UN ARTISTA AL MESE / Febbraio 2018
Ogni
primo del mese e per 12 mesi verranno presentati in queste pagine 12
artisti con alcune opere significative integrate dal video e
relativa biografia sintetica. Una raccolta immaginaria e
ideale di arte contemporanea, una raccolta dei sogni e anche
dei desideri. Nasce, soprattutto, dal desiderio di far
conoscere alcuni artisti nati tra gli anni 20 e 60, ancora non del tutto
conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni hanno
definito in modo poetico e originale una propria visione personale
dell’arte. Sandro Bongiani
MATTIA MORENI
Da autentico irrequieto, nella vita come nell’arte, Moreni è
stato capace di continui cambiamenti, seguendo una sua logica e un modo di fare
del tutto personale, fino ad approdare a queste ultime opere esposte a Milano
all’età di quasi 76 anni. Un artista, in genere, all’età di Moreni, ha ormai
detto tutto; vive il successo dei suoi migliori risultati ripetendo ciò che ha
fatto precedentemente. Ciò non è però il caso di Mattia Moreni, perché più
passa il tempo e più il suo lavoro risulta interessante e nuovo. Di sicuro è
uno dei pochi artisti, dopo F. Bacon, ancora lucidi nel marasma anonimo e
decadente della scena internazionale dell’arte. Le prime esperienze risalgono
al 1948, interessato come tanti artisti della sua generazione alla sintassi
post-cubista e astratta. Verso il 52-53 incomincia a definire nella sua pittura
una sorta di espressionismo solare, come afferma Tapiè,”in cui il cerchio
diventa sole mentre il segno astratto anche cespuglio e collina”. Dipinge opere
come “L’urlo del sole e dell’uomo dietro la staccionata”, del 1954; “Colpo di
vento” del 1955; “Un cielo attivo, “Vacca aperta”, del 1957. Ormai, la natura
ha preso il posto della geometria. Inoltre, con le opere dei primi anni’60 la
superficie pittorica si carica di nuovi significati; diventa annunciazione e
ferita, ”Carne come paesaggio”; “Ancora un’immagine quasi travolta”, del 1960.
Sembra che non esista più per Moreni una netta distinzione tra energia
atmosferica e organica. Crea, così, le prime immagini segnaletiche “Immagine
come un segnale”, del 1961, “Cielo e cartello come apparizione”, del 1962. Il
periodo dei “segnali” dura fino al 64 per poi approdare alle “angurie”,
prendendo spunto da un cartello di campagna che segnalava la vendita delle
angurie. A metà degli anni 60, la fetta di anguria si trasforma in un oggetto e
in un’ ossessiva e inquieta visionarietà, le angurie trasudano di energia
cosmica, si ingrossano fino a scoppiare “I semi snaturalizzati impazziscono e
tentano inutilmente di. abbandonare l’anguria.. è difficile fare impazzire i
semi nel cielo di gas velenosi, è difficile fare l’anguria”. , del 1975.
Nascono opere di forte impatto, come “Anguria americana assassinata sul
campo-pelliccia Rosa”, 1969; “Un’anguria americana sognata e come una farfalla
notturna sul campo-pelliccia-capra” ,1970; o “Ah quell’anguria anarchica che si
è messa le mutande, o dell’assurdità”, del 1972, che evidenziano forme
organiche vaginali con innesti di peluria vegetale(prato), che ci rimanda
ambiguamente a brani di peluria naturale. Dopo gli anni dei cartelli e dei
segnali, nel 1983-84 nasce il ciclo delle pattumiere e dei tubi (1984), delle
lampadine (1984-85), delle geometrie indisciplinate (1985-86). Spesso l’oggetto
naturale (l’anguria) va a confrontarsi con oggetti di uso domestico come la
pattumiera o il televisore. Ne viene fuori una sorta di innesto “terapeutico”
tra il dato naturale e l’artificiale, quasi a cercare la sintesi e la
consistenza di una possibile relazione. Si determina una situazione sospesa tra
natura e cultura, tra organicità e tecnologia, tra speranza di un nuovo futuro
e rimpianto di aver perso tutto. Moreni dipinge per trovare un senso nuovo alla
pittura e per evidenziare la condizione emblematica dell’uomo in questo
travagliato momento storico. Sarà la natura organica ad annientare la
tecnologia o sarà la tecnologia a distruggere definitivamente la natura? Sono
questi i dubbi che ci pone da un pò di tempo l’artista. Moreni è essenzialmente
un pessimista, esprime tragicamente le sue ossessioni, il senso del
disfacimento e dell’urlo, convinto, nonostante i suoi momentanei dubbi
(perchè?), che alla fine la tecnologia annienterà e ingoierà la natura e anche
l‘uomo, o ciò che rimarrà dell’uomo. Ci chiediamo : l’uomo sarà in grado di
prendere coscienza dei suoi interminabili problemi o continuerà a percorrere
quest’affannosa corsa verso il nulla e il niente? Di certo, Moreni coltiva
certi inconsueti innesti di pensiero, forse per avvertire e annunciare la
situazione precaria in cui ci siamo arenati. Anche le ricerche scientifiche di
questi ultimi tempi ci prospettano un uomo regressivo e involutivo, come se
stesse ripercorrendo a ritroso la scala evoluzionistica , tracciata da Darwin;
vediamo il segno di questa regressione involutiva nei cromosomi. Moreni è
convinto che si può ipotizzare, dopo una evoluzione, una marcia a ritroso verso
una involuzione e regressione della specie umana; in fondo - confessa Moreni -
bisogna capire che la. differenza di cromosomi tra una scimmia e un uomo e
soltanto dell’1% . Basta poco per ritrovare il”disordine funzionale” che. modifica
un equilibrio genetico e ci proietta verso la mutazione, e la regressione
incontrollata, della specie umana. Marilù, come da tempo Moreni chiama la
vulva., svelata nella emblematica presenza, -afferma E. Crispolti- “diventa
luogo emblematico dell’avvertibile decisiva mutazione che sta avvenendo”.
