giovedì 16 febbraio 2012

FAUSTO MELOTTI AL MUSEO MADRE DI NAPOLI



Fino al 9 aprile 2012

Mostra Antologica di Fausto Melotti

Museo Madre di Napoli


Le invenzioni plastiche di Fausto Melotti nascono dall’immaginario e sono apparizioni provvisorie, insostanziali, in attesa di un soffio di vento per rianimarsi, per divenire viaggio, apparizione, racconto. Sono presenze che tendono alla tensione, al flusso indefinito, nel tentativo di trasformarsi in contrappunto poetico e apparire come …..


                                                  Primi anni  60 -  Liceo Carducci di Milano

Dopo le grandi mostre dedicate a Alexander Calder, Louise Bourgeois, Alberto Giacometti e Lucio Fontana, protagonisti indiscussi della scultura e dell’arte contemporanea, l’appuntamento ora è con il grande Fausto Melotti, ossia con uno dei più importanti artisti internazionali che ha saputo coniugare la tradizione con il rinnovamento del linguaggio artistico e della scultura contemporanea. L’esposizione antologica che si tiene nelle ampie sale del fascinoso Museo Madre di Donna Regina a Napoli accoglie in maniera cronologica oltre 200 opere tra terracotte, disegni, ceramiche, gessi e sculture in ottone, in un arco di tempo che va dal 1930 al 1986, ovvero, dai primi lavori figurativi realizzati all’inizio degli anni trenta ai bassorilievi del 1934-35 che testimoniano l’adesione dell’artista al movimento astrattista, proseguendo, poi, con i famosi teatrini e le successive opere realizzate degli anni sessanta fino al 1986, anno della morte dell’artista.


E’ a partire dal 1925 che Melotti inizia la sua lunga avventura artistica con una serie di piccoli disegni, primi accenni della serie dei “teatrini”che per lungo tempo animeranno la sua feconda stagione artistica. Nei primi anni la sua ricerca è chiaramente figurativa suggestionata dapprima dal futurista Fortunato Depero, da Pietro Canonica e poi da Adolfo Wildt, suo maestro alla cattedra di scultura all’Accademia di Brera. Da questo momento Il percorso di Melotti s’intreccia sistematicamente con quello di Lucio Fontana, compagno di corso a Brera e amico sincero di tutta una vita. E’ indubbio che le prime opere figurative risentono l’influsso di Wildt, tuttavia, la sua scultura sembra guardare più all’arte arcaica che al naturalismo di Arturo Martini e del Novecento. Negli anni 1934-35, grazie allo studio della musica e dagli apporti del cugino Carlo Belli aderisce convinto al movimento dell’arte astratta partecipando nel 1935 alla prima mostra collettiva astratta presso lo studio di Felice Casorati e Enrico Paolucci a Torino, e poi alle mostre presso la Galleria Il Milione dei fratelli Ghiringhelli; l’unica galleria privata in Italia aperta alla sperimentazione e alle suggestioni internazionali, esponendo lavori caratterizzati da una modulazione già non figurativa alla ricerca della perfezione, dell’armonia musicale e della bellezza geometrica. E‘ del 1935-36 l’opera “Costante Uomo”, una serie di 12 manichini identici usciti da una situazione chiaramente metafisica in cui la figurazione arcaica degli anni precedenti viene ora stemperata e addolcita in forme più semplificate. Gli anni successivi sono momenti difficili per Melotti. Nell’incertezza e in prossimità di una seconda guerra mondiale, l’artista si rifugia “nell’intimità delle piccole cose”, nella malinconia dei gesti consueti e tradizionali; piccole opere in ceramica cotte nella piccola muffola nello studio di Via Leopardi, 26 a Milano, rifiutando ogni forma di ufficialità e occupandosi prevalentemente di ceramica e della realizzazione di insoliti e piccoli teatrini in terracotta colorata che la critica del tempo considera e taccia come “una serie secondaria a parte” all’interno della produzione complessiva di questo artista. I “teatrini” sono dei contenitore-casa al cui interno vi sono diversi piani occupati da oggetti e personaggi ottenuti utilizzando i più svariati materiali che evocano momenti privati, piccoli racconti. Insomma, una sorta di contenitori a-temporali decisamente metafisici. Le prime avvisaglie di tali lavori vengono anticipate già in alcuni disegni tra il 1925 e il 1930. Comunque, non sarà mai una produzione marginale, di poco conto, continueranno ad essere creati dall’artista integrandosi con le successive invenzioni filiformi fino a quasi la metà del 1985. La visione dell’artista di Rovereto ormai va condensandosi per immagini interiori e per accadimenti emotivi di piccola dimensione. Fausto Melotti, ha sempre preferito formulare le opere in una dimensione più raccolta, di piccolo formato, cosciente che la monumentalità della scultura non è definibile in base alla grande dimensione effettiva e monumentale del formato ma a una intensa capacità di far emergere una visione favolistica che sollecita la riflessione e la partecipazione.


Dal 1959 in poi, l’artista ritrova la possibilità di rinnovare la scultura contemporanea tessendo un percorso difficile ma straordinariamente fascinoso, affidandosi “alle piccole cose”, all’intimità di un momento in cui il silenzio e alla ricerca dell’esistere e si fa apparizione. Rinnovamento, dicevo, ottenuto utilizzando fili di ottone saldato e diversi altri materiali occasionali e persino trovati. Risultati ottenuti indubbiamente in ritardo rispetto all’amico Fontana che proprio alla vigilia della guerra decide di trasferirsi in Argentina piuttosto che condividere gli eventi della guerra come farà l’artista di Rovereto che vivrà intensamente tale momento segnandolo in modo forte. Tuttavia, saprà ritrovare un destino nuovo e interessante alla scultura contemporanea, considerata da tempo “lingua morta”. Nascono nel 60 i Sette Savi, dei manichini che assomigliano a birilli che verranno collocati al Liceo Carducci di Milano prima di essere definitivamente spostati perché deturpati dalla stupidità e dal vandalismo studentesco. In questi anni, l’artista, nonostante sia conosciuto non è molto considerato e compreso dalla critica, forse a causa dei materiali che utilizza tipicamente “artigianali” e poveri come la terracotta e la ceramica e per quel che riguarda le nuove opere degli anni sessanta, forse perché realizzate con la semplice saldatura piuttosto che la classica modellazione della forma artigianale, rifiutando apertamente di condividere la scultura per via di un modo di fare tipicamente consueto e tradizionale. Proprio nel 1960, persino Giovanni Carandente, amico e sostenitore di tanti amici scultori, incaricato ad approntare un Dizionario della Scultura Moderna per Il Saggiatore, non prende affatto in considerazione il lavoro dello scultore di Rovereto. Ci sono tutti tranne che lui. Solo nel 1978, riconoscerà il giusto valore impresso da questo importante scultore dando l’appropriata attenzione che per anni è stata negata. Da questo momento in poi, fino al 1986, la sua particolare visione creativa risorge producendo una serie infinita di straordinarie opere utilizzando i più disparati materiali, come la creta, l’ottone, gesso, inox, vetro, bronzo, tessuto dipinto, terracotta, fili metallici, carta, rete di metallo, cartone, amianto corda, fili di lana e persino filamenti di nastro per magnetofono. I teatrini ora si sono trasformati in accadimenti provvisori; non più “rappresentazioni materiali” ma “azioni immateriali” in cui il caso modifica l’evento per definirsi in precaria e momentanea essenza malinconica, incanto sfuggente e effimera apparizione. Scriverà successivamente: “ l’opera d’arte, quando è vera, ti allontana dal mondo, ti cinge di questa barriera di silenzio, e tu la vedi come attraverso un vetro, quando è vera arte, che sia musica che sia poesia, scultura, ti trovi sempre davanti a questo vetro che ti dice che sei un pover’uomo, e che non arrivi all’angelicità dell’arte”. Ormai la musica per lungo tempo amata dall’artista è diventata poesia, presagio, contrappunto e spartito scenico. Sono opere che per vivere ed esistere hanno bisogno di un soffio di aria; in fondo, la poesia non ha bisogno di opere monumentali ma di piccoli gesti inconsueti, poveri, quasi inconsistenti. Le sue sono essenzialmente azioni di tipo performativo, nascono nello spazio e nel tempo come eventi provvisori e non hanno bisogno di ulteriori contributi elettrici come nell’opera di Jean Tinguely o degli artisti dell’arte cinetica e programmata, ma del semplice aiuto delle singole forze naturali. La tecnologia, non entrerà mai nel lavoro di Melotti, preferendo gli eventi naturali capaci di evidenziare meglio la casualità e la provvisorietà. Fausto Melotti è decisamente l’artista “dell’incorporeo”, dell’incantata apparizione soggetta al continuo cambiamento per esistere, per esserci ancora. Le opere di questo artista nascono dal profondo buio, si ossigenano di luce e cercano incessantemente il dialogo e la partecipazione corale.


