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domenica 16 maggio 2021

Su Domani la Criptoarte con la parola agli artisti per uno dei fenomeni contradittori dei nostri giorni.

 



Ritratto di Demetrio Paparoni    
Courtesy Archivio Tano Corallo


Oggi, su Domani  ancora il tema della criptoarte con la  quarta e ultima pagina dedicata a uno dei fenomeni artistici dei nostri giorni, Biennale Architettura, Bruce Nauman e Georg Baselitz a Venezia,  Lupo Alberto e la Fenice di Venezia.

 

   DOMANI

 


     




Pagina del 16 maggio  2021 


 

L’arte per il grande pubblico non può

Ignorare gli Nft

Quarta e ultima pagina dedicata a uno dei fenomeni artistici più significativi dei nostri giorni


Nicola Verlato, Mishima, 2021

10" animation  NFT
Courtesy Postmastersblockchain, Postmasters Gallery 


 

Questa domenica si conclude l'indagine sulla criptoarte dando parola agli artisti cinesi Zhang HuanWang GuangyiLiu Jianhua Zhang Enli, ai russi Pokras Lampas e Olga Tobreluts, al filippino Riel Hilario, alle americane Lynn HershmanTaryn Simon e Sandy Skoglund, all’italiano Nicola Verlato.

Questo non significa che non si tornerà più sull’argomento. Sempre pronti a ospitare riflessioni teoriche sugli NFT scritte per Domani dagli artisti. Con queste quattro pagine, grazie agli artisti coinvolti, si è dato un contributo significativo al dibattito su questo importante fenomeno dei nostri giorni.

Nell’introdurre i nuovi testi ci siamo soffermati sulle posizioni di Robert Longo, Peter Halley, Tom Sachs e Nicola Verlato. Impossibile commentare tutti gli interventi acquisiti.

Nelle due pagine della scorsa settimana ci ha colpito che Robert Longo ritenga che “il mondo digitale ha distrutto l’industria musicale” e che “l’unico modo di far soldi che hanno oggi i musicisti sono le esibizioni”. Nello stesso tempo, però, il digitale ha dato modo ai musicisti di elaborare nuove sonorità.

Che qualcosa cambierà anche in arte è probabile, ma questo non significa che gli artisti smetteranno di fare quello che hanno sempre fatto. Apre a interessanti riflessioni, tra gli altri, anche Nicola Verlato quando scrive che “tutta la modellazione poligonale che sta dietro alle immagini in 3D discende da Leon Battista Alberti. Ha dunque un’origine rinascimentale”.

Ovviamente quella che trovate qui è una sintesi della sintesi. Vi rimandiamo agli scritti degli artisti pubblicati sulla pagina domenicale che Domani dedica all’arte. Trovate i testi nel nostro sito, basta cliccare qui

Intanto suggerisco di guardare qui l’NFT realizzato da Vanessa Beecroft.



Bruce Nauman, Walking a Line, 2019, 4K 120fps 3D projection (color, stereo, sound), continuous play, 515,6 x 289,5 cm, 15 min. 46 sec. Courtesy of the artist and Sperone Westwater, New York © Bruce Nauman by SIAE 2021. Courtesy Sperone Westwater, New York

 

Biennale Architettura, Bruce Nauman e Georg Baselitz a Venezia

 

Questa settimana si inaugura a Venezia la Biennale Architettura. Come sempre accade in concomitanza con le grandi rassegne, aprono al pubblico importanti mostre.

Si segnala l’ampia imperdibile personale di Bruce Nauman, intitolata Contrapposto Studies presso la sede di Palazzo Grassi di Punta della Dogana, a cura di Carlos Basualdo e Caroline Bourgeois, e la mostra di Georg Baselitz a Palazzo Grimaldi, a cura di Mario Codognato.

 

Veduta parziale della mostra di Georg Baselitz a Palazzo Grimani, Venezia. Foto Matteo De Fina.  Courtesy Galleria Gagosian.

Georg Baselitz espone a Palazzo Grimani. Il titolo della mostra, Archinto, così come i 12 grandi dipinti appositamente realizzati, fa riferimento al ritratto del cardinale Filippo Archinto, dipinto da Tiziano nel 1558.

