SPAZIO OPHEN
VIRTUAL ART GALLERY
GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
CASSE, CARBONI E
FRANCOBOLLI A DOMICILIO”
a cura di
Sandro Bongiani
con testi
critici di Sandro Bongiani e Piero Cavellini
(In collaborazione con l’Archivio Cavellini
di Brescia)
Dal 24 maggio 2024
al 2 luglio 2024
Inaugurazione: Venerdì
24 maggio
2024, ore 18.00
Pavilion Lautania Valley / Stranieri Qui e Altrove -
Foreigners Here And Elsewhere
Retrospettiva di Guglielmo Achille
Cavellini
“CASSE, CARBONI E
FRANCOBOLLI A DOMICILIO”
A cura si Sandro
Bongiani con testi critici di Sandro Bongiani e
Piero Cavellini.
In collaborazione
con l'Archivio Cavellini di Brescia
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkPLJVHIagFRfNym_LVPAxI1maQx9oriB5WJUrGQHqsnG2y39wtRuQmJoYlcK3B7fpfhtJnLzdEs77Abnn7fulFFmEBtXxQddI-_qVkEbhyCkMcA9YMaMARQO5ithdIaMCt9Z5hk5SdkgZhsLvVpF1ftx0buq95rapVI0j7dXSyRdPHXBQeEGY0OUcvYI/s320/1-OPER~1.JPG)
La Galleria Sandro
Bongiani Arte Contemporanea è lieta di inaugurare in coincidenza con il tema “Stranieri
Ovunque” e in contemporanea con la 60. Biennale Internazionale di Venezia 2024 presso il Pavilion Lautania Valley, dopo la
retrospettiva dell’artista americano
pre-pop Ray Johnson, la seconda
mostra retrospettiva dedicata a Guglielmo
Achille Cavellini. Una mostra a cura di Sandro Bongiani incentrata sul tema
dello straniero ovunque in cui viene segnalata da aprile a novembre, per tutto
l’arco della durata della 60. Biennale
di Venezia 2024 la condizione di sei
artisti marginali attivi che in modo originale e solitario hanno continuato a
lavorare nell’isolamento collettivo,
alcuni anche per diversi decenni non curandosi
minimamente del mercato e del sistema ufficiale dell’arte producendo nel
tempo opere per certi versi non conformi ai dettami imposti dal mercato e
proseguendo in un cosciente viaggio solitario e personale. Ad un tema generico scelto da questa biennale abbiamo preferito segnalare
la condizione difficile e marginale attiva di alcuni artisti di diverse
generazioni e latitudini del mondo
costretti a vivere da “straniero
sempre”, non semplicemente nel senso geografico del termine ma soprattutto umano e esistenziale. Una sorta di rilettura
delle proposte in atto presentate per l’occorrenza in un padiglione del tutto virtuale, con un’area immaginaria
di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley.
Quella di Guglielmo Achille Cavellini, da autentico
“straniero” rimane una proposta decisamente ai
margini del sistema dell’arte ufficiale diffusa con opere grafiche, artistamps,
performances e happening ad ampio raggio in diversi paesi del mondo. Vengono
presentate per l’occasione per
questo evento opere che coprono un arco di tempo che va dal 1966 al 1989 tra casse che contengono
opere distrutte, legni-carboni e francobolli d’artista in una mostra da noi volutamente
“virtuale”, come giusto sviluppo logico delle mostre-catalogo
realizzate per diverso tempo dall’artista bresciano a domicilio, tra opere ad
acrilico, intarsi, collage e studi grafici preparatori creati anche sotto forma
di Artistamp, con il fine d’indagare una
parte significativa del lavoro di Cavellini ancora non del tutto pienamente compreso. Nella sua ininterrotta navigazione
nel territorio dell’arte GAC ha ricercato senza sosta segnali chiarificatrici che rendessero esplicito la
condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto
con la dinamica sociale. In tale contesto nascono nella seconda metà degli anni
Sessanta anche i primi francobolli, essenzialmente riproduzioni in legno ad
intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed
immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana:
quello di inserirla nella iconografia postale. Una vita decisamente dedita totalmente
all’autostoricizzazione diffusa ampiamente dal 1970 in poi con mostre e cataloghi a domicilio,
manifesti, spille, stickers, cimeli, francobolli, performance, happening,
pensate in concomitanza con il centenario della nascita coincidente idealmente nel
2014 presso il Palazzo Ducale di Venezia
e anche nei musei più prestigiosi del mondo.
