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mercoledì 7 agosto 2024

Retrospettiva di Reid Wood, 1970-2024 “Tempo sospeso / Segni e tracce di un immaginario in/Visibile”

 

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

Retrospettiva di Reid Wood 1970-2024

“Tempo sospeso / Segni  e tracce di un immaginario in/Visibile”
"Suspended time/ Signs and traces of a imaginary in/visible"

a cura di Sandro  Bongiani

11 agosto - 14 settembre 2024

Inaugurazione:  Domenica  11 agosto  2024, ore 18.00

Pavilion Lautania Valley / Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere

in collaborazione con l’Archivio Reid Wood di Oberlin, OH, United States

 


 

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea, dopo la retrospettiva dell’artista americano  pre-pop Ray Johnson, la retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini è la personale di Ryosuke Cohen  è lieta di inaugurare  in coincidenza con il tema “Stranieri Ovunque  la mostra retrospettiva dell’artista americano Reid Wood dal titolo: “Tempo sospeso / Segni e tracce  di un immaginario in/Visibile”. Un evento a cura di Sandro Bongiani  in contemporanea con la  60. Biennale di Venezia 2024, incentrato  sul tema  dello straniero ovunque. Una sorta di rilettura delle proposte in atto presentate per l’occorrenza in un padiglione  del tutto virtuale, con un’area immaginaria di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley. Quella di Reid Wood,  è un’altra proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale, vengono presentate per l’occasione 54 opere eseguite dall’artista americano tra il 1970 e il 2024.

Per l’artista americano Reid  Wood vi è l’attenzione a una pratica che si propone di raccontare quel che accade non smettendo - per dirla con Michel Foucault - di comprendere il mondo e il funzionamento di certi discorsi all'interno dell’attuale società.  Ciò accade con il pensiero attivo marginale, in un’area di ricerca che preferisce collocarsi al di fuori dai circuiti ufficialmente deputati all'arte, preferendo i processi, e il dialogo in un fluire di esperienze e accadimenti senza impedimenti e costrizioni. Per diverso tempo l’attività di Reid Wood è stata ancorata a una forma di creatività resistente generata dal dato reale e poi stravolta da una visionarietà insistente che definisce inconsueti e nuove presenze apparentemente tra loro incompatibili. Un territorio sospeso, in un punto cieco d’incontro verso l’immaginazione. Una sorta di eterotopia radente della nostra contemporaneità in cui l’invenzione ha il sopravvento.

Le prime opere di Reid  Wood risalgono agli anni 70  una serie di collage digitali per poi procedere verso il 2006 pubblicando su “havent-gardeart.blogspot.com”, un’opera al giorno  che ha chiamato “Artifact” (artefatto), indicando nella stessa opera il giorno il mese e l’anno di esecuzione dell’opera (la prima opera pubblicata  ufficialmente su tale blog risale al 22 ottobre del 2006). Dal 2006 a oggi ha creato ogni giorno un nuovo lavoro digitale “artefatto” con risultati creativi e immaginativi decisamente sorprendenti. Alla fine il risultato ottenuto è aver prodotto un’immagine destrutturata e nel contempo definita in modo più mentale che attraverso l’uso di oggetti e situazioni concorrono a dar forma a una  rappresentazione di tipo immaginifico del tutto nuova definita da frammenti  di spazi contrassegnate da tracce di senso “sospeso”, che a mezz’aria si rincorrono in attesa di essere finalmente percepite. “Un qualcosa che ci sfugge e resta in/sospeso tra il presente e il momento dell’invenzione” - scrive Sandro Bongiani - "una ricerca indagata a tutto campo su   “universi possibili”, intesa come il luogo privilegiato per rilevare nuove ipotesi di lavoro  che nella dimensione creativa e mentale suggeriscono  nuove possibilità di ricerca, tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. Permane in Wood la proposta convincente di  una ricerca volutamente di confine  in un particolare campo di azione  svolto tra fotografia e rappresentazione poetica, come  spartiacque al  modo  omologato e spesso monotono proposto dal sistema istituzionale dell’arte”.

Si ringrazia l’Archivio Reid Wood di Oberlin, OH, (United States) per la fattiva collaborazione alla realizzazione in Italia di questo importante evento.

