lunedì 10 giugno 2024

Alla Galleria Marco Fraccaro di Pavia la personale di Ruggero Maggi "Sfibrate fessure", fino al 6 luglio 2024

 

 


Collegio Fratelli Cairoli già Collegio Germanico-Ungarico

Dal 1971 il Collegio Fratelli Cairoli ospita mostre d’arte contemporanea: ad oggi sono all’attivo oltre trecento mostre. Il promotore delle attività espositive, il Rettore Professor Marco Fraccaro, stabilì la consuetudine del dono di un’opera d’arte al Collegio da parte di chi esponeva: si è così formato un patrimonio di oltre mille opere, che costituisce un vero e proprio museo diffuso, un fattore distintivo della nostra offerta formativa e culturale. L’arte di ricerca e d’avanguardia hanno caratterizzato gli eventi espositivi fin dalle origini, in particolare con la poesia visiva e la scrittura visuale. È pertanto con grande interesse e piacere che ho accolto la proposta della mostra di Ruggero Maggi, a sua volta poeta visuale e ricercatore in vari ambiti espressivi della neo e postavanguardia. La sua presenza in Collegio in occasione dell’evento “Arte sotto assedio” (maggio 2023, nell’ambito del Festival dei Diritti Umani, “Cupe vampe: saperi vietati, diritti negati”), con una conferenza e con l’esposizione di alcuni libri oggetto, ha stimolato questa progettualità condivisa, che si auspica duratura, all’insegna della sperimentazione artistica e della contaminazione culturale.     Andrea Zatti

 

Galleria Marco Fraccaro

Sfibrate fessure

Mostra di Ruggero Maggi

A cura di Giosuè Allegrini e Cristina Fraccaro

15 giugno – 6 luglio 2024

inaugurazione sabato 15 giugno 2024, ore 17.30

 

Ruggero Maggi, I giardini di Kiev, 2024, inchiostro e acrilico su metallo, 80x80x1,5 cm

 

Sfibrate fessure, mostra personale di Ruggero Maggi, a cura di Giosuè Allegrini e Cristina Fraccaro, si inaugurerà al Collegio Fratelli Cairoli dell’Università degli Studi di Pavia, con interventi di Andrea Zatti, Rettore del Collegio, Giosuè Allegrini, storico e critico d’arte, Cristina Fraccaro, storica dell’arte, Lorella Giudici, storica dell’arte e docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Stefano Schiavoni, Direttore del MAM, Museo d'Arte Moderna e della Mail Art di Montecarotto (AN).

La galleria che ospita l’evento è intitolata a Marco Fraccaro (1926-2008), genetista, Rettore del Collegio e promotore dell’arte contemporanea, che la inaugurò nel 1971; ha all’attivo oltre trecento mostre dedicate alla verbo-visualità e a tutte le forme espressive di ricerca d’avanguardia. Per tradizione, gli artisti ospiti donano un’opera al Collegio, divenuto così una collezione di oltre mille pezzi: un museo diffuso in un luogo dedicato alla cultura e alla formazione.

La rassegna è rappresentativa del percorso pluridecennale di Ruggero Maggi, che dall’inizio degli  anni Settanta si occupa di Poesia Visiva, Copy Art, Libri d’Artista, Mail Art, e, successivamente, si è dedicato alla sperimentazione del rapporto tra arte e tecnologia con installazioni olografiche e di Laser Art. Dal 1985 incentra la sua ricerca sullo studio della teoria del caos, dell’entropia e dei sistemi frattali.

Stratificazioni e sedimentazioni di pensieri in cui ambiente e storia si posano, si confrontano e si condensano, si presentano al nostro sguardo attraverso frammenti ambientali cintati da interventi artistici, fessurazioni, contaminazioni culturali e infine rinnovate chiavi semantiche e di conoscenza.

Nell’ultimo ciclo di opere, inedite, l’artista incide, disegna e poi ricompone su calcinacci, carte, plastiche e materiali vari il futuro, alla volta di un’arte universale e di pura creatività che offra processi mentali, stimoli creativi, scambi di idee.


Ruggero Maggi, Sfibrate fessure – Segnalibro, (dettaglio), 2024, disegno a china e smalti su cemento,  51x31x26 cm

 
 Ruggero Maggi, Sfibrate fessure – Farinata, (dettaglio), 2024, disegno a china e smalti su cemento, 41x27x32 cm

Ruggero Maggi, Sfibrate fessure – Greetings from Ukraine, (dettaglio), 2024, disegno a china e smalti su cemento, 48x20x19 cm

  

 

Ruggero Maggi, Per essere grandi, (dettaglio), 2024, disegno a china e polimaterico su carta, 50x50x5 cm

Ruggero Maggi, Matrice, 2020, collage e vernice oro su scheletri rettili, 50x50 cm

 


Ruggero Maggi, Fertile terra, (dettaglio), 2015-2020, libro oggetto, laser-cut, disegno a china su legno e luce led, 62x62x7 cm

