Danh Vo e Miart danno la scossa a Milano
Questa domenica, sulla pagina di Domani dedicata all’arte, Luca Fiore scrive dell’artista Danh Vo, in mostra per la prima volta a Milano alla galleria Massimo De Carlo. Nato in Vietnam nel 1975, Vo è cresciuto in Danimarca da quando aveva quattro anni. La scorsa settimana ho chiuso la mia newsletter riflettendo su quanto incide sull’opera degli artisti africani o asiatici esporre in gallerie europee o americane e sovente aprire uno studio in grandi città occidentali. Ponevo l’accento sul fatto che la crescente globalizzazione dei linguaggi tende a ridurre le differenze. Gli artisti che maggiormente tendono a resistere a questa contaminazione sembrano essere gli artisti neri africani. È emblematico che sulle colonne di Domani Robin Rhode, che non vive in Sudafrica stabilmente, abbia dichiarato di avvertire la sua identità come “fratturata”. Sarà interessante vedere nei prossimi decenni che sbocchi avranno in arte queste contaminazioni. Torniamo a Danh Vo. Come già detto, egli vive in Danimarca, dove la famiglia si è rifugiata quando ha lasciato il Vietnam. Nel 2015 ha rappresentato la Danimarca alla Biennale di Venezia. Giusto che sia così, perché dove è cresciuti conta più di dove si è nati. Oggi Vo vive tra Città del Messico e Berlino. Come altri artisti della sua generazione utilizza linguaggi che si sono sviluppati nell’arte tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta e che hanno continuato a far sentire la loro influenza, con corsi e ricorsi, nei decenni successivi. Non occorre aver letto Freud per sapere quanto incida sulla psiche ciò che accade nei primi anni di vita: i racconti dei genitori, ma anche le loro abitudini e la loro lingua. La poetica di Vo trova un suo punto fermo nell’accostare elementi di vita personale e storia. Nelle sue sculture troviamo frammenti di sculture antiche o blocchi squadrati incastrati con materiali con caratteristiche molto diverse, come il legno, messi in dialogo anche per accentuarne differenze e contrasti. Vo gioca sul paradosso insito nel fatto che materiali di natura diversa vivono nel diventare parti indivisibili di un’opera unica. Una pratica nella quale si può facilmente riconoscere una metafora di come l’unione di elementi dissimili possa generare bellezza. Vo spiega che non vede i frammenti di sculture utilizzati come opere del passato, ma avverte in loro presenze contemporanee. E parlando delle sue fotografie di fiori che crescono nel grande appezzamento di terreno che sta trasformando in un grande giardino a Stechlin, un villaggio in campagna a un’ora e mezzo da Berlino dove ha un nuovo studio da circa cinque anni, dice: “Avere un giardino ti insegna la pazienza. È bello guardare le cose che mutano nel tempo. Le mie mostre vivono per un periodo limitato. Quando si smontano spariscono. Le piante invece continuano a crescere e a cambiare. Il tempo del lockdown mi ha dato l’occasione di accorgermi delle stagioni. Erano dieci anni che, viaggiando in tutto il mondo, non assistevo a questo fenomeno”.
Tutti in fiera appassionatamente
Il mondo dell’arte tenta di ritrovare la sua normalità. A segnare la volontà di ripresa questa settimana è il Miart, l’annuale fiera dell’arte che quest’anno ha aperto l’anteprima per gli addetti ai lavori giovedì 16 settembre. Sollievo tangibile girando tra gli stand, anche se gli effetti delle restrizioni dovuti alla pandemia si sono fatti sentire: purtroppo poco rilevante la presenza di gallerie straniere, ma ben nutrita quella delle buone gallerie italiane, con poche assenze rilevanti.
Contrariamente agli anni precedenti, inoltre, per quanto numeroso, il pubblico è quasi esclusivamente milanese. Nulla di inaspettato, si badi bene, era prevedibile che la preoccupazione per i contagi da Covid e il disagio per gli ingressi contingentati avrebbe scoraggiato molti collezionisti, in particolar modo quelli stranieri. Eppure questa edizione di Miart, con i suoi spazi ampi, con la qualità delle gallerie presenti e delle opere esposte, nel suo insieme ha il sapore di una bella mostra di gruppo ben allestita. Miart chiude domani, domenica. Per gli amanti dell’arte è una boccata d’aria. Vale davvero la pena visitarla.
Didascalie delle foto - Copertina: Danh Vo, Veduta parziale della mostra alla galleria MASSIMODECARLO, Milano. Foto Nicholas Ash. Courtesy MASSIMODECARLO
- Danh Vo, senza titolo, 2021, marmo di Carrara, granito sale e pepe, bronzo e legno. Veduta parziale della mostra alla galleria MASSIMODECARLO, Milano. Foto Nicholas Ash. Courtesy MASSIMODECARLO
- Vanessa Beecroft, Flavia teste rosso, 2012, marmo rosso francese, cm 178,5 x 30,5 (diametro). Galleria Lia Rumma, Napoli/MIlano. Foto Demetrio Paparoni
- Dennis Oppenheim, veduta parziale dello stand della galleria Montrasio Arte, Milano, al Miart. Western piece, 1999, legno, fibra di vetro, tessuto resinato, pigmenti; Digestion, 1989, vetroresina pigmentata, cera, resina, bulloni in acciaio, bombola di gas, tubo di gomma, regolatore.
e poi, alcuni articoli di Demetrio Paparoni su Domani
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Segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno |
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