Biblioteca cantonale di Lugano
Giovedì 27 maggio 2021
Ore 18.00
Il segno e la poesia.
25 libri d’artista di Giulia Napoleone
Da tempo un legame di amicizia lega la Biblioteca cantonale di Lugano a Giulia Napoleone. L’artista è già stata infatti ospitata in passato in questi spazi con alcune opere. Del resto, col suo lavoro di meditazione sulla pagina scritta e sulla parola, si pone in linea perfetta con le scelte espositive dell’istituto che, negli ultimi anni, mirano a indagare questo particolare aspetto della creatività.
Da queste considerazioni è nato il desiderio di collaborare in vista della realizzazione di una mostra. Giulia Napoleone ha così appositamente creato per laBiblioteca cantonale di Lugano 25 libri d’artista. Giulia ha scelto una serie di poeti, inserendo in queste nuove meditazioni molti dei suoi consueti compagni di viaggio e numerosi altri amici, tra cui diversi ticinesi: Adonis, Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Marco Caporali, Maria Clelia Cardona, Massimo Daviddi, Roberto Deidier, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Pietro Montorfani, Alberto Nessi, Elio Pecora, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Rocco Scotellaro, Luigia Sorrentino, Brunello Tirozzi, Maria Rosaria Valentini, Marco Vitale, Simone Zafferani.
Sono nati così gli splendidi libri d’artista esposti a Lugano per la prima volta, una collezione di opere che si distinguono per varietà di formato e soggetti, la cui unicità risiede principalmente nel fatto che Giulia Napoleone non ha soltanto realizzato le immagini, ma ha anche composto le pagine, individuato e trascritto i versi, scelto con cura gli elementi fisici – carta, matite, inchiostri… – che dovevano accompagnarla in questo lavoro. Questi elementi influiscono infatti in modo determinate sul risultato finale, non soltanto negli aspetti più evidenti, ma anche nei flussi più impercettibili che chiedono di essere riconosciuti da una osservazione più attenta. Accanto ai libri d’artista, spiccano anche 8 tavole sciolte, di ampio formato e forma tonda, realizzate in china su carta prodotta da Franco Lafranca di Locarno. Si tratta degli “omaggi” che Giulia Napoleone ha voluto dedicare ad alcuni poeti: Roberto Deidier, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Alberto Nessi, Yves Peyré, Fabio Pusterla, Marco Vitale.
L’inchiostro, la neve e le stelle.
Appunti su Giulia Napoleone.
Presentazione di Luca Pietro Nicoletti, 2021
In Nero di china, il volume antologico di
disegni a penna di Giulia Napoleone magnificamente pubblicato dall’editore Gli
Ori per la galleria Il Ponte di Firenze, lo scrittore francese Yves Peyré
faceva alcune pungenti osservazioni. In un passaggio di una pagina di forte
ispirazione lirica, in particolare, scriveva che in quei fogli fittamente
riempiti di segni «vi è una
tenerezza che cova come fuoco, si diffonde in scioltezza, virando appena verso
la morbidezza dell’esistere». Queste note non entrano nel merito del linguaggio
visivo, ma nei modi della poesia in prosa delineano un carattere essenziale per
capire la ricerca di Giulia: una temperatura emotiva appassionata, che rende
vivo un lavoro condotto con una perizia tecnica che non concede respiro, ma non
si chiude mai nei freddi rigori della geometria, anzi in funzione di questo
lavoro minuziosissimo provoca un permanente senso di stupore. È questo aspetto,
più di altri, a rendere la sua pittura (perché pittorico è tutto il suo lavoro,
su carta e su tela, e anche in calcografia) congeniale ai poeti, che con il
loro procedere empatico ed empirico sono spesso più adatti degli studiosi a
trovare le parole giuste e aderenti a quel qualcosa che non si lascia spiegare altrimenti:
la decifrazione dello stile, in questo caso più che in altri, non è sufficiente
a capire le ragioni poetiche di un mondo interiore luminoso e a tratti
rarefatto, costellato di luci esatte e di una vibrazione respirante.