Ruggero Maggi, Sguardofoglia, 2024, disegno a china su carta, 21x30 cm



Nella presentazione a questo evento  Cristina Fraccaro scrive:  “Sfibrate fessure” è il titolo, esteso all’intera mostra, di una serie di  sette opere appositamente realizzate, fra il 2023 e il 2024, per l’esposizione al Cairoli;  si tratta di sette macerie vere e proprie, effettivi resti di costruzione, di cemento e cotto, sui quali l’artista interviene con sapiente e finissimo tratto a inchiostro per proporre il tema della guerra, anche con riferimento a quella attuale fra la Russia e l’Ucraina, una terra, qui indicata dai colori della relativa bandiera, cui è dedicata anche l’opera “I giardini di Kiev”, 2024, su cartello metallico, assurta a logo dell’esposizione. Nelle macerie, alla crudezza del rosso sangue e alla miseria dell’umanità soverchiata dalla distruzione e ridotta ai minimi termini - letteralmente anche nelle minuscole figure plastiche - Maggi aggiunge, per la condanna dei conflitti, il ricorso all’ironia, nella “War school” o nella vendita a “Zero price” della città bombardata…

Crocifisso su un libro aperto a pagine bianche di innocenza, il Cristo sembra mantenere il suo potere salvifico per le generazioni umane - nonno e nipote in miniatura -, dell’umanità che pur continua, quasi in coazione a ripetere, a fare  guerre, mentre un’altra delle “Sfibrate fessure” presenta l’uomo, che si erge  invano fra i tormenti e in dannazione perenne, un Farinata degli Uberti che ci rievoca  gli esilii e le colpe dei padri che ricadono sui figli.

Materiali di scarto recuperati, o offerti dal caso, e fatti propri, riecheggiando una matrice Dada: macerie, frammenti e lacerti di oggetti vari a cui  Maggi, poeta verbovisuale dai primi anni Settanta, spesso aggiunge segni verbali, parole di scritte sue, o di righe e stralci da libri, anche su pagine lacerate, come quelle confluite nel libro oggetto “Interno Grotta”, o quelle che penetrano, quasi dita dalle mostruose unghie, ad afferrare uno spartito.

La notazione musicale è un altro linguaggio ricorrente, di grande resa visiva e a sua volta inclusivo, alla bisogna, di parole, per un brano cantato o per le indicazioni di interpretazione; chi vuol lasciarsi andare alle lettura di elementi verbali o musicali si immerge in ulteriori frammenti di senso. Componenti elettrici ed elettronici talora infilzati agli spartiti - ma non solo ad essi - rimandano al Metanetwork, a mezzi e mondi comunicativi frequentati da Maggi, - già protagonista della Mail Art ai suoi albori, nonché promotore del Mail Art Day - che timbra le sue opere  “Flux Art”.

È un’arte raffinata e impegnata quella di Maggi: contro la guerra, la dittatura, la violenta sopraffazione nei confronti di cittadini, dissidenti, etnie, minoranze. L’artista, che  già nel 2011 a Venezia istituì durante la Biennale il “Padiglione Tibet”, dedica varie opere al mondo dei monaci e del Dalai Lama, a favore dell’indipendentismo tibetano, secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli; nel libro oggetto “Fertile Terra”, le righe che trattano di una sorta di eroica e mistica convivenza con il dolore sono accostate al libro di Art Therapy - l’arte stessa è  salvifica - con mandala buddisti da colorare, un antidoto alla sofferenza e ulteriore arma di resistenza per il singolo, a fronte di un destino collettivo di lotta difficile.

È messa a tema anche la necessità del rispetto della natura,  come nell’opera per lo stop alla deforestazione in Amazzonia, area in cui lo stesso artista ha vissuto; un ambientalismo consapevole di quanto l’uomo, che della natura è parte,  sia quindi parte a sua volta danneggiata, a iniziare dagli stessi indigeni qui fotografati, per arrivare a tutti gli altri esseri umani, compresi gli assetati di profitto (di profitto tratta anche la pagina inserita in “Il buon giardiniere”), di quella ricchezza in nome della quale si annienta il funzionamento del sistema-natura.

Maggi è osservatore ossequioso della natura, ne (rac)coglie elementi, ormai inermi, riscattandoli dopo la morte o il danno prodotto dall’uomo, come avviene per la lucertola sublimata in eterna doratura. È uno studioso tenace, affascinato dai frattali - presenti qui in alcune opere -, dalla relazione fra arte, natura e scienza (ars sine scientia nihil est), fra caos e ordine, fra tempi dell’origine - “Big bang poetry” - e dimensioni spazio temporali altre. È interessato alla luce, fautrice d’ombra, al neon, al laser, all’olografia e alle relative applicazioni per  la ricerca artistica, ma usa anche materiali naturali primigenii. È uno studioso - come l’uomo dell’opera “Per essere grandi” - a suo agio nel percorrere, senza che lo scarto fra natura e cultura sia di ostacolo, tutte le strade della ricerca. “Il vero artista è il ricercatore” dichiarava Ruggero Maggi, un “caotico casuale” intervistato da Giovanni Bonanno negli anni Novanta.

Giosuè Allegrini lo definisce a ragione homo novus e parla a suo riguardo di umanesimo. Sete di conoscenza, di sperimentazione, di ricerca del vero che è tale in quanto esperibile, verum ipsum factum (la verità è nello stesso fare) di vichiana memoria; l’uomo artista è artifex, assegna valore alle proprie azioni e al contempo assume eticamente la responsabilità del proprio fare.

Un’arte di verità, razionalità ed etica, quella di Maggi, uomo libero da etichette, svincolato dalle mode; ma sono la sua sensibilità, la sua empatica sofferenza e il suo talento a far sì che tali componenti si esprimano appieno, catturando in toto lo spettatore, che, pur nel godimento estetico ed emozionale, non può sottrarsi al monito contro il disimpegno morale. Della sua arte, là dove essa affronti aspetti tragici, e “verità scomode” Lorella Giudici (Studio Dieci, febbraio 2023) riconosce il ruolo sociale: “aprire le menti di chi si pone in ascolto di ciò che l’artista ha da dire”.

