giovedì 21 dicembre 2017

Salerno / CAVELLINI ARTISTAMP, Mostra a domicilio

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 


SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
“CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA A DOMICILIO”
a cura di Sandro  Bongiani
Presentazione critica di Piero Cavellini
(In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia)
Dal 22 dicembre 2017  al  31 marzo 2018

Inaugurazione:  venerdì  22  dicembre  2017,  ore 18.00
Via S. Calenda, 105/D  - Salerno
Salerno Tel/Fax 089 5648159    
e-mail:  bongiani@alice.it     



Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00



Francobollo GAC ARTISTAMP creato da Domenico Ferrara Foria 
in occasione della  mostra personale a Salerno.

S’inaugura  venerdì  22  dicembre 2017,  alle ore 18.00,  la mostra  Personale dal titolo “CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA  A  DOMICILIO” a cura di Sandro  Bongiani  che lo Spazio  Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista italiano Guglielmo Achille Cavellini, presentando,  in collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia  la serie di 77  francobolli, alcuni ancora inediti,  in una mostra  volutamente  “virtuale”,  come logico sviluppo delle mostre  realizzate dall’artista a domicilio,  tra opere ad acrilico, intarsio, carbone, legno, collage,  pennarello, serigrafia, fotografia e studi grafici preparatori creati nel corso degli anni 70’ e 80’ sotto forma di Artistamp, con il fine d’indagare  una parte  significativa del lavoro  di Cavellini ancora non  del tutto conosciuto. Nella sua ininterrotta navigazione nel territorio dell’arte GAC ha ricercato senza sosta segnali  chiarificatrici che rendessero esplicito la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale. In tale contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.
Una vita dedita totalmente all’autostoricizzazione, diffusa ampiamente dal 1970 in poi  con mostre e cataloghi a domicilio, manifesti, spille, stickers, cimeli, francobolli, performance, happening, attendendo e programmando la celebrazione ufficiale del 2014 in concomitanza con il centenario dalla sua nascita, nel veneziano Palazzo Ducale e nei musei più prestigiosi del mondo.

Scrive Piero Cavellini nella presentazione alla mostra: “ E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono. Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione. Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo. Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.  E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica. Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”. E’ in questo periodo, quindi, che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014 .   Ne risulta  la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.






BREVE BIOGRAFIA  di  GUGLIEMO ACHILLE CAVELLINI  

GAC (Guglielmo Achille Cavellini)  è stato un importante studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40 esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni, vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Nascono i Teatrini e i  francobolli d’artista attraverso i quali viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero  e democratico che permette a GAC di avere  contatti e confronti importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta.






GAC E L’EPICA DEL FRANCOBOLLO

Nella sua navigazione ininterrotta nel territorio dell’arte GAC esprime un giudizio sul sistema che la sottende.
Lo ha fatto da artista abbandonando la sua produzione per raccogliere attorno a sé una nuova generazione senza altra speranza di trovare luce per uscire da una diatriba sterile e passatista.
Continua poi producendo opere come artista attivo ricercando senza sosta segnali che rendessero esplicito il suo argomento: la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale.
Dapprima agendo sul suo stesso lavoro, incassettando le proprie opere precedenti distrutte o proponendole come opere bruciate, in seguito iniziando a ragionare sul consenso riservato alle opere degne di celebrazione.
In questo contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.
Sorge così un suo codice estetico speciale che lo accompagnerà in seguito in gran parte del suo lavoro.
E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono.
Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione.
Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo.
Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.
E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica.
Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”.
E’ in questo periodo quindi che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014.
Osservandone la varietà si trovano riassunte gran parte delle sue tensioni dove compaiono la raffigurazione geografica dell’Italia ricomposta attraverso elementi naturali come foglie, pigne, segmenti di tronchi d’albero, oppure sociali come la sua minuziosa scrittura o gli stessi elementi comunicativi che usava negli invii mailartistici. Non manca la sua riflessione sulla pittura del recente passato tra cui appare Andy Warhol con le sue iconografie popolari a cui si sente particolarmente vicino.
Ne risulta quindi la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.

Piero Cavellini,   Dicembre 2017






BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
 Brescia 1914-1990
 Guglielmo Achille Cavellini (o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.
 Sta forse qui il cardine per capirlo. Non è stato un artista come tanti altri, con la sua piccola o grande innovazione. Non è stata una questione di stile la sua, ma una specie di giudizio illuminato che ha ricondotto giustamente all’individuo ed al suo pensiero i balbettii di un sistema che si stava sbriciolando in mille rivoli di potere dove l’arte e l’artista rischiavano di rimanere nell’ombra. Non è poco si dirà, eppure sembra che tutto ciò ancora ai più non sia chiaro.
 La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che, chiamandosi astratta, coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti, se ne innamora come pittore e offre il suo primo giudizio all’arte. Per molti sembra che il suo valore termini qui, invece quella non fu altro che la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi un’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.
 Nel 1960 ha ripreso il lavoro con forza, dapprima sul versante dell’astrattismo pittorico che tanta parte aveva avuto nei suoi interessi del decennio precedente, ma con un gesto, un segno nuovi che appaiono ora come anticipatori del suo lavoro sulla scrittura che prenderà corpo più tardi.
 La sperimentazione continua e nel 1965 sforna un gruppo di lavori che sono un’ulteriore tappa verso un uso diversificato dei materiali. Recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale.
 E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966-1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione-appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro.
Citazione-appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro.
Nei carboni (1968-1971), che per un certo periodo sono stati un vero e proprio simbolo del suo lavoro, dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi, coniuga più apertamente i concetti appena accennati nei lavori precedenti, dalla pittura all’oggetto, dalla citazione all’appropriazione fino a far assumere a certe icone la valenza di opera propria, usando opere di altri autori oppure l’immagine dell’Italia  in innumerevoli situazioni e contesti.
 Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico. Il gioco e l’ironia prendono ancora più spazio lasciando posto anche al dubbio che ci si trovi di fronte ad un gesto estremo e lesionista (era sì o no Cavellini in tempi passati un famoso collezionista?).
Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione, che fu una vera e propria puntualizzazione, un modo per mettere in pratica il suo giudizio. Il termine può sembrare a prima vista un escamotage brillante e narcisista per mettersi in mostra, ma è tanto forte l’idea da intrufolarsi nel sistema dell’arte e straripare nei suoi gangli più vitali mettendone in luce ogni contraddizione.
Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi-museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.
Produce quindi i manifesti che innumerevoli musei di tutto il mondo dovranno usare per celebrare il suo centenario, abbinando al suo nome la sigla 1914-2014.
A questo punto la fantasia dell’artista, liberata da ogni pudore verso l’autocelebrazione, si scatena. Nei francobolli entra lui con la sua mimica votata allo sberleffo.
Scrive una Pagina dell’Enciclopedia partendo da una semplice cronaca autobiografica fino a sfociare in una vera e propria iperbole del culto della personalità. La sua scrittura diviene quindi una cifra pittorica usata con maniacale insistenza su tutti i supporti possibili: colonne, manichini, tele e drappi di dimensioni enormi.
E’ questa la realtà che vede Cavellini come autentico innovatore, ed anticipatore anche negli aspetti di una nuova comunicazione nell’arte, scavalcando i canonici rapporti che sembrano una base inscalfibile del sistema, dando una risposta concreta e carica di vitalità al suo messaggio di provocante giudice del territorio dell’arte.   (Archivio Cavellini di  Brescia).



    

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