Progetto Internazionale “LiberaMente / IS CONTEMPORARY ART A PRISON?”
Sandro Bongiani Contemporary Art
International Collective of Contemporary
Art
LiberaMente “IS CONTEMPORARY ART A PRISON?”
edited by Sandro Bongiani
at the Sandro Bongiani Vrspace Gallery
from Monday 2 October to Saturday 16
December 2023
Opening Monday 2 October 2023 at 6pm
HOURS: every day from 00.00 to 24.00
https://www.sandrobongianivrspace.it/
EMAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com
TELEPHONE FOR INFORMATION: +39 3937380225
... cari amici ora vi racconto la situazione dell'arte contemporanea nel mondo.
“L’arte contemporanea, la prigione e il mercato delle vacche grasse”
Presentazione di Sandro Bongiani, 30 settembre 2023
Riprendo
il lavoro svolto in un seminario organizzato a Palermo, da Luigi Russo nel 1982,
di una inchiesta “sociologica” volutamente provocatoria, una sorta di progetto
partecipativo di un artista argentino Horacio Zabala che aveva inviato negli anni 70’ a duecento
persone di ventitre paesi un foglio bianco con l’intestazione “Oggi l’arte è un carcere”. Una
campionatura delle numerose risposte poi pubblicate in un volume nel 1982. Dal
seminario i contributi di Mario Perniola, Ermanno Migliorini, Enrico Crispolti
e il filosofo Jean Baudrillard sono stati tutti
concordi nel ritenere che l’arte può essere anche una
prigione. Per l’occasione il filosofo Mario Perniola scriveva "l'arte è un carcere, perché gli artisti sono
dei carcerieri; essi tengono imprigionata la creatività che si potrebbe
manifestare nella società con ricchezza di forme e di espressioni".
Il carcere per le false avanguardie è la
società, il suo astratto ordine pianificato. Perché questa premessa, perché
l’arte proposta dal sistema culturale ufficiale viene pianificata
da tempo in funzione di un ritorno economico sia del gallerista che dell’artista e anche dal curatore di turno che preferisce
essere utile al sistema accettando il ruolo di subalterna condizione.
Di fatto, l'arte "ufficiale" si adatta alle tattiche e alle mode
pre-confezionate producendo oggetti
spesso sciatti che la critica asservita, cerca in tutti i modi di
avvalorare, dando motivazioni di vario genere a giustificare le qualità che a
volte nelle opere non c’è. Anche da queste considerazioni nasce il mio
interesse a utilizzare da tempo delle “piattaforme alternative
virtuali” proponendo l’altra faccia della medaglia dell’arte; quella
che a lungo viene celata rispetto i dettami imposti nel panorama del sistema
dell’arte ufficiale. Proposte e
esperienze di ricerca varie che io riassumo complessivamente come “operazioni marginali
attive”.
“Lo stereotipo dell’arte è
l’anticamera del pregiudizio e del provvisorio”
Viviamo una situazione anestetizzata, decisamente provvisoria
che non permette una riflessione seria della nostra precaria
condizione. La monotonia delle proposte e l'attenzione
ansiosa e assillante verso il mercato e il collezionismo non aiuta
molto, con personaggi assoldati a vario titolo che costringono
l'arte alla dispersione e
all'inerzia delle idee. L’atto creativo deve tornare a essere
fondamentale criterio fondante dell’agire artistico e nel fare ciò occorrerà
indagare la vita per restituire i fremiti e le essenze percettibili del reale,
divenuta da diverso tempo materia di inutili sconfinamenti anacronistici che non evidenziano
affatto il ruolo che deve avere la ricerca artistica votata oggi, insistentemente
allo stereotipo e alla ripetizione del già fatto. In queste precarie
condizioni ci chiediamo se l'arte oggi sia costretta a
condividere la prigione oppure se può avere ancora un auspicabile
ruolo di fattibile orientamento per il
nostro provvisorio prossimo futuro?
Che differenza c’è tra ‘prigione’ e ‘carcere?
Per attivare questo progetto internazionale di arte partecipata ci siamo chiesti quale parola utilizzare per definire questa condizione di costrizione. Che differenza c’è tra ‘prigione’ e ‘carcere’. L’arte contemporanea, secondo noi, non è un carcere ma una prigione. La parola “carcere” deriva dal verbo latino coerceo che significa contenere ma anche domare, reprimere, frenare, costringere all’obbedienza, mentre la parola “prigione” non è sinonimo di carcere ma di “reclusione” progettato come spazio di controllo, sorveglianza e ubbidienza. La prigione, pertanto, ha una funzione meramente preventiva, rimane decisamente funzionale a “raffreddare” le passioni di contrasto, prima di ritornare a partecipare al teatro della vita. Per cui lo spazio della prigione non è delimitato da mura fisiche, l’invisibilità su cui si fonda l’apparato di controllo si estende alla realtà attraverso i sistemi di reclusione dell’artista da parte del potere e del sistema dell’arte.
