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La mostra si avvale di una selezione di trentacinque pastelli, di
medio, piccolo e grande formato, dedicati al paesaggio siciliano, soggetto di
elezione della ricerca artistica di Nucci: le case padronali, le mura di cinta
invase da rigogliosi fiori rampicanti, le palme nella loro maestosa bellezza.
Gli orizzonti di Nucci
evocano varchi verso l’infinito, porzioni di cielo che si sottraggono al caos
cittadino; una sorta di ritorno alle origini che favorisce l’ascolto del
silenzio e l’immersione nella Natura.
Una parte delle opere in
esposizione proviene da una preziosa raccolta di appunti, realizzati con i
pastelli su piccoli fogli, raccogliendo ricordi o testimonianze di viaggio,
fissati dall’artista nel momento dell’ispirazione.
Scrive Aldo Gerbino nel
testo di presentazione: […]
Tale impressionistica sostanza non può che confermarsi con Enzo Nucci, sia
nella geometria della palma, sia nella pastosa concretezza delle erbe, sia
nella calcinata, gessosa consistenza di conci, casolari, tegole affocate nel
sole meridiano, portando con sé, il peso ineffabile dei raggi, la storia
fotonica del nostro cosmo. Molto lo ritroviamo confermato nella stessa
meccanica del pastello congeniale all’artista, e non certo subalterno ai
pigmenti della pittura situandosi, per estatici trasognamenti, a maggior
sostegno del reale. […]
Vincenzo Nucci :
“Tra Luce, Malinconia e Memoria”
Vincenzo
Nucci da circa un quarantennio di ricerca dipinge ossessivamente i luoghi della
memoria, della malinconia, con antiche ville secolari dove il tempo si è
apparentemente rappreso e fermato. I suoi primi lavori negli anni Sessanta
hanno avuto come tema centrale la guerra in Vietnam e il terremoto in Sicilia
con una pittura pienamente aggiornata rispetto l’esperienze culturali e
artistiche che si svolgevano in quel tempo in campo internazionale. Dopo circa
un decennio di attività, di colpo, ha visto l’artista siciliano allontanarsi
dalle vicende prettamente sociali e il tema ricorrente della sua pittura è
diventato soltanto la sua Sicilia. Per diversi anni Vincenzo Nucci ha
continuato a osservare curioso il paesaggio della sua fascinosa Sciacca con la
casa padronale e le inquiete buganvillee fiorite dai colori vellutati che si arrampicano
avidi a scrutare il mare Mediterraneo e l’orizzonte immacolato dell’Africa
araba. Per molti anni l’artista ha dipinto in modo ossessivo solo paesaggi,
quei paesaggi del Belice con gli orizzonti dati come “logos indefinito”, come
superamento del dato provvisorio del reale e del visibile. Un visibile che
s’incarna nella figurazione ma nel contempo la trascende e la proietta in una
dimensione soffusa, intima in cui l’apparire si trasforma in essenza
malinconica carica di silenzio e di cose non completamente svelate. L’artista
ormai lavora sul crinale ossessivo di una figurazione in cui le immagini vivono
la dimensione sospesa e impalpabile del momento.
Sono
magiche visioni che si posizionano metaforicamente tra natura e storia, tra
coscienza e sofferta aspirazione. La tela di Nucci non è altro che il “sudario
della memoria”, dei ricordi rappresi, del passato trascorso che affiora come
dolce ricordo e si condensa in materia più concreta e lirica. La visione
dell’artista saccense nasce quindi da questa particolare capacità di
trasportarci in un altrove praticabile in cui sentiamo persino i suoni, gli
odori e i profumi delle diverse stagioni isolane; l’odore di terra dopo un
temporale, il profumo del basilico, le cicale sospese all’ombra di una palma
gentilizia a cantare e ricordarci i memorabili momenti di vita trascorsi
accanto ad un solitario casolare di campagna. Insomma, la pittura di Enzo Nucci
è intrisa di insolite memorie cariche di nostalgia e di profondo e assorto
silenzio. Il paesaggio per l’artista siciliano non è semplice descrizione o
pura sensazione percettiva ma inesorabile ossessione, struggente apparizione di
memorie di luce non del tutto corporee ma che lasciano comunque tracce
sostanziali ancora visibili. Tutta la sua pittura è intrisa di passato, di
ricordi sedimentati in una dimensione alquanto provvisoria ma immediata.
Per
il pittore siciliano, l’arte è essenzialmente evocazione, sortilegio,
vertigine. Forse il suo mistero sta tutto racchiuso nel suo magico studio
arroccato tra tante fitte case arabe pressate a dismisura sopra il porto che
formano la parte antica e più vera della città di Sciacca. Lì prendono forma i
ricordi e nascono le architetture e i giardini con insoliti paesaggi svuotati
di ogni presenza umana; solo la memoria della natura nella sua mitica essenza e
nel silenzio più maestoso. Una visione decisamente “sospesa”, di confine,
dilatata a dismisura che si concede ai flussi illogici dell’anima per diventare
aria, vento africano, apparizione e anche superba emozione poetica. Da lì,
l’artista scruta gli umori del giorno e elabora le sue misteriose visioni dai
colori tenui che si trasformano per incanto in tonalità di colore alquanto
ricercati. Come dice Philippe Daverio, “quell’architettura siciliana che
proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi
di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell'infinito della luce
e della percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue
contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al
sole il colore della loro identità mediterranea”. Secondo Nucci, Il percorso
pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di emozioni, di ricerca
infinita, di dubbi, e poi d’immagini, di silenzio assorto e anche di
interminabili viaggi che l’occhio compie in cerca di qualche autentica
certezza.