Scrive Piero Cavellini: “ E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante
espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono. Nel
1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed
insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione
dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per
superare lo stato dell’esclusione. Lo fa essenzialmente col concetto di
“Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le
“Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il
proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo. Queste attività lo
inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava
diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo. E’ all’interno di questa fuga in avanti che
rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di
circolazione artistica. Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta,
quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo
espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta”
esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti
svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di
Francobollo per il mio Centenario”.
E’ proprio in
questo lungo e travagliato periodo tra gli anni 60’ e gli anni 80’ che Cavellini
utilizza un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che
avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014. Ne risulta la complessa composizione di un universo sia
intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli
altri in cui l’opera diviene il mezzo privilegiato con cui cercherà di eternizzare
il proprio stato e condizione. Dopo
essere trascorsi già 110 anni
dalla nascita e 34 anni dalla sua dipartita, l’artista bresciano rimane, nella frenesia di una società che cambia umore e costumi troppo in
fretta il testimone privilegiato
e indocile del suo particolare momento storico. Dopo lunghi anni di scarsa attenzione da parte delle
istituzioni, ci sembra che sia arrivato il tempo di una doverosa e
significativa rivalutazione come giusto riconoscimento che certamente avrebbe
del tutto meritato.
Si ringrazia
l’Archivio Cavellini di Brescia per la fattiva collaborazione alla
realizzazione di questa importante retrospettiva a lui dedicata.
BIOGRAFIA
di GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
GAC (Guglielmo
Achille Cavellini) è stato un importante
studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40
esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla
sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni,
vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore
nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria
dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del
successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a
tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì
l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della
comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il
geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di
Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti
assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo
operare. Nascono i Teatrini e i francobolli d’artista attraverso i quali
viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e
nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero e
democratico che permette a GAC di avere contatti e confronti
importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuzvgd65jQd6jEl_HnoHPbji1vdmIvEThohMoYuY2DxMxkj4VB1l_IzZD15g9c5DbcWwKXTijaEypw82NSoLBRiBG_cv-q138dyJ9OXUDjn9AYc4nR1Vl42fAFGjziZ1IX7W5biwYkQORJOVImMOala9BDQonZHfOIu173vYMUJzIkDYVMshtFKiHGMJ0/s320/CATALO~1.JPG)
Pavilion Lautania Valley
“Stranieri
qui e altrove - Active Marginal Generation Everywhere”
Mostra n°2 / Retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini
“CASSE, CARBONI E FRANCOBOLLI A
DOMICILIO”
Presentazione di 56 opere a cura di Sandro Bongiani
con testi critici di Sandro Bongiani e Piero
Cavellini
da Venerdì 24 maggio a
Martedì 2 luglio 2024
Opening Venerdì 24 maggio 2024 ore 18:00
ORARI: tutti i giorni dalle 00.00
alle 24.00
In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/
E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com
TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39
3937380225
Credits: Archivio Cavellini - Brescia
GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
L’arte tra casse, carboni e ironia a
domicilio
Presentazione di Sandro Bongiani, 13 maggio, 2024
“Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio
dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si
sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità
producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via
via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è
la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che
questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i
divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei
nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del
pubblico e della società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è
il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e singolare attività. La
saluto e la elogio. Vivissimi auguri”.