Moreni crede che una tale ossessione è condizione essenziale di ricerca. Negli
ultimi tempi il richiamo più ricorrente è stato destinato al computer
(conbuter, come a volte lo chiama Moreni), alla protesi tecnologica, alla
tecnologia elettronica, all’amore virtuale, alla situazione Punk (Punk, avverte
Moreni, è una parola come un’altra per dire che non abbiamo niente da
difendere). E’ esemplare l’opera “Una “Marilù per Mantegna......”, realizzata
nel 1990, di una corporeità alienata, stravolta e nello stesso tempo indifesa.
Secondo Moreni, ”l’unico linguaggio dell’avanguardia è l’elettronico”. Di
sicuro, la tecnologia elettronica in avanzata, riattiverà l’umanoide regredito
attraverso l’‘innesto di protesi computerizzati. L’uomo, da tempo, fa uso di
protesi (cuore, rene) e di leve bioniche per le braccia e le gambe. Ormai,
quasi tutto è sostituibile. Opere come “L’umanoide allineato all’elettronica”;
“ L’ultima apparizione con conbuter”, “L’identikit ratificato”, del 1993,
oppure, “ Lo speleologo vaginale con computer, contro l’ingiustizia genetica,
verifica l’atrofia delle ovaie”, del 1993-94, evidenziano una forte commistione
tra naturalità e artificiosità fino alla trasmutazione del dato naturale al
virtuale degli ultimi lavori dal titolo emblematico: “Marilù tecnologica ha
fatto stop”; “L’esibizione Punk per l’amore virtuale….”, opere eseguite tutte
nel 1994. Anche in queste ultime opere, l’artista evidenzia una sorta di
intensa energia panica della natura, pregna di pulsioni molto forti, con
innesti di brani di organicità sconvolta generati da quel sofferto senso
catastrofico ch’è capace di trasformare tutto ciò che trova, condensandolo
definitivamente in una realtà “innaturale e artificata”. Viviamo una situazione
di un “ medioevo tutto nostro tra rinascimento e modernità che non ha ancora
luogo”, dove la mutazione è regressione, la naturalità anche virtualità; di
certo, l’ultima tragica stagione della specie umana. Sandro Bongiani, 1996
MATTIA MORENI (1920-1999)
Mattia Moreni nasce a Pavia nel 1920. La sua formazione avviene
presso l’Accademia Albertina di Torino mostrando inizialmente una linea
neocubista vicina alle posizioni di Corrente. Nel 1947 è tra gli organizzatori
del “Premio Torino”, evento di rottura nel panorama culturale torinese; dello
stesso anno è la sua prima personale alla Galleria del Milione a Milano. Nel
1948 partecipa alla Biennale di Venezia; continuerà tale frequentazione in
maniera assidua anche negli anni successivi. Nel 1952 entra a far parte del
Gruppo degli Otto promosso da Venturi con Afro, Birolli, Corpora, Morlotti,
Santomaso, Turcato e Vedova. Gli anni cinquanta lo vedono sviluppare il
linguaggio informale attraverso una forte carica gestuale e materica con chiari
richiami naturalistici. Nel 1956 si trasferisce a Parigi dove vi rimarrà fino
al 1966. In questi anni importanti antologiche hanno luogo al Kunstverein di
Leverkusen e al Museo Civico di Bologna. A partire dagli anni sessanta riflette
soprattutto sulla situazione dell’uomo contemporaneo: “il mestiere del guardare
è un mestiere difficile e faticoso e richiede molto tempo, molta energia”,
diceva alludendo all’importanza del saper osservare veramente il mondo che ci
circonda. Prendono forma così i cartelli stradali, le baracche, le angurie-non
angurie, i meli avvelenati. In particolare l’anguria viene elevata a simbolo
antropologico, dalle angurie “sessuate” al femminile alle angurie “sofferenti”.
Dagli anni ottanta sviluppa il tema dell’umanoide-computer attraverso una
figurazione espressionista dai tratti infantili e violenti che rivela una
riflessione pessimistica sull’evoluzione tecnologica. L’umanoide tubato dal computer
ne è un esempio, così come la serie di autoritratti carichi di un’ironia
trasgressiva. Sempre attiva è la sua partecipazione a importanti eventi
artistici, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1980, alle
antologiche a Santa Sofia di Romagna nel 1985 e alla Galleria Comunale di
Arezzo nel 1989, al Liceo Saracco di Acqui Terme nel 1990, al Centro d’arte CL
di Milano nel 1992. Importanti anche i suoi scritti: L’ignoranza fluida, 1979,
L’assurdo razionale perché necessario, 1985. Muore a Brisighella (Ravenna) nel
1999 lasciandoci attraverso le sue tele la memoria di uno spirito ribelle e
controverso.
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