Il
Sistema dell’arte è davvero una prigione?
Nel dibattito odierno sul Sistema dell’arte proposto recentemente da Achille Bonito Oliva su Robinson di Repubblica emerge una visione contraddittoria del termine “Sistema” che ABO utilizza appositamente per enfatizzare il ruolo cruciale e fondante per l’intera esistenza dell’Arte e dell’artista, celando opportunamente altri vissuti, come per esempio, il sistema mafioso, massonico, speculativo, lobbistico, politico che la parola nasconde. questo suo celebrato “sistema” dell’arte a noi sembra come un insieme di figure dotate di grande potere decisionale ed esecutivo, una sorta di consorteria affaristica, saldamente strutturata e motivata, per niente inclusiva di cui fanno parte i soliti Artisti, Critici, Curatori, Gallerie, Collezionisti, Musei, Fondazioni, Mass Media e Mecenati tutti uniti tra loro e partecipi a questa mattanza del mercato e alla gestione totalitaria a circuito chiuso dell’Arte. Un sistema decisamente affaristico con una rigida casta strutturata e autoreferenziale, che sceglie e decide per noi quello che deve essere proposto o negato. Il problema è la metamorfosi ed inversione di ruoli che ha subito negli ultimi cinquanta anni il mondo dell’Arte con la critica sostituta da rampanti “Curatori demiurghi” votati a essere complici di un sistema corrotto che penalizza di fatto tutto ciò che è fuori da interessi personali e di gruppo. Dopo gli anni 70’ e 80’ questo fenomeno che ha inciso negativamente su tanti artisti delle ultime generazioni risulta ancora più complesso a causa di inappropriate imposizioni e privazioni, che da lungo tempo gli artisti non uniformati subiscono. Di certo questo “Sistema” consolidato dell’arte globale, rappresenta, sempre di più, l’immagine fedele della nostra precaria società che cerca ossessivamente l’evento plateale alla ricerca del piacere e del divertimento fine a se stesso negando all’artista e all’opera una possibile riflessione del mondo.
Viviamo ormai in un mondo uniformato e globale in cui abbiamo perso il valore della creatività e avvalorato la provocazione “tout court” fine a se stessa. Ormai si naviga a vista in un territorio sterile irto di dubbi e d’incertezze. Arte o Flop Art? Prima o poi, bisognerà mettere a nudo la grande truffa che ci costringe a credere, in nome della contemporaneità, che tutta l’arte sia quella che oggi viene presentata e imposta dal sistema ufficiale. Il gesto provocatorio di Marcel Duchamp aveva un senso e una logica negli anni 20, oggi viene imitato e utilizzato come atto formalistico e non più provocazione esistenziale.
Un
tempo, infatti, la provocazione sconvolgeva e destabilizzava i benpensanti e i
moralisti, mentre oggi, nascendo come solo pretesto ha perso la forza distruttiva e mordente della
dissacrazione per essere docilmente
assorbita e resa innocua asetticamente
come elemento codificato fine a se
stesso. Per il momento la parola d’ordine
è “Il suo valore
risiede nell’idea”, con “l’idea di azzerare tutte le
idee” facendo affiorare l’inconsistenza del pensiero divenuto vuoto e fenomeno provvisorio
del giorno. Anche in questo caso il sistema autoritario dell’arte si fa
promotore, interprete e garante del pretesto assunto a opera d’arte in quanto
oggetto svuotato a servizio del mercato ufficiale dell’arte globale. L’importanza di Duchamp sta
tutta nella pratica di inscenare interferenze e attriti all’interno
dell’avanguardia, assai poco giustificabili
e lecite oggi se proposte in questa nostra attuale contemporaneità da
personaggi (artisti curatori e mercanti) che vogliono “addomesticare”
volutamente la portata rivoluzionaria di
questo artista.