 

 

 


Biographical Notes of Reid Wood

Reid Wood (b. 1948) is a visual artist who has worked in a variety of media, including drawing, printmaking, sculpture, collage, artists books, mail art, digital imaging, and performance art. He holds degrees in art from Oberlin College, with additional study at Kent State University, Akron University, and the Visual Studies Workshop. He has exhibited his work regionally, nationally and internationally since 1975. Examples of his work can be found in a number of public and private collections and archives, including MoMA (Franklin Furnace Artists Books Archive), the Sackner Archive, the Avant Writing Collection (Ohio State University), the National Institute of Design (Ahmedabad, India), Lalit Kala Akademi (New Delhi, India), the National Postal Museum of Canada, the Artpool Archive (Budapest), the King St. Stephen Museum (Hungary), and the Otis Art Institute (Los Angeles). Several works are permanently present in the Collection of the Bongiani Art Museum of Salerno (Italy). In 2010 he was awarded a residency in Venice by the Emily Harvey Foundation.

 

 

La Presentazione di Sandro Bongiani 

 

 Retrospettiva di Reid Wood  1970-2024

“Tempo sospeso / Segni  e tracce di un immaginario in/Visibile”
"Suspended time/ Signs and traces of a imaginary in/visible"

Presentazione di Sandro Bongiani, Salerno, 29 luglio 2024

 

 

Per l’artista americano Reid  Wood vi è l’attenzione a una pratica che si propone di raccontare quel che accade non smettendo - per dirla con Michel Foucault - di comprendere il mondo e il funzionamento di certi discorsi all'interno dell’attuale società.  Ciò accade con il pensiero attivo marginale, in un’area di ricerca che preferisce collocarsi al di fuori dai circuiti ufficialmente deputati all'arte, preferendo i processi, e il dialogo in un fluire di esperienze e accadimenti senza impedimenti e costrizioni. Per diverso tempo l’attività di Reid Wood è stata ancorata a una forma di creatività resistente generata dal dato reale e poi stravolta da una visionarietà insistente che definisce inconsueti e nuove presenze apparentemente tra loro incompatibili. Un territorio sospeso, in un punto cieco d’incontro verso l’immaginazione. Una sorta di eterotopia radente della nostra contemporaneità in cui l’invenzione ha il sopravvento.

Nella visione di Foucault le eterotopie inquietano perché minano  le certezze nel tentativo di dare un senso diverso alla vita. Rimane sotteso che nella sua ricerca il concetto di eterotopia, viene forgiato sul reale e non indagato passivamente in ambienti privi di localizzazione effettiva  come nel caso dell’utopia. Foucault contrappone le utopie alle eterotopie scrivendo: «Le utopie consolano mentre le eterotopie inquietano perché minano segretamente il linguaggio, contestano i luoghi comuni correlandosi allo spazio esteriore sia nella forma dell'illusione sia nella forma della compensazione. Anche nell’arte vi è la stessa strategia a comprendere il mondo utilizzando strumenti che possano mettere in moto momenti di eterotopia condivisa.

Sospensione e tempo invisibile contraddistinguono  il suo lavoro di ricerca. Assecondando il concetto base dell’eterotopia, l’artista americano ci consegna una visione del tutto nuova e originale della realtà, contrassegnato da un tempo sospeso e da tracce e segni di un immaginario invisibile divenuto ormai “non luogo del reale”. Non si tratta semplicemente di pura e semplice fotografia, perché la fotografia ritrae la pelle della realtà del mondo esterno, gli oggetti, le cose, mentre in queste opere si rappresenta qualcosa che non è presente, un mondo nascosto s/velato attraverso frammenti fotografici  e alterato per mezzo l’elaborazione digitale  operata  volutamente dall’artista. Reid Wood lavora  utilizzando la fotografia e la stampa digitale approdando al teatro  dell'eterotopia trascorrente, tra spazio esteriore e spazio mentale divenuto ora essenza e riflessione creativa.  