Ormai la scultura è diventata sensitiva, per questo motivo le sue sculture sembrano che volano tanto appaiono leggere e precarie. Non si materializzano mai. Sono apparizioni provvisorie in attesa di un soffio di vento per rianimarsi, per divenire viaggio, apparizione, racconto. Sono presenze che non tentano di “definirsi in forma”, ma vivono l’istante come momento sfuggente, insostanziale. E’ doveroso sottolineare che dopo anni di analisi critiche, per lungo tempo divaganti e fuorvianti in ambito essenzialmente geometrico e astratto, solo negli ultimi tempi, si è prospettata per il lavoro di Melotti una diversa e più confacente lettura, direi più obiettiva - come giustamente ha fatto Germano Celant - che ha puntato sull’indeterminatezza e sulla provvisorietà del racconto piuttosto che sulla bella forma e sul rigore geometrico di matrice semplicemente astratta. Con le ultime opere la visione si fa precaria, fragile, vive nella penombra dell’azione e dell’apparizione conseguente per definirsi sinteticamente per lacerti di memoria. Presenze che hanno bisogno dell’aria e dell’atmosfera per sopravvivere, includendo nell’azione forze che possono apportare nuovi sviluppi. Insomma, una situazione decisamente provvisoria, non definita, costretta a vivere l’enigma di un limite tra la penombra e la luce. Sono “i ricordi dell’anima” che prendono forma in modo larvale e si condensano in un possibile ed ermetico racconto, nell’apparenza sfuggente di un solo attimo. Più che la luce, come afferma convinto Celant, è lo spiazzante apparato scenico che ordina e mette in forma per un momento la dimensione precaria dell’apparire, un messinscena in cui la realtà si fonde provvisoriamente con la finzione per divenire presagio dell’invisibile. L’artista non fa leva sull’accostamento casuale e ironico “dell’objet trouvè” di matrice duchampiana, non cerca la provocazione e neanche fa leva sull’utilizzo degli oggetti “tout court”, ma incentra tutto il suo lavoro sulla manualità, sulla manipolazione dei materiali semplici e soprattutto sulla trasfigurazione in base ad un emergente bisogno espressivo e comunicativo. Per tale motivo i materiali non vengono mai presentati per quello che sono ma trasformati in funzione di una sintesi, per la carica di suggestione che possono trasferire. Quindi, non sono da intendere come semplici e consuete “opere astratte” ma nascono dall’immaginario e dallo sconvolgimento dei sensi. Sono presenze che tendono alla tensione al flusso indefinito nel tentativo di trasformarsi in contrappunto poetico e apparire come favola. Una visione in realtà complessa e intricata.


Ormai la rappresentazione non preferisce la modellazione dei primi momenti figurativi ma la modulazione della danza, la leggerezza che si fa gesto, movimento e anche rivelazione. Un transitare veloce, decisamente solitario, sospeso al di la del logico e del consueto. Anche l’ultima produzione, per intenderci quella degli ottoni saldati, devono essere letti come “teatrini dell’anima” che provvisoriamente si animano di oscure energie tra passione e profondo silenzio. Quelli di Fausto Melotti sono sogni e segni poetici situati a mezz’asta nell’aria, nella dimensione più oscura e vera della penombra, sono presenze senza tempo in cui la vita, per un attimo si è rappresa. Una rappresentazione decisamente inconsistente, immateriale, transitoria, sospesa tra un emergere indeterminato che cerca anche per un solo attimo di trasformarsi in vertigine e apparire.



sandro bongiani

mostra visitata  per Exibart il 21 dicembre 2011









“Un soffio di vento”

Poema visivo di Giovanni Bonanno dedicato a Fausto Melotti




La vita

di un uomo

è fatta di oscuri tintinnii di campane appese per la gola,

di cadute, di miraggi e anche di memorie solitarie che nascono da cadenze antiche.

Solo nell’oscurità il silenzio incarna essenze malinconiche senza tempo.

La luce vola oscura tra fruscii e rintocchi che sbattono cupi nell’aria come presagi dell’invisibile.

Solo nella fantasia il silenzio magicamente prende forma.

L’aspro vento di Rovereto sfiora e accarezza le frange dei cenci appesi ad una trave di ferro sibilando oscuri e mirabili incanti per poi adagiarsi fiera sopra la polvere che il tempo ha conservato.

Solo nei ricordi il silenzio diventa poesia tra una metamorfosi e un battito d’ali che il tempo si appresta a cancellare.

Nella penombra dei pensieri, insolite presenze di latta e di ruggine colano orgogliosi lungo remoti pendii per condensarsi in entità sospese.

Solo nel silenzio dell’oscurità

gli incanti si trasformano

in note

e in contrappunti musicali

nel tentativo

di esserci

ancora.