Come
possiamo accettare oggi la performance della finta spiaggia “Sun & Sea” con annessi
bagnanti e figuranti in tenuta balneare
con sottofondo leggere arie di
finta operetta che si percepivano qualche anno fa nel padiglione della Lituania
alla 58a Biennale di
Venezia del 2019. L’opera Sun
& Sea (Marina) affronta
con leggerezza teatrale una situazione “soft”, si rivolge ad un pubblico
disponibile presentando l’accadimento
con toni ammiccanti e del tutto familiari. Decisamente una scena piacevole e
ludica da Luna Park per una giornata piacevolmente spensierata da passare in
modo diverso sotto il segno della finzione scenografica. Che dire poi, di
una apprezzata saltimbanca italiana da
sagra paesana “cavese” che incentra la
sua pratica artistica sulla partecipazione pubblica attraverso la
“spettacolarità”, coinvolgendo intere comunità sociali in azioni performative di incontro in cui
vari media come la danza, la musica, l’azione
scenica e i neon si riversano per divenire accadimento e momento
puramente estemporaneo e collaborativo. Ormai in arte tutto fa brodo. Di certo, l'arte è stata uccisa ma è mantenuta ancora in vita come merce, e
anche come spettacolo, con il fruitore che fa parte a pieno titolo della messinscena, di una spettacolarizzazione
globale dove esserci è importante “perché così siamo” in questo povero pianeta
di nessuno. Un mondo decisamente
ribaltato al contrario in cui gli accadimenti provvisori prendono il
posto della tensione e dell’invenzioni
creativa. Performance, grandi installazioni, accadimenti multidisciplinari temporanei e
teatrali a cielo aperto, tutto diventa esibizione e
spettacolo. Di certo, la teatralità è una costante di tanti autori
contemporanei votati al successo e alla condivisione al sistema ufficiale
dell’arte. Ormai, le opere devono solo stupire se vogliono essere prese in
considerazione dal sistema, che preferisce soluzioni ludiche e progetti
dove la partecipazione attiva del
pubblico nel processo estemporaneo e
creativo è prioritaria.
Alle performances plateali dei musei
compiacenti vi è anche la proposta del
Van Gogh Museum di Amsterdam che propone persino un videogioco con i Pokemon. Oggi
tutto è spettacolo con l’opera pensata
soprattutto come divertimento e lunapark, il suo destino è soltando stupire
e divertire il fruitore che ignaro si avventura
in queste torbide acque prima di essere interamente assorbito. Si badi
bene, non sto parlando del nobile teatro ma di stratagemmi per attrarre il grande pubblico a questi
eventi fine a se stessi. Che
sia tutto ciò il tentativo di omologare e uniformare le coscienze in un
addomesticamento collettivo e planetario? Sovraprestazioni, sovracomunicazione,
sovrastimolazione, sono, secondo il filosofo coreano Byung-Chul Han, le
caratteristiche del nostro presente. La società senza dolore e della sopravvivenza dove “il corpo acquista potere là dove lo spirito
si ritira”.
Un corpo
fragile, ipersensibile e rinunciatario, ossessionato solo dall’idea di
sopravvivere. Da questa situazione perfino l’arte contemporanea ne viene profondamente
contagiata. Gli artisti mainstream – secondo Byung-Chul Han - come Ai Weiwei oppure Jeff Koons, sono
portatori di “levigatezze specchianti”. “L’opera d’arte provoca un urto, scuote chi la contempla. La
levigatezza vuole soltanto piacere, non scuotere”.
Nel mondo di oggi,
“dell’l’inferno
dell’Uguale”
siamo
prigionieri della società della depressione dalla quale è stata
eliminata ogni alterità e certezza, ogni estraneità non consona ai dettami del potere
culturale imperante.