Questa particolare forma di indagine con la realtà  nasce da un atteggiamento libero tra oggettualità e immaterialità, in una proficua commistione di elementi grafici e coloristici che di fatto alterano il normale rapporto delle cose trasformandosi in qualcosa di diverso che non è mai esistito. Le sue sono particolari riflessioni che  Wood fa  in considerazione di questo anestetizzato e precario contesto sociale carico di grande incertezza in cui si confezionano soltanto allusioni e delusioni.

Le prime opere di Wood risalgono agli anni 70  una serie di collage digitali per poi procedere verso il 2006 pubblicando su “havent-gardeart.blogspot.com”, un’opera al giorno  che ha chiamato “Artifact” (artefatto), indicando nella stessa opera il giorno il mese e l’anno di esecuzione dell’opera (la prima opera pubblicata  ufficialmente su tale blog risale al 22 ottobre del 2006). Dal 2006 a oggi ha creato ogni giorno un nuovo lavoro digitale “artefatto” con risultati creativi e immaginativi decisamente sorprendenti. Un qualcosa che ci sfugge e resta in/sospeso tra il presente e il momento dell’invenzione. Il risultato ottenuto nel tempo è aver prodotto una visione destrutturata e nel contempo definita in modo più mentale che attraverso l’uso di oggetti e situazioni concorrono a dar forma a una  rappresentazione di tipo immaginifico del tutto nuova, definita da frammenti  di spazi contrassegnate da tracce di senso “sospeso”, che a mezz’aria si rincorrono in attesa di essere finalmente percepite.Una ricerca indagata a tutto campo su   “universi possibili”, intesa come il luogo privilegiato per rilevare nuove ipotesi di lavoro  che nella dimensione creativa e mentale suggeriscono  nuove possibilità di ricerca, tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. Permane in Wood la proposta convincente di  una ricerca volutamente di confine  in un particolare campo di azione  svolto tra fotografia e rappresentazione poetica, come  spartiacque al  modo  omologato e spesso monotono proposto dal sistema istituzionale dell’arte. Ora, sta solo allo spettatore poter decifrare, senza impedimenti e costrizioni, ciò che è stato rappresentato in modo visionario nell’opera.

 

  Pavilion Lautania Valley 

  “Stranieri qui e altrove - Active Marginal Generation   Everywhere”

  Mostra n°4 / Retrospettiva di Reid Wood

  “Tempo sospeso / Segni e tracce  di un immaginario in/Visibile”

  Presentazione di 54 opere eseguite tra il 1970 e il 2024 

  con un testo critico di Sandro Bongiani

  11 agosto – 14 settembre 2024

 

Salerno, opening  11 agosto 2024  ore 18:00  

ORARI:  tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

In collaborazione con l’Archivio Reid Wood di Oberlin OH, (United States)

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/

E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39  3937380225

 

venerdì 28 giugno 2024

Salerno / Ryosuke Cohen, “Attesa tra relazione e partecipazione condivisa” Spazio Ophen Virtual Art Gallery

 Comunicato Stampa

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

RYOSUKE  COHEN

“Attesa tra relazione e partecipazione condivisa

 

 

a cura di Sandro  Bongiani

Dal  3 luglio 2024 al 10 agosto 2024

Inaugurazione:  Mercoledì  3 luglio  2024, ore 18.00

 

 


Pavilion Lautania Valley / Stranieri Qui e Altrove - 

Foreigners Here And Elsewhere

Mostra Personale di Ryosuke Cohen  Attesa tra relazione e partecipazione condivisa

A cura di Sandro Bongiani in collaborazione con l’Archivio Ryosuke Cohen di Ashiya-City Hyogo - Giappone.

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea, dopo la retrospettiva dell’artista americano  pre-pop Ray Johnson, e la retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini è lieta di inaugurare  in coincidenza con il tema “Stranieri Ovunque  la mostra personale dal titolo: “Attesa tra relazione e partecipazione  condivisa”.dell’artista giapponese Ryosuke Cohen.

Una mostra a cura di Sandro Bongiani  in contemporanea con la  60. Biennale di Venezia 2024, incentrata  sul tema  dello straniero ovunque. Una sorta di rilettura delle proposte in atto presentate per l’occorrenza in un padiglione  del tutto virtuale, con un’area immaginaria di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley. Quella di Ryosuke Cohen,  è un’altra proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale. Vengono presentate per l’occasione 69 opere Brain Cell Coronavirus eseguite dall’artista giapponese tra il 2020 e il 2022.