Giovanni Bonanno © 2012







16 dicembre 2011 – 9 aprile 2012


Fausto Melotti


MADRE – Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina


Via Luigi Settembrini 79 (80139),  Napoli


Contatti: +39 08119313016 -

www.museomadre.it


Da lunedì a sabato: 10.30 – 19.30 / domenica: 10.30 – 23.00

(la biglietteria chiude un’ora prima)   martedì: chiuso
intero 7 euro, ridotto 3,50 / lunedì: gratuito
Ufficio stampa
ELECTA: +39 0221563250
imaggi@mondadori.it

venerdì 4 novembre 2011

Pinacoteca Civica di Savona- Palazzo Gavotti

          ARTE DI FRONTIERA, ARMONIA DEI CONTRARI


Arte contemporanea
Città di Savona
Arte di frontiera
5 novembre 2011 - 8 gennaio 2012
Pinacoteca Civica di Savona
Palazzo Gavotti

Inaugurazione sabato 5 novembre 2011 - ore 11.00

Orario: lunedì, martedì, mercoledì: 9.30 - 13.00
giovedì, venerdì, sabato: 9.30 - 13.00 / 15.30 - 18.30
domenica: 10.00 - 13.00



Artisti Presenti:
Giovanni Bonanno
Maurizio Follin
Ice dog, (Bruno Cassaglia, Massimiano Marchetti, Cristina Sosio)
Giuliana Marchesa
Bruno Sullo
Christine Tarantino

Direttore artistico: Bruno Cassaglia
Progetto grafico: Bruno Cassaglia - Cristina Sosio
Contributo di Esso Italiana e Centro Iniziativa Donne
Collaborazione di Cooperativa Culturale A.R.C.A.





Coesistenza e contaminazione, strumenti di conoscenza e di superamento degli opposti


La storia dell’uomo ha seguito un percorso culturale basato sulla logica “binaria” dell’aut-aut ed espresso dalla disuguaglianza x ≠ y (dove, se x è il bene, y non può che essere il male) dagli esordi fino alla nostra condizione di oggi, in cui sopravvivono drammatici dualismi, contrasti tra opposti fondamentalismi che producono disastri e infelicità. Le conseguenze sono pesanti: muri di incomprensione, intolleranza, ostacoli alla cultura dell’integrazione e al progresso. Questo modello potrebbe però essere utilizzato in una prospettiva positiva, realizzando ipotesi di contaminazione tra i termini del rapporto binario, che ne verrebbe così disattivato. Una di tali ipotesi potrebbe essere avanzata nel campo dell’arte, dove ad esempio il modello “binario” antico/moderno ostacola la conoscenza delle opposte motivazioni e rende impossibile ogni atteggiamento di tolleranza: un dissidio componibile o che è necessario comporre. L’operazione qui proposta tenta la via più ardua e però più efficace di composizione: lungi da ignorare il meccanismo di contrapposizione, gli artisti lo accettano, per verificare un possibile effetto favorevole alle parti. Il metodo è semplice e diretto, basato sulla coesistenza e sul conseguente rapporto fisico tra opere di arte contemporanea (per lo più proposte in declinazioni di ricerca avanzata) e le opere residenti, patrimonio storico-culturale del Museo che accoglie l’evento. Non c’è alcun tentativo di smussare gli angoli o di modulare il contrasto né a dire il vero di accentuarlo a fini gratuitamente provocatori: il contrasto e la provocazione nascono de facto dalla diversità delle opere appartenenti ad ambiti linguistici e culturali obiettivamente distanti. Quello che, in più, è ricercato è il dialogo: un dialogo che, per sua stessa natura, instaura tra le parti un rapporto complesso durante il quale ciascuna trasferisce un po’ di sé al suo interlocutore, ricevendone qualcosa e aprendosi alla consapevolezza dell’”altro” senza rinunciare alla propria identità. In tal modo la contaminazione tra gli opposti, conseguente alla loro voluta e consapevole coesistenza, diviene strumento di conoscenza e conduce ad una reciproca valorizzazione delle opere, ciascuna delle quali trae dalla presenza del suo contrario elementi di specificità e rilevanza artistica. Alle installazioni sonore (Follin) e visive (Bonanno e Ice dog), alla scultura di ricerca (Marchesa) alla video-art (Tarantino), alla performance (Sullo), espressioni di una sensibilità artistica squisitamente “contemporanea”, è offerta l’opportunità di abitare le prestigiose sale del Museo, traendone elementi di temporanea storicizzazione; e alle opere dei Maestri proposte dal Museo di ricevere una rivitalizzazione ed un confronto con l’oggi. Così, creando contrasti decisi ma regolati da un consapevole disegno progettuale, l’operazione finisce per produrre una imprevista armonia dei contrari che supporta di una sua precisa e condivisibile ragion d’essere, al di là della natura e del valore delle opere presenti e/o installate. Questo, almeno, est in votis.

                                                                                                                  Bruno Sullo




Armonia dei contrari




Giovanni Bonanno / Da sempre interessato al Naturalismo Integrale, l’artista ha operato insistentemente ai confini delle soglie disciplinari, in una sorta di fertile e felice contaminazione poetica incentrata sul dato progettuale e utopistico avviato precedentemente a Como da artisti di grande interesse come Antonio Sant’Elia, Francesco Somaini e Ico Parisi. Inizia nel 1976 a definire le sue ricerche a carattere ambientale. Dal 1976 al 1978 lavora sull’espansione di materia attiva, con disegni, progetti, sculture e ambienti. Dal 1979 al 1982 serie di lavori sui percorsi mentali, sulle tracce e sui reperti della memoria. Nel 1980 lavora in direzione del “naturalismo integrale”. Dal 1983 al 1987 serie di lavori sulle nature alterate e sui contaminanti. Dal 1988 nuova serie di lavori sulla condizione inoggettiva. Con l’ultima serie di opere “Occupatio H.X.”, l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione più espressivo che fa leva sull’’immediatezza provocatoria dandoci esseri profondamente mutati, nati da certi stereotipi di questa società.








Maurizio Follin / (artista multimediale di Venezia) Si è sempre definito “pittore veneziano del Novecento”. Ed è così che è conosciuto da molti, come un “pittore”, creatore di grandi, coloratissime tele, aquiloni senza cornice, che rivendicano Libertà. Osservando in toto la sua produzione, ci si rende però conto che tale definizione è riduttiva: troppo poco per un artista che, fin dai suoi inizi, ha sempre esplorato nuovi media, giocato con le nuove tecnologie, sperimentato tutte le tecniche espressive in cui si è imbattuto nella sua ormai trentennale attività. E così web, mail art, arte materica, pittura, dripping, tela, carta, legno, elaborazione digitale, video e sonorizzazioni, si incontrano, dialogano, comunicano emozioni. . . (Nicoletta Consentino).








Ice dog / (Bruno Cassaglia, Massimiliano Marchetti, Cristina Sosio) È stato fondato nel 2007 da Luisa Bugna (giovane appassionata d’arte contemporanea internazionale) e da Bruno Cassaglia (artista multimediale). Attualmente viene usato da Cassaglia ogni volta che collabora con uno o più artisti. In questo progetto sono presenti: Bruno Cassaglia (artista multimediale), Massimiliano Marchetti (pittore e musicista sperimentale) e Cristina Sosio (pittrice, incisore, videomaker), i quali propongono una installazione formata da un video, che è stato girato nelle sale del Museo che ospitano la mostra: Bruno Cassaglia, ripreso da Cristina Sosio, ha performato seguendo la sonorizzazione di Massimiliano Marchetti. L’installazione comprende anche un falso d’autore di Cristina Sosio: la Medusa di Caravaggio.








Giuliana Marchesa / E’ Presidente del Circolo Culturale Eleutheros e dal 2005 cura le esposizioni presso lo Studio di Lucio Fontana in Pozzo Garitta ad Albissola Marina (SV). Mostre personali in Italia: Genova: Galleria “La Tana” (1973); Torino: “Studio Laboratorio” (1981); Milano: Galleria “Solo Arte”(1997); Savona: Brandale (1999) e CESAM (2000); Celle Ligure (SV): Sala Consiliare (2001); Genova: Centro Civico di Villa Spinola a Cornigliano (2002); Albissola Marina (SV): Studio di Lucio Fontana (2008); Savona: Priamar (2010); Acqui Terme: Palazzo Chiabrera (2010) - Mostre personali all’estero: Maastricht (NL), Galleria “Felix” (1990); Susteren (NL), Galleria “Artanne” (1990); Tongeren (B), Museo cittadino (1991); Parigi (F) St. James et Albany (1994); Baltimora (USA) 2005 World Trade Center. Principali Mostre collettive: “Versiliana” (1997); Milano Museo della Scienza e della Tecnica (2003, 2004); Montaldo di Mondovì, loc. Vernagli (CN) (2008); Savona, Priamar (2008) in “Savona ‘900”; Albissola Marina, Museo d’Arte Contemporanea e Urbania (PU) Palazzo Ducale (2008- 2009); Messina Forte San Jachiddu (2010); Vetulonia (GR) Museo Etrusco (2010); Nice (F) La Providence (2011).









Bruno Sullo / Da oltre 30 anni lavora al tema del confine attraversabile, espresso dalla finestra.Questa, posta per la sua funzione sul muro perimetrale della casa, consente il passaggio tra dentro e fuori e allude alla possibile conoscenza tra mondi opposti, primo passo per superare la logica dell’aut-aut che ancora produce nel mondo incomprensione e intolleranza. Su tali concetti Sullo realizza opere visive, installazioni, performances e video, attraversando molte esperienze d’arte contemporanea senza perdere mai la sua identità. Sullo è attivo nella promozione artistica (col Gruppo Portofranco, poi col progetto “Il Labirinto” del Comune di Livorno, infine col Gruppo La Casa dell’Arte), e svolge attività di critico d’arte con articoli, presentazioni, conferenze e progetti didattici per Scuole elementari e medie.










Christine Tarantino / Artista americana di Wendell, Massachusetts, è mail artista, net artista, fotografa, performer e videomaker. È presente su Dodo dada arte postale e su IUOMA (International Union Of Mail Artist). Di se stessa dice tra l’altro: “Sono un’artista americana con spirito italiano. Il mio sogno è quello di visitare la bellissima Italia...”





giovedì 2 giugno 2011

VINCENZO NUCCI A SALERNO



SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY



VINCENZO  NUCCI


ILLUMINAZIONI:   “Tra Luce, Memoria e Malinconia”

(Retrospettiva Collaterale e Contemporanea alla 54° BIENNALE di VENEZIA - Padiglione Italia, 2011)


A CURA

di GIOVANNI BONANNO

11 Giugno al 27 Novembre 2011

Inaugurazione: Sabato 11 Giugno 2011

ore 18.00


Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159
e-mail: bongiani@alice.it – Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/

Orario galleria 16 -19 Lunedì – Domenica

In concomitanza con la 54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno apre l’11 giugno 2011 con una mostra Retrospettiva dedicata a Vincenzo Nucci, artista siciliano di grande interesse che da diversi decenni ha improntato il suo lavoro di ricerca sulla luce e che risulta invitato al Padiglione Italia, 2011.


La retrospettiva dal tema “Illuminazioni: Tra luce, memoria e malinconia” documenta una selezione ragionata di 75 opere fra oli e pastelli (dal 1978 al 2010) realizzate da Vincenzo Nucci negli ultimi trent’anni di attività.” Il tema è il paesaggio, la campagna, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose buganvillee fiorite di lacche rosse, e soprattutto la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Enzo Nucci dipinge la natura siciliana, in quel tratto di costa intorno a Sciacca queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una assorta malinconia. Le sue opere sono “memorie di un tempo”, con le case, le palme, i rampicanti e le buganvillee che hanno preso il sopravvento e riempito il vuoto di una vita che ormai non c’è più. L’artista saccense guarda alla natura, al paesaggio con stupore. Le sue opere vivono la dimensione intima e "visionaria” dandoci struggenti emozioni e nel contempo delicati e sottili memorie che solo la poesia, quella vera, sa rivelare. Come dice Piero Guccione, (1989) "Enzo Nucci è uno dei pittori che dipingono ancora la natura. Più esattamente Nucci dipinge la natura siciliana poiché la abita; in quel tratto di costa intorno a Sciacca dove più fortunata e civile la vita conserva un barlume di dolcezza rispetto ad altre zone devastate dell'isola. […] queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una malinconia greve "irredimibile" della nostra natura insulare." E’ dal 1980 che Vincenzo Nucci dipinge paesaggi, paesaggi della Sicilia con la casa padronale, le mura di cinta, e oggi le palme, simbolo della dolce Sicilia,del la Sciacca araba e Barocca che dal mare con orgoglio guarda all’Africa e sogna. Enzo Nucci, è un artista di grande qualità, capace di cogliere le insolite e struggenti emozioni dell’anima. Dalla sua finestra sopra il porto di Sciacca guarda affascinato l’orizzonte del mediterraneo, l’Africa e il magico ed esotico Oriente e intanto traccia immagini di palme e di orizzonti volutamente non definiti in cui la nostalgia intrisa di insolite memorie si tramuta in delicata e struggente malinconia, in assorto silenzio e soprattutto in incantata e magica rivelazione lirica.




Vincenzo Nucci : 
 “Tra Luce, Malinconia e Memoria”


Vincenzo Nucci da circa un quarantennio di ricerca dipinge ossessivamente i luoghi della memoria, della malinconia, con antiche ville secolari dove il tempo si è apparentemente rappreso e fermato. I suoi primi lavori negli anni Sessanta hanno avuto come tema centrale la guerra in Vietnam e il terremoto in Sicilia con una pittura pienamente aggiornata rispetto l’esperienze culturali e artistiche che si svolgevano in quel tempo in campo internazionale. Dopo circa un decennio di attività, di colpo, ha visto l’artista siciliano allontanarsi dalle vicende prettamente sociali e il tema ricorrente della sua pittura è diventato soltanto la sua Sicilia. Per diversi anni Vincenzo Nucci ha continuato a osservare curioso il paesaggio della sua fascinosa Sciacca con la casa padronale e le inquiete buganvillee fiorite dai colori vellutati che si arrampicano avidi a scrutare il mare Mediterraneo e l’orizzonte immacolato dell’Africa araba. Per molti anni l’artista ha dipinto in modo ossessivo solo paesaggi, quei paesaggi del Belice con gli orizzonti dati come “logos indefinito”, come superamento del dato provvisorio del reale e del visibile. Un visibile che s’incarna nella figurazione ma nel contempo la trascende e la proietta in una dimensione soffusa, intima in cui l’apparire si trasforma in essenza malinconica carica di silenzio e di cose non completamente svelate. L’artista ormai lavora sul crinale ossessivo di una figurazione in cui le immagini vivono la dimensione sospesa e impalpabile del momento.

Sono magiche visioni che si posizionano metaforicamente tra natura e storia, tra coscienza e sofferta aspirazione. La tela di Nucci non è altro che il “sudario della memoria”, dei ricordi rappresi, del passato trascorso che affiora come dolce ricordo e si condensa in materia più concreta e lirica. La visione dell’artista saccense nasce quindi da questa particolare capacità di trasportarci in un altrove praticabile in cui sentiamo persino i suoni, gli odori e i profumi delle diverse stagioni isolane; l’odore di terra dopo un temporale, il profumo del basilico, le cicale sospese all’ombra di una palma gentilizia a cantare e ricordarci i memorabili momenti di vita trascorsi accanto ad un solitario casolare di campagna. Insomma, la pittura di Enzo Nucci è intrisa di insolite memorie cariche di nostalgia e di profondo e assorto silenzio. Il paesaggio per l’artista siciliano non è semplice descrizione o pura sensazione percettiva ma inesorabile ossessione, struggente apparizione di memorie di luce non del tutto corporee ma che lasciano comunque tracce sostanziali ancora visibili. Tutta la sua pittura è intrisa di passato, di ricordi sedimentati in una dimensione alquanto provvisoria ma immediata.



Per il pittore siciliano, l’arte è essenzialmente evocazione, sortilegio, vertigine. Forse il suo mistero sta tutto racchiuso nel suo magico studio arroccato tra tante fitte case arabe pressate a dismisura sopra il porto che formano la parte antica e più vera della città di Sciacca. Lì prendono forma i ricordi e nascono le architetture e i giardini con insoliti paesaggi svuotati di ogni presenza umana; solo la memoria della natura nella sua mitica essenza e nel silenzio più maestoso. Una visione decisamente “sospesa”, di confine, dilatata a dismisura che si concede ai flussi illogici dell’anima per diventare aria, vento africano, apparizione e anche superba emozione poetica. Da lì, l’artista scruta gli umori del giorno e elabora le sue misteriose visioni dai colori tenui che si trasformano per incanto in tonalità di colore alquanto ricercati. Come dice Philippe Daverio, “quell’architettura siciliana che proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell'infinito della luce e della percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al sole il colore della loro identità mediterranea”. Secondo Nucci, Il percorso pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di emozioni, di ricerca infinita, di dubbi, e poi d’immagini, di silenzio assorto e anche di interminabili viaggi che l’occhio compie in cerca di qualche autentica certezza.

Quella di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di Nucci la luce è l’unica certezza, la vera presenza che può tentare di svelare la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione in cui il sale per strano sortilegio s’impasta con i delicati ricordi del passato e con il sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in apparizioni misteriose, sfuggenti. I ricordi di luce impressi nella tela attraverso la pittura non posseggono una forma definita e definitiva, sono solo presenze che condividono la dimensione di chi è diseredato e tenta invano di resistere, di esserci ancora, “dove la natura - come dice Aldo Gerbino - si stempera nella grazia di un estenuato ricordo, come sopraffatto da quella lacerazione nostalgica che concede quel tanto che basti al passato”.

Una natura ritrovata che nasce da un assiduo contatto con artisti del suo tempo come Ruggero Savinio, Piero Guccione, Carlo Mattioli, legati da profonde affinità di come poter trattare e intendere il visibile e anche dal continuo approfondimento con il passato, come Pierre Bonnard che Nucci ama più di tutti per la rara capacità che ha il pittore francese di trattare la dolce materia e farla vibrare in delicate e ricercate intensità cromatiche. Nella pittura di Vincenzo Nucci le antiche ville padronali dal tufo macerato dal tempo appaiono come presenze sfuggenti, quasi apparizioni metafisiche. La densa materia del colore ad olio o del pastello a contatto con la luce sembra che si sfarini trasformandosi improvvisamente in essenza malinconica, in delicata e soffusa presenza onirica con il vento maestoso e prepotente del Carboi che di notte, all’ombra di una palma araba africana, sembra che sibili malinconici ricordi di un tempo ormai trascorso e intanto di giorno accarezza compiaciuta l’aspra e selvaggia radura ancora non domata del selvaggio Belice. Questa è l’emozione che si respira guardando gli insoliti scorci paesaggistici in cui la luce siciliana si distende beffarda come timida apparizione. Paesaggi della memoria che incarnano provvisoriamente il mistero della vita, paesaggi in/cantati rilevati nella dimensione più intima e sofferta dell’anima. Questa è la pittura di Vincenzo Nucci.                                                                                          Giovanni Bonanno






Biografia

Vincenzo Nucci è nato a Sciacca (Ag) nel 1941 e qui ha sempre lavorato. Frequenta l’Istituto d’Arte di Palermo e l’Accademia di Belle Arti di Agrigento. Le sue prime personali, nel decennio fra il 1960 ed il 1970 in varie città italiane, lo vedono impegnato nei temi sociali e drammatici come la guerra del Vietnam e il terremoto del Belice. Dal 1980 Nucci dipingerà solo paesaggi, anzi il paesaggio Siciliano, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose bouganville fiorite di lacche rosse, le antiche rovine di Selinunte e, infine, lei, la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Nel 1989 è invitato alla Biennale Nazionale Città di Milano, Palazzo della Permanente. Nel 1991 conosce Philippe Daverio che lo invita ad esporre alla rassegna d’arte “Anni Ottanta in Italia” all’Ex Convento di San Francesco di Sciacca e successivamente organizza una sua personale alla galleria Daverio a Milano. Nel 1992 conosce Marco Goldin che gli organizzerà nel 1994 una mostra antologica a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con scritti in catalogo dello stesso Goldin, di Guido Giuffrè e di Marco Vallora. A Conegliano, Palazzo Sarcinelli esporrà ancora nella rassegna “Da Fattori a Burri, Roberto Tassi e i pittori”, nella mostra “Una donazione per un nuovo museo”, e ancora nel 1998 “Elogio del pastello, da Morlotti a Guccione”. Sempre su invito di Marco Goldin, nel 1999 terrà una mostra antologica del pastello “Opere 1981-1999″, a Treviso nella Casa dei Carraresi, con testi di Marco Goldin ed Enzo Siciliano. Nel 2003-2004 la Provincia Regionale di Palermo organizza una sua mostra antologica al Loggiato San Bartolomeo, “Opere 1981-2003″, con scritto in catalogo di Aldo Gerbino. Nel 2006 è invitato da Philippe Daverio alla LVII edizione del Premio Michetti di Francavilla al Mare. Nel 2007 è presente alla mostra “Arte Italiana 1968-2007. Pittura”, curata da Vittorio Sgarbi al Palazzo Reale di Milano. Del 2008 la mostra personale “Impressioni di luce” alla Galleria 61 di Palermo e l’antologica “Opere 1984 – 2008” presso l’ex Convento di San Francesco a Sciacca con testo in catalogo di Philippe Daverio. Del 2010 la personale “Gli uomini del paesaggio” alla Galleria Spazio Forni di Ragusa e la collettiva “Mare Nostrum” alla Galleria Forni di Bologna. Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia. L’artista vive a Sciacca.