(Da una
lettera di Jean Dubuffet a Guglielmo Achille Cavellini, del
15-10-1978)
G.A.C. acronimo di (Guglielmo Achille Cavellini), nasce l'11
settembre del 1914 e muore a 74 anni il 23 ottobre del 1990. E’
stato esattamente nel 1971 che ha inventato “l’autostoricizzazione”,
siglando ironicamente ogni opera con la data del centenario dell'autore
e inviando per via postale in tutto il mondo una decina di “mostre a
domicilio”. In Italia, per diversi decenni, GAC è stato osteggiato
come “un ricco eccentrico in vena di esibizionismo”, non
compreso perché ritenuto soltanto un importante collezionista d’arte
contemporanea e di conseguenza collocato dalla critica
ufficiale nel completo isolamento. A partire dal
1971, dopo l’irruzione nel mondo dell’arte dell’americano Ray
Johnson, vissuto nello stesso periodo dell’artista bresciano, G. A.
Cavellini incomincia a ribellarsi ai poteri
forti attuando l'autopromozione e l'autocelebrazione di
sé attraverso la diffusione di interventi di vario tipo
cercando opportunamente di ridicolizzare
certe logiche sottese al mercato dell'arte. GAC riteneva il sistema
ufficiale dell’arte impenetrabile e corrotto, di conseguenza la decisione di
proporre la sua stessa presenza come autentico momento creativo. Insomma, una
sorta di artista isolato che dal chiuso decide finalmente di non far
parte più di quella schiera di pittori delusi e incompresi
come Munch, Van Gogh, Modigliani o Tancredi e di far
sentire la propria voce attuando appropriate “interferenze” all’interno
del sistema monopolistico dell’arte. Dopo aver realizzato, distrutto e
riciclato una parte consistente del suo lavoro degli anni
precedenti, GAC decide di compiere “il grande passo”,
ossia di contrapporsi ad un sistema ormai sordo e monotono, un ulteriore sviluppo
verso la messa in crisi del tradizionale sistema ufficiale dell’arte.
E’ proprio Guglielmo Achille Cavellini per primo a porre in modo
evidente il problema della mercificazione e del condizionamento da
parte del potere culturale attuando per reazione
un straordinario “attivismo di contrasto “trasversale”
contro il sistema impenetrabile dell’arte ufficiale. L’arte, dopo
essere stata relegata per molto tempo al chiuso delle
idee, con l’attuazione
dell’autostoricizzazione” diveniva liberazione, apertura
delle frontiere culturali che si integrava nella vita. Cavellini, di
conseguenza, si ritrova a condividere contemporaneamente vari campi
d’esperienza alternativi alle proposte della cultura ufficiale; dalla pittura all’oggetto,
dalla scrittura all’appropriazione, dalla body art alla performance, collocandosi apertamente ai margini di un
sistema, in una zona franca, ovvero “in una periferia di confine praticabile”
abbracciando concretamente una pratica che di fatto
assorbiva diverse esperienze convogliandole in
nuove possibilità creative. Inoltre, con la preferenza e l’utilizzo
della Mail Art poteva finalmente confrontarsi a 360 gradi
con artisti di diversa esperienza e latitudine sparsi in tutto il
mondo. Una pratica, quindi, “di lucido confronto” che poteva
fare a meno del mercato dell’arte. Dal 70 in poi,
Cavellini partecipa attivamente alla messa in crisi del sistema “come battitore
libero“ condividendo in modo deciso e parallelo più campi di ricerca
e smantellando così un concetto tradizionale che preferiva
la produzione dell’artista ripetitiva e ben identificabile, una
produzione piuttosto “riconoscibile” al completo servizio
del mercato dell’arte. Oggi, GAC ci sembra davvero una presenza convincente, nonostante
sia stato relegato ai margini di un sistema autoritario e subendo di
conseguenza il silenzio e l’anonimato come triste marchio d’infamia che il
sistema dell’arte attribuisce a chi non reputa utile alla
causa speculativa del mercato ufficiale dell’arte. Grosso modo è’ quello che ha vissuto nello stesso periodo
anche l’artista americano Ray Johnson considerato il “più famoso artista
sconosciuto di New York”, che circa cinque anni dopo la scomparsa di
Cavellini, nel 1995, decise di concludere il suo viaggio, forse “l’ultima
performance testamento" dell’artista americano gettandosi nelle acque
gelide del Long Island di Sag Harbor e lasciandosi annegare.