L’esposizione, con tele appositamente realizzate, come quella del 2019 alla Galleria dell’Accademia in concomitanza con la Biennale Arte, è prodotta con il supporto della galleria Gagosian, ulteriore dimostrazione del peso che le gallerie private più importanti hanno nel rendere possibili mostre museali che diversamente non avrebbero luogo. Vale la pena di sottolineare che le opere in mostra a Palazzo Grimani rimarranno in comodato al museo per un lungo periodo.

Della Biennale Architettura 2021 e di queste mostre torneremo a scrivere sulla versione cartacea di Domani nelle prossime settimane.

 


Lupo Alberto e la Fenice di Venezia


In questa tavola del 1996 ideata da Guido Silvestri, in arte Silver, Lupo Alberto e la sua fidanzata, la gallina Marta, invitano gli amici della fattoria McKenzie a visitare una mostra degli impressionisti.

L’idea è accolta con entusiasmo, ma a giudicare dal loro armamentario non è detto che abbiano capito dove stiano andando.

© Silver

  

Alcuni  articoli di Demetrio Paparoni su Domani


Il senso religioso di Andy Warhol


Famoso a livello mondiale come colui che ha portato nell’arte l’estetica dell’effimero e dei beni di consumo, teneva rigorosamente nascosta la sua vita privata e il legame con le sue radici cattoliche


I musei ipocriti uccidono l’arte. L’autocensura nel «caso Guston»













Dopo l’omicidio di George Floyd, la mostra sul pittore che ha rappresentato la banalità del male con i cappucci del KKK è stata rimandata, per evitare una discussione troppo complicata. I critici sono insorti per difendere la libertà dell’arte



    Segui Demetrio Paparoni  su demetriopaparoni.com                                       



Segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

giovedì 13 maggio 2021

WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS

 

WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS

What would you put in the hat of Joseph Beuys.

Testo di Marcello Francolini, critico d’arte,  aprile 2016


Visit:

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/virtualGallery/?art=5

 


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY 2.0

Via S. Calenda, 105/D - Salerno

WHAT WOULD  YOU PUT IN THE HAT

OF JOSEPH  BEUYS

Collettiva Internazionale con la partecipazione

di 119 artisti  contemporanei di cinque continenti

a cura di Giovanni  Bonanno

Presentazione  critica di Marcello Francolini 

Progetto in collaborazione con l’Archivio Ophen Virtual Art

e la Collezione Bongiani Ophen Art Museum di  Salerno.

Dal 29 aprile 2016  al  27 agosto 2016

Inaugurazione: venerdì  29 aprile 2016, ore 18.00

Salerno Tel/Fax 089 5648159    e-mail:  bongiani@alice.it      

Web Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it

Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00


S’inaugura  venerdì 29 aprile 2016, alle ore 18.00, la mostra  collettiva internazionale a cura di Giovanni Bonanno dal titolo: “WHAT WOULD  YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH  BEUYS” che lo Spazio  Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista tedesco Joseph Beuys in concomitanza con la ricorrenza dei 30 anni dalla scomparsa, (Dusseldorf, 23 gennaio 1986), proponendo una importante mostra collettiva  con  119 artisti di diversa nazionalità. Nella sua attività (oggetti, azioni, installazioni, interviste, multipli, ecc.)  lo ha visto protagonista indiscusso, sulla scena internazionale. Negli ultimi anni tra il Settanta e gli anni Ottanta, l'esigenza di dialogo, diventa prioritario, connota spesso le performances come occasioni per esporre verbalmente la propria concezione politico-religiosa, fondata sulla coincidenza tra autodeterminazione, libertà individuale e creatività. Un’arte intesa come processo catartico e liberatorio svincolato dai tradizionali media che  fa affidamento sul  nesso tra arte-vita-politica alla ricerca di  una nuova possibilità creativa e organizzativa dell'uomo tra spiritualismo mistico e scientismo sperimentale.  

Scrive Marcello Francolini nella presentazione: “perché un cappello per ricordare Joseph Beuys? Non poteva che esserci immagine più fedele di quella di un cappello per essere sicuri di esprimere parole-immagini intorno alla figura di Joseph Beuys. Considerandolo come il cappello, e non tanto un cappello, allora si potrebbe convenire che è proprio quel cappello che indossava sempre e ora non più. È ciò che resta oggi, come l’ultimo è più vero luogo del suo corpo.  “Ricoprirono il mio corpo di grasso per rigenerare il calore e l’avvolsero nel feltro per conservarlo”. Fu così, che i Tartari lo raccolsero, accogliendolo nella loro natura medicinale, lo resuscitarono, rialzandolo a nuova vita, il 16 marzo del 1944.