Quella
di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa
memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò
che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che
rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento
con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che
mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura
orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai
ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di
Nucci la luce è l’unica certezza, la vera presenza che può tentare di svelare
la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione in cui il sale
per strano sortilegio s’impasta con i delicati ricordi del passato e con il
sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in apparizioni misteriose,
sfuggenti. I ricordi di luce impressi nella tela attraverso la pittura non
posseggono una forma definita e definitiva, sono solo presenze che condividono
la dimensione di chi è diseredato e tenta invano di resistere, di esserci
ancora, “dove la natura - come dice Aldo Gerbino - si stempera nella grazia di
un estenuato ricordo, come sopraffatto da quella lacerazione nostalgica che
concede quel tanto che basti al passato”.
Una
natura ritrovata che nasce da un assiduo contatto con artisti del suo tempo
come Ruggero Savinio, Piero Guccione, Carlo Mattioli, legati da profonde
affinità di come poter trattare e intendere il visibile e anche dal continuo
approfondimento con il passato, come Pierre Bonnard che Nucci ama più di tutti
per la rara capacità che ha il pittore francese di trattare la dolce materia e
farla vibrare in delicate e ricercate intensità cromatiche. Nella pittura di
Vincenzo Nucci le antiche ville padronali dal tufo macerato dal tempo appaiono
come presenze sfuggenti, quasi apparizioni metafisiche. La densa materia del
colore ad olio o del pastello a contatto con la luce sembra che si sfarini
trasformandosi improvvisamente in essenza malinconica, in delicata e soffusa
presenza onirica con il vento maestoso e prepotente del Carboi che di notte,
all’ombra di una palma araba africana, sembra che sibili malinconici ricordi di
un tempo ormai trascorso e intanto di giorno accarezza compiaciuta l’aspra e
selvaggia radura ancora non domata del selvaggio Belice. Questa è l’emozione
che si respira guardando gli insoliti scorci paesaggistici in cui la luce
siciliana si distende beffarda come timida apparizione. Paesaggi della memoria
che incarnano provvisoriamente il mistero della vita, paesaggi in/cantati
rilevati nella dimensione più intima e sofferta dell’anima. Questa è la pittura
di Vincenzo Nucci. Sandro Bongiani
Enzo
Nucci (1941-2015) ha fatto di Sciacca, sua città natale, il punto di
riferimento ottico ed emotivo: La sua ricerca, continua e impegnata con l’uso
di molteplici tecniche, consegna al pastello la sua sostanza spirituale e
contemplativa. Numerosissime e qualificate le sue partecipazioni Collettive
(dalla Permanente di Milano al Palazzo del Vittoriano in Roma; dal Premio
Michetti al Palazzo Reale di Milano alla LIV Biennale veneziana), così le sue Personali
allestite in gallerie private e in spazi istituzionali di prestigio. Dopo
l’esordio a Reggio Calabria nel 1960, si ricordano: Galleria La Tavolozza,
Palermo (1984); Palazzo Sarcinelli, Conegliano (1994); Galleria Forni, Bologna
(1995); Casa dei Carraresi, Treviso (1999); Stadtmuseum, Tubinga (2001);
Antologica Loggiato San Bartolomeo, Palermo (2003); Antologica ex Convento di
San Francesco, Sciacca (2008); Galleria Elle Arte, Palermo (2014);
Retrospettiva Casa Museo Scaglione, Sciacca (2019). Interessi critici: Philippe
Daverio, Marco Goldin, Vittorio Sgarbi, Giuseppe Quatriglio, Ruggero Savinio,
Aldo Gerbino, Enzo Siciliano, Marco Meneguzzo, Lucio Barbera, Stefano
Malatesta, Paolo Nifosì, Sergio Troisi, Tanino Bonifacio, Rita Ferlisi, Piero
Longo, Emilia Valenza, Valentina Di Miceli, Martina Corgnati, Sebastiano
Grasso, Piero Guccione, Eva di Stefano, Roberto Tassi.
Paesaggio siciliano
pastello cm 25x25, 2004
La mostra si protrarrà fino al 4 marzo 2020
Ingresso libero. Orari
16,30/19,30 (Chiuso domenica)
Per informazioni tel.
091-6114182; e-mail: ellearte@libero.it.website: www.ellearte.it
TUTTO PARLA DI TE
Poema Visivo di Giovanni Bonanno
dedicato a Vincenzo Nucci.
Ho attraversato antiche valli siciliane,
luoghi solitari e vecchi viali di campagna,
ho odorato l’essenze profumate delle passate stagioni,
le terre aspre e i sottili incanti con la Bougainville
che si arrampica generosa su vecchi muri di tufo bruciati dal sale
a vedere curiosa l’orizzonte africano che ancora incanta.
Tutto parla di te.
Ho scrutato l’acqua del Carboi che pare d’argento e seta fine
sdraiarsi come un vecchio stanco accanto
ad una palma araba
che lascia ombre sottili di silenzio
che sanno di ruggine e di profumi antichi.
Tutto parla di te.
Dalla terra d’Abruzzo c’è chi scruta ancora curioso la finestra
del porto di Sciacca
e continua a incantarsi per le sottili alchimie che nascono dall'anima,
di come suo figlio sa trasformare il piombo più nero del cielo d’inverno
e il rovente rame d’estate in verdi brillanti, in ocre preziose africane
e struggenti lacche di garanza che sanno di malva, di miele e di
sulla fiorita a primavera.
Tutto parla di te.
Solo la nostalgia, quella più sottile e inquieta
sa colmare il vuoto di un’intera stagione,
sa carpire l’essenza più autentica dell’esserci ancora,
emulando i favolosi ritmi e le antiche cadenze di tempo passato
nella penombra più vera di un’antica e solitaria casa padronale siciliana.
Natura, tutto parla ancora di te.
Giovanni Bonanno © 2010
Giovanni Bonanno © 2010
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