Non manca in mostra un omaggio a Pierre Restany (“Dedica a Pierre, la vita è colpa dell’arte, 2019), il grande critico del Novecento, con cui Maggi ebbe proficui scambi intellettuali e profonda amicizia e a cui dedicò alla Biennale veneziana del 2007 la “Camera 312 - promemoria  per Pierre”; per Maggi Restany è una “carismatica figura di riferimento per diverse generazioni di liberi pensatori, di critici d’arte, di poeti e di artisti” e nei suoi racconti lo rievoca spesso, a riprova del fatto che in lui trova rispecchiata la propria anima di ricercatore.  




RUGGERO MAGGI

Communication a distance concept

  

Ruggero Maggi, Ho fatto semplicemente della morale in azione, 2020, libro oggetto

 

Il titolo attribuito al presente saggio, attinente alla rassegna di Ruggero Maggi presso la Galleria “Marco Fraccaro”, storico spazio espositivo del Collegio Universitario F.lli Cairoli di Pavia, prende spunto dall’omonimo libro del 1971 del critico francese Jean-Marc Poinsot: “Mail Art: Communication a distance concept”. Ciò per evidenziare l’attitudine e il portato artistico del pensiero creativo di Maggi che si sviluppa sì secondo singoli progetti, diversi fra loro, ma che possiedono un unico comune denominatore, un cammino ideale retto da universalità e condivisione dell’azione, da decontestualizzazione e casualità creativa, da autocoscienza popolare e progettualità etico-sociale. Dunque questo figlio ideale di Mallarmé, cugino ipotetico di Depero, amico intimo di Pierre Restany (questo assolutamente sì!) appartiene a quel prezioso filone Dada-Futurista, spartiacque fra l’Arte Astratta Geometrica e l’Arte Astratta Non Geometrica, che tanta soddisfazione ha concesso al mondo dell’arte nel corso del ‘900.

Il primo ingrediente è rappresentato dal concetto di “ethernal network”, elemento specifico della Mail Art, di cui Maggi è stato fra i più rilevanti esponenti internazionali, da intendersi quale strumento creativo costantemente aperto alla pluralità che ha saputo creare una forte connessione fra arte e vita sulla base di un rapporto etico-estetico non convenzionale, a sua volta mutuato dall’esperienza Fluxus e dai dettami ispiratori neoavanguardisti di George Maciunas.

Il secondo aspetto della ricerca espressiva di Ruggero Maggi consiste nel rifiuto delle logiche di comodo, governate da sonnolenti intellettuali o funesti governanti, alla volta della celebrazione del concetto di Arte Totale di wagneriana memoria, ossia un’arte che sia contenitore e veicolo di dettami universali e dunque in grado di superare confini, idiomi, culture, in un afflato di pluralismo e condivisione generalizzato che consenta di rendere l’uomo per quello che è: un essere sociale fatto di logos, pensiero e carne.

Giungiamo così al terzo elemento caratterizzante dell’opera di Maggi: quel portato creativo teso a realizzare una scultura sociale democratica e partecipata, antropomorfa e teosofica, cioè improntata alla coscienza universale secondo un modellato plastico che si apra a rinnovate prospettive di un mondo senza più sterili velleità autoreferenziali, beceri e strumentali confini, gioghi d’inaudita e spesso incomprensibile violenza.

La coscienza del mondo, così inteso, ha come valore fondante il concetto di Bene Comune e dunque la costituzione di un fronte mobile di persone, culturalmente e socialmente militanti, che anziché prodigarsi nella mera sperimentazione di nuovi linguaggi creativi ha seguito la strategia del contagio sociale al fine di creare una rinnovata consapevolezza dell’essere umano e delle proprie azioni.

La ricerca di Maggi è dunque sempre di natura comunicativa, etica e morale, in una parola: vera. La morale di Maggi è la morale di un'azione umana che si confronta con se stessa e con l’universo che la circonda. Il vero che si sostituisce al bello e che pone sotto la lente magnificatrice l’equazione universale Arte-Scienza-Comunicazione-Umanesimo, che porta ad una soluzione univoca: la consapevolezza dell’Io sociale dell’essere umano, quell’ego razionale, emozionale e soprattutto solidale, verso di sé e i propri simili.

Il suo linguaggio espressivo giunge così a declinare elementi di alta tecnologia con materiali primigeni, la sofisticazione con il primitivismo, esattamente come nel caso della mostra che ci occupa. È peraltro storia consolidata che uno dei primi a utilizzare il Laser e l’Olografia in arte, in Italia, fu Ruggero Maggi; lo stesso dicasi per l’utilizzo della Teoria del Caos e i Frattali, la Copy Art e la Mail Art, di cui è stato fra i pionieri. Un’arte quindi sintetica, interdisciplinare, decontestualizzante e al contempo consapevolmente e profondamente vera e bella, nel senso latino dell’accezione, quale quella profusa da Maggi, che ha sempre lavorato per rifondare a livello antropologico l’esperienza artistica attraverso un florilegio sperimentale di possibilità tecnologiche abbinata a materie primarie ed elementari del nostro pianeta.