Da sempre,
infatti, la pittura di Giulia Napoleone non offre appigli al lavoro filologico
dello storico dell’arte e impone un approccio diverso, disposto ad accantonare,
almeno in parte, le maglie della storia per addentrarsi con mente sgombra entro
un immaginario fatto di chiarori notturni. Questo non vuol dire, naturalmente,
che non sia utile una narrazione che intrecci l’evoluzione dello stile con gli
incontri e i contesti che hanno intessuto il suo percorso umano e
professionale: ne emergerebbe una storia molto ricca, che, seguita nel
dettaglio, offrirebbe uno sguardo inedito su un lungo tratto del Novecento
italiano, eccentrico e vitale rispetto a un meinstream storiografico che appiattisce
la pluralità degli eventi. Una storia di questo genere, che segua passo dopo
passo questa via, verificando sulle opere il rapporto con la cultura degli
interpreti che nel tempo ne hanno scritto, sarà doverosa e necessaria.
Allo stesso
tempo, però, rimettendo in ordine la cronologia sarà utile anche percorrere
delle vie laterali e fare delle considerazioni trasversali sugli elementi di
lunga durata del lessico visivo di Giulia Napoleone, che è fatto di elementi
ricorrenti, di motivi che periodicamente riaffiorano sotto forme mutate, come
seguissero un filone carsico fatto di sparizioni temporanee e di altrettanto
istantanee riapparizioni. Si devono fare i conti, infatti, con un lavoro che
muta dall’interno in una linea di continuità.
Per addentrarsi dunque
nell’immaginario dell’artista bisogna provare a mettere a fuoco il punto di
stile, o meglio i procedimenti operativi e mentali messi in atto di volta in
volta per giungere a queste immagini di nitida e poetica esattezza: bisogna misurarsi
con una pittura rigorosa, ma non austera, che richiede autodisciplina e non
concede deroghe, ma al contempo non assume un tono severo. Quello di Giulia è
il lavoro paziente e meticoloso del miniatore che amorevolmente si applica alla
pagina e la “illumina” con gli strumenti del disegno e della pittura. La prima
impressione, soprattutto di fronte ad alcuni grandi fogli, è che si siano come
fatti “da soli”, come se non avessero richiesto a monte un lungo e faticoso
lavoro di addizione di piccoli segni, o di piccoli e piccolissimi punti che,
addensandosi o rarefacendosi, hanno dato vita a un’immagine compatta e
vibrante. Tutto il suo lavoro, fin da principio, si fonda su un repertorio di
segni elementari: segmenti, punti, piccoli cerchi di misura variabile, quadrati
che fanno pensare a tessere musive. Elementi, insomma, necessari per una
grammatica di addensamenti e disseminazioni.
Giulia ha ridotto
il segno della mano alla sua unità minima: il punto. Non si può generalizzare,
dato che nel suo percorso si incontrano approcci tecnici differenti, dal
pastello all’acquerello, che portano una nota di colore entro un universo nato
in bianco e nero. In ciascuno di questi casi, però, l’artista arriva a
nebulizzare il segno fino a farlo sparire. Poco importa, dunque, che si tratti
di matita colorata o pennino e inchiostro: l’immagine sembra essersi prodotta
in un soffio, e non lascia trapelare il lungo lavoro che vi è sotteso, se non
all’occhio attento che coglierà l’ordito complesso di questa trama e la sua
plasticità quasi tattile. La consistenza della sue immagini, dunque, è
granulare: ogni forma assume un rilievo tridimensionale attraverso la somma di
infinitesimi corpuscoli di inchiostro che seguono un loro itinerario sul foglio
e guidano l’occhio a una perlustrazione palmare. Ma ogni passaggio
chiaroscurale significa una stratificazione di punti, o di piccoli tratti
segmentati, picchiettati, dall’intreccio fitto e regolare, che avanzando lungo
il foglio sortiscono l’effetto di una velatura. Bisogna infatti guardare alcune
opere molto da vicino per rendersi conto del palinsesto che va a formare le sue
trame, per leggere gli strati di segni che hanno rinforzato un certo ordito
fino a dargli la giusta consistenza: si vorrebbe toccare la superficie col
polpastrello, per dare ai ricettori del tatto quel piacere che è dato dalle
carte martellate e dall’inchiostro che penetra fra le fibre e rimane in
superficie. Ci si accorgerà, a quel punto, della fermezza, della precisione di