 

Un progetto che nasce   da una costola dei “Brain Cell” iniziato nel 1985, quasi   quarant’anni fa. L’idea fondante è stata nell’assenza dell’essere di una positiva e fattiva connessione umana  tra artista e opera atta a riflettere  sul tormentato momento Covid tra attesa e distanziamento forzato che il virus Coronavirus ha imposto per qualche interminabile anno al mondo intero cercando di far riflettere sul concetto di partecipazione e condivisione da parte degli artisti relegati duramente a vivere in una  quarantena forzata.

Nell’assenza di un contatto e di una relazione fisica con l’altro  l’invio postale ha fornito agli artisti l’opportunità di comunicare, ciascuno secondo il suo particolare pensiero e sofferenza il proprio punto di vista, con un’esperienza unica che si riconcilia al raccordo d’insieme che fa Cohen nell’elaborazione finale dell’opera. Quello che ha fatto Ryosuke Cohen per due anni è  assemblare pazientemente i pensieri degli artisti e riunirli  ogni 10/15 giorni sotto un unico tetto collettivo.

Partecipazione,  provvisorietà  e condivisione sono le cose che da tempo interessano Cohen, sono il segno distintivo che caratterizzano anche queste 69 opere. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’orchestrazione  e la grande capacità  di un artista come Cohen capace di correlare le urgenze e i diversi momenti del vivere ora  cristallizzate in un canto corale, sotto lo sguardo vigile e partecipe dell’artista giapponese.

Nonostante le ristrettezze imposte, l’artista ci vuol far riflettere sul potere dell’arte come forza propulsiva e collettiva capace di generare un insieme poetico. Cohen è oggi l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che partecipano al progetto. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio che nasce  dal contributo degli altri e  si materializza  nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente coinvolti. Le varie stampe del progetto Brain Cell realizzate da Cohen non  possono essere considerate opere “finite”, intese come opere che si completano nella realizzazione della copia grafica, ma di un’opera caratterizzata dall’indeterminatezza e provvisorietà del proprio esistere insito nel suo DNA. 

Di certo, se  il risultato finale di ogni stampa fosse  davvero “un’opera compiuta”,  credo che Cohen smetterebbe  di colpo  di realizzare altre copie di “Brain Cell”, proprio perché svuoterebbe pesantemente il senso e la filosofia generatrice di questa  particolare pratica artistica.  Nelle  opere  presenti a questo evento vi è una sorta di naturale senso di leggerezza e di sospensione che per la cultura giapponese  è un elemento distintivo pregno di significati simbolici nascosti: la presenza, il vuoto (ku),  lo spazio (ma), l’incompletezza indefinita, sono concetti profondamente radicati  nella spiritualità orientale,  tra  buddismo e il pensiero zen e anche il "trait d'union" in cui  viene concepita espressamente questa inedita e particolare esposizione. 

Si ringrazia l’Archivio Ryosuke Cohen di Ashiya-City Hyogo (Giappone) per la fattiva collaborazione alla realizzazione in Italia di questo importante evento.

 

 

BIOGRAFIA  DI RYOSUKE  COHEN  

 