Un homo novus rinascimentale in cui coesistono il post-aristotelismo (come bagaglio tecnico di base) e il neoplatonismo (come intento ideale), con il fine ultimo di giungere ad uno stato di bellezza che come già espresso non è di mera valenza estetica, bensì una bellezza etica; la bellezza che deriva dalla scoperta del vero, dalla scoperta della verità delle cose e degli accadimenti e che costituisce la motivazione originaria di questa esperienza: quella di proporre un'arte diffusa fuori dagli schemi del sistema, accessibile a tutti, che offre più che opere e prodotti, processi mentali, stimoli creativi, scambi di idee.

Un cammino dunque quello espresso da Maggi che si snoda attraverso il Lettrismo di Isodore Isou, la Poesia Concreta di Belloli, la Poesia Visiva di Tola, la Scrittura Visuale di Carrega, ma anche il concetto di partecipazione e condivisione della pratica artistica annoverato dal Situazionismo di Guy Debord e l’Happening di Allan Kaprov, giungendo così a Fluxus del già citato lituano-americano George Maciunas, che intendeva fondere insieme il binomio arte-vita, ossia arte come espressione dello scorrere continuo della vita. Da lì a Ray Johnson il passo compiuto da Maggi è breve e con esso l’approdo ideale alla New York Correspondance School of Art (termine coniato da Plunkett e utilizzato dallo stesso Ray Johnson), fondata nel 1962. Nonostante nel 1973 lo stesso Ray Johnson in un afflato di creatività, d’impronta dadaista (la stessa cosa fece nel 1924 Tristan Tzara con il movimento Dada), avesse dichiarato la Mail Art morta, in realtà essa prosperò e si espanse sempre più. Ruggero Maggi ne è tutt’oggi la prova vivente come Paulo Bruscky in Brasile, Clemente Padin in Uruguay, come lo sono stati Edgardo Antonio Vigo, Shozo Shimamoto, Joseph Beuys, Daniel Spoerri, Guglielmo Achille Cavellini, il mitico GAC, di cui Maggi è fecondo e illuminato successore.

Ruggero Maggi, poi, con Progetto Amazzonia, Mail Art Snake, Progetto Ombra e con i vari altri formidabili progetti artistici via via coniati, da Padiglione Tibet a Padiglione Birmania, a Padiglione Ucraina, per giungere all’odierna rassegna espositiva “Sfibrate fessure”. Essa rappresenta un’efficacissima sintesi del passato trascorso e al contempo di autocoscienza popolare verso tutti gli “ismi” condizionanti del mondo, procede con una rinnovata stratificazione tangibile di riflessioni, pensieri, in cui ambiente e storia si posano, si condensano e si sovrappongono presentandosi al nostro sguardo attraverso frammenti ambientali cintati da interventi artistici, fessurazioni, contaminazioni culturali, alla volta di rinnovate chiavi semantiche e di conoscenza.

La causa scatenante, del resto, è nota: c’è stata una frattura fra l’uomo e l’ambiente, fra l’uomo e la storia, fra l’uomo e la sua stessa essenza, che non può essere ricucita con mezzi convenzionali. Ecco perché Maggi ha spesso affrontato situazioni e temi legati al destino profondo dell'Uomo, al suo ruolo ed alla sua funzione sul pianeta, soppiantando così i canoni tradizionali dell'Arte, specie di carattere mimetico e decorativo. Ecco perché qui Maggi incide e disegna e poi ricompone nel segno disegnato e inciso sui calcinacci delle case, sulle carte, sulle plastiche, su materiali vari, un futuro nuovo, restituendo al contempo una purezza paragonabile ad un anno zero della cultura, come agli albori dell’umanità, come una volta si incideva sulla scorza dell’albero e della pietra. L’occhio diviene così la nuova mano che incide una materia che si è formata per successive accumulazioni, divenendo essa stessa un’entità antropomorfa.

Ciò che genera Ruggero Maggi, attraverso una sovrapposizione pittorico/scultorea su di un frattale materico/ambientale, è una visione “omotetica interna”, ossia una visione indotta che si adagia ineludibilmente su di noi; la pelle diventa così una membrana sensoriale con la quale l’essere umano si mette in relazione empatica con tutto ciò che lo circonda. Una sorta di frattali etico-ambientali che si trasformano in un’immensa accumulazione di passati immagazzinati con lo scorrere del tempo.

Impegnando la spiritualizzazione della materia e la materializzazione dello spirito, l’artista giunge così a proporre un’arte come via di conoscenza, come matrice degli eventi della storia dell’uomo. Lo spazio della pura visione diviene così il luogo della coscienza, delle eterne germinazioni e della conoscenza, producendo rinnovati effetti di consapevolezza che consentano, a loro volta, di decifrare l’indecifrabile manoscritto del mondo, alla volta di un Rinnovato Umanesimo.   Giosuè Allegrini

 


Il catalogo presenta foto di Marco Valenti. La grafica è di Gabriele Albanesi. Traduzioni di Alessia Grinfan.

 Mostra realizzata con il supporto della Fondazione della Banca del Monte di Lombardia

 Inaugurazione sabato 15 giugno, ore 17.30

Visitabile giovedì, venerdì e sabato dalle 17.00 alle 19.00

15 giugno - 6 luglio 2024

www.collegiocairoli.it

Piazza del Collegio Cairoli 1, Pavia

0382 23746

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

 

 

venerdì 7 giugno 2024

Le opere di Paolo Gubinelli all’Accademia delle Arti del Disegno (Frenze, fino al 26 giugno).