un lavoro che non consente sbavature, né correzioni. Nella maggior parte dei
casi, infatti, Giulia Napoleone ha scelto tecniche che non consentono errori:
dalla penna all’acquerello, ma anche in un certo modo di gestire il pastello,
una certa pulizia è data proprio da un calcolo preventivo che consente di
procedere con passo regolare e senza indugio. L’acquerello e l’inchiostro,
infatti, non consentono correzioni, specialmente se gestiti all’insegna di una
assoluta pulizia formale. Aver portato il lavoro al suo modulo puntiforme ha
guidato poi Giulia Napoleone a elaborare un linguaggio in grado di migrare
senza difficoltà e senza traumi da un medium all’altro: dal disegno
all’incisione, con una preferenza per le tecniche dure come il bulino. È evidente
che con il tempo questo è diventato un abito mentale, al punto che anche
nell’uso della pittura a olio ha messo a punto un procedimento tecnico che
renderebbe impossibili rettifiche in corso d’opera. In questo senso, quello di
Giulia è un lavoro sulla trasparenza: tutti i passaggi che hanno portato al
risultato finale restano leggibili e distinguibili, ogni segno che è stato
apposto ha trovato una sua esatta collocazione, e dà uno specifico contributo
al tono e la colore locale.
In questo modo,
però, è come se l’impronta della mano che è intervenuta sul foglio fosse
improvvisamente sparita. Il segno ridotto a punto, o a traccia tanto minuta da
diventare unità basilare, ha in sé qualcosa di impersonale: è un atto minimale
nel quale non si può riconoscere una specifica grafia assimilabile a una
scrittura, come fu invece per molti sui coetanei. Quello di Giulia, infatti, è
un atto ripetuto, per certi versi meccanico, che tocca il foglio e subito se ne
distacca per un numero infinito di volte: un’operazione di pazienza, ritmica, che
richiede tempi lunghissimi, e che tiene a bada gli impeti più irruenti. Ma se
il gesto metodico è in apparenza impersonale, così come lo era quello di
Dadamaino sui grandi fogli di acetato dei secondi anni Ottanta, l’uso che l’artista
ne fa ha una marca di riconoscimento inconfondibile che si gioca sulla regia dell’insieme.
Non è soltanto un fatto di coordinamento fra occhio e mano, ma di vera e
propria progettazione, tale da “vedere” un’immagine molto prima che giunga a
compimento, lasciando allo stesso tempo che sia quest’ultima, nel suo
affioramento progressivo, a suggerire ulteriori metamorfosi.
Potrà sembrare
un’osservazione di primo acchito banale, ma è bene sottolineare che in tutto il
suo lavoro Giulia non ha mai disegnato il contorno delle sue figure: le forme,
i profili delle campiture, persino i solchi che le attraversano in alcuni casi,
prendono forma da un movimento interno, come un dilagare della trama sul foglio
che si interrompe di fronte a un confine invisibile, animando così l’ingombro e
il profilo di forme elementari. È questo, a mio avviso, un espediente utile a
sottrarre la sua opera dal rischio di cadere nel decorativo: le sue immagini si
materializzano come delle apparizioni, talvolta come delle ombre, o delle
trasfigurazioni oniriche di dati reali. Alcuni critici, infatti, hanno
richiamato un immaginario scientifico: immagini che rimandano al modo
cellulare, alle strutture primarie visibili al microscopio, e che come queste
sembrano colte in uno stadio di espansione graduale, come se ad essere colto
fosse un frammento di una metamorfosi in corso. Se quel processo naturale
avesse seguito il corso biologico a cui le immagini accennano, e se si volesse
assimilare il foglio di carta a un vetrino da laboratorio, quel corpo vivente
si sarebbe espanso fino a campire tutto lo spazio a sua disposizione. Non è
necessario, come pure talvolta è stato fatto, chiamare in causa i pionieri
della scienza moderna per spiegare questo mondo di immagini, perché
snaturerebbe l’approccio intuitivo di Giulia, specie quando lavora con tondini
bianchi di misure variabili che, più di tutti, possono sollecitare un rimando a
quel mondo organico: qui, più che in altri casi, la calibrazione del modulo
base provoca l’effetto visivo di dilatazione di un corpo, o di un frammento di
superficie vitale che segue il ritmo del respiro.
