giovedì 1 febbraio 2018

UN ARTISTA AL MESE / Mattia Moreni







UN  ARTISTA  AL  MESE / Febbraio 2018

Ogni primo del mese e per 12 mesi verranno presentati  in queste pagine 12 artisti  con alcune opere significative  integrate dal video e relativa biografia sintetica. Una raccolta  immaginaria e  ideale di arte contemporanea, una raccolta dei sogni  e anche dei  desideri. Nasce, soprattutto,   dal desiderio  di far conoscere alcuni artisti nati tra gli anni 20 e 60,  ancora non del tutto conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni  hanno  definito in modo  poetico e originale  una propria visione personale dell’arte.  Sandro  Bongiani




MATTIA  MORENI



Da autentico irrequieto, nella vita come nell’arte, Moreni è stato capace di continui cambiamenti, seguendo una sua logica e un modo di fare del tutto personale, fino ad approdare a queste  ultime opere esposte a Milano all’età di quasi 76 anni. Un artista, in genere, all’età di Moreni, ha ormai detto tutto; vive il successo dei suoi migliori risultati ripetendo ciò che ha fatto precedentemente. Ciò non è però il caso di Mattia Moreni, perché più passa il tempo e più il suo lavoro risulta interessante e nuovo. Di sicuro è uno dei pochi artisti, dopo F. Bacon, ancora lucidi nel marasma anonimo e decadente della scena internazionale dell’arte. Le prime esperienze risalgono al 1948, interessato come tanti artisti della sua generazione alla sintassi post-cubista e astratta. Verso il 52-53 incomincia a definire nella sua pittura una sorta di espressionismo solare, come afferma Tapiè,”in cui il cerchio diventa sole mentre il segno astratto anche cespuglio e collina”. Dipinge opere come “L’urlo del sole e dell’uomo dietro la staccionata”, del 1954; “Colpo di vento” del 1955; “Un cielo attivo, “Vacca aperta”, del 1957. Ormai, la natura ha preso il posto della geometria. Inoltre, con le opere dei primi anni’60 la superficie pittorica si carica di nuovi significati; diventa annunciazione e ferita, ”Carne come paesaggio”; “Ancora un’immagine quasi travolta”, del 1960. Sembra che non esista più per Moreni una netta distinzione tra energia atmosferica e organica. Crea, così, le prime immagini segnaletiche “Immagine come un segnale”, del 1961, “Cielo e cartello come apparizione”, del 1962. Il periodo dei “segnali” dura fino al 64 per poi approdare alle “angurie”, prendendo spunto da un cartello di campagna che segnalava la vendita delle angurie. A metà degli anni 60, la fetta di anguria si trasforma in un oggetto e in un’ ossessiva e inquieta visionarietà, le angurie trasudano di energia cosmica, si ingrossano fino a scoppiare “I semi snaturalizzati impazziscono e tentano inutilmente di. abbandonare l’anguria.. è difficile fare impazzire i semi nel cielo di gas velenosi, è difficile fare l’anguria”. , del 1975. Nascono opere di forte impatto, come “Anguria americana assassinata sul campo-pelliccia Rosa”, 1969; “Un’anguria americana sognata e come una farfalla notturna sul campo-pelliccia-capra” ,1970; o “Ah quell’anguria anarchica che si è messa le mutande, o dell’assurdità”, del 1972, che evidenziano forme organiche vaginali con innesti di peluria vegetale(prato), che ci rimanda ambiguamente a brani di peluria naturale. Dopo gli anni dei cartelli e dei segnali, nel 1983-84 nasce il ciclo delle pattumiere e dei tubi (1984), delle lampadine (1984-85), delle geometrie indisciplinate (1985-86). Spesso l’oggetto naturale (l’anguria) va a confrontarsi con oggetti di uso domestico come la pattumiera o il televisore. Ne viene fuori una sorta di innesto “terapeutico” tra il dato naturale e l’artificiale, quasi a cercare la sintesi e la consistenza di una possibile relazione. Si determina una situazione sospesa tra natura e cultura, tra organicità e tecnologia, tra speranza di un nuovo futuro e rimpianto di aver perso tutto. Moreni dipinge per trovare un senso nuovo alla pittura e per evidenziare la condizione emblematica dell’uomo in questo travagliato momento storico. Sarà la natura organica ad annientare la tecnologia o sarà la tecnologia a distruggere definitivamente la natura? Sono questi i dubbi che ci pone da un pò di tempo l’artista. Moreni è essenzialmente un pessimista, esprime tragicamente le sue ossessioni, il senso del disfacimento e dell’urlo, convinto, nonostante i suoi momentanei dubbi (perchè?), che alla fine la tecnologia annienterà e ingoierà la natura e anche l‘uomo, o ciò che rimarrà dell’uomo. Ci chiediamo : l’uomo sarà in grado di prendere coscienza dei suoi interminabili problemi o continuerà a percorrere quest’affannosa corsa verso il nulla e il niente? Di certo, Moreni coltiva certi inconsueti innesti di pensiero, forse per avvertire e annunciare la situazione precaria in cui ci siamo arenati. Anche le ricerche scientifiche di questi ultimi tempi ci prospettano un uomo regressivo e involutivo, come se stesse ripercorrendo a ritroso la scala evoluzionistica , tracciata da Darwin; vediamo il segno di questa regressione involutiva nei cromosomi. Moreni è convinto che si può ipotizzare, dopo una evoluzione, una marcia a ritroso verso una involuzione e regressione della specie umana; in fondo - confessa Moreni - bisogna capire che la. differenza di cromosomi tra una scimmia e un uomo e soltanto dell’1% . Basta poco per ritrovare il”disordine funzionale” che. modifica un equilibrio genetico e ci proietta verso la mutazione, e la regressione incontrollata, della specie umana. Marilù, come da tempo Moreni chiama la vulva., svelata nella emblematica presenza, -afferma E. Crispolti- “diventa luogo emblematico dell’avvertibile decisiva mutazione che sta avvenendo”. Moreni crede che una tale ossessione è condizione essenziale di ricerca. Negli ultimi tempi il richiamo più ricorrente è stato destinato al computer (conbuter, come a volte lo chiama Moreni), alla protesi tecnologica, alla tecnologia elettronica, all’amore virtuale, alla situazione Punk (Punk, avverte Moreni, è una parola come un’altra per dire che non abbiamo niente da difendere). E’ esemplare l’opera “Una “Marilù per Mantegna......”, realizzata nel 1990, di una corporeità alienata, stravolta e nello stesso tempo indifesa. Secondo Moreni, ”l’unico linguaggio dell’avanguardia è l’elettronico”. Di sicuro, la tecnologia elettronica in avanzata, riattiverà l’umanoide regredito attraverso l’‘innesto di protesi computerizzati. L’uomo, da tempo, fa uso di protesi (cuore, rene) e di leve bioniche per le braccia e le gambe. Ormai, quasi tutto è sostituibile. Opere come “L’umanoide allineato all’elettronica”; “ L’ultima apparizione con conbuter”, “L’identikit ratificato”, del 1993, oppure, “ Lo speleologo vaginale con computer, contro l’ingiustizia genetica, verifica l’atrofia delle ovaie”, del 1993-94, evidenziano una forte commistione tra naturalità e artificiosità fino alla trasmutazione del dato naturale al virtuale degli ultimi lavori dal titolo emblematico: “Marilù tecnologica ha fatto stop”; “L’esibizione Punk per l’amore virtuale….”, opere eseguite tutte nel 1994. Anche in queste ultime opere, l’artista evidenzia una sorta di intensa energia panica della natura, pregna di pulsioni molto forti, con innesti di brani di organicità sconvolta generati da quel sofferto senso catastrofico ch’è capace di trasformare tutto ciò che trova, condensandolo definitivamente in una realtà “innaturale e artificata”. Viviamo una situazione di un “ medioevo tutto nostro tra rinascimento e modernità che non ha ancora luogo”, dove la mutazione è regressione, la naturalità anche virtualità; di certo, l’ultima tragica stagione della specie umana.    Sandro  Bongiani,  1996
 