Ryosuke Cohen, nato nel 1948, Osaka, in Giappone. Il nome della famiglia è Kouen  ma su consiglio di Byron Black, ha adottato  il nome  inglese  'Cohen' come in ebraico. Cohen scoprì la mail art in Canadà.  Ryosuke è il figlio di un noto scrittore di haiku in Giappone, Jyunichi Koen. I primi lavori di Cohen sono il risultato di un misto di tradizione e immaginario giapponese, numeri  e icone contemporanee  così com’è la sua firma, la lettera "C". L’artista giapponese per lungo tempo è stato interessato al movimento  Dada e Fluxus,  in contatto con Shozo Shimamoto e i membri del gruppo Gutai  condividendo in modo spontaneo e naturale un nuovo modo di fare arte contemporanea. Ryosuke non è il primo artista postale e marginale giapponese, ma sicuramente è l’autore giapponese più interessante  oggi nel network internazionale.  Dopo Ray Johnson e  Guglielmo Achille Cavellini, anche Ryosuke Cohen  rimette  ancora una volta in gioco le carte della sperimentazione in  un sistema culturale antiquato che preferisce l’opera creata appositamente per essere mercificata. Lo fa  proponendo un particolare suo progetto “Brain Cell” (Cellula celebrale), iniziato nel giugno 1985 con  migliaia di membri  sparsi in oltre 80 paesi.  Un lavoro che raccoglie  ogni 7-10 giorni circa le immagini di tanti artisti su un'unica pagina allegando un elenco di indirizzi di collaboratori, 55 in media per opera, che lo ha visto coinvolto per tanti anni.  Nell’agosto 2001 ha iniziato in Italia  il progetto “Fractal Portrait”, facendo ritratti e silhouette del corpo ai suoi amici artisti in occasione dei  vari Meeting   svolti in diverse parti del mondo; Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Irlanda del Nord, Spagna, Jugoslavia, Germania, Olanda, Corea, Italia e Francia.  Cohen è l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che partecipano al progetto. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio,  che nasce  dal contributo degli altri e  si materializza insieme  nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente e  appassionatamente coinvolti nella  creazione dell’opera,   rifiutando l’opera unica e concetti  consueti come l’originalità e quindi, preferendo maggiormente il gioco, la ricerca  e la libertà concreta dell’artista volutamente collocato ai margini dell’attuale sistema culturale. Per questo modo di fare, egli è il più  interessante e attivo artista nella rete di chiunque altro per la capacità organizzativa del progetto e per la diffusione capillare dell’arte marginale. In quasi 40 anni di lavoro ha esposto con mostre e svolto performance  e incontri  in diverse aree geografiche del  mondo. Vive a Ashiya-City Hyogo in Giappone.

 

Le opere:

 








Pavilion Lautania Valley 

“Stranieri qui e altrove - Active Marginal Generation Everywhere”

Mostra n°3 / Personale di Ryosuke Cohen

Attesa tra relazione e partecipazione condivisa

Presentazione di 69 opere Coronavirus eseguite tra il 2020 e il 2022 

con un testo critico di Sandro Bongiani

da mercoledì 3 luglio al 10 agosto 2024

Salerno, opening  Venerdì  3 luglio 2024  ore 18:00  

ORARI:  tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

In collaborazione con l’Archivio Ryosuke Cohen di Ashiya-City Hyogo, (Giappone)

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/

E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39  3937380225

Ufficio Stampa Archivio Ophen Virtual  Art di Salerno 

Credits: Archivio Ryosuke Cohen - Giappone

 

 


Ryosuke Cohen, “Attesa tra relazione  e partecipazione condivisa”

Presentazione  a cura di Sandro Bongiani 

Salerno, 10 giugno 2024

 

Una mostra a cura di Sandro Bongiani  in contemporanea con la  60. Biennale di Venezia 2024, incentrata  sul tema  dello straniero ovunque Una sorta di rilettura delle proposte in atto presentate per l’occorrenza in un padiglione  del tutto virtuale, con un’area immaginaria di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley.

Quella di Ryosuke Cohen,  è un’altra proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale. Vengono presentate per l’occasione tutte le 69 opere Brain Cell Coronavirus eseguite dall’artista giapponese tra il 2020 e il 2022. Un progetto che nasce da una costola dei “Brain Cell” iniziato nel 1985, quasi   quarant’anni fa. L’idea fondante è stata nell’assenza dell’essere di una positiva e fattiva connessione umana  tra artista e opera atta a riflettere  sul tormentato momento Covid tra attesa e distanziamento forzato che il virus Coronavirus ha imposto per qualche interminabile anno al mondo intero cercando di far riflettere sul concetto di partecipazione e condivisione da parte degli artisti relegati duramente a vivere in una  quarantena forzata.

Nell’assenza di un contatto e di una relazione fisica con l’altro  l’invio postale ha fornito agli artisti l’opportunità di comunicare, ciascuno secondo il suo particolare pensiero e sofferenza il proprio punto di vista, con un’esperienza unica che si riconcilia al raccordo d’insieme che fa Cohen nell’elaborazione finale dell’opera. Quello che ha fatto Ryosuke Cohen per due anni è  assemblare pazientemente i pensieri degli artisti e riunirli  ogni 10/15 giorni sotto un unico tetto collettivo.