Secondo Guglielmo A. Cavellini, dopo la Pop Art tutto
poteva diventare merce consumo e l’artista trasformarsi
in un’icona da incensare e venerare. Inoltre,
con le proposte dadaiste ogni oggetto
poteva essere considerato “artistico” e quindi presentato come opera
d’arte; bastava “deprivarlo” dalla reale funzione pratica e
immetterlo in una galleria d’arte certificando
così un suo possibile valore artistico. Negli anni
’60, anche Piero Manzoni aveva cercato
di sovvertire un ordine prestabilito attuando interventi
di tipo “utopico” che di fatto sconvolgevano il sistema ufficiale
dell'arte che si regolava sul tacito patto consensuale tra coloro
che gestiscono le ipotesi e i flussi di opere d’arte da
immettere in circolazione all’interno del mercato dell’arte.
Ultima necessaria
considerazione da fare è la trattazione dei cataloghi e le “mostre a domicilio”,
mostre catalogate da Cavellini tra il 1974 e il 1987 che, anziché essere
presentate in galleria furono inviate per via postale ai destinatari prescelti.
L’invenzione consisteva nel dare un senso all’autocelebrazione nei quali l'artista ha documentato le sue innumerevoli
operazioni di provocatoria autopromozione e che ha poi spedito gratuitamente a
migliaia di critici, artisti, collezionisti, musei, biblioteche, archivi.
Scriveva: “Continuo la serie delle mie
mostre a domicilio...”, una decina di “mostre a domicilio” in tutto edite
da Nuovi Strumenti di Brescia. Le “mostre a
domicilio” sono state una
sorta di punto di riferimento per molti giovani artisti con i quali
intratteneva un intenso scambio risultando uno dei più interessanti e sperimentali modi in quel tempo per
presentare e documentare le opere che, in diverse occasioni, G.A.C.
ha definito questo modo di
fare la “sua opera più
importante”.
Da allora I tempi sono molto cambiati
con internet ch’è entrata nella nostra vita in modo dirompente cambiando le
nostre abitudini in modo decisamente profondo. Da questa idea originale e
inusuale dei “Cataloghi a domicilio” di Cavellini, diversi anni fa avevamo già deciso di utilizzare le prime piattaforme virtuali
nate dal desiderio di coniugare
l’esperienza sperimentale di Second Life, l’attività della galleria
Pièce Unique a Parigi del napoletano Lucio Amelio con l’attivismo creativo
di Guglielmo Achille Cavellini. Infatti, nel 2009, in tempi non sospetti del Covid, è stata creata da noi in
Italia una delle prime Project Room “Ophenvirtualart”, Nel 2012 è arrivato lo
“Spazio Ophen Virtual Art Gallery” della Collezione Bongiani Art Museum e
infine nel 2021 la nuova galleria interattiva virtuale “Sandro Bongiani
Vrspace" con annessa la piattaforma “Unique Space, Per certi versi è stato
un doveroso e necessario cambiamento che
occorreva fare rispetto all’esperienza iniziale dei “Cataloghi a Domicilio” di
Cavellini con uno spazio interattivo e virtuale innovativo specializzato nella
documentazione e nella diffusione “democratica” dell’arte contemporanea e
soprattutto sul cambiamento e sulla sostenibilità e il futuro dell’arte.
Oggi, lo “Spazio Ophen Virtual Art
Gallery” assieme alla startup “Sandro Bongiani Vrspace”, dopo diversi anni di
attività, nati da una costola gentile di Cavellini risultano per continuità e
impegno le più importanti realtà sperimentali "no profit” interattive al
mondo che operano sistematicamente online in ambito artistico in tempo reale
con un serio programma concreto e continuativo di serie proposte
culturali in cui l’azione partecipativa dell’utente in punta di mouse è
prioritaria come progetto cultuale e sperimentale dell’arte contemporanea. Ecco
spiegato il legame indissolubile che ci lega con il mitico e vulcanico Guglielmo Achille Cavellini, e
altresì, il motivo profondo di questo nostro evento a lui dedicato.