 

“Nel Silenzio”, le opere di Paolo Gubinelli all’Accademia delle Arti del Disegno (Frenze, fino al 26 giugno).

 

 

                                                        

Paolo Gubinelli protagonista a Firenze con la sua opera negli spazi dell’Accademia delle Arti del Disegno. La mostra “Nel Silenzio” inaugurata lo scorso 14 maggio  è aperta fino al 26 giugno 2024

Le infinite aspirazioni dell’uomo, tra attese e speranze, dubbi e interrogativi legati al suo esistere nella ricerca dl un senso a questa vita dove tutto passa e poi torna, la solitudine che si fa silenzio da intravedere quale via per uscire dal soffocante rumore del materialismo e del bisogno di apparire che fa perdere di vista la propria autentica realizzazione, sono alcune delle tematiche presenti nell’opera di Paolo Gubinelli tra i protagonisti dell’arte contemporanea, capace come pochi di restituire quel respiro di appartenenza a questo viaggio in cui costruire ogni giorno il proprio destino. Un destino in cui si è chiamati ad essere artefici della propria realizzazione in armonia con il proprio sentire e con quanto intorno nel rispetto dell’altro, per quanto possibile, visti i costanti condizionamenti che tolgono spazio al libero arbitrio con cui si nasce. L’arte di Paolo Gubinelli, proiettata ad esplorare il divenire delle emozioni tra memoria e tempo presente, attraverso l’uso di diversi materiali dalla carta al cartoncino, dal vetro al plexiglass, accompagna in questo viaggio nel tempo/non tempo dei ricordi, desideri e aspettative, attraverso cui riflettere e ritrovare la propria autenticità quale capacità di guardare con altri occhi la vita e il suo divenire.

Marchigiano di origine (Matelica i1946) ma toscano di adozione, il Maestro Paolo Gubinelli attraverso studi di progettazione architettonica e grafica ha restituito anche con la tecnica dell’incisione nuova vita ai diversi materiali da lui trattati, primi fra tutti la carta mezzo di espressione artistica più adatto ad accogliere le trasformazioni lasciate dal segno appena accennato o più marcato nel raccontare stati d’animo lungo l’impalpabilità del tempo che sovrasta questa vita.

Fondamentali per i suoi studi nell’apprendere tecniche e segreti sono stati gli incontri con grandi maestri tra cui Bruno Munari, Enrico Castellani, Mario Nigro e poi Alberto Burri, Giuseppe Uncini, Enrico Castellani e Piero Dorazio, compreso Lucio Fontana dal quale apprende come determinante sia il concetto dello spazio che resterà fondante nella sua ricerca. Dopo diverse esperienze pittoriche su tela e altri materiali con l’uso di tecniche non tradizionali, Paolo Gubinelli si accosta alla carta: inizialmente lavorando il cartoncino bianco morbido al tatto particolarmente ricettivo alla luce, poi utilizzando al suo posto la carta trasparente, entrambi incisi in modo più e meno intenso secondo strutture geometriche sensibili al gioco della luce.

 

 

Paolo Gubinelli,  Graffi su carta, colore, spray, cm.70x84,  2022

 

 

Aperta alle combinazioni di materia spazio e luce dove protagonista è il segno accennato o inciso, abbozzato e definito su carta e altri supporti, la sua opera che invita a soffermarsi sul significato più profondo dell’esistenza, è protagonista dell’esposizione in corso a Firenze presso la Biblioteca dell’Accademia delle Arti del Disegno  (Via Orsanmichele) visibile fino al 26 giugno 2024.

 

La mostra “Nel Silenzio “inaugurata lo scorso 14 maggio 2024 presso il Salone della Biblioteca, dopo i saluti di Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno e Giorgio Fiorenza, Presidente della Classe DUS dell’Accademia, ha visto gli interventi di Andrea Aleardi, Direttore della Fondazione Michelucci – Firenze, Padre Bernardo Gianni, Abate di San Miniato al Monte – Firenze, Riccardo Guarneri, Accademico Emerito della Classe di Pittura e Gaspare Polizzi, Vicepresidente della Classe DUS dell’Accademia. All’inaugurazione era presente l’artista Paolo Gubinelli.

Il percorso espositivo a cura di Paolo Gubinelli e Enrico Sartoni, mette in risalto come incisioni, rilievi, tagli, piegature su superfici quali in particolare la carta, il cartoncino, ma anche il vetro, il gesso, comprese le installazioni, aprano ad un ascolto interiore partendo dal racconto dell’esistenza di cui sfuggono spesso alcuni aspetti per via di una società – come quella attuale- dai ritmi frenetici e poco attenta ad una vera comunicazione.

Attraverso la carta l’artista definisce lo spazio entrando nella terza dimensione, lasciando che a parlare siano segni e graffi incisi e in rilievo, i cui tratti sono esaltati dalla magia del colore nelle sue diverse tonalità pastello in cui ritrovare l’abbraccio di immagini che aprono a luoghi di natura tra terra e mare, acqua e fuoco a respirare sensazioni di l’infinito. Da qui il risveglio di una rinnovata consapevolezza con cui ricontattare quello stato, quasi come in origine, di perduta armonia proprio con la stessa vita.

 

 


Biografia Paolo Gubinelli

Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nella sua ricerca: conosce e stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti:  Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro, Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren. Partecipa a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in Italia e all’estero. Nel 2011 ospitato alla 54 Biennale di Venezia Padiglione Italia presso L’Arsenale invitato da Vittorio Sgarbi e scelto da Tonino Guerra, installazione di n. 28 carte cm. 102×72 accompagnate da un manoscritto inedito di Tonino Guerra.