Così scriveva l’artista nel suo Curriculum vitae/Curriculum delle opere, con il quale, in una sorta di mito delle origini, ricostruì una sua seconda vita, a partire dall’istante in cui tutto aveva avuto inizio. Portò da allora sempre con sé, feltro e grasso. Ora quello stesso feltro è materiale del suo cappello, protegge il capo come protesse il corpo. Lo stesso cappello che ora mantiene in caldo i pensieri, rilascia quello stesso odore di feltro che annusò in Crimea nascendo daccapo. È così che il cappello a Beuys servì per ricordarsi di sé ovunque, qualcosa come un peso sul capo per tenerlo radicato alla terra, la sua terra propria. La sua Heimat”.

 

Artisti presenti:  Joseph  Beuys, Ryosuke Cohen, Dorian Ribas Marhino, Marcello Diotallevi, Nicolò D'Alessandro, Maya Lopez Muro,  John M. Bennett, Santini del Prete, Virginia Milici, Gino Gini, Mauro Molinari, Nicolas de La Casiniere, Antonio Sassu,  Domenico Ferrara Foria, Meral Agar, BuZ Blurr, Horst Tress, Tomaso Binga, Miguel Jimenez, Maria José Silva-Mizé, Leonor Arnao, Melahat Yagci, Sinasi Gunes, Turikan Elci, Atelier Stiliachus, Daniel de Cullà, Giancarlo Pucci, Angela Behrendt, Wolfgang Faller, Alexander Limarev, Rosanna Veronesi, Robert Lewis, Bruno Cassaglia, RCBz, Paolo Scirpa, Carmela  Corsitto, Oronzo Liuzzi, Rossana Bucci, Ernesto Terlizzi, Linda Paoli, Remy  Penard, Rolando Zucchini, Andre Pace, Giovanni Bonanno, Pascal Lenoir, Stathis  Chrissicopulos, Claudio Grandinetti, Alfonso  Caccavale, Fernanda Fedi, Daniel Daligand, Rosa Gravino, Pedro Bericat, Francesco Aprile, Lamberto Caravita, Simon Warren,  Fabiana Pereira, Ruggero Maggi, Otto D Sherman, Renata e Giovanni Stradada, C. Mehrl  Bennett, Picasso  Gaglione, Anna Boschi, Lorenzo Lome Menguzzato, Maria Credidio, Eugenio Giannì, Emilio Morandi, Maria Teresa Cazzaro, Gianfranco  Brambati, Monika  Mori, Fernando Andolcetti, Caranovic Predrag, Pier Roberto Bassi, Patrizio Rossi, Connie Jeans, David Drum, Giovanni Fontana, Vittore Baroni, Luc  Fierens, Elena Marini, Mabi Col, Matthew Rose, Fulgor C. Silvi, John Held J.R., Dimitry Babenko, Lia Franza, Gian Paolo Roffi, Umberto Basso, Mirta Caccaro, Marina Salmaso, Lars Schumacher, Ludo Winkelman, Francesco  Mandrino, Oznur Kepce, Roland Halbritter, Serse Luigetti, Keichi Nakamura, Adriano Bonari, Alessio Guano, Carlo Iacomucci, Cinzia Farina, Domenico Severino, Maurizio Follin, Claudio Romeo, Lancillotto Bellini, Silvana Alliri, Angela Caporaso, Michel Della Vedova, Susanne Schumacher, Clemente Padin, Malte Sonnenfeld, Kateina  Nikeltsou, Claudia Garcia, Roberto Scala, Josè Luis Alcalde Soberanes, Julien Blaine, Judy Skolnick, Tricia Schriefer, Cernjul Viviana, Gianni Romizi, Ayse Sidika Ugur.