Partecipazione,  provvisorietà  e condivisione sono le cose che da tempo interessano Cohen, sono il segno distintivo che caratterizzano anche queste 69 opere. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’orchestrazione  e la grande capacità  di un artista come Cohen capace di correlare le urgenze e i diversi momenti del vivere ora  cristallizzate in un canto corale, sotto lo sguardo vigile e partecipe dell’artista giapponese”.

Nonostante le ristrettezze imposte, l’artista ci vuol far riflettere sul potere dell’arte come forza propulsiva e collettiva capace di generare un insieme poetico. Cohen è oggi l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte secondo le vecchie idee classiciste della tradizione, ma ricopre il ruolo di mediatore e di intermediario tra la realizzazione di un’idea progettuale (la sua) e coloro che partecipano al progetto. Praticamente, egli si fa promotore di un “fare” diventando regista di un intervento provvisorio che nasce  dal contributo degli altri e  si materializza  nella collaborazione collettiva in cui tutti possono partecipare ed essere positivamente coinvolti. Le varie stampe del progetto Brain Cell realizzate da Cohen non  possono essere considerate opere “finite”, intese come opere che si completano nella realizzazione della copia grafica, ma di un’opera caratterizzata dall’indeterminatezza e provvisorietà del proprio esistere insito nel suo DNA.  

Di certo, se  il risultato finale di ogni stampa fosse  davvero “un’opera compiuta”,  credo che Cohen smetterebbe  di colpo  di realizzare altre copie di “Brain Cell”, proprio perché svuoterebbe pesantemente il senso e la filosofia generatrice di questa  particolare pratica artistica.  Nelle  opere  presenti a questo evento vi è una sorta di naturale senso di leggerezza e di sospensione che per la cultura giapponese  è un elemento distintivo pregno di significati simbolici nascosti: la presenza, il vuoto (ku),  lo spazio (ma), l’incompletezza indefinita, sono concetti profondamente radicati  nella spiritualità orientale,  tra  buddismo e il pensiero zen e sono anche il "trait d'union" in cui  viene concepita espressamente questa inedita e particolare esposizione. 

 

La marginalità Attiva & Swarm Art come partecipazione condivisa

 La Mail Art è nata  più di 50 anni fa, nel 1962, da quando l'artista americano Ray Johnson, fondò la “New York Corrispondance School of Art” occasionalmente in contemporanea con il movimento “ Fluxus”  del lituano-americano George Maciunas (1961)  e la  Pop Art di Leo Castelli a New York (1962). Una sorta di scuola d’arte per corrispondenza nella quale gli elaborati grafici con l’inserimento di timbri e collage venivano per la prima volta spediti per posta a conoscenti e persino ignari destinatari, dando  completa autonomia alla comunicazione e rendendo questo nuovo modo di espressione totalmente libero e al di fuori di qualsiasi schema imposto e prefissato dal potere culturale e di conseguenza dal mercato ufficiale dell’arte.  Dopo Ray Johnson, anche  Guglielmo Achille Cavellini, nei primi anni 70 (1971),  aveva  inventato “l'autostoricizzazione”,realizzando  delle mostre a domicilio  e utilizzando i cataloghi che inviava  in visione agli artisti del Network.  Questi  due artisti, per primi,  avevano  solo accennato a questa  nuova e possibile strategia di messa in crisi del sistema culturale che non permetteva nessuna intrusione se non avvalorato da un  potere forte che condizionava e controllava le proposte e le scelte al fine di regolarne il flusso  e ossigenare il mercato dell’arte. E’ stato soprattutto  Cavellini (GAC), a  compiere “il grande passo”; quello di contrapporsi ad un sistema ormai monotono; un ulteriore sviluppo verso la messa in crisi del tradizionale sistema dell’arte. Negli anni 80, precisamente nel  giugno del 1985,  l’artista giapponese Ryosuke Cohen  rimette  ancora una volta in gioco le carte della sperimentazione, in  un sistema culturale antiquato che preferisce l’opera creata appositamente per essere commercializzata. Lo fa  proponendo un particolare progetto “Brain Cell” (Cervello Cellula), che lo ha visto coinvolto per oltre 30 lunghi anni, assieme a migliaia di membri  sparsi in oltre 80 paesi, in cui i singoli artisti collaborano inviando per posta a Cohen disegni, francobolli, timbri, adesivi o altro.  Egli utilizzando un vecchio  sistema serigrafico, chiamato ciclostile (ormai fuori produzione) fa 150 copie A3 (29,7x42). E’ un  progetto  ancora attivo che viene stampato ogni 7-10 giorni e rispedito ai rispettivi collaboratori,  allegando un elenco di indirizzi di collaboratori provenienti da alcuni paesi (55 in media per opera). Dal 1985 sono passati già  quasi 40 anni ed  è stato superato il 15 giugno del 2024 il “Brain Cell” n° 1215.  Da diverso tempo  l’artista Cohen  rifiuta l’opera unica e concetti  consueti come l’originalità, preferendo maggiormente il gioco, la ricerca  e la libertà dell’artista volutamente collocato ai margini di un sistema culturale antiquato e passatista.