Insomma,
il problema sta tutto in questo cambiamento di idee e di scopi essenzialmente mercantili, imposto anche dal sistema globale
dell’arte che ha preferito rimpiazzare il critico d’arte e assumere a proprio
servizio nuove figure come i curatori,
per imporre in modo più sicuro le
proprie scelte. Ora tutto è possibile, anche
giustificare la produzione di
qualsiasi artista da imporre
accreditando, di volta in volta, un ipotetico valore estetico. È
in questo passaggio e “transitabilità”, da un oggetto qualsiasi in una
accondiscendente valutazione estetica, che si ha la valorizzazione di un qualsiasi
oggetto-feticcio a opera d’arte. Di fatto, non esiste più la categoria dei
critici d’arte come s’intendeva un tempo, ma solo una finta e innocua azione critica da parte
di molti per un fine essenzialmente
speculativo, e secondo una logica produttiva
utile al mercato. Un tempo l’arte
veniva scritta passo dopo passo, dopo altrettanti verifiche posteriori,
mentre ora, secondo questi fantomatici personaggi è da consegnare già alla
storia. Troppi artisti, troppo mercato, troppe mostre, troppo denaro agitano
gli animi che circola a valanga in nome
dell’investimento finanziario e della speculazione. Le ultime avvisaglie riguardano
l’interessamento complice da parte del sistema dell’arte della Street Art e
della Cripto Art, due fenomeni recenti da imporre per ossigenare il mercato,
piuttosto che interessarsi e sostenere,
come coscientemente dovrebbe essere,
artisti e visioni di lavoro che incarnino compiutamente
l’originalità del pensiero creativo anziché la trovata occasionale e
provvisoria. Diceva
Duchamp, “l’artista del futuro dovrà scendere in clandestinità altrimenti sarà
assorbito dal mercato”. Oggi per l’artista contemporaneo, la
ricerca e la creazione sono l’unica soluzione se vuole sopravvivere a questa
catastrofe imposta dal sistema ufficiale dell’arte con un atto di cosciente resistenza al mercato e alle sue
astratte leggi.
Arte, denaro e
media: parlano gli artisti
L’artista Emilio Isgrò confessa che “oggi se non sei
omologato non arrivi, non ti
considerano. Alcuni artisti sono altamente quotati per motivi ignoti, c’è tanta
apparenza, poca ricerca e poca sostanza” Io non sono uno disposto a
tutto, ritengo che il mondo abbia più bisogno di poeti perché è un uomo libero
da interessi economici, l’arte che si faccia per comunicare è un concetto che ha
messo in giro un certo tipo di mercanti a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
Nel recente passato è stato diffuso il mito populista che l’arte debba
essere per tutti.’ Non è vero, non è per tutti. L’arte presentata e
destinata al pubblico come accadimento di un evento-spettacolo, non ha destino,
nasce e muore nel momento in cui accade. Il sistema ufficiale dell’arte, dopo
Marcel Duchamp, prodotta dal presupposto che l’arte è da considerare “tutta contemporanea” e che tutti, di
conseguenza, possono essere artisti ha preferito l’azione
creativa come evento comunicativo che ammalia il pubblico sempre più spesso
disponibile a condividere tali proposte. Non a caso le fiere, la visita alle
Biennali, il mettersi in fila per ore prima di entrare a vedere una mostra nata
da ossessivi tam tam pubblicitari sono
il chiaro indizio di un malessere di questa infelice società, che per paura
della solitudine e di un possibile protagonismo, (diceva Andy Warhol, 15 minuti
di successo non si negano a nessuno), desidera
essere compartecipe di tali
proposte dove è consentita la sola partecipazione e non la riflessione. Questo
infame stratagemma commerciale fa parte del sistema ufficiale politico e
culturale dell’arte.
La polemica del giorno nasce oggi anche e soprattutto, dalla assenza permanente della critica d’arte e anche da insensate affermazioni come quelle di Achille Bonito Oliva, A.B.O o se preferite B.O.A, che qualche mese fa ha rivolto agli artisti affermando: “voi non vendete, non siete artisti”. Un dibattito in corso tormentato fatto di attacchi, secondo le diverse fazioni, con risposte al cianuro che avvelenano il dibattito in corso. Per l’occasione anche Ugo la Pietra, artista di primo piano della scena italiana dal secondo novecento a oggi ci da una sua personale versione. Già nei primi anni 70’ in occasione di una manifestazione artistica a Belgrado, Bonito Oliva aveva spiegato agli “artisti” jugoslavi che pur essendo produttivi in termini di opere realizzate, di fatto non potevano essere considerati artisti, sentenziando: “L’arte è tutta quella che sta nei libri di storia dell’arte”, e “le vostre opere potranno essere definite opere d’arte solo quando verranno vendute ed entreranno nel sistema dell’arte”. L’arte, secondo lui, per certi versi vale s’è legata al “risultato, aggiungendo: un’opera e il suo autore in questo momento storico valgono quando hanno una funzione, e una funzione pratica; se riescono a inserirsi prontamente in un determinato contesto fatto di risultati concreti, di riconoscimenti per esempio, o comunque di comunicazione e di informazione. Un’opera si realizza e si concretizza, per così dire, solo nella sua rappresentazione comunicativa” - aggiungendo -“Difficilmente oggi un’opera che non attrae l’attenzione, che non salta all’occhio riesce a esistere”.
Ma cosa pensano gli
artisti partecipanti a questo progetto internazionale?