      





 MATTIA MORENI - visti da vicino 1981


 Video:  https://youtu.be/HClAxnSNcVs    durata 7:28





Alcune opere  di  Mattia Moreni:









 








MATTIA  MORENI   (1920-1999)

Mattia Moreni nasce a Pavia nel 1920. La sua formazione avviene presso l’Accademia Albertina di Torino mostrando inizialmente una linea neocubista vicina alle posizioni di Corrente. Nel 1947 è tra gli organizzatori del “Premio Torino”, evento di rottura nel panorama culturale torinese; dello stesso anno è la sua prima personale alla Galleria del Milione a Milano. Nel 1948 partecipa alla Biennale di Venezia; continuerà tale frequentazione in maniera assidua anche negli anni successivi. Nel 1952 entra a far parte del Gruppo degli Otto promosso da Venturi con Afro, Birolli, Corpora, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova. Gli anni cinquanta lo vedono sviluppare il linguaggio informale attraverso una forte carica gestuale e materica con chiari richiami naturalistici. Nel 1956 si trasferisce a Parigi dove vi rimarrà fino al 1966. In questi anni importanti antologiche hanno luogo al Kunstverein di Leverkusen e al Museo Civico di Bologna. A partire dagli anni sessanta riflette soprattutto sulla situazione dell’uomo contemporaneo: “il mestiere del guardare è un mestiere difficile e faticoso e richiede molto tempo, molta energia”, diceva alludendo all’importanza del saper osservare veramente il mondo che ci circonda. Prendono forma così i cartelli stradali, le baracche, le angurie-non angurie, i meli avvelenati. In particolare l’anguria viene elevata a simbolo antropologico, dalle angurie “sessuate” al femminile alle angurie “sofferenti”. Dagli anni ottanta sviluppa il tema dell’umanoide-computer attraverso una figurazione espressionista dai tratti infantili e violenti che rivela una riflessione pessimistica sull’evoluzione tecnologica. L’umanoide tubato dal computer ne è un esempio, così come la serie di autoritratti carichi di un’ironia trasgressiva. Sempre attiva è la sua partecipazione a importanti eventi artistici, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1980, alle antologiche a Santa Sofia di Romagna nel 1985 e alla Galleria Comunale di Arezzo nel 1989, al Liceo Saracco di Acqui Terme nel 1990, al Centro d’arte CL di Milano nel 1992. Importanti anche i suoi scritti: L’ignoranza fluida, 1979, L’assurdo razionale perché necessario, 1985. Muore a Brisighella (Ravenna) nel 1999 lasciandoci attraverso le sue tele la memoria di uno spirito ribelle e controverso.


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