Nella pratica dell’arte postale non esiste un’unica ideologia o “ism” ben solida capace di sopravvivere  e prevalere  sulle altre. Secondo Ray Johnson,  “Mail Art is not a single art movement, but is quite a megatrend that insists that we change our consciousness”, quindi,   non è un unico movimento artistico ma piuttosto un grande movimento “trasversale”  a tutte le altre proposte ed esperienze artistiche che ci sollecita concretamente a prendere coscienza di noi stessi. Di conseguenza, si condividono  i frammenti  di idee con  altri artisti in una relazione libera da “copyright”,  utilizzando e trasformando persino le opere di altri autori in un incessante  “add and send by mail” collettivo.  Nella pratica  elitaria attuata dal sistema istituzionale ufficiale dell’arte si preferisce la concorrenza piuttosto che la cooperazione e la sperimentazione. Nella Mail Art questi concetti scompaiono per dare spazio alla creatività e alla ricerca  spontanea svolta in campo in modo paritario.

Nato nel 1948 a Osaka, in Giappone, Ryosuke non è il primo  e unico artista postale giapponese, prima di lui anche Shozo Shimamoto aveva condiviso la Mail Art, tuttavia, è certamente l’autore giapponese più longevo e per certi versi, anche il più  interessante e attivo oggi nel network internazionale di chiunque altro per la diffusione  capillare della pratica Mail artistica.  Dopo “Brain Cell”, nell'agosto 2001 ha iniziato anche un  altro progetto chiamato “Fractal  Portrait Project”, iniziato in Italia  al fine di realizzare più proficuamente il concetto di “Brain Cell”, facendo ritratti e Silhouette (face and body) agli amici artisti incontrati in questi anni nei in diversi incontri (Meetings) in tutto il mondo. Secondo Cohen, “Brain Cell” è come  la struttura di un cervello visto al microscopio, ci appare come lo schema  delle rete  con migliaia di neuroni accumulati  e ramificati insieme proprio come il Network dell’arte postale. La Mail art - scrive l’artista - “is dynamic", because you can be more of an individual free to create works of art with a new mind, being fragments of the entire network and sharing snippets of many other artists", e poi,  “la rete si espande da A a B,  da B a C, da C a D, da D a A, da C a A e così via,  è come un corpo unico con una costruzione cerebrale fatta di un gran numero di cellule nervose strutturate e complesse, sistemate in un ordine non lineare. Ecco perché ha definito questo tipo di esperienza “Brain Cell (cellule del cervello)”. Praticamente è il risultato di un complesso intreccio di cellule nervose del cervello, un progetto senza fine, aggiungendo, “ciò che nasce dal “flusso” Dada, Fluxus e Mail Art è l’unico modo per realizzare la nuova arte del domani”.