 

Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici:

Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Vera Agosti, Mariano Apa, Paola Ballesi, Mirella Bandini, Carlo Belloli, Paolo Bolpagni, Mirella Branca, Vanni Bramanti, Anna Brancolini, Carmine Benincasa, Massimo Bignardi, Sandro Bongiani, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Roberto Cresti, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Fabrizio D’Amico, Roberto Daolio, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Carlo Franza, Francesco Gallo, Roberto Luciani, Mario Luzi, Marco Marchi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Marco Meneguzzo, Fernando Miglietta, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Elena Pontiggia, Pierre Restany, Davide Rondoni, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.

Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri:

Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni, Enrico Capodaglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Antonio Colinas, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Elio Pecora, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.

Stralci critici:

Giulio Angelucci, Biancastella Antonino, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Bongiani Sandro, Fabio Corvatta, Nevia Pizzul Capello, Claudio Di Benedetto, Debora Ferrari, Antonia Ida Fontana, Franco Foschi, Mario Giannella, Armando Ginesi, Claudia Giuliani, Vittorio Livi, Olivia Leopardi Di San Leopardo, Luciano Lepri, Caterina Mambrini, Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Neri, Franco Patruno, Roberto Pinto, Anton Carlo Ponti, Elisabetta Pozzetti, Rossi, Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Alvaro Valentini, Francesco Vincitorio.

Nella sua attività artistica è andato molto presto maturando, dopo esperienze pittoriche su tela o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita come mezzo più congeniale di espressione artistica: in una prima fase opera su cartoncino bianco, morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce, lo incide con una lama, secondo strutture geometriche che sensibilizza al gioco della luce piegandola manualmente lungo le incisioni. In un secondo momento, sostituisce al cartoncino bianco, la carta trasparente, sempre incisa e piegata; o in fogli, che vengono disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli che si svolgono come papiri su cui le lievissime incisioni ai limiti della percezione diventano i segni di una poesia non verbale. Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, il segno geometrico, con il rigore costruttivo, viene abbandonato per una espressione più libera che traduce, attraverso l’uso di pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, il libero imprevedibile moto della coscienza, in una interpretazione tutta lirico musicale. Oggi questo linguaggio si arricchisce sulla carta di toni e di gesti acquerellati acquistando una più intima densità di significati. Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, su tela, ceramica, plexiglass, vetro con segni incisi e in rilievo in uno spazio lirico-poetico.

 

 

PAOLO GUBINELLI

Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze – Solone della Biblioteca

dal 14 Maggio 2024 al 26 Giugno 2024 

martedì e mercoledì dalle ore 10.00 alle ore 12.30  e dalle ore  14.30 alle ore 16.30

lunedì, giovedì e venerdì su richiesta

 

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

 

 

Paolo Gubinelli, Graffi su Carta. Segno e Continuità, Museo Ribezzo di Brindisi

 

Paolo Gubinelli Graffi su Carta. Segno e Continuità.

Al Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” Brindisi  

la mostra del maestro Paolo Gubinelli

 

 Segno e continuità

Quotidianamente si compiono gesti volontari o involontari che vengono immortalati su oggetti o nello spazio intellegibile della nostra mente. Su un foglio, la nostra mano può tracciare una linea, un cerchio, un quadrato o qualsiasi figura geometrica dai contorni ben definiti o non definiti,  in un susseguirsi di immagini irrazionali che riempiono un foglio oppure i nostri pensieri.

Il segno affonda le sue radici nei meandri più profondi del tempo, in epoche lontane, che risalgono ai primordi dell’umanità. La dimensione arcaica del “fare segno” pervade già l’Homo di Neanderthal, il quale inizia a tracciare figure geometriche e casuali sulle pareti delle grotte, ponte di unione tra il sensibile e l’intellegibile, tra il terreno e l’ultraterreno. Ma al sopraggiungere dell’Homo Sapiens, durante l’Aurignaziano (30.000 anni fa), il mondo dei segni si fa più complesso. I segni tracciati con ocra, carboncino e alle volte graffiti sulla roccia calcarea, che li assorbe e li restituisce all’eternità, si combinano con figure rappresentative, con pittogrammi e ideogrammi, intrecciati in un apparente caos, che cela un inestricabile linguaggio.

Il segno continua a fare la sua comparsa nella cultura umana, di epoca in epoca, sfidando l’inesauribile trascorrere del tempo, restituendo all’umanità memorie di antiche civiltà. L’umanità si è evoluta e nella nostra quotidianità, abbiamo accolto il razionale, il logico, abbandonando il senso del magico dei nostri avi. Eppure, nonostante la perdita del magico, l’arte contemporanea ci permette di cogliere il significato di quel mondo perduto. Attraverso le opere su carta del maestro Paolo Gubinelli, si è cercato di coniugare antico (Cellino San Marco, Torre Guaceto, Punta Le Terrare, Masseria Guidone) e contemporaneo, dando forma al progetto espositivo del Museo Ribezzo. Un confronto tra due linguaggi separati da millenni, ma uniti da un’unica lettura che unisce l’archeologia e l’arte con il segno e la pittura, un’arte fatta di linee e segni, scaturiti dall’estemporaneità di gesti e pensieri che portano alla creazione dei “paesaggi dell’anima”. Un trait d’union tra memoria e presente, tra razionale e irrazionale, che porta alla riflessione sull’esistenza umana e ad una esplorazione più profonda del sè, tracciato ed immortalato su carta. Una forma di comunicazione, che riprende il senso magico e spirituale dei nostri avi, attraverso un’analisi intima che non implode, ma esplode graffiando la materia tra luci, colori ed ombre.