Presentazioni di Piero Cavellini del 2014 e del 2017
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJJ9gV6zsS_aqo_sVxC4P9pX9wsRTOKzcgB0NIiZqzzhGaBV24vUgEyFp4axCua1Ju17Cjf64PcYG0alE2Jt9S6kYPNQRI3DccznMEhArSHLGFd5crz_eEtV5_VSXHB4t52_MibIPY77UiQ2GgG2nnVNd5hL9RxjJDvqUnFWWX2F52V6ExzTtlM71ur9s/w492-h434/1-OPER~1.JPG)
GUGLIELMO
ACHILLE CAVELLINI 1914-2014
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCW34v2Jj1-qFVNHJrxi8ivAO6gWZpog5H1luKHW2UTKeNQ0uQ4nukvHzIifi5etJSLJK1j9tAV8sdDeq1dJRUqob8xOUyGme_cGOjEo3sOlV4jT5tl1eeei9cd1kS_3tVqcYCrv3950P4GJGKMnFh9qY13TyGmT1VrLb5TWko6o4XtgKNqFaPr6YNotA/w393-h531/GAC%201968.JPG)
Siglare nelle
opere la data che celebra il proprio Centenario è stata una delle peculiarità
nell’attività di Guglielmo Achille Cavellini a partire dal 1971, anno in cui
decise che attraverso un meccanismo di Autostoricizzazione gli
sarebbe stato permesso di incidere sull’identità dell’artista quasi sempre
fuorviata e repressa da un sistema incapace di intenderne le
libertà. Azione questa che lo portò a destrutturare le condizioni
del sistema stesso per condurle, a suo piacimento, in un ambito creativo nuovo
che a molti parve un eccesso di megalomania ma che un contesto internazionale
attento e desideroso di un cambiamento di queste condizioni acclamò come una
nuova via dell’arte che, a partire da allora, l’avrebbe riavvicinata alla vita
reale spostandola dalla rigidità evoluzionista in cui ancora si dibatteva,
nonostante gli sforzi delle Avanguardie storiche del primo
Novecento. Un’anticipazione questa che precorre un concetto di
liquidità sociale applicata allo specifico che sembra prevalere nell’analizzare
il sistema complessivo della nostra epoca. Tutto ciò per partire
dalla fine e da quel work in progress che non senza un poco di
meraviglia è vicino a concludersi ma la storia di GAC artista, usando l’acronimo
con cui si firmava nel quale si specifica la sua formula comunicativa, ha ben
più complessi antecedenti che di quell’atto finale sono un incipit molto più
coerente di quanto non si possa pensare. Il suo avvento sulla scena dell’arte,
ormai documentato da numerose biografie e autobiografie, si concretizza
nell’incontro con Emilio Vedova a Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione e
da allora ne è stato un continuo attraversamento attuato da un arbitro
speciale, non un artista come tanti altri con la sua piccola o grande
innovazione, uno stile, ma un individuo che conduce un giudizio illuminato,
prima sulla sua generazione e poi sul resto del mondo e sulle trasformazioni
che ha prodotto fino a che è stato in vita.