Ma se queste
immagini fanno pensare all’infinitamente piccolo, basta davvero poco perché la
combinazione degli stessi elementi vada a tratteggiare una cosmogonia visionaria.
Una collana di stelle, infatti, brilla dentro un’oscurità piena e densa, come
in certi disegni di Grandville, o di Alberto Martini. Su un piccolo punto
bianco si concentra una luminosità intensa: è un foro nella compattezza di una
campitura buia e notturna. A volte è come una stella fissa, o una perla
incastonata in uno spazio preciso, specialmente quando Giulia si serve di
questi elementi per chiudere una sagoma della geometria elementare, o per
marcare un confine. Altre volte, però, la vicinanza con altri cerchi va a
creare un climax ritmico, e basta che quel confine diventi un orizzonte perché
il paesaggio si trasformi in uno spazio curvo.
Se si vuol quindi
provare a delineare le iconografie del lavoro di Giulia - mettendo per un
attimo fra parentesi la stagione strettamente geometrica dei grandi e intensi
acquerelli a velature, che a distanza dialogano in una declinazione monocroma
con gli orditi del suo amico Piero Dorazio- si possono individuare dei filoni
di massima entro cui andare a dettagliare il suo lavoro: si incontreranno forme
che si generano su se stesse come organismi elementari o galassie policentriche
trapunte di stelle; costellazioni geometriche penetrate da cunei spigolosi; ricordi
di natura sotto il dominio della linea curva e sinuosa.
Credo infatti ci
sia prima di tutto un rapporto di memoria, in alcuni lavori, con il paesaggio
centroitaliano, o meglio un dialogo traslato con quel patchwork antropizzato
che si disegna nelle campagne, fra campi di varia coltura delimitati con
confini esatti. Mi piace pensare che uno di questi possa essersi staccato come
una zolla dal terreno per diventare una losanga a maglie intrecciate percorsa
da lunghe linee bianche a risparmio: si leggono come una forma unitaria, anche
se queste porzioni di foglio riempite di segni non si toccano mai. La mano di
Giulia sa sempre quand’è il momento di fermarsi, dove quella tessitura vada
interrotta lasciando un bordo sfrangiato come un confine aperto. Non è nemmeno
necessario, il più delle volte, verificare i titoli delle opere per accorgersi
di questo rimando al mondo reale, perché seppur traslati e scevri da intenti
mimetici hanno una consistenza palpabile: molti, lo scrive l’artista stessa,
sono sogni o viaggi nel sogno, che rimane pur sempre una esperienza di
rielaborazione psichica e mnemonica di dati reali. Piuttosto, i titoli apposti
ad alcuni fogli sono di aiuto per un orientamento nello spazio. Sono infatti
molti i riferimenti a eventi atmosferici, alle nebbie, alle ombre. Altrettanti,
però, stanno sulla soglia: le gocce, nella loro disseminazione atmosferica,
rapidamente diventano stelle e costellazioni, portando a una sovrapposizione
fra il piano della realtà, quello del sogno e la proiezione di entrambi in una
dimensione visionaria. Anche dove il referente è più esplicito, del resto, si
configura palesemente come un’ombra o un’apparizione. Motivi vegetali e volute
decorative si confondono volutamente: arbusti e rilievi desunti
dall’archeologia romana o dall’architettura barocca si sovrappongono, e aprono
la via al lungo dialogo di Giulia Napoleone con la cultura del Medio Oriente.
