venerdì 7 giugno 2024

Paolo Gubinelli, Graffi su Carta. Segno e Continuità, Museo Ribezzo di Brindisi

 

Paolo Gubinelli Graffi su Carta. Segno e Continuità.

Al Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” Brindisi  

la mostra del maestro Paolo Gubinelli

 

 Segno e continuità

Quotidianamente si compiono gesti volontari o involontari che vengono immortalati su oggetti o nello spazio intellegibile della nostra mente. Su un foglio, la nostra mano può tracciare una linea, un cerchio, un quadrato o qualsiasi figura geometrica dai contorni ben definiti o non definiti,  in un susseguirsi di immagini irrazionali che riempiono un foglio oppure i nostri pensieri.

Il segno affonda le sue radici nei meandri più profondi del tempo, in epoche lontane, che risalgono ai primordi dell’umanità. La dimensione arcaica del “fare segno” pervade già l’Homo di Neanderthal, il quale inizia a tracciare figure geometriche e casuali sulle pareti delle grotte, ponte di unione tra il sensibile e l’intellegibile, tra il terreno e l’ultraterreno. Ma al sopraggiungere dell’Homo Sapiens, durante l’Aurignaziano (30.000 anni fa), il mondo dei segni si fa più complesso. I segni tracciati con ocra, carboncino e alle volte graffiti sulla roccia calcarea, che li assorbe e li restituisce all’eternità, si combinano con figure rappresentative, con pittogrammi e ideogrammi, intrecciati in un apparente caos, che cela un inestricabile linguaggio.

Il segno continua a fare la sua comparsa nella cultura umana, di epoca in epoca, sfidando l’inesauribile trascorrere del tempo, restituendo all’umanità memorie di antiche civiltà. L’umanità si è evoluta e nella nostra quotidianità, abbiamo accolto il razionale, il logico, abbandonando il senso del magico dei nostri avi. Eppure, nonostante la perdita del magico, l’arte contemporanea ci permette di cogliere il significato di quel mondo perduto. Attraverso le opere su carta del maestro Paolo Gubinelli, si è cercato di coniugare antico (Cellino San Marco, Torre Guaceto, Punta Le Terrare, Masseria Guidone) e contemporaneo, dando forma al progetto espositivo del Museo Ribezzo. Un confronto tra due linguaggi separati da millenni, ma uniti da un’unica lettura che unisce l’archeologia e l’arte con il segno e la pittura, un’arte fatta di linee e segni, scaturiti dall’estemporaneità di gesti e pensieri che portano alla creazione dei “paesaggi dell’anima”. Un trait d’union tra memoria e presente, tra razionale e irrazionale, che porta alla riflessione sull’esistenza umana e ad una esplorazione più profonda del sè, tracciato ed immortalato su carta. Una forma di comunicazione, che riprende il senso magico e spirituale dei nostri avi, attraverso un’analisi intima che non implode, ma esplode graffiando la materia tra luci, colori ed ombre.

L’antico e il contemporaneo che si uniscono per raggiungere l’irraggiungibile. Sia gli stridenti graffiti sulla roccia, sia quelli sulla carta, sono destinati a comunicare, trava icando il breve ciclo  della vita umana.      (Arch. Emilia Mannozzi  Direttore Polo BiblioMuseale di Brindisi)                                     

 

Testo critico di:  

ANTONIO PAOLUCCI 2006

 


 

 

Entrare nell’arte di Paolo Gubinelli è operazione ardua e rischiosa; come una scalata di sesto grado superiore. Occorrono cuore fermo, mente serena, saldo allenamento, sperimentata consuetudine dentro i labirinti della contemporaneità. Ed occorrono agganci sicuri sui quali costruire, con metodo, il percorso. Al termine dell’ascesa, arrivati in vetta, gli sforzi saranno compensati (se la metafora alpinistica mi è ancora consentita) dalla argomentata e gratificante conoscenza di un artista che è da considerare fra i più geniali e originali dei nostri giorni. Ma intanto occorre partire e bisogna farlo scegliendo fin dall’inizio punti d’appoggio solidi e affidabili.

Comincerei – l’aveva già fatto l’amico Bruno Corà – da una affermazione del giovane Gubinelli, all’epoca agli inizi della carriera. “Il concetto di struttura-spazio-luce si muove nell’ambito di una ricerca razionale, analitica in cui tendo a ridurre sempre più i mezzi e i modi operativi in una rigorosa ed esigente meditazione” (Autopresentazione, ed. Galleria Indiano Grafica, Firenze 1977). Una trentina di anni or sono l’artista aveva già chiaro il progetto e il percorso. Nelle poche righe che ho citato si parla di “ricerca razionale”, di “meditazione” rigorosa ed esigente, di sforzo analitico. E si parla anche di minimalismo, di “pauperismo” nella scelta dei mezzi espressivi.