L’antico e il contemporaneo che si uniscono per raggiungere l’irraggiungibile. Sia gli stridenti graffiti sulla roccia, sia quelli sulla carta, sono destinati a comunicare, trava icando il breve ciclo  della vita umana.      (Arch. Emilia Mannozzi  Direttore Polo BiblioMuseale di Brindisi)                                     

 

Testo critico di:  

ANTONIO PAOLUCCI 2006

 


 

 

Entrare nell’arte di Paolo Gubinelli è operazione ardua e rischiosa; come una scalata di sesto grado superiore. Occorrono cuore fermo, mente serena, saldo allenamento, sperimentata consuetudine dentro i labirinti della contemporaneità. Ed occorrono agganci sicuri sui quali costruire, con metodo, il percorso. Al termine dell’ascesa, arrivati in vetta, gli sforzi saranno compensati (se la metafora alpinistica mi è ancora consentita) dalla argomentata e gratificante conoscenza di un artista che è da considerare fra i più geniali e originali dei nostri giorni. Ma intanto occorre partire e bisogna farlo scegliendo fin dall’inizio punti d’appoggio solidi e affidabili.

Comincerei – l’aveva già fatto l’amico Bruno Corà – da una affermazione del giovane Gubinelli, all’epoca agli inizi della carriera. “Il concetto di struttura-spazio-luce si muove nell’ambito di una ricerca razionale, analitica in cui tendo a ridurre sempre più i mezzi e i modi operativi in una rigorosa ed esigente meditazione” (Autopresentazione, ed. Galleria Indiano Grafica, Firenze 1977). Una trentina di anni or sono l’artista aveva già chiaro il progetto e il percorso. Nelle poche righe che ho citato si parla di “ricerca razionale”, di “meditazione” rigorosa ed esigente, di sforzo analitico. E si parla anche di minimalismo, di “pauperismo” nella scelta dei mezzi espressivi.

Lo storico dell’arte contemporanea dirà che il Gubinelli del ’77 si colloca nella linea analitica di Balla, di Fontana, di Dorazio; quella linea analitico-speculativa (i suoi precedenti storici stanno nei prospettici e nei teorici del Quattrocento) che puntava alla combustione, alla dissoluzione degli alfabeti per arrivare (nella riduzione all’essenziale dei materiali dei modi e dei mezzi) alla comprensione per via meditativa, razionale, del vero visibile. La pittura come discorso mentale quindi, la relazione struttura-spazio-luce (questo e non altro è il vero visibile, l’universo che ci circonda e che abita fuori e dentro di noi) indagata e rappresentata sub specie intellettiva, razionale.

Attenzione però, perché questo è un passaggio davvero insidioso. Parlare dell’arte di Gubinelli in termini di astrattismo razionalista è fuorviante. Rischiamo di andare fuoristrada e di non capire più niente. Lo aveva inteso benissimo, quasi al termine della vita, il grande Giulio Carlo Argan. Quella del nostro autore – scriveva Argan nel ’91 – è una razionalità non deduttiva e logica, ma induttiva. L’osservazione è preziosa ed è fondamentale. A mio giudizio è la chiave d’accesso decisiva per entrare nelle opere di Gubinelli; nelle sue ermetiche carte trasparenti, nelle sue criptiche incisioni, nelle piegature esatte, melodiose e misteriose, simili ai segni che le onde lasciano sulla sabbia.

Esiste una razionalità deduttiva che si snoda sul filo della consequenzialità e poi c’è una razionalità induttiva che potremmo definire “metalogica” perché sta al di sopra dei processi mentali, governati dal rapporto causa-effetto, che conosciamo e abitualmente pratichiamo. Si può arrivare a una “spazialità senza volume”, a una “luce senza raggio” e agli altri squisiti ossimori, taglienti come lame, che Argan elenca nell’opera di Gubinelli? Così da toccare, attraverso di loro, quella “tensione lirica garbatamente severa” di cui parla Enrico Crispolti (1989)? Naturalemente si può – l’opera dell’artista sta lì a dimostrarlo – ma per riuscirci bisogna saper utilizzare quella “logica intuitiva” che consente fulminei colpi di mano sull’universo figurabile e assemblaggi vertiginosi e rischiosi di categorie antinomiche.

L’obiettivo di Paolo Gubinelli è “una spazialità sensibile, percepibile all’occhio attento e al tatto desideroso, quello suo e dei suoi estimatori” (B. Corà, 2004). Ma il suo obiettivo è anche quello – almeno così a me è sembrato e ne ho scritto in una pubblicazione edita da Vallecchi nel 2004 – del superamento o almeno del confronto con il mistero ontologico che sovrasta tutte le cose. Le sue opere sono “icone del disordine” (Venturoli) o piuttosto presagi di un ordine sepolto che un giorno ci sarà dato comprendere? Sono i crittogrammi di un alfabeto incognito ai più, ma perfettamente praticabile da chi conosce e domina i tortuosi algoritmi della arganiana “razionalità induttiva”? Oppure sono, le carte di Gubinelli, i segni di “un poeta nel tempo della povertà”, come ha detto con una bella immagine Carmine Benincasa?