Fractal (frattale),  letteralmente significa figure simili fra loro, il nuovo concetto  è  stato utlizzato per prima dal matematico francese  B. Mandelbrot all’Istituto Watson IBM. La caratteristica principale dei frattali è “l’auto similarità”, la ripetizione sino all'infinito di uno stesso motivo  caratterizzato dall’indeterminatezza temporanea e provvisoria del suo esistere,  come per esempio, gli alberi della foresta Amazzonica del Sud America che si compone di numerose specie che convivono insieme. Nel 2006 Ryosuke Cohen, scrive: “Nowadays I have come to realize that we are all part of a fractal, and that I can be a piece of that fractal, and that I can create art, in a way that extends beyond myself as an individual, in communication with infinite mail artists' ideas”,  (oggi mi sono reso conto che siamo tutti parte di un frattale e che posso essere  un pezzo di quel frattale estendendomi come individuo al di là di me stesso in una infinita comunicazione di idee con gli artisti postali).

Questa particolare concezione personalmente  preferisco chiamarla  “swarm intelligence”  traducibile come: “intelligenza dello sciame”,  è un termine  più vicino a tutti gli esseri viventi coniato per la prima volta nel 1988 in seguito a un progetto ispirato ai sistemi robotici. Esso prende in considerazione lo studio dei sistemi auto-organizzati, nei quali un'azione complessa deriva da un fare collettivo, come accade in natura nel caso di colonie di insetti, stormi di uccelli, branchi di pesci oppure mandrie di mammiferi.  Secondo la definizione di Beni e Watt la swarm intelligence può essere definita come: “Proprietà di un sistema in cui il comportamento collettivo interagisce  in modo collaborativo producendo risposte funzionali al sistema”, sia ben chiaro, non inteso in senso speculativo e in funzione di un risultato economico, bensì, di una risposta partecipativa in funzione di un concreto apporto creativo  “non autoritario”, proprio come avviene  nella prassi collaborativa e democratica del movimento della  Mail art.

Una considerazione doverosa da fare sul lavoro di Cohen è quella di aver messo,  “fuori gioco”, ancora una volta,  il vecchio sistema ufficiale dell’arte,  relegando fuori dalla porta personaggi equivoci come i galleristi, i critici d’arte e persino i collezionisti di opere d’arte dal momento che  lo scambio delle opere prodotte avviene tra gli artisti del Network. Quindi, le opere realizzate non vengono trattenute e conservate dall’artista in vista di un  consueto profitto ma inviate ai rispettivi collaboratori. Con la spedizione postale  delle stampe i collaboratori, utilizzano i propri archivi, diventando altresì collezionisti delle opere ricevute Spesso, con i lavori “Brian Cell” realizzati  nei vari tour che ogni anno    l’artista fa in giro per il mondo  si organizzano delle mostre come per esempio la mostra realizzata nel 2018 a Pontassieve in occasione della “XXVII Rassegna internazionale “Incontri d’Arte”. Risulta ancora quanto mai complicato e difficile organizzare tradizionali mostre con i “Fractal Portrait Project” proprio per la reale difficoltà a reperire e raccogliere concretamente le diverse opere donate nel tempo agli amici artisti rappresentati, tuttavia qualcosa di concreto si è fatto già. Per quando riguarda i progetti “Fractal Portrait” svolti  da Cohen in quasi 24 anni nel campo della performance vogliamo evidenziare un lato ancora poco conosciuto, soprattutto alla conoscenza delle opere “Body” e della serie delle slhouette del corpo create a partire dal 2001 in poi fino a oggi, realizzate  dall’artista giapponese  in particolari momenti collettivi unendo insieme diversi fogli Brain Cell in cui i soggetti, gli amici incontrati nei vari tour vengono invitati a farsi fare un ritratto da Cohen o a  distendersi a terra sopra questi fogli Brain Cell,  con l’artista  impegnato  per l’occasione a  disegnare e rilevare il contorno immediato del corpo. Una sorta di “performance estemporanea e collettiva”, prima di procedere alla  consueta realizzazione dell’opera. Una performance “provvisoria” in funzione della realizzazione dell’opera. Tutto ciò, seppur con le dovute differenze di lavoro, lo lega indissolubilmente al suo  caro amico Shozo Shimamoto, divenendo  il naturale  attivo continuatore  dell’arte di ricerca oggi in Giappone.  Per questa mostra personale dell’artista giapponese  sono  presenti in mostra 69 opere della serie “Brain Cell Coronavirus” realizzate tra il 2020 e il 2022.

 

Evento segnalato da Ufficio Stampa Archivio Ophen Virtual  Art di Salerno