Lo storico dell’arte contemporanea dirà che il Gubinelli del ’77 si colloca nella linea analitica di Balla, di Fontana, di Dorazio; quella linea analitico-speculativa (i suoi precedenti storici stanno nei prospettici e nei teorici del Quattrocento) che puntava alla combustione, alla dissoluzione degli alfabeti per arrivare (nella riduzione all’essenziale dei materiali dei modi e dei mezzi) alla comprensione per via meditativa, razionale, del vero visibile. La pittura come discorso mentale quindi, la relazione struttura-spazio-luce (questo e non altro è il vero visibile, l’universo che ci circonda e che abita fuori e dentro di noi) indagata e rappresentata sub specie intellettiva, razionale.

Attenzione però, perché questo è un passaggio davvero insidioso. Parlare dell’arte di Gubinelli in termini di astrattismo razionalista è fuorviante. Rischiamo di andare fuoristrada e di non capire più niente. Lo aveva inteso benissimo, quasi al termine della vita, il grande Giulio Carlo Argan. Quella del nostro autore – scriveva Argan nel ’91 – è una razionalità non deduttiva e logica, ma induttiva. L’osservazione è preziosa ed è fondamentale. A mio giudizio è la chiave d’accesso decisiva per entrare nelle opere di Gubinelli; nelle sue ermetiche carte trasparenti, nelle sue criptiche incisioni, nelle piegature esatte, melodiose e misteriose, simili ai segni che le onde lasciano sulla sabbia.

Esiste una razionalità deduttiva che si snoda sul filo della consequenzialità e poi c’è una razionalità induttiva che potremmo definire “metalogica” perché sta al di sopra dei processi mentali, governati dal rapporto causa-effetto, che conosciamo e abitualmente pratichiamo. Si può arrivare a una “spazialità senza volume”, a una “luce senza raggio” e agli altri squisiti ossimori, taglienti come lame, che Argan elenca nell’opera di Gubinelli? Così da toccare, attraverso di loro, quella “tensione lirica garbatamente severa” di cui parla Enrico Crispolti (1989)? Naturalemente si può – l’opera dell’artista sta lì a dimostrarlo – ma per riuscirci bisogna saper utilizzare quella “logica intuitiva” che consente fulminei colpi di mano sull’universo figurabile e assemblaggi vertiginosi e rischiosi di categorie antinomiche.

L’obiettivo di Paolo Gubinelli è “una spazialità sensibile, percepibile all’occhio attento e al tatto desideroso, quello suo e dei suoi estimatori” (B. Corà, 2004). Ma il suo obiettivo è anche quello – almeno così a me è sembrato e ne ho scritto in una pubblicazione edita da Vallecchi nel 2004 – del superamento o almeno del confronto con il mistero ontologico che sovrasta tutte le cose. Le sue opere sono “icone del disordine” (Venturoli) o piuttosto presagi di un ordine sepolto che un giorno ci sarà dato comprendere? Sono i crittogrammi di un alfabeto incognito ai più, ma perfettamente praticabile da chi conosce e domina i tortuosi algoritmi della arganiana “razionalità induttiva”? Oppure sono, le carte di Gubinelli, i segni di “un poeta nel tempo della povertà”, come ha detto con una bella immagine Carmine Benincasa?

Io non saprei rispondere. So però che non esiste nel panorama dell’arte italiana contemporanea, un pittore che abbia saputo, come Gubinelli, accettare per azzardo e chiudere con successo, il confronto con la poesia. Intendo il confronto nel senso tecnico del termine. In lui il mezzo espressivo, diciamo così, “professionale”e cioè la pittura, si affina, si disincarna, si consuma, diventa trasparente e leggero come una foglia. L’opera di Gubinelli porta all’estremo confine del possibile il rispecchiamento pittura-poesia fino a sfiorare l’equivalenza. Il suo “ut pictura poesis” è così rarefatto da dare le vertigini ma è anche l’esperienza intellettuale ed estetica più affascinante che ai nostri giorni ci sia dato conoscere.

