli oscuri umori del nostro essere. -sottolinea Galimberti- solo nell'immersione nella follia e nella confusione dei codici, è possibile un evento creativo”. La follia è più potente di quando non sia la ragione, che di certo non crea niente di nuovo perché è solo uno strumento per costringerci a integrarci e non una verità” assoluta.

 

Il corpo e la follia poetica della creazione

La follia è la componente essenziale di qualsiasi uomo, non a caso, Dubuffet scriverà Tout le monde est peintre”, “Ognuno è pittore”, -aggiungiamo- “di se stesso”. Nella vita come nell’arte non esistono  campi scindibili, come la normalità, l’anormalità, l’alterità e la pazzia, tutti siamo folli dal momento che tutti noi sogniamo entrando in una dimensione non logica e irrazionale; è sufficiente che di notte ci addormentiamo  e incomincia il calvario della pazzia, la follia ci abita divenendo inquietudine e espressione disarticolata dalla logica. In un abisso oscuro dove tutto diventa possibile, volare, cadere e persino  intraprendere accadimenti non ancora vissuti, tutti conseguenti viaggi invisibili tra realtà immaginata e  ossessione che si collocano provvisoriamente  in uno spazio sospeso e ignoto in cui il confine tra reale e immaginazione si dissolve per diventare qualcos’altro di inaspettato. La vita degli uomini, al pari dell’arte abita l’incerto  confine tra ragione e follia. La follia è il fondamento della nostra creatività e di ogni produzione artistica e solo gli artisti sono in  grado di attingere appieno nell’abisso della follia,  di certo se non entri nell’abisso non puoi creare; da ciò nasce il mondo espressivo e poetico. L’urgenza della creazione è una capacità degli dei, ovvero la capacità di catturare la follia per essere creativa e poetica. Solo l’artista può decidere di entrare o uscire da un abisso e condividere la forma inquieta, tuttavia, se non viene controllata dal viandante distratto può divenire visione subita  e punizione psichiatrica. Un’opera d’arte non può nascere  senza la follia creativa e poetica dell’artista.

Pertanto, ogni creazione artistica è il frutto della follia. L’opera d’arte è il prodotto della follia dell’artista,  che sacrifica l’io razionale, scandaglia il profondo dell’animo e rinvia ad un’altra verità  disponendosi a uno sguardo di  un qualcosa di più significativo  rispetto alla logica  del già conosciuto. Poeti, artisti e creatori outsider sono dei sacrificanti visionari  perché ogni volta che creano si devono congedare  dall’’ordine razionale della logica  per condividere il mistero oscuro delle cose in una dimensione che alberga  tra i meandri oscuri  e impervi dell’irrazionale e dell’ignoto. Da ciò si evidenzia  la grande lezione e la straordinaria potenza di un atto resistente, senza freni inibitori, che deve necessariamente  implicare l’alta febbre della follia e soprattutto dell’ossessione per essere credibile e autentica; tutto ciò può mai essere considerata un’espressione normale?

 

Alcune opere in mostra:

 













 

Evento / Sandro Bongiani Arte Contemporanea

Memorial Outsider Art Brut Jean Dubuffet

Progetto Internazionale collettivo add to & Return con 51 artisti invitati

Galleria: Sandro Bongiani Vrspace 

https://www.sandrobongianivrspace.it/  

Da martedì  25 marzo al 20 aprile 2025

Vernissage  martedì 25 marzo 2025  ore 18.00

Via S. Calenda, 105/D  84126 Salerno (SA)

Email: bongianimuseum@gmail.com    Tel: (+39) 3937380225

Orari: lunedì /domenica 00:00 - 24:00                  

 

 

 

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