Io non saprei rispondere. So però che non esiste nel panorama dell’arte italiana contemporanea, un pittore che abbia saputo, come Gubinelli, accettare per azzardo e chiudere con successo, il confronto con la poesia. Intendo il confronto nel senso tecnico del termine. In lui il mezzo espressivo, diciamo così, “professionale”e cioè la pittura, si affina, si disincarna, si consuma, diventa trasparente e leggero come una foglia. L’opera di Gubinelli porta all’estremo confine del possibile il rispecchiamento pittura-poesia fino a sfiorare l’equivalenza. Il suo “ut pictura poesis” è così rarefatto da dare le vertigini ma è anche l’esperienza intellettuale ed estetica più affascinante che ai nostri giorni ci sia dato conoscere.

 

Antonio Paolucci

Già Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino

Già Direttore Dei Musei Vaticani

Gennaio 2006

Ed. Grafostil - Comune di Matelica

Museo Piersanti - Museo Civico Archeologico

 

ANTONIO PAOLUCCI 2006


 

Entering Paolo Gubinelli’s art is an arduous and risky operation; like a climbing of sixth superior degree. Are necessary still heart, serene mind, firm training, well-tried custom inside the labyrinths of the contemporaneousness. And safe hooks on which build, with method, the way are necessary. At the end of the ascent, arrived in top, the efforts will be rewarded (if the alpine metaphor is still allowed to me) by the argued and satisfactory knowledge of an artist who is to be considered one of the most ingenious and original of our days. But meantime you need to start choosing since the beginning solid and reliable support points.

I would start, the friend Bruno Cora’ had already done it, from an affirmation of the Gubinelli young man, to the epoch of the beginnings of his career. “the concept of structure-space-light moves in the context of a rational research , analytical, in which I always tend to reduce more the means and the operating manners in a strict and demanding meditation” Autointroduction, ed. (Galleria Indiano Grafica, Florence 1977). About thirty years ago the artist already clearly had the project and the way. In the few lines which I mentioned one talks about “rational search”, “strict and demanding meditation”, analytical effort. And one talks also about “minimalism, pauperism” in the choice of the expressive means.

The historian of the contemporary art will say that the Gubinelli of ‘77 places himself in the analytical line about Dorazio, Fontana, Balla; that analytical-speculative line (his historical precedents are in the perspectives and theoreticians of the fifteenth century) that was aiming to the combustion, the dissolution of the alphabets to reach (in the reduction to the essential one of the materials, manners and means) to the comprehension through a rational, meditative way, of the true one visible. Therefore painting as mental speech, the structure-space-light relation ( this and not other is the true one visible, the universe that surrounds us and what lives outside and inside us ) investigated and represented subspecies intellectual, rational.

Attention however, because this is a really tricky passage. Talking about Gubinelli’s art in terms of rationalist abstract art is misleading. We risk to go astray and not to understand anything more. The big Giulio Carlo Argan had understood him well, almost at the end of the life. That of our author-as Argan wrote in ’91- it is a not deductive and logical, but inductive rationality. The observation is precious and is fundamental. It is the decisive access key to enter Gubinelli’s works in my opinion; in his cryptic transparent papers, in his hermetic cuts, in the precise folds, melodious and mysterious, reminiscent of the marks incoming waves leave on sandy seashore.

A deductive rationality which winds itself on the thread of the consequence exists and then there is an inductive rationality that we could define “metalogical” because it is beyond the mental processes, governed by the cause-effect relationship, which we know and habitually we practise. Can you reach a “spatiality without volume”, a “light without rays” and other exquisite oxymora, as sharp as blades, which Argan lists in Gubinelli’s work? So to touch, through them, that “ lyric tension gracefully severe “ about which Enrico Crispolti talks (1989)? Naturally one can, the artist’s work is to show it there, but to succeed in it one needs to use that “intuitive logic” which allows flashing blows of hand on the represented universe and dizzy, risky assemblies of contrasting categories.

 Paolo Gubinelli’s aim is “a sensitive spatiality, perceivable to the careful eye and desirous touch, that his and some admirers of him” ( P. Corà, 2004). But his aim is also that, at least so to me it seemed and I wrote in a published publication from Vallecchi in 2004, of the overcoming or at least the comparison with the ontological mystery which dominates all the things. Are his works “icons of the disorder” (Venturoli) or rather signs of a buried order which we shall be allowed to understand one day? Are the cryptograms of an alphabet unknown to most people, but perfectly feasible from who knows and dominates the tortuous algorithms of the “inductive rationality” –as Argan wrote-? Or are Gubinelli’s works on paper, the signs of “a poet in times of poverty”, as Carmine Benincasa described them in a particularly fine image?

I could not answer. However I know that it does not exist, in the view of the contemporary Italian art, a painter, as Gubinelli, who is able to accept for risk and to close successfully the comparison with poetry. I mean the comparison in the technical sense of the term. In him the expressive mean, say like that, “professional” that is painting, refines, disembodies, fades, becomes transparent and light as a leaf. Gubinelli’s work leads to the extreme border of the possible the reflection painting-poetry so much that it skims the equivalence. His “ut pictura poesis” is so rarefied as to give the dizziness but it is also the most charming intellectual and aesthetic experience that we are allowed to know nowadays.

 

 

 



Museo Ribezzo di Brindisi
Graffi su Carta. Segno è Continuità
dal 18 Maggio 2024 al 31 Luglio 2024
Lunedì dalle ore 16.30 alle ore 19.30
dal Martedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.15

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno