l’arte in Sudafrica prima e dopo la pandemia
Questa domenica l’attenzione delle pagine dedicate all’arte di Domani è rivolta al Sudafrica. Due artisti di generazioni diverse, Robin Rhode e Sue Williamson, discutono con Edoardo Ghizzoni, autore dell’articolo, oltre che del loro lavoro e di alcune caratteristiche dell’arte africana, di pandemia, di apartheid e di post-apartheid, della rivolta popolare di luglio scatenatasi dopo l’arresto del presidente Zuma, messo in prigione perché si era rifiutato di comparire davanti a un tribunale anticorruzione. Durante i disordini i centri commerciali di Città del Capo e di Johannesburg furono saccheggiati. Come potrete leggere, fatti come questi hanno inciso sul lavoro degli artisti. Con l’avvento dei social, e poi con la pandemia e con gli episodi di violenza alimentati dalle frustrazioni e dalle difficoltà economiche, in Sudafrica si realizzano sempre meno graffiti, ma soprattutto è venuto meno il coinvolgimento della gente in progetti d’arte collettivi. «Nel 2019 Rhode» – si legge nell’articolo – «è stato però costretto a rinunciare al suo muro a Westbury perché i tassi di violenza e di guerra tra bande nel quartiere hanno raggiunto livelli insostenibili. Ha realizzato pertanto le sue serie successive di dipinti all’aperto su un muro a Gerico, in Palestina, ben lontano dal Sudafrica. “Il modo in cui il mondo è cambiato con la pandemia” mi dice, “ha limitato la possibilità di lavorare all'aperto e di interagire con gruppi sociali. […] Devo sinceramente ammettere che avverto un senso di fallimento. Inizialmente ho pensato di tornare alla radice del mio lavoro: il muro nel cortile di mia madre a Johannesburg. E che ci si possa credere o no, è lì che sono stato contagiato dal Covid-19. Tutta la mia famiglia è stata contagiata. Perfino la sicurezza e la sacralità dello spazio domestico sono diventate un hot spot per il virus”». Le due pagine sono ricche di informazioni e considerazioni utili a confrontarsi con la complessità della situazione artistica africana. “Se guardi i principali artisti africani contemporanei, da El Anatsui a Ibrahim Mahama, non operano come singoli, ma come collettivi. Siamo sempre orientati alla comunità: dobbiamo supportare, dobbiamo creare una crescita. È una responsabilità enorme. E poiché non vivo in Sudafrica in modo permanente, ora ho un'identità fratturata. Sono in conflitto tra il sistema artistico europeo e americano che privilegia la voce individualista e l'arte o artista africano che opera come collettivo e dipende da una maggiore interattività educativa e sociale affinché il suo lavoro venga riconosciuto dall’arte globale. Vedo che gli artisti europei non hanno questa responsabilità”.
Prendendo spunto dal lavoro di Williamson, l’articolo mette tra l’altro in evidenza che durante l'apartheid ai lavoratori neri era richiesto portare con sé un passaporto interno che precludeva il libero accesso ad alcune aree abitate da bianchi. A questo tema Williamson ha dedicato nel 1990 For Thirty Years Next to His Heart (vedi foto) composto da 18 pezzi, per mettere in evidenza questa pratica di controllo di cui sta oggi scomparendo la memoria tra i giovani sudafricani.
Questo e molto altro rendono quest’articolo imperdibile. Un’ulteriore considerazione: l’interesse sempre più diffuso in Occidente per gli artisti africani, alimentato da un mercato sempre alla ricerca di nuovi autori non ancora presenti nelle collezioni, ha tra i suoi effetti una sorta di migrazione delle menti migliori nelle capitali dell’arte europee e americane. Questo non accade con tutti gli artisti, ovviamente, ma accade. Molti hanno già un doppio studio, uno nella città d’origine, uno in Europa o negli USA. Che bravi e nuovi artisti approdino nelle gallerie occidentali, siano inclusi in grandi mostre ed esposti da musei è senza dubbio una buona cosa, ma va anche considerata l’incidenza che questo può portare nello sviluppo del loro lavoro. Non è così da escludere che una crescente globalizzazione dei linguaggi artistici possa nel tempo tendere sempre più a ridurre le sane differenze che distinguono l’arte che si produce nelle diverse parti della terra.
Didascalie delle foto - Copertina: Robin Rhode, Paradise, 2016, immagine tratta da una sequenza fotografica. Courtesy dell’artista.
- Sue Williamson, What About El Max? II (We Are Like Fish - Close Up), 2005, inchiostri pigmentati su Hahnemuhle. Foto Rag. Courtesy dell’artista e della Goodman Gallery, Città del Capo e Londra
- Robin Rhode, New Kids on the Bike, immagine tratta da una sequenza fotografica, 2002, Stills.
- Sue Williamson, For Thirty Years Next to His Heart, particolare, 1990, colour laser prints, cornice rivestita a mano, 196 cm x 262 cm
- Copertine delle recenti monografie dedicate a Sue Williamson e Robin Rhode pubblicate da Skira.
e poi, alcuni articoli di Demetrio Paparoni su Domani
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Segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno |
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