 

Antonio Paolucci

Già Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino

Già Direttore Dei Musei Vaticani

Gennaio 2006

Ed. Grafostil - Comune di Matelica

Museo Piersanti - Museo Civico Archeologico

 

ANTONIO PAOLUCCI 2006


 

Entering Paolo Gubinelli’s art is an arduous and risky operation; like a climbing of sixth superior degree. Are necessary still heart, serene mind, firm training, well-tried custom inside the labyrinths of the contemporaneousness. And safe hooks on which build, with method, the way are necessary. At the end of the ascent, arrived in top, the efforts will be rewarded (if the alpine metaphor is still allowed to me) by the argued and satisfactory knowledge of an artist who is to be considered one of the most ingenious and original of our days. But meantime you need to start choosing since the beginning solid and reliable support points.

I would start, the friend Bruno Cora’ had already done it, from an affirmation of the Gubinelli young man, to the epoch of the beginnings of his career. “the concept of structure-space-light moves in the context of a rational research , analytical, in which I always tend to reduce more the means and the operating manners in a strict and demanding meditation” Autointroduction, ed. (Galleria Indiano Grafica, Florence 1977). About thirty years ago the artist already clearly had the project and the way. In the few lines which I mentioned one talks about “rational search”, “strict and demanding meditation”, analytical effort. And one talks also about “minimalism, pauperism” in the choice of the expressive means.

The historian of the contemporary art will say that the Gubinelli of ‘77 places himself in the analytical line about Dorazio, Fontana, Balla; that analytical-speculative line (his historical precedents are in the perspectives and theoreticians of the fifteenth century) that was aiming to the combustion, the dissolution of the alphabets to reach (in the reduction to the essential one of the materials, manners and means) to the comprehension through a rational, meditative way, of the true one visible. Therefore painting as mental speech, the structure-space-light relation ( this and not other is the true one visible, the universe that surrounds us and what lives outside and inside us ) investigated and represented subspecies intellectual, rational.

Attention however, because this is a really tricky passage. Talking about Gubinelli’s art in terms of rationalist abstract art is misleading. We risk to go astray and not to understand anything more. The big Giulio Carlo Argan had understood him well, almost at the end of the life. That of our author-as Argan wrote in ’91- it is a not deductive and logical, but inductive rationality. The observation is precious and is fundamental. It is the decisive access key to enter Gubinelli’s works in my opinion; in his cryptic transparent papers, in his hermetic cuts, in the precise folds, melodious and mysterious, reminiscent of the marks incoming waves leave on sandy seashore.

A deductive rationality which winds itself on the thread of the consequence exists and then there is an inductive rationality that we could define “metalogical” because it is beyond the mental processes, governed by the cause-effect relationship, which we know and habitually we practise. Can you reach a “spatiality without volume”, a “light without rays” and other exquisite oxymora, as sharp as blades, which Argan lists in Gubinelli’s work? So to touch, through them, that “ lyric tension gracefully severe “ about which Enrico Crispolti talks (1989)? Naturally one can, the artist’s work is to show it there, but to succeed in it one needs to use that “intuitive logic” which allows flashing blows of hand on the represented universe and dizzy, risky assemblies of contrasting categories.

 Paolo Gubinelli’s aim is “a sensitive spatiality, perceivable to the careful eye and desirous touch, that his and some admirers of him” ( P. Corà, 2004). But his aim is also that, at least so to me it seemed and I wrote in a published publication from Vallecchi in 2004, of the overcoming or at least the comparison with the ontological mystery which dominates all the things. Are his works “icons of the disorder” (Venturoli) or rather signs of a buried order which we shall be allowed to understand one day? Are the cryptograms of an alphabet unknown to most people, but perfectly feasible from who knows and dominates the tortuous algorithms of the “inductive rationality” –as Argan wrote-? Or are Gubinelli’s works on paper, the signs of “a poet in times of poverty”, as Carmine Benincasa described them in a particularly fine image?

I could not answer. However I know that it does not exist, in the view of the contemporary Italian art, a painter, as Gubinelli, who is able to accept for risk and to close successfully the comparison with poetry. I mean the comparison in the technical sense of the term. In him the expressive mean, say like that, “professional” that is painting, refines, disembodies, fades, becomes transparent and light as a leaf. Gubinelli’s work leads to the extreme border of the possible the reflection painting-poetry so much that it skims the equivalence. His “ut pictura poesis” is so rarefied as to give the dizziness but it is also the most charming intellectual and aesthetic experience that we are allowed to know nowadays.

 

 

 



Museo Ribezzo di Brindisi
Graffi su Carta. Segno è Continuità
dal 18 Maggio 2024 al 31 Luglio 2024
Lunedì dalle ore 16.30 alle ore 19.30
dal Martedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.15

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

 

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