“O curatori incoronati di gramigna
mi potete dire perché cru cu fa la sugna
perche si scioglie e poi si s’arrugna?”
Della mostra sul Futurismo che vedremo presto alla
GNAM il Prof Simongini, ci illumina affermando
che sarà “una mostra in cui coinvolgere
un pubblico più ampio e anche i giovani. Questa nuova mostra si propone di
“offrire un’esperienza innovativa rispetto alle esposizioni passate, mirando a
una platea più diversificata e non limitata agli specialisti, affinché il
Futurismo possa essere apprezzato in tutta la sua rilevanza storica”. Anche la direttrice Mazzantini della
Gnam è dello stesso avviso: "il Fururismo sarà «una mostra dal
taglio pop per bambini e non esperti". Insomma un grande evento inutile,
come avevamo già immaginato, con un evento improntato a stupire per
effetti spettacolari allo scopo di attrarre un pubblico annoiato in cerca di
effetti strabilianti che possano rendere piacevole e diversa la
giornata alla Gnam.
Non importa se il pubblico non sia
preparato culturalmente e non conosce neanche cos’é stato realmente
il movimento futurista. Per molti curatori di oggi importa che il
pubblico si diverta con proposte disneyane come
questa, puntando su interventi teatrali che non fanno bene
alla cultura e neanche all'arte. Le mostre
che si fanno da diverso tempo in Italia come le tre precedenti Biennali di
Venezia di Massimiliano Gioni, della moglie
Cecilia Alemani e quella di quest'anno di Adriano Pedrosa sono state decisamente
inutili e poco serie perché hanno avuto come unica finalità il
richiamo ricreativo e l'intrattenimento allo scopo di ammaliare le
masse turistiche spesso incompetenti e senza offrire realmente alcun
programma serio di approdimento critico del tema di volta in volta indagato.
Risulta esemplare l’articolo del
Corriere della Sera di Vincenzo Trione pubblicato recentemente ( il 1 ottobre 2024)
- courtesy Corsera, scrivendo che “C’è bisogno di uno scatto per fare “Grandi
Mostre”, affermando: (riporto quasi integralmente il suo articolo), “Non si tratta di esterofilia. Basta
recarsi a Parigi, per misurare le evidenti differenze tra il sistema delle
mostre organizzate in Italia e il modello francese. Un palinsesto di esposizioni di alto livello con
una solida esperienza, esito di anni di ricerche, rigorose e, insieme, sorprendenti, con quadri provenienti
da importanti collezioni internazionali. Insomma, mostre “definitive”, imperdibili,
destinate a entrare negli exhibition
studies. Invece, da anni, con rare eccezioni, le nostre città sono
invase da “mostriciattole” per dirla con
Federico Zeri) prodotte per le
amministrazioni pubbliche da società “ for profit”, che,
nascondendosi dietro l’alibi pedagogico dell’alfabetizzazione
visiva, ricorrono sempre agli stessi
artifici: si ripropongono le solite
celebritiers, senza svelarne lati poco
indagati, presentando opere per lo più
provenienti da un’unica fonte. Un modo per abdicare alla responsabilità della
critica. Per rinunciare alle incertezze insite in ogni campagna prestiti. E’ per rimuovere la lezione di coloro che
hanno insegnato a “ fare-mostre”: tra gli altri, Longhi, Lea Vergine, Celant, Settis.
L’esito di questa degenerazione
culturale: la proliferazione di eventi pret-à-porter condannati a essere
consumati nell’indifferenza, ordinati da curatori conniventi e privi di
serietà. E’ davvero incolmabile la
distanza tra una “mostra grande” e una “grande mostra”.
Stando a questi motivi non ci resta che attendere per divertirsi, come aveva scritto il futurista Aldo Palazzeschi in una canzonetta sonora e visuale del 1910 .
Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
“i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire! “