Qui, più che in altre serie, la geografia autobiografica dell’artista emerge
maggiormente: c’è la campagna della Tuscia, dove l’artista si è stabilita da
tempo, dopo aver abbandonato il bello studio nel cortile conventuale della
chiesa borrominiana incompiuta di Santa Maria dei Sette Dolori a Roma; e c’è la
Siria, dove ha trascorso lunghi periodi. Confermando, come scrisse di lei
Gianni Contessi nel 2017, la «vocazione geografica, territoriale e cosmica», la
ricerca di Giulia Napoleone era a questo punto pronta ad affrontare territori
inesplorati: poteva fare i conti con il deserto o con le culture dell’Oceania,
ripensare i motivi decorativi del mondo arabo e trattarli come se fossero felci
o piante più umili, o memorie orografiche e cosmiche.
Ma soprattutto, a
questo punto il suo lavoro era pronto a farsi interprete di un mondo profondo e
razionalmente insondabile come la poesia. La sua lunga consuetudine con il
libro d’artista, sperimentato in tutte le possibili forme e combinazioni,
deriva proprio da questo dialogo serrato e continuativo, che si misura a tutto
campo con il canone della letteratura universale, fra collaborazioni dirette con
amici poeti e omaggi ad autori del passato o del presente. Ogni scrittore e
ogni poeta, in questa prospettiva, acquista un senso fra le sue predilezioni:
il libro d’artista, infatti, non è un’esperienza d’occasione, magari su
commissione, in cui le è stato chiesto di illustrare con le proprie immagini un
testo dato in partenza. È Giulia stessa, al contrario, a scegliere gli autori e
le poesie, o a sollecitare la collaborazione con i poeti su progetti specifici,
e che avvia a partire da qui un lungo lavoro di progettazione. Per questo si
troveranno sia libri dedicati a poeti stranieri, ma con cui l’artista ha trovato
una particolare sintonia: è il caso del siriano Adonis, che riassume le
atmosfere e le emozioni di una terra da lei tanto amata, e che sollecita il
pensiero su quei motivi decorativi cui si accennava prima. Ma si troveranno
anche molti amici e persone frequentate nel corso degli anni. Non è un caso che
alcune delle pagine più belle sul suo lavoro, infatti, siano state scritte
proprio da poeti: uno per tutti, Cesare Vivaldi, che le dedica alcune intense
pagine per le edizioni della Cometa.
Il libro,
insomma, non ha un ruolo secondario nella ricerca di Giulia Napoleone, che al
contrario non ha disdegnato di organizzare mostre dedicate esclusivamente a
questa parte della sua produzione, se non addirittura di progettare ex-novo
intere mostre riservate esclusivamente ai libri. Nell’antologica curata da
Giuseppe Appella presso la Galleria Nazionale di Roma, per esempio, i libri
avevano un ruolo di un certo rilievo nel raccontare la sua lunga storia. Prima
ancora, nel 2017, l’artista aveva donato alla Calcografia Nazionale di Roma una
scelta di trentasei libri realizzati fra il 1963 e il 2015, oggetto poi di una
mostra e di una pubblicazione di un certo impegno: la sua storia d’artista,
dunque, si può raccontare anche attraverso questo tipo di oggetti, sia che
contemplino un’integrazione fra parole e immagine, sia che si tratti
esclusivamente di un racconto visivo. In entrambe le accezioni, il libro è un momento
di riflessione ulteriore e di compendio di esperienze fatte con altri medium. Si
tratta infatti di un lavoro che richiede una progettazione articolata, che
prevede un tempo di ideazione, una pianificazione del lavoro, e successivamente
una esecuzione materiale. Non è un dato da trascurare, questo, come nel caso di
questa mostra: i venticinque libri qui presenti costituiscono un corpus
unitario, progettato per la maggior parte nel 2020 ed eseguito fra 2020 e 2021.
Quasi tutti, mi fa notare Giulia stessa, recano la data del 2020 perché è in
quell’anno che sono stati progettati, anche quando ultimati poi nel 2021. In
questo modo l’accento è immediatamente spostato sul momento in cui il libro è
stato immaginato più che in quello in cui è stato apposto l’ultimo segno di
penna o l’ultimo tocco di pennello, come se l’oggetto andasse incontro a un
destino annunciato. Pensandoci bene, però, non potrebbe essere diversamente. Da
una parte, infatti, è sua abitudine di lavoro portare avanti in parallelo più
di un’opera, tanto che si potrebbe indugiare sulle corrispondenze e i rimandi
da un libro all’altro, provare magari a raggrupparli per tipologie e su questa
base stabilire una cronologia interna. Ma soprattutto, il libro d’artista è un
oggetto complesso, che richiede delle scelte preventive, dai testi alla carta,
alla forma vera e propria. Di questi libri, infatti, Giulia realizza ogni
dettaglio, compreso il lavoro di trascrizione amanuense delle poesie con uno
stampatello minuscolo sottile quanto sono sottili le immagini che le
accompagnano. In un secondo momento Giulia decide quale relazione stabilire fra
testo e immagine, trascegliendo i motivi iconografici che si prestano meglio al
dialogo. Le due poesie di Annelisa Alleva dedicate al lago di Bolsena, per esempio,
sono accompagnate da tre pastelli azzurri, congeniali al tono visionario ed
elegiaco della poesia. Deve aver sollecitato la sua immaginazione, in
particolare, l’intreccio nella poesia fra visioni vegetali e presenza lacustre,
che l’artista interpreta proponendo una vista ortogonale, azzurra come in un
crepuscolo dopo il tramonto del sole, ma ramificata come l’ombra di una
presenza arborea. Lo stesso motivo, però, riproposto per una poesia di Milo De
Angelis, Non c’è più tempo, si
trasforma quasi in una cancellata in controluce, così plastica da ricordare
certi disegni di scultura del suo tempo: in un verso, infatti, si legge che «il
tempo era una luce».
L’invenzione
figurativa, qui, procede enucleando un motivo figurativo evocato dal testo,
rielaborandolo secondo il linguaggio visivo. Ho chiesto appuntamento alla neve, di Maria Chiara Valentini, invece,
è una poesia brevissima, ma con un tema connotato, e per spiegare che «non c’è
nulla da temere dal bianco» Giulia pensa di ricorrere al fondo nero di un
cartone colorato, realizzando una serie di punti bianchi su tre livelli, con
trasparenze e luminosità differenti che emergono restituendo la leggerezza
ovattata del fiocco di neve. Ciononostante, non cede al naturalismo: quella
suggestione è restituita entro la griglia geometrica che enfatizza sia la
ripetizione modulare sia l’unicità del segno tracciato a mano.
Non mancano però
casi di citazione quasi letterali, come per A
che serve la luce di Simone Zafferani: una falce di luna affiora sotto tre
serie di fili di perle obliqui e paralleli fra loro, che ricalcano la seconda
strofa della poesia («Fili tesi alla distanza / steli verso la luna / che le
voci della casa / ammutoliscono a guardare»).
In definitiva, il
linguaggio della poesia suggerisce una via per immaginare la realtà naturale in
termini nuovi e per trasfigurarla nel linguaggio dell’arte astratta: sono
poesie che abbondano di elementi tratti dal paesaggio, ma spostati in una
dimensione trascendente in cui non conta più l’aspetto visibile, quanto la loro
trasformazione e interiorizzazione. È la via necessaria per compiere il salto
verso mete siderali, tanto lontane da essere di per sé un’astrazione, come per Il catalogo degli anni di Gilberto
Isella, che nelle pieghe della poesia tira in causa il tema i bosoni come
immagine di uno spazio che vada oltre l’enumerabile: una dimensione lontana che
Giulia Napoleone restituisce in tre disegni apparentemente identici, basati su
tre rettangoli neri trapunti di stelle bianche disposte con apparente regolarità.
Il gioco percettivo è sottile, quasi ipnotico: dopo una prolungata osservazione
quei punti rimasti bianchi generano un alone e cominciano a espandersi. Allora
l’occhio si accorge che non hanno misure omogenee, ma si dilatano o si
restringono in modo da far emergere il disegno di figure geometriche
elementari, veri e propri punti di attrazione che modificano la percezione del
campo visivo.
Non stupisce che
il cielo stellato sia fra i luoghi privilegiati della poesia. Il punto
d’incontro con la pittura, anzi, sta proprio lì: con lo sguardo rivolto verso
cose più alte, e silenziosamente perdendosi nel buio profondo di uno spazio
senza fine, ma che al nostro sguardo prende vita, e silenziosamente respira
all’unisono con l’universo.
Biografia di Giulia Napoleone
Nel 1958 conosce Giorgio Morandi
che le consiglia di dedicarsi all’incisione, al disegno e
all’insegnamento. Le prime opere che espone sono dipinti a olio e nel
1963 inaugura la prima mostra personale, Giulia Napoleone, alla
Galleria Numero di Firenze. La carta è il suo supporto preferito, realizza
le prime incisioni e, dal 1965, frequenta la Sala Studio della
Calcografia Nazionale a Roma per approfondirne lo studio. Compie numerosi
viaggi all’estero in Francia, Nord Europa, Australia e per lavoro in
Tunisia, dove partecipa al restauro pittorico di alcuni dipinti del Museo
del Bardo di Tunisi. Allo stesso tempo intraprende la lunga attività
d’insegnamento che la vedrà impegnata fino al 2010: all’Istituto d’Arte di
Anagni, al I Liceo Artistico di Roma, alla Calcografia Nazionale,
all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, all’Università di Tenerife e di
Aleppo, in Siria. Perfeziona la tecnica calcografica con una borsa di
studio concessa dal Governo olandese al Rijkmuseum di Amsterdam dove
rimane affascinata dai pittori Rembrandt, Hercules Seghers e Franz Hals.
Nei primi anni Settanta torna in
Olanda, viaggia in Inghilterra e sperimenta l’utilizzo del sicoglass,
una plastica durevole e trasparente. Dopo le mostre personali alla
Galleria dell’Obelisco a Roma (1973) e alla Galleria Menghelli a Firenze
(1974) in cui espone lavori in sicoglass, disegni e incisioni, ritorna a
studiare alla Calcografia: l’artista, che originariamente aveva inciso
all’acquaforte e all’acquatinta, inizia a lavorare con il bulino e il
punzone.
Nel 1976 compie un viaggio negli
Stati Uniti e in Canada per l’inaugurazione di una mostra personale a
Toronto; mentre a Urbino, frequenta prima un corso di xilografia e in
seguito dei corsi di incisione con Renato Bruscaglia, che la introducono
all’utilizzo della maniera nera. In questi anni Giulia Napoleone entra in
contatto con numerosi artisti, intellettuali e poeti anche attraverso la
collaborazione con Giuseppe Appella, direttore dello Studio
Internazionale d’Arte Grafica L’Arco ed inizia a creare preziose edizioni
d’arte. In particolare con Vanni Scheiwiller realizza insieme ad Appella
un’edizione con quattro incisioni a punzone dal titolo Non vedo
quasi nulla (1978) con due poesie di André du Bouchet. Il
libro, esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi in occasione di una
mostra sulla poesia italiana nelle edizioni Scheiwiller, sarà il primo di
un’intensa collaborazione con l’editore milanese. L’artista dipinge
acquarelli su carta che espone regolarmente in mostre collettive e
personali, tra cui a Milano alla Galleria Bon à tirer (1977), a Roma alla
Galleria Il Segno (1980) e alla Galleria Il Millennio (1983), dove
presenta un nucleo di opere il cui filo conduttore è il colore azzurro.
Nel 1983, inoltre, presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano
si svolge un’importante rassegna antologica dell’opera grafica
dell’artista, accompagnata da un volume pubblicato da Vanni Scheiwiller.
Nel 1986 partecipa con tre grandi acquerelli all’XI Quadriennale Nazionale
d’Arte di Roma (sarà invitata anche nel 1999).
Negli anni Novanta continua a
realizzare ed esporre incisioni, disegni a pastello, a china, a matite
colorate; in particolare per le retrospettive a Le Locle in Svizzera
(1990), a Roma (1992), a Bologna (1995) e a Firenze (1996). L’Istituto
Nazionale per la Grafica di Roma nel 1997 le dedica una mostra personale
che raccoglie gran parte della sua produzione grafica di cui acquisisce un
cospicuo nucleo di opere. Successivamente si costituiscono dei fondi
al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona in Svizzera (2001), al Gabinetto di
Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze (2009, 2011) e in numerosi altri
musei e collezioni pubbliche. Durante la sua carriera riceve numerosi
riconoscimenti e dal 2007 è Accademico Nazionale di San Luca.
Nel 2002 espone una serie di
dipinti a olio su tela, Mutano i cieli, presso la galleria fiorentina Il Ponte
e l’anno successivo è in Siria ad insegnare alla Private University of
Science and Arts di Aleppo. Nonostante l’attività didattica all’estero
partecipa a numerose mostre in Italia e in Europa: a Roma
all’Istituto Nazionale per la Grafica (2007), all’Associazione Mara Coccia
(2007), all’Accademia di San Luca (2008); a Reggio Emilia a Palazzo
Magnani (2014) e in Svizzera a Bellinzona al Museo Villa dei Cedri (2007,
2009, 2015). Sempre in Svizzera, la Galleria Stellanove di Mendrisio ospita nel
2011 una mostra di disegni a inchiostro di china e un libro d’artista a
cura di Josef Weiss che dà inizio ad un’importante collaborazione
editoriale con Giulia Napoleone. Nel 2014 la stessa galleria espone alcuni
pastelli dell’artista insieme ad un libro di poesie di Alberto Nessi con
sue incisioni (edizioni Il Bulino) e la riproduzione del manoscritto Tempi
innocenti del 1980 con l’aggiunta di componimenti poetici di
diversi autori (edizioni Pagine d’Arte), mentre l’Atelier di Josef Weiss
presenta una scelta di libri d’artista e il volume Nero con
disegni originali a inchiostro di china.
Nel 2016 il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara le dedica una sala espositiva in occasione della mostra collettiva Percorsi d’Arte Contemporanea. 15 Sale per 15 Artisti. Nel 2017, propone una serie di dipinti a olio alla Galleria Contact di Roma (edizioni Kappabit) e l’inaugurazione presentata da Rosa Pierno, è accompagnata da una performance d’improvvisazione per voce sola di Ludovica Manzo. Lo Spazio polivalente Arte e Valori di Giubiasco in Svizzera ospita una sua personale di pastelli su carta, seguita da una mostra di pitture a olio a cura di Loredana Müller presso l’Areapangeart di Camorino, presentata da Maria Will, con l’intervento musicale di Walter Fähndrich per tutta la durata dell’esposizione. Alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano un’antologica di libri d’artista e incisioni a cura di Nel 2018 un'importante antologica dal titolo "REALTA' IN EQUILIBRIO" che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma dedica a Giulia Napoleone, ricomponendone il percorso con una mostra a cura di Giuseppe Appella. Centoquattro le opere (dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, datati 1956-2018) selezionate per evidenziare la nascita e gli sviluppi di un preciso linguaggio formale: dei paesaggi interiori, dei paesaggi “di puntini”, come li definisce lei stessa, di quella ricerca sulla complessità semantica che domina la scena intellettuale e artistica degli anni Sessanta, in cui l’artista opera con la sua personalissima lettura del reale mediata dalla poesia. Nel 2020 la galleria Il Ponte di Firenze presenta nero di china. Mostra curata da Bruno Corà e corredata da un volume che ripercorre il suo lavoro con l’inchiostro di china fin dalla metà degli anni Cinquanta.
Nel 2021 riceve il Matronato della Fodazione Donnaregina del Museo Madre di Napoli con una Retrospettiva dal titolo: Giulia Napoleone, “Viaggi e costellazioni alla ricerca dell’infinito”, 54 opere tra dipinti a olio, acquarelli, pastelli, chine e incisioni presso lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno a cura di Sandro Bongiani.
Interverranno:
Artista
Luca Pietro Nicoletti
Ricercatore di storia dell’arte, Università di Udine
Luca Saltini
Biblioteca cantonale di Lugano.
Info presso:
Biblioteca cantonale Viale Carlo Cattaneo 6 6901 – Lugano (TI) (Svizzera)
https://www.sbt.ti.ch/bclu/ Segreteria
Tel. +41 91 815 46 11
Mail bclu-segr.sbt@ti.ch
IL CATALOGO
evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno