giovedì 18 maggio 2017

Le Metamofosi di Josè Molina



Metamorfosi a piedi nudi


Poema visuale di Giovanni  Bonanno 
dedicato a Jose' Molina.



Josè  Molina,  2017
la madre morta, matita grassa su carta 59x50 cm 




Solitario  ti vedo  camminare  in bilico su una fune tesa tra due alti colli, come sempre bilanci il tuo corpo  spingendoti con le braccia aperte a destra e sinistra e intanto con un occhio  guardi curioso  avanti e con la coda dell'altro ti volgi indietro  a ricercare memorie nascoste.   



L'attesa  e' il momento  migliore, rimani assorto nel vuoto  prima di   decidere di spingerti  a piedi nudi ancora  più in là.   



Un  tuffo deciso ti permette di sprofondare nel nulla per poi, sorpreso riemergere rannicchiato  a pelo d'acqua  portandoti appresso lacerti  di senso  che emergono d'incanto  leggeri e curiosi  in superficie.


Sono solo nascoste apparizioni fugaci, presenze irrisolte che affiorano  e si dissolvono  in fretta dando qualche  parvenza  di senso compiuto.


La balena curiosa ora gira felice  attorno ai piedi di tua madre e intanto tu avido ingoi  morsi rubati di natura che poi   distendi su fazzoletti di carta bianca appesi  ad asciugare a Consiglio di Rumo.


Dissolvenze, metamorfosi, deformazioni dell'anima, irrigidimenti  di zone  ridotte in un’altra dimensione ancora più confacente.


Come  un insolito equilibrista  ti muovi nel vuoto incerto di un solo attimo a raccattare cenci di senso costretto di ciò che ormai siamo diventati. 


© Giovanni  Bonanno  15  maggio 2017










Josè  Molina

Cenni biografici. Nato a Madrid nel 1965, José Molina dall’età di undici anni frequenta diverse scuole d’arte e in seguito, parallelamente agli studi presso l’Università delle Belle Arti di Madrid, lavora nella pubblicità fino all’età di trentacinque anni, quando decide di dedicarsi totalmente alla pittura. La prima mostra è nel 2004 presso la Galleria Rubin di Milano; tra il 2005 e il 2010 tiene una personale al Museo della Scienza e della Tecnologia e all’Acquario Civico di Milano a cura di Vittorio Sgarbi e espone in altre sedi tra cui la Ca’ di Fra’, Mc2, Fondazione Stelline e Fondazione Mudima. Il 2013 è per Molina un anno di grandi mostre personali e collettive, le sue opere sono infatti esposte a Milano presso il Museo Poldi Pezzoli, lo Spazio Oberdan e la Triennale. Nel 2014 a Roma alla Real Academia de España ha luogo la sua prima antologica, nel 2015 presenta “Humanitas” il volume che raccoglie la produzione dell’artista dal 2002 e nel 2016 espone con una personale presso il Museo del Mare di Genova e alla Galleria Deodato Arte di Milano. Attualmente vive e lavora a Gravedona, sul lago di Como.




giovedì 11 maggio 2017

PAVILION LAUTANIA VIRTUAL VALLEY


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

 1887 - Kurt Schwitters &  Marcel Duchamp “UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente”  a cura di  Giovanni Bonanno. 
  
Dal 6 maggio 2017 al 26 novembre 2017– Due proposte  internazionali presentate in contemporanea con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia  2017 






LAUTANIA  VIRTUAL  VALLEY
“UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente” 
Kurt Schwitters “1887 - KURT MERZ / ECOLOGY”

Testo critico di Giovanni Bonanno



 KURT SCHWITTERS / 1887- Kurt Merz/Ecology

Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017 intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”,   a due artisti dadaisti come Kurt Schwitters  e Marcel Duchamp nati nel 1887, che sintetizzano magnificamente il concetto  d’indagine inteso come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi.  Una invenzione a tutto campo giocata su  “universi possibili” tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. Lo Spazio Ophen dopo aver dedicato l’attenzione nel 2015, in occasione della precedente Biennale di Venezia a due artisti giapponesi come Shozo Shimamoto e Ryosuke Cohen,  “dentro e fuori il corpo”, (The World's  Futures / Inside and outside the body), intende ora indagare il lavoro dei  due artisti  dadaisti e globali  tra “Aperto e Chiuso / Closed and Open” con due  rispettive mostre a loro dedicate volte ad approfondire ciò che sottende il processo creativo. Lo studio abitazione dell’artista, nella dimensione creativa, temporale e spaziale definisce l’estensione verso l’altro nella  necessità di metabolizzare e trasformare la  realtà.
Per questa prima mostra collettiva internazionale dedicata a Schwitters, in occasione della ricorrenza dei 130 anni dalla nascita  (Hannover, 20 giugno 1887 – Kendal, 8 gennaio 1948),  sono state inviate a diversi artisti contemporanei  delle postcard con la foto del primo Merzbau, per intenderci quello di Hannover del 1923 - 1943, l’assemblaggio nella casa dell’artista, distrutto nel 1943, chiedendo a loro, nel rispetto del pensiero di arte totale di Schwitters,  un intervento “aggiuntivo” di  ideale condivisione, un  intervento per  “continuare” coscientemente e coerentemente l’opera di Schwitters,  che essendo “un work in progress”  non è destinato in alcun modo ad un possibile e definitivo completamento dell’opera. Del resto, i tre Merzbau, hanno avuto il triste destino di essere stati o distrutti (come per esempio quello di Hannover) oppure di  rimanere  non completati a causa della morte improvvisa dell’artista tedesco. In questa collettiva internazionale sono presenti 66 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema ufficiale  dell’arte. 

Cos’è Merzbau? 
Kurt Schwitters, protagonista solitario e isolato del dadaismo tedesco, dopo una breve fase espressionista e cubista, decise ben presto di abbandonare  i modi tradizionali  di fare pittura per preferire l’utilizzo di materiali poveri  sotto forma di collage con oggetti recuperati di ogni tipo. Uno dei suoi  primi collages porta il titolo di Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare.  L’opera Das Merzbild del 1919, risulta già un assemblage con una composizione di vari materiali: fili e maglia metallica con corde, carta e cartone di vario tipo. Nella parte centrale dell’opera è presente in modo evidente la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz - und Privatebank. Quest’opera è andata dispersa dopo essere stata esposta in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte e considerata degenerata. La parola Merz, come quella di “Dada”,  nata casualmente senza alcun significato, verrà attribuita a tutto diventando la cifra personale di tutta l'attività successiva dell’artista tedesco. Senza alcun dubbio la sua creazione più nota è un'installazione intitolata il Merzbau, costruita, con materiali trovati, detta dallo stesso artista  “Cattedrale della miseria erotica”, esistita ad Hannover tra il 1923 e il 1944 prima di essere distrutta dai bombardamenti. All'interno di questa costruzione ambientale, l'artista  aggiungeva  sviluppando lentamente frammenti di cose di recupero trovate. L'opera, intesa come un work in progress volutamente provvisorio, non si concluse mai. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern Art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, rimasto, dopo il secondo anch’esso incompiuto  a causa della prematura morte dell’artista in Gran Bretagna nel 1948.

Ecologia e arte totale
Tutto il suo lavoro ruota sul concetto  di “ecologia e arte totale” inteso come recupero di oggetti  rimessi nell’ambiente. Hans Richter scrive di Schwitters: “tutto ciò che era stato gettato via, tutto ciò che amava è ripristinato  con onore nella vita per mezzo della sua arte”. Noi consideriamo “rifiuto” la materia che ha esaurito la sua normale funzione mentre potrebbe essere  ripresa, riutilizzata come fonte di una nuova vita, ristrutturata per un nuovo scopo, per una nuova creazione. Secondo Schwitters, “la materia può essere trasformata, ma mai rimossa”. Tutto è rifiuto, per cui le cose devono essere costruite necessariamente utilizzando i frammenti delle cose trovate, non a caso possiamo parlare di “pensiero ecologico”.Questa idea  verrà applicata a vari livelli e ad ogni aspetto del suo lavoro, dal collage alla grafica, dal testo poetico alla musica. L’opera d'arte rappresenta con lui  la visione essenzialmente ecologica e cosciente dell’arte e del mondo, con l’urgente bisogno verso il recupero dei materiali usati che gli altri considerano rifiuti. Alla base di questa insolita poetica nulla viene scartato ma riutilizzato e rimesso a nuovo uso.  L’opera, quindi, intesa come riuso di oggetti di rifiuto trovati diventa il fondamento di tutta l’attività dell’artista tedesco. Per usare la terminologia della cultura popolare e contadina – secondo noi – “Schwitters usa ogni parte del maiale”, perché del maiale si adopera  tutto e non si deve buttare nulla, neanche le ossa. Nel Merzbau di Hannover, l’artista  ha immesso le stesse idee sulle quali si fonda  tutta la produzione dei suoi collage, solo che diversamente dai collage di carta, lui stesso poteva vivere all'interno dello spazio, in una sorta di “collage tridimensionale” che conteneva i quartieri, le grotte e gli angoli nascosti dei ricordi e della memoria. Nel Merzbau del 1923, come per il territorio di una città, l’artista vi distingueva diversi quartieri e frazioni con una “cattedrale della miseria erotica”,  la cava dell’omicidio sessuale” in cui era presente una sorta di corpo femminile fratturato dipinto in rosso, una “grande grotta dell’amore” e  “una grotta di Goethe”. Praticamente un insolito labirinto ambientale, con una struttura costruita nel tempo a recuperare ossessioni oscure e  memorie autobiografiche.
Rimane l’opera omnia intesa come zona cupa della mente, di conseguenza, cresce a dismisura come una  grande città e le cavità, le valli, le grotte devono avere necessariamente una vita, una struttura propria e un carattere autonomo; una cavità ospita il tesoro scintillante dei Nibelunghi, mentre la grotta sex-crimine ha un orrendo cadavere mutilato di una ragazza sfortunata.  Lo stesso Schwitters descrive la costruzione del primo Merzbau: “It grows the way a big city does…I run across something or other that looks to me as though it would be right for the KdeE, so I pick it up, take it home, and attach it and paint it, always keeping in mind the rhythm of the whole…As the structure grows bigger and bigger, valleys, hollows, caves appear, and these lead a life of their own within the over-all structure…Each of the caves or grottoes takes its character from some principle component. One holds the glittering treasure of the Nibelungs…and the Goethe grotto has one of his legs and a lot of pencils worn down to stubs…the sex-crime cave has one abominable mutilated corpse of an unfortunate girl…an exhibition of paintings and sculptures by Michelangelo and myself being viewed by one dog on a leash…a 10% disabled war veteran with his daughter, who has no head but is still well preserved…”(Schmalenbach, 132-33).
Ognuna delle grotte, quindi,  prende il suo carattere da qualche elemento principale; integrati all'interno della struttura vi erano i singoli santuari  dedicati a molti amici e autori dadaisti, con oggetti e frammenti del proprio corpo (una piccola bottiglia di urina, un’unghia,  interruttori rotti, bottoni, biglietti del tram, etichette colorate di formaggio Camembert, un mozzicone di sigaretta, bicchieri capovolti e persino una ciocca di capelli), utilizzati allo sviluppo e alla crescita progressiva dell’installazione ambientale. Con quest’opera non possiamo più parlare semplicemente di scultura, oppure di arredamento totale alla maniera delle ambientazioni del Bauhaus o di quelle futuriste. Ormai, l’opera  deve dilatarsi  oltre il quadro estendendosi in tutto lo spazio della stanza che lo ospita. Inizialmente l’artista di Hannover incominciò a occupare lo spazio del suo studio con una prima colonna centrale, aggiungendo poi anche le altre due costruite con una religiosità laica in maniera estensiva e casuale. In circa vent’anni di lavoro, questo particolare “environment” divenne una sorta di autoritratto autobiografico e speculare dei sui pensieri e dei  contatti sociali con gli altri. Un diario intimo fatto di immagini, di oggetti e di spazio con una costruzione  in corso  in fase di definizione. Luogo concreto e vivibile, dunque,  in cui l’artista depositava i pensieri e i propri oggetti più cari, le testimonianze più vere che  gli consentissero di colmare il vuoto e la distanza tra la vita di ogni giorno e l’arte. La struttura tridimensionale crebbe in maniera apparentemente disordinata e caotica  carica di particolari richiami  simbolici e affettivi divenendo, di fatto, “l’opera ecologica e globale di una intera vita” destinata a rappresentare simbolicamente un sistema olistico, ovvero, una  particolare concezione totale.  Di certo, nel  Merzbau vi sono contenuti e accumulati  una  vasta e svariata gamma di  allusioni e di archetipi culturali addensati nello spazio a definire un procedere ciclico e temporale che emula e imita il procedere della vita cronologica nel suo farsi e disfarsi, con momenti passati sommersi e nascosti da quelli più recenti, come accade in una naturale crescita geologica o biologica. L’uso della ricercata funzione simbolica olistica da parte di Schwitters rende il Merzbau una occasione appropriata  per riflettere “in senso ecologico” su una particolare visione del mondo e sull’intero ecosistema del pensiero umano.          Giovanni  Bonanno  13 aprile 2017.















Biografia
Kurt Schwitters  ‹švìtërs›,  - Pittore (Hannover 1887 - Ambleside 1948). Studiò all'accademia di Dresda (1909-14) e, dopo una fase espressionista e cubista, nel 1918 creò le sue prime opere astratte. Per la sua personalità e il carattere estroso, Schwitters. viene spesso accomunato al movimento dada, del quale tuttavia non fece mai parte effettiva, nonostante l'amicizia che lo legò prima a T. Tzara e H. Arp, poi a R. Hausmann e Hanna Höch, esponenti del dada berlinese. Ben presto abbando’ i tradizionali materiali pittorici, immettendo sulla tela, con la tecnica del collage, gli oggetti di scarto più disparati, da biglietti del tram a frammenti di giornali, stoffe, spugne, tappi, bottoni. Uno dei suoi collages porta il titolo di Das Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare. Una composizione equilibrata con vari materiali: fili metallici, corde, maglia metallica, carta e cartone di vario genere, in cui in posizione pressappoco centrale compare la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della Kommerz- und Privatebank. Il quadro è andato disperso dopo essere stato esposto in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte degenerata.  
Nato casualmente, questo termine Merz accompagnò e caratterizzo’ tutta l'attività successiva di Schwitters. Pertanto, egli chiamò Merzplastiken i suoi rilievi, Merzdichtungen le composizioni in prosa o in poesia, formate da frammenti di frasi, parole, modi di dire, come An Anna Blume (pubblicato su Der Sturm) e ancora Die Blume Anna e Memoiren Anna Blumes in Bleie. Nel 1921 fece un ciclo di conferenze a Praga con Hausmann e H. Höch e sulla sua scia compose una Ursonaate, basata sullo stesso principio di sfruttamento della sonorità della voce umana. Nel 1922-23 fu in Olanda con T. van Doesburg. Nel gennaio 1923 uscì il primo numero della rivista Merz e nello stesso anno iniziò il primo Merzbau (distrutto da un bombardamento nel 1943), una costruzione che attraversava i varî piani della sua casa di Hannover, fatta di oggetti eterogenei, aggiunti di giorno in giorno. Sempre in contatto con i movimenti di avanguardia, Schwittars. fece parte dei gruppi "Cercle et Carré" e "Abstraction-Création". Nel 1937 lasciò la Germania per stabilirsi in Norvegia, dove a Lyvaker iniziò un secondo Merzbau, anche questo distrutto. Nel 1940, invasa la Norvegia dai nazisti, l’artista si rifugiò in Inghilterra e fino al 1945 rimase internato in un campo di prigionia. Dopo il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del Museum of Modern art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del terzo Merzbau, tuttavia, rimase incompiuto nel 1948 per  l’improvvisa morte.



mercoledì 10 maggio 2017

VENEZIA - PADIGLIONE TIBET 2017


Padiglione Tibet. un ponte di cultura e libertà
         A cura di Ruggero Maggi 

     Dal 10/05/2017  al 10/08/2017




 
evento dedicato a S.S. il Dalai Lama



CUOREDITIBET
di Dino Aloi


 La 
bandiera 
del 
Tibet 
sventola 
libera 
nei nostri cuori 
e nelle nostre menti
Mentre vivendo da occupati 
si stringono i denti
Guardando paesaggi suadenti
Che paiono dipinti da amanuensi.
Vola libero il pensiero
Sotto lo sguardo del cinese severo
E per farsi ascoltare
Non resta che bruciare
Pensando ad un domani
Da veri Tibetani
Senza politiche di nani
Che si credono 
giganti
Soltanto 
perché 
tanti
E senza 
dolci
 in
ten
ti.


 

PadiglioneTibet a Norcia per il terremoto.  (foto di R. Bocci)


Ultimamente sembra che i muri prendano il sopravvento e che, al contrario, i ponti vengano dimenticati o peggio distrutti. Purtroppo non si tratta di scelte architettoniche, ma di un basso grado di civiltà.


Padiglione Tibet, ideato e curato da Ruggero Maggi, da sempre si è posto come un ponte sensibile tra la cultura Occidentale e quella Tibetana densa di affascinanti e mistiche suggestioni spirituali, linguistiche ed artistiche. Un ponte, un passaggio da Est ad Ovest, che crei quella sfumata ma necessaria vibrazione poetica per interagire e comprendersi.  


Padiglione Tibet: ponte fra culture.

Una società democratica implica il riconoscimento e l'accettazione di un fenomeno  migratorio di massa che non si arresterà mai se le condizioni sociali ed economiche in certi nazioni non cambieranno drasticamente. Pensiamoci bene: perché si dovrebbe fermare?! Noi ci fermeremmo se il nostro Paese fosse segnato da un'indicibile povertà o da tragiche guerre? E' un'inesorabile legge di natura: si fugge da dove si sta peggio per andare dove si potrebbe stare meglio. E' ovvio, ma è così.

Vi era (il passato purtroppo è quasi d'obbligo) un popolo che invece nel proprio paese ci stava benissimo… era il popolo tibetano.

Popolo le cui opere d'arte venivano impreziosite da un'antica spiritualità: come non ricordare i delicati mandala dalle sinuose forme ed i magnifici colori alludenti a metafisiche case, strade, città che sembravano provenire da altre dimensioni? Le meravigliose e delicate Khata simboli di amicizia e di solidarietà, le ruote delle preghiere, le Tangka …


Ma forse gli oggetti (mi rendo conto che chiamarli “oggetti” è decisamente sminuente rispetto al loro utilizzo) che rappresentano meglio questo popolo sono le bandiere di preghiera, le Lung-Ta (letteralmente cavalli di vento), veri simboli che enfatizzano e racchiudono in sé la spiritualità tibetana ed il desiderio innato di questo popolo di abbracciare l'intera razza umana in una grande preghiera collettiva. Filipreghiere che costituiscono la trama stessa del tessuto con cui sono realizzate le bandiere e che, afferrati e sospinti da mulinelli di vento, in un rapido evolversi di volo si trasformano in particelle di preghiera, in un'eco di mantra di buon auspicio per tutti gli esseri senzienti.

Preghiere che si sfibrano in sottili fili portatori di messaggi colorati di pace e compassione giocando con il vento che li accarezza e li trasporta in un dialogo costante con la natura, l'uomo e con tutti gli esseri viventi, librandosi in un appassionante volo di un eterno viaggio.



 


Marcello Diotallevi, fiaba al vento



Delicate strutture filiformi su cui gli artisti invitati per questa edizione di Padiglione Tibet sono intervenuti con messaggi poetici di straordinaria forza spirituale e creativa…. l'anima si eleva con le coinvolgenti preghiereopere che nella mostra creeranno passaggi, paesaggi, sensazioni visive, tattili, in certi casi anche olfattive.


Opere inedite che attendono di essere osservate ed ascoltate, ognuna portatrice di messaggi silenti, ma al contempo voci chiare ed esaustive di ogni singolo artista partecipante:

Marco Agostinelli, Dino Aloi, Salvatore Anelli, Piergiorgio Baroldi - Lorenzo Bluer, Carla Bertola - Mariella Bogliacino - Fernando Montà - Alberto Vitacchio, Giorgio Biffi - Giglio Frigerio - Fabrizio Martinelli, Rovena Bocci, Rossana Bucci - Oronzo Liuzzi, Rosaspina Buscarino, Silvia Capiluppi, Paola Caramel, Simonetta Chierici - Loredana Manciati - Tiziana Priori - Elena Sevi, Pino Chimenti, Circolo degli artisti di Varese, Marzia Corteggiani, Giampietro Cudin - Carla Rigato, Albina Dealessi, Nyima Dhondup - Livia Liverani, Anna Maria Di Ciommo, Franco Di Pede, Marcello Diotallevi, Giovanna Donnarumma - Gennaro Ippolito, Gretel Fehr, Mavi Ferrando - Mario Quadraroli - Roberto Scala - K7, Alessandra Finzi - Gianni Marussi, Alberto Fortis, Emanuela Franchin, Ivana Geviti, Antonella P. Giurleo, Isa Gorini, Gruppo Il Gabbiano, Peter Hide 311065 - Isabella Rigamonti, Benedetta Jandolo -  Angela Marchionni, Oriana Labruna, Silvia Lepore - Sandro Pellarin, Giulia Niccolai - Gruppo BAU, Tashi Norbu, Clara Paci, Lucia Paese, Salvatore Perchinelli, Marisa Pezzoli, Benedetto Predazzi, Anna Seccia, Gianni Sedda, Roberto Testori


così come le significative opere-video di Satish Gupta presentato dalla prestigiosa BASU Foundation For The  Arts, Francesca Lolli e Marco Rizzo.

Dopo aver attraversato l'intreccio delle Lung-Ta si potrà accedere ad un particolare ed originale percorso visivo ed emozionale, costituito da quattro
 mostre personali con una selezione di opere dal contenuto giocoso e fluttuante come nel caso di Marcello Diotallevi con le sue “Fiabe al vento”; con le evocative immagini fotografiche di Anna Maria Di Ciommo riproducenti Lama tibetani al lavoro su splendenti mandala; con le rigorose opere di Rosaspina Buscarino dal serrato ritmo compositivo, capaci di penetrare a fondo nell'animo umano e con le opere-oggetto di Roberto Testori che nel loro biancore riflettono soluzioni concettuali ricche di significati spirituali ed artistici.


 
Anna Maria Di Ciommo, Omaggio 





Roberto Testori, Senso di Colpa



Il percorso prosegue con un altro evento sotto il grande ombrello di Padiglione Tibet: Time Travellers in Venice, curato da Roberta Reali, project assistant Anna Maria Griseri, in cui saranno esposte opere di Tashi Norbu - tra gli artisti tibetani contemporanei di maggior successo – e del suo 9 Pillars Contemporary Art Studio di Amsterdam. La mostra prevede l’omaggio a Tenzin Rigdol e Gonkar Gyatso, che reinterpretano la pittura tradizionale tibetana nel lessico quotidiano dell’era post-industriale. Lo slancio della comunicazione tra oriente e occidente è espresso dai Le Brothers (Le Ngoc Thanh e Le Duc Hai) con video performances radicate nella coscienza contemporanea del Vietnam buddhista; la videomaker Lala Lharigtso presenta con il regista Donagh Coleman A Gesar Bard's Tale, storia del poeta e veggente Dawa ambientata nel Tibet d’oggi. L’Ici Venice (International Cultural Institute) partecipa con il documentario di Anne e Ludovic Segarra Bhoutan: un petit pays possedé du ciel (1972), il primo realizzato in quel paese. Maurizio Pizzo, scenografo e origamista, presenterà workshop a tema.


TashiNorbu,  Water Element&theThird Pole

 





Anna Maria Di Ciommo, Omaggio 





Dalle sale Padiglione Tibet si estende al giardino presentando Atman (dal sanscrito “essenza” - “soffio vitale”) opera inedita site specific di Robert Gligorov realizzata appositamente per il padiglione e curata da Luca Pietro Acquati Architetto. Uno spazio racchiuso e silente, una sorta di giardino segreto che si ispira ai cimiteri anglo-americani dove croci bianche sono piantate direttamente nel prato, ma in cui la croce cristiana è sostituita dall'antico simbolo della svastica tibetana che rappresenta il sole. L'installazione evidenzia il concetto di appartenenza per suscitare una discussione storica e semiologica. Attestazione di memoria che appartiene ad una tradizione che ha sempre cercato la spiritualità e la conoscenza.

Robert Gligorov Atman


Padiglione Tibet sarà anche presente il 17 giugno all'evento Venice Art Night, di cui verrà fornito un programma più dettagliato in seguito, con l'apertura straordinaria fino alle ore 23.00.

Altri significativi appuntamenti sono previsti il 14 maggio con il live painting di Tashi Norbu accompagnato dal recital di musica e poesia di Federica Artuso (chitarra) e Nicoletta Confalone (voce) ed il 6 Luglio, data in cui si celebrerà l'82° compleanno del Dalai Lama.




Il Curatore del Padiglione Tibet  Ruggero  Maggi


- Palazzo Zenobio, Collegio Armeno - Fondamenta del Soccorso, Dorsoduro, 2596 - 30123 Venezia.

eventi@collegioarmeno.com     www.collegioarmeno.com     0415228770    0415203434

Orario d’apertura dalle 10 alle 18 chiuso il lunedì


Recensione a cura dell'Archivio Ophen Virtual Art di Salerno