 

WHAT WOULD  YOU PUT IN THE HAT

OF JOSEPH  BEUYS

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

Via S. Calenda, 105/D  - Salerno

29 aprile 2016 – 27 agosto 2016

Inaugurazione: venerdì 29 aprile 2016, ore 18.00

Orario: tutti i giorni ore 00.00 - 24.00

e-mail: bongiani@alice.it     

Web Gallery 2.0:  http://www.collezionebongianiartmuseum.it

Press: bongianimuseum@gmail.com

 

 

La Presentazione di Marcello Francolini, 2016

L’operazione che andiamo qui a presentare è stata ideata e curata da Giovanni Bonanno, che attraverso lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery presenta il suo progetto Internazionale di Mail Art che, a sua volta, andrà ad alimentare la Collezione Bongiani Ophen Art Museum di Salerno. Questa realtà, da anni, si muove nell’immaterialità della rete facendo dell’immanenza uno spazio concreto di riflessione.

Perché un cappello per ricordare Joseph Beuys?

Non poteva che esserci immagine più fedele di quella di un cappello per essere sicuri di esprimere parole-immagini intorno alla figura di Joseph Beuys. Considerandolo come il cappello, e non tanto un cappello, allora si potrebbe convenire che è proprio quel cappello che indossava sempre e ora non più. È ciò che resta oggi, come l’ultimo è più vero luogo del suo corpo.

“Ricoprirono il mio corpo di grasso per rigenerare il calore e l’avvolsero nel feltro per conservarlo”.

Fu così, che i Tartari lo raccolsero, accogliendolo nella loro natura medicinale, lo resuscitarono, rialzandolo a nuova vita, il 16 marzo del 1944.

Così scriveva l’artista nel suo Curriculum vitae/Curriculum delle opere, con il quale, in una sorta di mito delle origini, ricostruì una sua seconda vita, a partire dall’istante in cui tutto aveva avuto inizio. Portò da allora sempre con sé, feltro e grasso.

Ora quello stesso feltro è materiale del suo cappello, protegge il capo come protesse il corpo. Lo stesso cappello che ora mantiene in caldo i pensieri, rilascia quello stesso odore di feltro che annusò in Crimea nascendo daccapo. È così che il cappello a Beuys servì per ricordarsi di sé ovunque, qualcosa come un peso sul capo per tenerlo radicato alla terra, la sua terra propria. La sua Heimat.

Quel cappello è ciò che di più proprio c’è di Joseph Beuys.

Per comprendere quindi la sua opera e poterne dare un giudizio è assolutamente necessario non limitarla in chiave formale, ma considerarla profondamente nella sua totalità. Egli ricercava attraverso la realtà una via di accesso alla verità attraverso se stesso e la natura. Allora appare evidente che il cappello spostando l’attenzione sull’uomo, in quanto sottende ad un corpo che deve indossarlo, rimarca proprio che il pensiero dell’artista è connesso indissolubilmente alla sua vita, alla sua carne.

Perché fare una mostra sul cappello di Joseph Beuys?

Potremmo iniziare con lo specificare che più che il cappello si tratta dell’immagine del cappello, nello specifico è un cappello capovolto il cui fondo è quello spazio di pertinenza di scambio in cui gli artisti sono chiamati a entrare.

Così posto, il cappello, sembra migrare in una forma vascolare, mostrarsi per allegoria, come una giara da cui attingere o versare pensieri che allo stesso tempo sono altrui e personali (in un rimando incessante di sovrapposizioni che alla base rappresentano l’humus del comunicare con).

Ricordando la frase di Beuys più volte rimarcata, da una sua profonda conoscitrice, Lucrezia De Domizio Durini:

“Non si conserva un ricordo si ricostruisce”

Rolando Zucchini ad esempio colma proprio quel fondo, il colore che n’esce dilaga silenzioso quasi provenisse da dentro. Quasi raggiunto l’orlo, questo verde bluastro turchese si rafferma come fosse una lastra che chiude, o comunque mantiene ben coperto qualcosa che è sotto, forse il pensiero di Beuys così legato all’essenza stessa dell’artista (il cui capo conservava gelosamente nel cappello).