Credo sia
questo l’unico modo per coglierne la presenza, senza fraintendimenti sulla
questione dei ruoli e sui cambiamenti di stato che sono un argomento stantio
nel definire un comportamento che stava ormai nel futuro. Con
quell’incontro del 1946 scopre una nuova arte astratta europea, capace in un
attimo di far svanire nel nulla i suoi primi tentativi espressivi autodidatti
che, rivisti oggi, testimoniano la sua innata artisticità, e ci volle poco
perché decidesse che fosse più producente farsene paladino per metterla in luce
verso il mondo piuttosto che continuare l’apprendistato su argomenti che
stavano oramai fuori da quella contemporaneità. Basterebbe questo
atteggiamento per decidere di escluderlo dalla storia del collezionismo per
introdurlo nella storia dell’arte. E’ questo il suo primo giudizio, un giudizio
da artista che, liberato dai propri fantasmi, sceglie di articolare la sua
presenza all’interno dell’esperienza generazionale che forniva le novità più
pregnanti con cui era venuto improvvisamente in contatto. E’ per ciò che parlo
di giudizio, come poi avverrà per il resto delle sue frequentazioni e si
tradurrà in quel lavoro in fieri di cui si è detto, portandolo al punto di
creare un piedistallo per l’arte degli altri come fosse la sua o quella che non
avrebbe avuto bisogno di fare perché già in atto in un contesto che trovava più
producente condurre piuttosto che partecipare. Fin qua il
primo atto che, condotto in porto con la pubblicazione del
libro Arte astratta e con l’esposizione di una selezione delle
opere presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1957,
ne aprì un altro dove degli altri colleghi non aveva più bisogno. Ha
inizio qui l’attraversamento che in definitiva è un giudizio
anch’esso ma sporcandosi le mani producendo da autore a partire dal 1960.
E tutti i
Sessanta risultano una sorta di viaggio propedeutico all’ultimo dei suoi atti
che ho citato in testa a questo scritto, condotto tra citazione e
autopresentazione, tra pubblico e privato, tra costruzione e incassettamento,
tra incendio e purificazione, dove se l’oggetto è sempre l’arte il soggetto è
la vita, quella dell’artista ma anche quella di noi tutti. Appropriandosi delle
opere degli altri, attività divenuta molto in voga circa vent’anni dopo, ne
assoggetta la forma a queste sue incessanti dualità, ne estremizza i
significati ed inizia a definirne i confini sovrastrutturali come nei primi
francobolli a partire dal 1966. Che differenza ci sia rispetto al primo atto
credo non sia una questione sostanziale ma che si tratti di una sorta di
delocazione dello stesso atteggiamento dove in un luogo diverso, con delle
architetture create da sé, come con il libro e la mostra in precedenza, attua
la sua presenza verso l’esterno, azione propria della creazione artistica. In
definitiva: non c’è bisogno di creare figure nuove per parlare di ciò che anche
quelle già fatte esprimono. Il terzo atto, ho già detto, ha inizio a
partire dal 1971, anche se le Proposte dell’anno precedente in
cui seziona con atto apparentemente iconoclasta tele di autori museali sono un
antefatto di un cambiamento di stato, anche se ripeto non di sostanza: la forma
altrui non serve più se è di se stesso che si deve parlare. E quel se stesso
siamo tutti noi, l’essere artista è una metafora dell’essere nel
mondo. Il giudizio diventa filosofico, si parla di identità, di
stato, di presenza, e della biografia come atto primigenio che può assumere
valenze divinatorie: l’Autostoricizzazione travalica il
tempo ed è posteriore a tutto, compresa la modernità e la sua stentorea
presunzione cronicistica.
Sembra proprio
che ci siano i termini per constatare un’ulteriore preveggente anticipazione
sui tempi a venire che tanti fiumi di parole hanno fatto scrivere senza
individuare il soggetto vero delle cose, l’opera che le accompagnasse. Ed
eccola allora quella scrittura incessante che copre tutto per svelare la
coscienza individuale, il senso di sé nell’essere attore della coscienza di
tutti. E’ con questo atto nuovo che GAC esplode, come se quelle
opere post che necessitano per affermare un pensiero nuovo su
se stessi volesse farle tutte lui. Ed esplode anche la comunicazione,
senza Rete senza Socialnetworks, bisogna attuare
da soli anche quella e non lasciare alcunché di intentato. Nascono così
le Mostre a domicilio, cataloghi-opera in diecimila copie che
viaggiano in tutto il mondo per rimpiazzare la staticità dei luoghi deputati,
per diffondere, segnalare, scrivere una post-storia che non ha
tutti i vincoli della precedente. Tutto via Posta, il modo migliore per
occupare tutti gli spazi possibili, con una rete che si crea da sé, senza
condizioni, senza mercato. I soggetti sono sempre gli altri, ma
smaterializzati, ridotti ad idea funzionale a sé stesso, come nelle 25
lettere ai grandi della storia con cui si coinvolge in relazioni
amicali, o I Frontespizi di famosi libri di ogni tempo di cui
diviene il principale protagonista, e così via in un eccesso parossistico di
riscrittura dove tempo e spazio si frammentano, ed ancora diventano
liquidi ed incapaci di costruzioni stabili ed esclusive.
Sappiamo bene
che la libertà non arriva da questa condizione, anzi come ne abbiamo riprova
oggi ne è ulteriormente complicata , ma se non si scardina il lessico che la
descrive, come hanno fatto i Ready made duchampiani a suo
tempo, non avremo l’occasione per conquistarla. GAC questa ulteriore operazione
la fece a suo tempo, forse troppo in anticipo perché venisse compiutamente
recepita. Chissà che la ricorrenza del 2014, ora così vicina, non ci porti
l’occasione per finalmente riconoscerlo? (Piero Cavellini,
2014).
GAC E
L’EPICA DEL FRANCOBOLLO
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4fPbOepy-lUYuNYa14OVyAY8GAeepP3WDnC8M_fDM1-dnlu3xIlXjeJL7ycKs0_jspWrSfZAAp0uOLkCm5XVcW4RSRQEN4q7vlTjv8ySuQ43H5Jzt6ws7P0Bujwc4Q8jwTOmdZL1k0QGm1Zf0qNIh6lHWYvbNZSNDsj-V_vOodD3D2lVSA0IXNZpk3W4/w340-h524/GAC%201974.JPG)
Nella
sua navigazione ininterrotta nel territorio dell’arte GAC esprime un giudizio
sul sistema che la sottende.
Lo
ha fatto da artista abbandonando la sua produzione per raccogliere attorno a sé
una nuova generazione senza altra speranza di trovare luce per uscire da una
diatriba sterile e passatista.
Continua
poi producendo opere come artista attivo ricercando senza sosta segnali che
rendessero esplicito il suo argomento: la condizione dell’artista e le sue
ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale.
Dapprima
agendo sul suo stesso lavoro, incassettando le proprie opere precedenti
distrutte o proponendole come opere bruciate, in seguito iniziando a ragionare
sul consenso riservato alle opere degne di celebrazione.
In
questo contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni
Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di
essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione
sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella
iconografia postale.
Sorge
così un suo codice estetico speciale che lo accompagnerà in seguito in gran
parte del suo lavoro.
E’
nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione
concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono.
Nel
1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed
insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione
dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per
superare lo stato dell’esclusione.
Lo
fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria
della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo
postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in
tutto il mondo.
Queste
attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già
si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.
E’
all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come
elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica.
Nella
parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo
dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della
comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una
creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una
grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”.
E’
in questo periodo quindi che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza
al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del
2014.
Osservandone
la varietà si trovano riassunte gran parte delle sue tensioni dove compaiono la
raffigurazione geografica dell’Italia ricomposta attraverso elementi naturali
come foglie, pigne, segmenti di tronchi d’albero, oppure sociali come la sua
minuziosa scrittura o gli stessi elementi comunicativi che usava negli invii
mailartistici. Non manca la sua riflessione sulla pittura del recente passato
tra cui appare Andy Warhol con le sue iconografie popolari a cui si sente
particolarmente vicino.
Ne
risulta quindi la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da
corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo
diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio
stato. Piero
Cavellini, Dicembre 2017
LE OPERE:
SALA 1 / Casse con opere
distrutte 1966 - 1970,
SALA 2 / Carboni 1966 - 1969,
SALA 3 / Francobolli 1966 - 1989
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Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno 2024