lunedì 3 gennaio 2011

Calendario Stagione 2010/2011

MOSTRE Virtuali 
WWW.OPHENVIRTUALART.IT




SVOLTE:
- 4 Settembre - 29 Ottobre / Mostra Retrospettiva di Giuliano MAURI


- 6 Novembre - 6 Gennaio 2011 / Mostra Retrospettiva di Paolo SCIRPA

 - 8 Gennaio - 31 Marzo 2011 / Mostra Antologica di Clemente PADIN



- 11 Giugno - 27 Novembre 2011 / Mostra Retrospettiva  di Vincenzo NUCCI





DA FARE:
- Dicembre 2011 - Settembre / Mostra Personale di Marcello DIOTALLEVI



CORSO 

- 11 Giugno – 27 Novembre 2011 / Mostra Retrospettiva  di VINCENZO NUCCI
 Presentazione  critica di GIOVANNI BONANNO
                                                                         
 
VINCENZO  NUCCI

ILLUMINAZIONI:   “Tra Luce, Memoria e Malinconia”

(Retrospettiva Collaterale e Contemporanea alla 54° BIENNALE di VENEZIA - Padiglione Italia, 2011)

In concomitanza con la 54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno apre l’11 giugno 2011 con una mostra Retrospettiva dedicata a Vincenzo Nucci, artista siciliano di grande interesse che da diversi decenni ha improntato il suo lavoro di ricerca sulla luce e che risulta invitato al Padiglione Italia, 2011.

La retrospettiva dal tema “Illuminazioni: Tra luce, memoria e malinconia” documenta una selezione ragionata di 75 opere fra oli e pastelli (dal 1978 al 2010) realizzate da Vincenzo Nucci negli ultimi trent’anni di attività.” Il tema è il paesaggio, la campagna, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose buganvillee fiorite di lacche rosse, e soprattutto la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Enzo Nucci dipinge la natura siciliana, in quel tratto di costa intorno a Sciacca queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una assorta malinconia. Le sue opere sono “memorie di un tempo”, con le case, le palme, i rampicanti e le buganvillee che hanno preso il sopravvento e riempito il vuoto di una vita che ormai non c’è più. L’artista saccense guarda alla natura, al paesaggio con stupore. Le sue opere vivono la dimensione intima e "visionaria” dandoci struggenti emozioni e nel contempo delicati e sottili memorie che solo la poesia, quella vera, sa rivelare. Come dice Piero Guccione, (1989) "Enzo Nucci è uno dei pittori che dipingono ancora la natura. Più esattamente Nucci dipinge la natura siciliana poiché la abita; in quel tratto di costa intorno a Sciacca dove più fortunata e civile la vita conserva un barlume di dolcezza rispetto ad altre zone devastate dell'isola. […] queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una malinconia greve "irredimibile" della nostra natura insulare." E’ dal 1980 che Vincenzo Nucci dipinge paesaggi, paesaggi della Sicilia con la casa padronale, le mura di cinta, e oggi le palme, simbolo della dolce Sicilia,del la Sciacca araba e Barocca che dal mare con orgoglio guarda all’Africa e sogna. Enzo Nucci, è un artista di grande qualità, capace di cogliere le insolite e struggenti emozioni dell’anima. Dalla sua finestra sopra il porto di Sciacca guarda affascinato l’orizzonte del mediterraneo, l’Africa e il magico ed esotico Oriente e intanto traccia immagini di palme e di orizzonti volutamente non definiti in cui la nostalgia intrisa di insolite memorie si tramuta in delicata e struggente malinconia, in assorto silenzio e soprattutto in incantata e magica rivelazione lirica.

                 
Visita:


" Tutto il Materiale è  protetto da diritto d'autore "

Tutti i Diritti  sono riservati , pertanto,  per qualsiasi richiesta  occorre contattare espressamente l'artista in questione  o l'Ophen virtual Art Gallery per avere Il permesso esplicito di Pubblicazione.  

venerdì 31 dicembre 2010

MOSTRA ANTOLOGICA DI CLEMENTE PADIN




SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY


MOSTRA ANTOLOGICA   di CLEMENTE PADIN

“OLTRE IL MURO,  TRA UTOPIA E TRASGRESSIONE”

A CURA  di GIOVANNI BONANNO


8 GENNAIO – 31 MARZO 2011

Inaugurazione: Sabato 8 Gennaio 2011 ore 18.00



Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159

e-mail: bongiani@alice.it – Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/

Orario galleria Lunedì - Domenica




Comunicato Stampa

“Oltre il Muro, tra Utopia e Trasgressione” é il titolo della mostra antologica che lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica a Clemente Padin, uno dei più importanti e storicizzati artisti uruguaiani che per questa mostra presenta 72 opere tra “Visual Poems”, Poesia Digitale e Mail Art realizzati tutti tra il 1967 e il 2010.

Clemente Padin è un artista decisamente complesso che si pone volutamente in disparte da provvisorie ipotesi mercantili nel tentativo di procedere oltre il limite, oltre il muro, tra utopia e trasgressione. Partito nel 1967 da proposte di poesia visiva con i suoi “Visual Poems” e ben presto approdato alla Mail Art, in contatto con il mondo alternativo dell’arte postale grazie anche al coinvolgimento e scambio di opere e di opinioni nel complesso circuito latino-americano. Oggi, Clemente Padin è un’artista di “frontiera”; grafico, performer, videoartista, e impegnato attivamente nel netartworker e soprattutto nel sociale. Nel 1974, durante la dittatura militare uruguayana, aveva organizzato il primo Latinoamericana Mail Art Exposition a Galeria U, a Montevideo, Uruguay. Denunciato per idee sovversive dal regime dittatoriale uruguaiano in quel tempo assai poco disponibile al rispetto dei diritti umani, arrestato e processato dalla dittatura del suo paese per vilipendio alla morale ed alla reputazione dell'Esercito, venne condannato a quattro anni di prigione e incarcerato. Dopo due anni di permanenza in carcere (agosto del 1977 a tutto novembre 1979), venne liberato in anticipo grazie all'interessamento di molti artisti ed alla solidarietà internazionale, tuttavia, per diversi anni subì tragicamente la costrizione e l’impedimento della libertà, costretto a condividere dal 1977 al 1984, una libertà vigilata e “condizionata”. Solo nel 1983 ha potuto riprendere e continuare in modo più costante il suo impegno contro le armi e la violenza e il rispetto dei diritti umani. Oggi, dopo oltre un quarantennio di attività, Clemente Padin è ormai un artista conosciuto a livello internazione per i suoi apporti soprattutto nel sociale; uno dei pochi artisti contemporanei ancora impegnati in una attenta e sistematica denuncia del sistema politico e della triste condizione umana. In tutti questi anni l’artista uruguaiano ha continuato, con tutti i modi e gli strumenti possibili a sua disposizione, a credere e a sperare nella libertà, nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza etnica, politica, religiosa, e anche dalla condizione sociale e economica. Sicuramente è un artista interessante soprattutto per il continuo apporto alle problematiche sociali e umane svolte in tanti anni di lavoro. In tutta l’opera di Padin è presente il carattere essenzialmente ideologico, una determinata utopia propositiva e anche la lucida energia trasgressiva che questo straordinario artista immette volutamente e costantemente in tutto il suo lavoro di ricerca, supportato anche da nuovi ed efficaci strumenti come la mail art, l’arte digitale e la performances che permettono di evidenziare in modo prepotente e compiuto tali problematiche.
                                                            


Chi è Clemente Padin?
Biografia:
Clemente Padin (Lascano, Rocha, Uruguay, 8 ottobre 1939). Poeta, artista e graphic designer, performer, artista video e multimediali in rete.

Si è laureato in Letteratura Spagnola presso la Facoltà di Lettere e dell'Educazione presso l'Università della Repubblica (Uruguay).

Ha diretto le seguenti pubblicazioni: Huevos del Plata (1965-1969), 10 e OVUM OVUM (1969-1975), partecipazione (1984-1986) e Correo del Sur (2000). Attualmente lavora con la rivista d'esplorazione culturale: Online Magazine Arte Contemporanea e Nuove Tendenze.

Ha pubblicato in riviste e pubblicazioni internazionali. E 'stato tradotto in molte lingue, tra cui inglese, portoghese, francese, italiano, ungherese, olandese, tedesco e russo.

Per la sua opposizione alla dittatura uruguayana (1973-1984), ha passato 2 anni in carcere, e fino al 1984 era in "libertà vigilata". Dopo il 1984 ha potuto sviluppare liberamente il suo lavoro artistico e letterario.

Ha partecipato a numerose esposizioni e mostre d'arte e oltre 2.000 mostre di mail art in tutto il mondo.



Born on octuber 8, 1939 in Lascano, Uruguay. Poet, artist and graphic designer, performancer, videoartist, multimedia and netartworker. Graduated in Letras Hispanas of University of The Republic, Uruguay. Director of the art magazines Los Huevos del Plata (1965-1969); OVUM 10 and OVUM (1969-1975) and Participación (1984-1986). Author of 18 books edited in Francie, Germany, Holanda, Italie, Venezuela, United States and Uruguay. Has participated in numerous art exibitionns and more than 2.000 exibitions of mail art in the word. One solo show in United States, Italie, Corea, Argentina, Uruguay, Germany, Spain, Belgic and Japon. Some of recognition it has receive are special invitated in the XVI Bienal of San Pablo, Brazil, 1981; Special Mention in I Bienal de La Habana, Cuba, 1984. The Art and Letters Academy of Germany le concedió una beca en 1984, etc. Since La Poesía Debe Ser Hecha por Todos, Montevideo, Uruguay 1970, ha realizado docenas de presentaciones y performances en todo el mundo. Se han publicado sus notas y artí****s en docenas de revistas y publicaciones traducidas al inglés, portugués, francés, italiano, húngaro, holandés, alemán y ruso y ha participado en múltiples eventos en Internet desde 1992. Ha participado personalmente en encuentros relacionado con el arte y la poesía, since Exposición de Proposiciones a Realizar, Buenos Aires, 1971 and XVI Bienal de San Pablo, Brasil, 1981,until XI International Congresse of Estetic, Nottingham, Inglaterra, 1988; Acciones, Chester Spring, Filadelfia, EE UU. 1989; XXXIX Congreso SALALM, Salt Lake City, Utah, EE.UU. 1994; V International Bienal of Visual/ Experimental Poetry, México City, México, 1996, Eye Rytmes, Edmonton, Alberta, Canadá 1997; Intersignos, San Pablo, Brasil 1998; VIII International Festival of Poetry, Medellín, Colombia 1998, International Biennale of Poetry, Belo Horizonte, Brasil 1998, and much more.


+ Clemente Padín: http://www.escaner.cl/padin
E-mail:  clepadin@adinet.com.uy,   7w1k4nc9@adinet.com.uy,   clementepadin@gmail.com.uy
Indirizzo: Clemente Padín  C. Correo Central 1211  11000 Montevideo – Uruguay  Tel. + (598 2) 506 0885






CLEMENTE  PADIN

Presentazione Critica
di Giovanni Bonanno



Oltre il muro, tra utopia e trasgressione


Da un po’ di tempo la situazione artistica contemporanea risulta complicata e imprevedibile. Dopo i profondi mutamenti delle avanguardie storiche che hanno contribuito definitivamente al mutamento della cultura degli ultimi decenni. In questi ultimi anni si sta assistendo ad una ondata ripetuta di citazioni senza alcuna autenticità, creata da falsi profeti illuminati che venduti al consumismo ai centri di potere, creano gruppi e progettano mostre senza alcun valore culturale. Un eccessivo proliferare di artisti, di gallerie e di riviste, di cataloghi monografici che girano attorno una situazione che nasce essenzialmente dalla pianificazione pre-organizzata dagli addetti ai lavori con il solo fine di portare l’arte verso una sorta di azzeramento delle idee a grado zero. Queste inaffidabili strategie lucidamente mercantili vengono attuate con il solo fine di rinnovare il mercato e l’interesse del collezionismo ormai esausto a casa della crisi del mercato dell’arte, e più in generale della fastidiosa crisi economica e finanziaria che attanaglia da tempo il sistema economico di tutto il villaggio globale. Molti giovani, a scadenze programmate, vengono sacrificati sull’altare dell’arte pronti a cambiare pelle e produzione artistica a seconda delle richieste di certi critici alla moda. Luciano Caruso si è posto lucidamente il problema confessando: “Chissà se col tempo capiranno che sono serviti da truppa d’assalto, in vista di ben altri interessi!”. Ne risulta, quindi, una situazione profondamente confusa, senza idee e soprattutto senza un progetto lucidamente perseguito di messa in discussione del mondo. Dopo il riflusso e la situazione chiaramente mercantile, la situazione oggi impone all’artista il riprendere il cammino interrotto e il recupero più alto dell’esperienza precedente, per proseguire verso la trasgressione, rifiutando le leggi del mercato che condizionano l’artista a tal punto da far prediligere la qualità mercantile dell’oggetto che l’energia estetica e creativa del vero lavoro artistico. Naturalmente in questa condizione difficile, l’artista può lavorare individualmente in modo forte, solo se trova dei riferimenti che possano garantire degli stimoli che siano rilevati non da una realtà attuale piuttosto confusa, bensì da un momento di presa di coscienza veramente autentica. Esiste sempre un dualismo fra un’arte cosiddetta “normale” e un’arte “progressiva”, cioè tra un’arte che opera con i canoni e nei canali stabiliti dalle regole della comunicazione codificate. Il suo vero destino è quello di porsi in condizione di essere continuamente emarginata ed estraniata dai circuiti economici della comunicazione. Il solo obiettivo lucido che il mercato dimostra di possedere, credo, è quello di esaltare costantemente la superficialità produttiva nel tentativo di omologarla nel sistema culturale e soprattutto soffocare la ragione vera e autentica dell’opera d’arte: la creatività. Un’artista attento esclusivamente a delle verità di ricerca non potrà mai essere economicamente autosufficiente perché si trova in perfetta antitesi col mercato. I suoi sono antivalori per il mercato. Per cui ogni attività profonda e totalizzante dell’artista non può non contare sul risultato economico del proprio esercizio. L’arte non può morire soffocata dall’inutilità “funzionale” del consumismo, a causa di una società multinazionale e regime culturale che considera il sistema artistico un “sottosistema comunicativo” che controlla perfettamente e non rispetta la funzione primaria dell’arte che è soprattutto quella di affermare autonomamente la creatività dell’uomo. Un artista complesso e non uniformato ai dettami del potere commerciale e politico globale è sicuramente l’uruguaiano Clemente Padin. Un artista decisamente lucido che si pone volutamente in disparte da provvisorie ipotesi mercantili nel tentativo di procedere oltre il limite, oltre il muro, tra utopia e trasgressione. Partito nel 1967 da proposte di poesia visiva con i suoi “Visual Poems”, opere che abbracciano un arco di tempo che va dal 67 al 70 e ben presto approdato alla Mail Art, (già nel 1967 era entrato in contatto con il mondo alternativo dell’arte postale grazie alle pubblicazioni di Dick Higgins, alla corrispondenza con Ken Friedman e anche al coinvolgimento e scambio di opere di arte postale e di opinioni nel circuito latino-americano composto allora da Edgardo Antonio Vigo, Guillermo Deisler, Horacio Zabala, Bruscky Paolo del Brasile, Julio Plaza, Pedro Lyra, Damaso Ogaz, Daniel Santiago, Samaral, Jonier Marín, Diego Barboza e qualche altro artista latino. Nel 1971 partecipa alla prima mostra di Ray Johnson a Filadelfia.). Oggi, Clemente Padin è un’artista di “frontiera”; grafico, performer, videoartista, e impegnato attivamente nel netartworker e soprattutto nel sociale. Nel 1974, durante la dittatura militare uruguayana, aveva organizzato il primo Latinoamericana Mail Art Exposition a Galeria U, a Montevideo, Uruguay. Denunciato per idee sovversive dal regime dittatoriale uruguaiano in quel tempo assai poco disponibile al rispetto dei diritti umani, arrestato e processato dalla dittatura del suo paese per vilipendio alla morale ed alla reputazione dell'Esercito, venne condannato a quattro anni di prigione e incarcerato. Dopo due anni di permanenza in carcere (agosto del 1977 a tutto novembre 1979), venne liberato in anticipo grazie all'interessamento di molti artisti ed alla solidarietà internazionale, tuttavia, per diversi anni subì tragicamente la costrizione e l’impedimento della libertà, (2 anni di carcere e altri 5 lunghi anni di libertà vigilata e “condizionata”, dal 1977 al 1984, per un totale di 7 interminabili anni). Solo nel mese dell’ottobre 1983 ha potuto riprendere un po’ più assiduamente la sua attività artistica organizzando alcune interessanti mostre come quella storica del "1° Maggio" presso l'Associazione degli impiegati bancari di Uruguay e continuare in modo più costante il suo impegno contro le armi e la violenza e il rispetto dei diritti umani. Oggi, dopo oltre un quarantennio di attività, Clemente Padin è ormai un artista conosciuto a livello internazione per i suoi apporti soprattutto nel sociale; uno dei pochi artisti contemporanei ancora impegnati in una attenta e sistematica denuncia del sistema politico e sociale e della triste condizione umana. In tutti questi anni l’artista uruguaiano ha continuato, con tutti i modi e gli strumenti possibili a sua disposizione, a credere e a sperare nella libertà, nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza etnica, politica, religiosa, e anche dalla condizione sociale e economica. Insomma, ci ha fatto capire che bisogna ripudiare energicamente la violenza, il terrorismo e la guerra, come unico strumento per risolvere le contese tra gli uomini e gli stati. Inoltre ci ha sollecitato verso un comportamento più attivo e propositivo, verso un mondo che incentra il suo esistere sulla giustizia sociale, sulla solidarietà di tutti, sul rispetto, sul dialogo e su un’equa distribuzione solidale delle risorse disponibili. Sicuramente è un personaggio da proporre come Premio Nobel per la pace per il continuo apporto alle problematiche sociali e umane svolte in tanti anni di lavoro. Purtroppo, nel nostro distratto e arrogante pianeta terra assistiamo increduli ad una sistematica demolizione di ogni principio di giusta convivenza civile, basata sull’esclusione e sulla costante discriminazione sociale dell’essere umano, in un sistema prevaricante che preferisce al dialogo la barbarie e la diseguaglianza sociale. In tutta l’opera di Padin è presente il carattere essenzialmente ideologico, supportato da nuovi strumenti come la Mail Art che permettono di evidenziare in modo prepotente ed efficace tali problematiche. Padin in una sua dichiarazione afferma: “Mail Art from these tendencies and return it to its communicative efficacy. It is impossible to reduce artists to the political or the social; yet artists can only reduce reality by pretending that their work is not involved in the political and social. In conclusion, there are several options that the networkers can choose from:

• They can opt for social values already in existence or they can change the codes of social communication.

• They can qualify or try to measure the different mechanisms of control within the system, or try a new form of representation that will enable artists to question all established knowledge.

• They can reproduce work only for the art market which includes all work that is permissible, or propose works and texts that question the aesthetic, social and political status.

• They can resign their social responsibility by "l´art pour l´art" or... (1)

Per convincersi davvero dell’apporto e dell’importanza di Clemente Padin basterebbe soltanto aprire per un momento gli occhi per rimanere di colpo indifesi e smarriti per tale determinata e prepotente indagine sociale, per l’utopia propositiva e anche per la continua e lucida energia trasgressiva che questo straordinario artista immette volutamente e costantemente in tutto il suo lavoro di ricerca.            Giovanni Bonanno



(1) - (book "ETERNAL NETWORK-A Mail Art Anthology" edited by Chuck Welch, University of Calgary Press, Alberta, Canada, 1995 (page 205)