Su questa modalità “del riempire” segue Anna Boschi, che fa del contenitore del pensiero beuyssiano, un reliquiario con le sue opere-concetti, scaturiti proprio da quel pozzo di acque intuitive. Gino Gini, imbarca il cappello copri capo proteggi idee in un mare di parole pensieri. Wolfgang Faller, omaggia l’artista tedesco con una moltiplicazione di “Capri-Batterie” del 1985, aumentando tanti limoni quante idee è possibile ammettere. Umberto Basso lascia, come foglie sull’acqua, a galleggiare sospese le lettere dell’alfabeto. Un’immagine direi di calma in cui i significati non hanno ancora la loro forma verbale e perciò il rapporto coll’esterno passa interamente dal corpo. Andando avanti, tra le opere di Mail Art, troviamo Giovanni e Renata Strada, insieme, marito e moglie, formano il gruppo Stradada. Al cappello in cartolina sono sovrapposte alcune fotografie in primo piano di Beuys, la composizione tende a formare un’immagine di una croce, la struttura pone un equilibrio evidente, gli occhi dell’osservatore convergono naturalmente verso il centro dove incontriamo, con espressione sorpresa, Beuys. “Chi li ha Visti?” scritta sotto l’immagine, rimarca la spesso offuscata e sbiadita idea che avvolge artisti non facilmente classificabili.

Questi artisti descritti, come la maggior parte di coloro, che sono presenti in questa mostra,  potrebbero rientrare in una tipologia del riempimento, inteso come spazio specifico entro cui formalizzare il pensiero, com’è nel caso dell’utilizzo del cappello come spazio per l’azione artistica. L’artista qui, vi si proietta. Purtuttavia ce ne sono stati alcuni che hanno ribaltato tale modalità di lavoro, optando per una tipologia del prelievo. Questi artisti prendono il cappello e lo portano dentro, in uno spazio altrove. È il caso ad esempio di Linda Paoli, che il cappello lo materializza, trasportandolo, con la mano, nei pressi dei luoghi più consoni a quella creatività antropologica di Beuys: Terra, Aria, Acqua. A seguire c’è Antonio Sassu, che risponde con un’azione pratica a un’artista delle azioni com’era Beuys, con le sue “Living Sculpture”. Si pianta, letteralmente nel terreno, la testa è scomparsa sotto, il corpo è verticale con i piedi all’insù, da cui spunta una pianta. Come un’idea che può, solo nascere da un corpo ben radicato sulla terra.

Proprio a tal proposito, della terra, e di Joseph Beuys, potrei, provando a rimestare quei graffi lasciati dagli artisti, contribuire anche io al riempire il cappello:

Piccolo Resoconto su un pensiero di terra

Semplicemente terra.

Non v’è immagine, nel senso comune, che assicura, letteralmente che mette a riparo, il nostro pensare, più d’ogni altra cosa, a una posizione stabile, salda, sicura.

Certo se per terra intendiamo ciò, di contraltare un pensiero di acqua scivolerebbe slegato in superficie, ondeggiando liquidamente da un estremo all’altro.  Un pensiero d’acqua è dato dalla successione di visioni. Esse s’accavallano repentine senza che mai di una,  sia possibile fissare un ricordo. Ogni tentativo di mantenersi stabile è vanificato dalle correnti esterne che l’influenzano e lo soggiogano. Un pensiero di terra, invece, pesa se stesso grazie ad una gravità che lo rafferma. A differenza di un pensiero d’acqua che solo vede, scorrendo, un pensiero di terra guarda, è in guardia alla posizione su cui si mantiene e nella terra si rassicura affinché il pensiero abbia piedi per slanciarsi.

Heimat è, dunque, quel nostro orizzonte che ci assicura a noi stessi. La sua luce ha la stessa consistenza della nostra prima luce mai ancora vista.

 

Joseph Beuys / Biografia


Artista tedesco, nato a Krefeld il 12 maggio 1921, morto a Düsseldorf il 23 gennaio 1986. Conseguita la maturità classica, a Kleve nel 1940 si orienta verso studi di medicina. Pilota in guerra, rimane ferito nella caduta di un aereo in Russia ed è poi fatto prigioniero. Tornato a Kleve, nell'attenzione rivolta alle scienze naturali emergono i suoi interessi per l'arte. Dal 1947 al 1951 frequenta la Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf seguendo corsi di J. Enseling ed E. Mataré. Nel 1967 fonda l'Organisation für direkte Demokratie durch Volksabstimmung e dopo essere stato rimosso nel 1972 per ragioni politiche dall'insegnamento di scultura, svolto dal 1961 presso l'Accademia di Düsseldorf, costituisce una Freie internationale Hochschule für Kreativität und interdisziplinäre Forschung. Tra la fine degli anni Quaranta e i Cinquanta evidenzia, in una figurazione di essenzialità espressionista, lo specifico dei materiali e delle tecniche. Passa quindi all'assemblaggio di oggetti di rifiuto e di sostanze deperibili e povere, pervenendo nel 1962, all'interno del gruppo Fluxus ma con posizione autonoma, alle sue prime ''azioni'' sostenute da una struttura spazio-temporale e con una forte componente magico-rituale e simbolica anche negli elementi esibiti (grasso, feltro, animali e il suo stesso corpo). Negli anni Settanta l'esigenza di dialogo, quasi una vocazione, connota spesso le performances come occasioni per esporre verbalmente la propria concezione politico-religiosa, fondata sulla coincidenza tra autodeterminazione, libertà individuale e creatività. Un’arte intesa come processo catartico e liberatorio svincolato dai tradizionali media che  fa affidamento sul  nesso tra arte-vita-politica alla ricerca di  una nuova possibilità creativa e organizzativa dell'uomo tra spiritualismo mistico e scientismo sperimentale.

Alla domanda: perché lei porta sempre il cappello? Beuys rispondeva: “Questo è il tentativo di condurre nell’intero mondo del lavoro l’uomo stesso come concetto di arte. Ciò significa che in questo momento io stesso sono l’opera d’arte”. L’artista tedesco aveva un concetto di estetica  del tutto personale, affermava: “il concetto di estetica nel vecchio senso non è più rilevante. Per me si sviluppa sempre più…  sino ad arrivare al punto in cui estetica è uguale a uomo. L’uomo stesso è estetica.” Il suo modo di presentarsi era il suo modo estetico di essere, era volontà di manifestare in modo visibile il fondamento del suo pensiero essenziale, cioè l’uomo. Di  conseguenza l’abbigliamento era  quasi una uniforme, e il cappello, in particolare, era per ricordare a se stesso e agli altri di avere una testa: la testa è fatta per pensare, per portare luce, la luce del pensiero che  sta in equilibrio sull’asse verticale, sul portamento eretto dell’essere umano. La testa è avere un’idea per cappello. Sandro  Bongiani

 Visit: 

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/virtualGallery/?art=5



martedì 4 maggio 2021

GIULIA NAPOLEONE / Il segno e la poesia, 25 libri d’artista di Giulia Napoleone in mostra alla Biblioteca cantonale di Lugano

 


COMUNICATO STAMPA


  Biblioteca cantonale di Lugano

Giovedì 27 maggio 2021

Ore 18.00

 Inaugurazione della mostra:

 

Giulia Napoleone

 

Il segno e la poesia.

25 libri d’artista di Giulia Napoleone

Da tempo un legame di amicizia lega la Biblioteca cantonale di Lugano a Giulia Napoleone. L’artista è già stata infatti ospitata in passato in questi spazi con alcune opere. Del resto, col suo lavoro di meditazione sulla pagina scritta e sulla parola, si pone in linea perfetta con le scelte espositive dell’istituto che, negli ultimi anni, mirano a indagare questo particolare aspetto della creatività.

Da queste considerazioni è nato il desiderio di collaborare in vista della realizzazione di una mostra. Giulia Napoleone ha così appositamente creato per la Biblioteca cantonale di Lugano 25 libri d’artista. Giulia ha scelto una serie di poeti, inserendo in queste nuove meditazioni molti dei suoi consueti compagni di viaggio e numerosi altri amici, tra cui diversi ticinesi: Adonis, Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Marco Caporali, Maria Clelia Cardona, Massimo Daviddi, Roberto Deidier, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Pietro Montorfani, Alberto Nessi, Elio Pecora, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Rocco Scotellaro, Luigia Sorrentino, Brunello Tirozzi, Maria Rosaria Valentini, Marco Vitale, Simone Zafferani.

Sono nati così gli splendidi libri d’artista esposti a Lugano per la prima volta, una collezione di opere che si distinguono per varietà di formato e soggetti, la cui unicità risiede principalmente nel fatto che Giulia Napoleone non ha soltanto realizzato le immagini, ma ha anche composto le pagine, individuato e trascritto i versi, scelto con cura gli elementi fisici – carta, matite, inchiostri… – che dovevano accompagnarla in questo lavoro. Questi elementi influiscono infatti in modo determinate sul risultato finale, non soltanto negli aspetti più evidenti, ma anche nei flussi più impercettibili che chiedono di essere riconosciuti da una osservazione più attenta. Accanto ai libri d’artista, spiccano anche 8 tavole sciolte, di ampio formato e forma tonda, realizzate in china su carta prodotta da Franco Lafranca di Locarno. Si tratta degli “omaggi” che Giulia Napoleone ha voluto dedicare ad alcuni poeti: Roberto Deidier, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Alberto Nessi, Yves Peyré, Fabio Pusterla, Marco Vitale.




 

 Interverranno:

 

Giulia Napoleone  

Artista

 

Luca Pietro Nicoletti

Ricercatore di storia dell’arte, Università di Udine

 

Luca Saltini

Biblioteca cantonale di Lugano.

 

 Info presso:

 Biblioteca cantonale Viale Carlo Cattaneo 6 6901 – Lugano (TI) (Svizzera)

https://www.sbt.ti.ch/bclu/ Segreteria

Tel. +41 91 815 46 11

Mail bclu-segr.sbt@ti.ch  



evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

venerdì 22 gennaio 2021

BOOK / UNITI NELLA MAIL ART a cura di Hans Braumüller, Ruggero Maggi, Clemente Padín e Chuck Welch, 2020

 

Un raro volumetto edito in soli 60 copie inviato dall'artista Ruggero Maggi per l'Archivio Ophen Virtual Art di Salerno.

(volume n°43/60).










UNITI nella MAIL ART di Hans Braumüller, Ruggero Maggi, Clemente Padín e Chuck Welch, 2020 “Il documento UNITI nella MAIL ART vuole essere testimonianza della nascita e dello sviluppo di questa espressione artistica conosciuta come ARTE POSTALE… senza dubbio la più ampia - al di fuori del mercato dell'arte - per numero di partecipanti e per estensione, sia a livello geografico che temporale. Ciò può essere spiegato per il suo dichiarato proposito di porsi fuori dall'ambito commerciale, senza attribuire alcun valore venale allo scambio, ma privilegiando la comunicazione e la padronanza del mezzo postale… per questo non morirà mai. Per una comunicazione genuina sono sufficienti due interlocutori che esercitino il loro ruolo sociale”. Clemente Padín, Montevideo, 21.05.2020


STORIA............................................................................................................................................................ 2 IL PRIMO “ISMO” DELLA MAIL ART – NEOISMO .................................................................................. 4 LA SFIDA DELLA MAIL ART NELLE AMERICHE ................................................................................... 5 LA SOPRAVVIVENZA DEGLI ARTISTI...................................................................................................... 6 PROGETTI DI MAIL ART TRA ASIA-PACIFICO, AUSTRALIA ED EUROPA........................................ 9 AFRICA.......................................................................................................................................................... 11 SFIDANDO LA CORTINA DI FERRO DELL'EUROPA DELL'EST.......................................................... 12 LA VOCE COMUNE DELLE RIVISTE DI MAIL ART.............................................................................. 12 MAIL ART… DALL'ANALOGICO AL DIGITALE.................................................................................... 14 ARCHIVI DI MAIL ART .............................................................................................................................. 15 CONCLUSIONI ............................................................................................................................................. 16 


Deisler, 500 anni di Genocidio e Colonialismo Portfolio #1, pubblicato da Hans Braumüller, Chile, 1991 2 STORIA La Mail Art, conosciuta anche come Arte postale, nacque all'inizio degli anni Sessanta. Questa forma d'arte della comunicazione fu influenzata dall'attitudine di alcuni artisti Fluxus di fondere il concetto di vita con quello di arte; compositori, disegnatori, editori e poeti internazionali cominciarono a produrre, sotto la guida dell'artista lituano-americano, George Maciunas mailinglists, francobolli, cartoline sperimentali e kit postali. Nel 1970, utilizzando proprio come mezzo di comunicazione la posta internazionale, il gruppo Canadian Image Bank di Michael Morris, Vincent Trasov e Lee Nova realizzò i primi progetti. Due anni dopo, nella Polonia controllata dal regime sovietico, 26 artisti postali e fluxus firmarono un Net Manifesto per un Network decentralizzato, aperto e noncommerciale. Il progetto, redatto in nove punti, fu coordinato da Jaroslaw Kozłowski e Andrzej Kostołowski fino a quando...













Book / UNITI NELLA  MAIL ART 

n° 43/60





























Segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno