domenica 15 febbraio 2009

LA POLEMICA IN CORSO






 Padula e l'Arte Contemporanea






La Certosa di San Lorenzo - Padula



LA POLEMICA A P/ARTE

“PADULA E LA CERTOSA
DEL GRANDE DOMATORE DI PULCI”



Dopo l’articolo di Rino Mele pubblicato su Cronache del Mezzogiorno il 5 luglio del 2009 e i due articoli da noi pubblicati sul nostro blog di Exibart, si accende improvvisamente a fine estate il dibattito sulla malaugurata questione della Certosa di Padula. Lo stesso Rino Mele confessa: “da alcuni anni la Certosa diventata spettacolo di se stessa, artificio luminoso, è stata occupata nella sua parte più nobile ed essenziale, quella che gira intorno al grande chiostro - le sue ventiquattro celle come le ventiquattro ore del giorno - dall’adolescenziale iattanza di un critico che, avendo permesso a molti suoi artisti di pensare in quelle celle le loro opere, decide di non muoverle più di lì, di mettere a queste opere piedi di pietra e d’infeudare quelle celle alla sua vanagloria”. Dopo Rino Mele è la volta del polemico Vittorio Sgarbi che se la prende giustamente con l’artefice di questa brutta storia, Achille Bonito Oliva, che con arroganza tutta sua, ha ridotto questo spazio storico noto per soddisfare il raccoglimento e la preghiera, ad un aggrovigliato e confuso deposito di opere d’arte d’avanguardia di poco valore. Dall’avvicinamento a Dio attraverso la preghiera e il silenzio si è passati a l’urlo meschino di un profanatore come è Achille Bonito Oliva, tipico menestrello salernitano, disposto a tutto purché possa mettere in mostra le sue doti di affabulatore di pulci. Il quotidiano Cronache del Mezzogiorno a firma di Peppe Rinaldi ha provato a chiedere recentemente un parere a Vittorio Sgarbi che come sua abitudine si è manifestato, con un fare alquanto indignato, dicendo: “pensavo fosse risolto il problema, è uno schifo affidare un posto così ad un magliaro”, riferendosi ovviamente al critico A. B. Oliva. Dopo Francesco Sisinni, Rino Mele e poi anche noi che avevamo evidenziato il fatto allo scopo di non farlo passare nel silenzio più totale, oggi, il problema della Certosa di Padula sta diventando un dibattito a carattere nazionale. Noi ne siamo contenti. ” L’anno scorso - aggiunge Sgarbi - facemmo un esposto contro quello scandalo, quello schifo, quella vergogna che stravolge un luogo come la Certosa concepito con un gran senso dell’ordine frutto di una secolare cultura ed ora rovinato dall’ incompetenza.”, e poi, “ la verità è che s’inquina un posto meraviglioso con prodotti di un mercato, tra l’altro singolare e grottesco”, riferendosi ai provvisori simulacri proposti da diversi artisti di area sperimentale. Con il caldo e l’afa di quest’estate, all’improvviso si accendono i riflettori su questa bella e grandiosa Certosa, forse per tentare di salvarla dalle grinfie feroci e indegne di questo avvoltoio e domatore di pulci poco rispettoso del passato e anche del nostro presente. Giovanni Bonanno




Dibattito: Bonito Oliva e la Certosa come dessert
Di Rino Mele
Pubblicato il 5 luglio 2009 in “Cronache del Mezzogiorno” (prima e terza di pagina)

Scrive Rino Mele: “ Ho appena letto l’intervista di Bonito Oliva pubblicata ieri da" La Stampa", a cura di Lea Mattarella. Bonito Oliva parla dl se, giovane, come fosse Leopardi, il borgo selvaggio che l’opprimeva, e gli dava il senso estremo del vuoto. L’ho incontrato in quegli anni - dal suo paese al mio puoi parlare solo gridando, tanto sono vicini, ...mangiavamo ogni domenica insieme ma non amavo giocare con lui, non sapeva giocare, solo vincere. Altro che Leopardi. Si nutriva, dice Rino Mele, allora del suo “io” esattamente come fa oggi, con l’incosciente voglia di creare un piccolo mito nel quale collocare la sua nevrosi di appartenenza divina”. Mele confessa di aver avuto un grande affetto e cara stima per Achille Benito Oliva, ” per la sua tagliente capacità analitica, il gusto dello spiazzamento, la capacità di mostrare le cose nello specchio capovolto dl una positiva negazione, ma non lo riconosco nell’intestardirsi in un cinismo che forse non gli appartiene e che lui esalta e dietro cui nasconde la sua anima vecchia e adolescenziale. E’ bravissimo, certo, e costruisce corridoi nuovi dell’arte, ma poi confonde se stesso con l’oggetto della sua ricerca, crede di essere la gioconda ma dimentica di farsi uno sberleffo, di mettere i baffi al suo cattivo sorriso. Intanto a Padula, proprio nei luoghi della sua infanzia - lui che certo non ha bisogno di nuovi spazi - si è divorato la Certosa” – aggiungiamo noi- da bravo e certosino costruttore di fantasmi napoletani.



Chi è Rino Mele?Rino Mele è nato a sant’Arsenio, Sa, il 4-2-1938, insegna Storia del Teatro nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Salerno. Ha avuto incarichi di supplenze in Storia della Critica, Comunicazione visiva. Sociologia della Letteratura, Retorica e Stilistica.
Tra i suoi libri, Morte a Venezia (K Teatro,1972), Ken Russell (La Nuova Italia,1975), Il teatro di Memè Perlini (Edizioni 10/17, 1978), Scena oscena. Rappresentazione e spettacolo (Officina edizioni,1983), La casa dello specchio. Modelli di sperimentazione nel teatro degli anni Settanta (Ripostes, 1984), La scacchiera del tempo (Taide, 1985), Il corpo e l'anima. Il teatro di Pirandello (Avagliano, 1990), Tropici di carta. La fotografia (10/17, 1991), Teatro anatomico (Avagliano,1992), Agonia (Avagliano, 1994), Via della stella (Avagliano, 1994), Separazione di sera (Sottotraccia, 1994), Il sonno e le vigilie (Sottotraccia, 2000), L'incendio immaginato (10/17, 2000) dedicato alla visione del mondo e alla morte per fuoco di Giordano Bruno, Il corpo di Moro (10/17, 2001), Una montagna aspra (Plecticà, 2002), Apocalisse di Giovanni (traduzione, saggio introduttivo, Il teatro di Dio, Edizioni 10/17, 2002), La lepre del tempo e l’imperatore Federico II (Sottotraccia, 2004).

Tra gli innumerevoli saggi pubblicati, da ricordare almeno Radiofonia, l'incantesimo organizzato (1984), Le sei visioni. Spazio narrativo e testo grafico (1987), Drammaturgia sanguinetiana (1991), Il grido del cieco (1992), Il mare muto di Seneca (1994), Il corpo nudo e la macchina (1995), Il teatro di carta. Pasolini (1995), La confessione e la scena, esercizi di retorica (1996), Illato lumine. Dalle incendiate tenebre di Ovidio al silenzio bianco della Mirra di Alfieri (1998), Le mani spezzate del teatro (2002), Album di famigla di Pirandello (2002), Dove può nascondersi un attore sulla scena? (2002), Le feci, il sangue e l’azzurro fuoco del Vesuvio (2006), Nel giallo della rosa sempiterna, sulla teatralità di Dante (2006), Sanguineti, le parole col volto di cose e l’universo in miniatura (2006).


LA POLEMICA
Padula e l’incertezza della Certosa

Ancora un altro appello sofferto da parte di Sisinni, ex dirigente generale del Ministero per i Beni Culturali contro le installazioni di Arte Contemporanea nella splendida Certosa di San Lorenzo di Padula, rispolverando l’antica e spinosa questione dell’uso inappropriato del complesso monumentale utilizzato, a suo parere, in modo improprio con mostre di arte dal fiato corto, come per esempio “Natura e Arte in Certosa: Ortus Artis e fresco bosco”, manifestazione ideata e curata da Achille Bonito Oliva, terminata l’ 8 gennaio 2009, occupando gli spazi interni e il suo parco secolare con sculture, opere pittoriche, fotografie, installazioni, performance, mettendo in scena eventi di grande spettacolarità teatrale poco confacente allo spazio espositivo utilizzato. Opere che per certi versi offendono la dignità di questo monumento celebre, profanato diverse volte con proposte “aculturali". Bisogna -dice Sisinni- restituire alla Certosa, (la più bella d’Europa) il suo vero valore, inoltre, auspica che il territorio di questa zona del Salernitano ritorni ad essere Lucano, infatti, da sempre Sisinni è favorevole ad un passaggio del Cilento e Vallo di Diano nei confini della Basilicata, tornando alla “Grande Lucania”, aggiungendo, “la Certosa ci appartiene”.

http://www.comune.padula.sa.it/davedere/certosa/certosa.htm


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Amo, per stupirti ti uso " Il Condom sul Crocifisso".





"Un'altra grande porcata al silicone"

Polemica a Napoli: “ Pan !!! per stupirti ti uso il Condom sul crocifisso “
Stato di emergenza, esposta un’altra pseudo arte contestata da eiculatio precocis.“Quando manca l'ispirazione artistica, si tenta di far parlare di sé anche con operazioni artistiche di pessimo gusto". E' il commento del sindaco di Napoli, Rosa Iervolino Russo parlando dell'opera esposta, un crocifisso velato da un condom, al museo Pan che ha suscitato aspre polemiche. Un pezzo bollato come «uno sconcio». L'assessore Oddati chiamato in causa si giustifica ingenuamente dicendo: sono del parere che un'opera d'arte non si giudica moralmente, come dice Achille Bonito. Caro B.O.A. Ormai troppi personaggi vivono nella completa confusione giustificando tutto ciò che si produce. L'opera incriminata si chiama "Sacred Love", creata da “XXXXXXXXXX XXXX” (per non fargli ulteriore pubblicità), nessuna censura, ma qui manca proprio l'arte, mentre regna sovrano il pessimo gusto.

Pan, primo piano, sezione Emergency Room. Qui, appoggiato al battiscopa c'è il crocifisso avvolto nel condom.Una immagine proiettata sulla parete, in un quadratino, a dieci centimetri di altezza dal pavimento. Eccolo il Cristo della discordia. L'opera intitolata «Sacred Love » quasi invisibile nel grande salone dedicato all'arte Emergenziale o all’ arte “abortista”partorita in tutta fretta e destinata a non sopravvivere, proprio perché manca la creatività e l’invenzione. Inoltre, al Pan vi sono esposte, sotto un cartello con una scritta «The more they are mentioned the more their powers multiply» (più lo dici più il potere aumenta» ci sono tre statue a grandezza naturale. Statue in gesso, come quelle che si vendono dai grossisti nei pressi dei cimiteri. C'è Padre Pio trasformato in uno degli «Incredibili », c'è la Madonna-Batman e c'è Gesù-Superman. Il pseudo artista napoletano di oggi, utilizza il video sia come medium privilegiato che come una delle possibili vie di elaborazione in termini estetici della realtà.

“ Sacred Love” è un’altra porcata creata sfruttando la religione e l’inganno. L’artista, per farsi pubblicità ha cercato di provocarci, ma l’arte non è provocazione ma visione e poetica personale. L’arte può essere ironica ma mai semplicemente polemica, perché denuncia la sua “impotenza” e l’impossibilità di svelarsi in senso compiuto. Questi sono i giovani artisti di oggi che sono stati allevati con la pubblicità, i pannolini sempre asciutti e una overdose al giorno di cartoni animati alla corte delle tivù commerciali e nazional-popolari; questi credono che basti utilizzare un preservativo per preservarsi. Sciocchezze, quando manca la poesia e la capacità di sognare nascono le riduttive provocazioni di oggi e le inutili brutture infantili di questi sedicenti burattinai da luna park.

Sandro Bongiani

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relitti ancora dimenticati in quella civilissima Parma.



Le sue opere sono presenti in molte piazze di Milano

Dopo un'esposizione in piazza Duomo nel 1974 le sculture di Carlo Ramous vennero danneggiate durante il trasporto. L'autore fece causa al Comune di Parma. Da 35 anni i relitti delle opere giacciono ancora abbandonati nei magazzini comunali in queste condizioni.





Carlo Ramous. è stato uno dei protagonisti dell’arte d’avanguardia italiana del Novecento come lo sono stati scultori come Arnaldo e Giò Pomodoro, Andrea e Pietro Cascella, Alik Cavaliere, Luciano Minguzzi, Marino Marini, Agenone Fabbri e il grande Francesco Somaini . Le sue opere sono esposte al Moma di New York, a Roma, a Venezia, in Giappone. Le sue forme in metallo abbelliscono piazza Miani e piazza della conciliazione a Milano, oltre ad altre numerose vie del capoluogo lombardo. Creazioni di Ramous anche negli ospedali di Pordenone e di Como e tante scuole in Italia. Sono da 35 anni, purtroppo, nei magazzini comunali di Parma diversi relitti ferrosi, quelle che furono un tempo sculture, giacciono ora abbandonati e ammassati in un’area all’aperto dietro il cimitero della Villetta. Dal 1974, quando un’esposizione di Ramous venne ospitata nel cuore della città ducale: in piazza Duomo vennero allestite, imponenti, alcune gigantesche strutture. Tra le pietre millenarie di cattedrale e battistero, forme metalliche da avanguardia , le uniche opere plastiche, che si integravano perfettamente con l’architettura Gotica della Piazza Duomo di Milano. Grandi sculture cariche di fascino e struggente bellezza; forse il periodo più importante e creativo di questo grande artista ancora non perfettamente considerato e valutato. Poi venne il momento di spostarle. Arrivarono le gru, le caricarono su appositi mezzi e le portarono ai magazzini comunali. Ma qualcosa andò storto: le sculture subirono danneggiamenti durante il trasporto. Non si sa di quale entità, ma l’autore considerò responsabile il Comune di Parma e intentò una causa contro l’amministrazione, chiedendo il risarcimento dei danni. Più di una volta mi parlò di questo scempio perpetrato alla sua scultura . La delusione diventava affronto, ingiustizia, inaspettata tristezza. Da allora sono passati 35 anni. Carlo Ramous , morto nel 2003, le sue opere, ancora, giacciono come relitti arrugginiti, considerati di alcun valore tra le erbacce del posto. Non si riconoscono più le singole sculture, in quell’ammasso di ferrivecchi. Purtroppo, non ho saputo come è finita questa triste storia. Sicuramente all’Italiana come tutte le cose che succedono in questo piccolo e malandato paese provinciale. Pensate, queste opere, oggi, potevano essere nei più grandi musei del mondo, come fanno sfoggio, per esempio, le opere di Calder, e si ritrovano abbandonate, mal ridotte e disconosciute , in attesa dell’ultimo viaggio in discarica o forse in fonderia.
L’ultimo omaggio che gli hanno dedicato risale al giorno della sua morte pubblicato sul il Corriere della Sera con un testo di Pierluigi Panza:
“ Dopo una lunga malattia è morto lo scultore Carlo Ramous. Nato a Milano il 2 giugno del 1926, aveva studiato al liceo artistico di Bologna e poi all' Accademia di Brera nella scuola di Marino Marini. La sua avventura artistica si è sviluppata in gran parte sotto la Madonnina, sebbene sue opere siano conservate anche al Moma di New York, a Roma, Venezia e in vari musei d' arte moderna in Italia. Con Pomodoro, Sassu, Cascella e Mirò fu tra i protagonisti della scultura italiana del Novecento. La sua prima personale risale al 1956, alla Galleria «Il Milione». Partecipò poi a Biennali di Venezia e Quadriennali di Roma. Nel 1972, in via Sassetti, costruì un parallelepipedo di granito sormontato da alcune bandiere di metallo brunito, simboli della vittoria per la libertà. E' «I caduti dell' Isola», monumento per i partigiani del vecchio quartiere. La scultura all' aperto più nota e riuscita resta «Il gesto per la libertà» di piazza Conciliazione: ben ideato, si giustappone linguisticamente alle facciate eclettiche dei palazzi. Realizzò poi «Il gesto della mano» in viale Marche, la «Finestra nel cielo» in piazza Miani e la «Ballata nel plenilunio» in via Forze Armate. Scolpì anche la facciata di alcune chiese e aveva progettato la nuova porta per il tempio civico di via Torino. Il suo sogno era che Milano gli realizzasse uno spazio museale.”

Il nipote dell'artista: "Ora le rivoglio"Il nipote dello scultore Carlo Ramous, che si occupa dell'opera dello zio, dice: "Avevo ormai rinunciato a cercarle, ore le rivorrei perché abbiano giusta collocazione". Sono sempre rimaste abbandonate nei magazzini comunali.

Antonio Ramous sta facendo una ricerca in Internet per trovare libri sull’opera di suo zio. E’ il nipote di Carlo Ramous, uno dei protagonisti dell’avanguardia artistica italiana del Novecento. Così, per caso, incappa in un articolo appena pubblicato su Repubblica Parma. E non crede ai propri occhi: le sculture di suo zio perdute da più di trent’anni, che aveva ormai rinunciato a cercare, sono state ritrovate. “Non potevo crederci, quando l’ho visto mi è andato il sangue il cervello. Ma non sto incolpando nessuno – dice Antonio Ramous, violoncellista che vive a Roma e si occupa della tutela dell’arte dello zio - E’ solo che sono anni che le cerco e ho sempre sbattuto contro un muro di gomma. Nessuno aveva idea di dove fossero, ho contattato davvero un sacco di persone. Tutti gli assessori, in completa buona fede, mi dicevano che se ne erano occupate le giunte precedenti. Alla fine, ci avevo davvero rinunciato”. Ma come è possibile che gigantesche strutture in metallo siano cadute nell’oblio? Nel 1974. Il Comune di Parma organizza un’esposizione di Carlo Ramous in piazza Duomo, dove vengono esposte grandi sculture di metallo poste su pesanti piedistalli di cemento. Poi, qualcosa va storto e nasce un contenzioso tra l’artista e l’amministrazione comunale. Le versioni sulle cause sono discordanti: c’è chi ricorda che le sculture avessero subito danneggiamenti durante il trasporto e per questo Ramous avesse chiesto il risarcimento dei danni.

Carlo Ramous è morto nel 2003. Negli ultimi cinque anni il nipote Antonio e la curatrice dell’opera dell’artista hanno cercato in ogni modo quelle sculture che sapevano disperse a Parma. “Tutto inutile, non c’è stato verso – dice Antonio – adesso che le avete trovate vorrei riaverle. Ora tornerò alla carica . Sia chiaro, voglio solo che quelle sculture abbiano la giusta collocazione, che sia riconosciuto il loro valore, che non rimangano lì abbandonate. Mi piacerebbe che venissero restaurate e magari esposte proprio a Parma. Certo, una grande mostra a Parma, potrebbe essere il giusto modo per farsi perdonare . Sicuramente, si dovrà fare qualcosa per far conoscere meglio questo grande artista al grande pubblico dei non addetti ai lavori, perchè, Ramous è una delle figure più importanti nel panorama internazionale della scultura moderna.
Giovanni Bonanno

L'OPERA SCELTA PER VOI




LA PALA D'ALTARE PETROBELLI
San Michele, Blanton Museum di Austin


Paolo Veronese: La pala d'altare Petrobelli.



Il Caso:
” L’arte tagliata a pezzi come carne da macello ”
Alla Lisson Gallery, dopo più due secoli viene riunita una Pala del Veronese

Dal 10 febbraio al 3 maggio 09 in una mostra allestita alla Dulwich Picture Gallery di Londra è possibile visitare e ammirare ( per la prima volta dal 1780), un dei più importanti lavori del grande Paolo Veronese, la Pala Petrobelli, opera dipinta per i fratelli Petrobelli dall’artista veneto attorno al 1565. la Pala, era stata portata fuori dall’Italia durante le guerre napoleoniche e poi, sciaguratamente fatta a pezzi e divisa in quattro parti. Un pezzo era finito alla National Gallery di Edimburgo, una alla National Gallery di Ottawa, una alla Dulwich Gallery di Londra. L’ultima è stata la raffigurazione di San Michele (foto) conservata al Blanton Museum di Austin. Questa è l’occasione giusta per vedere l’opera tutta intera e ricomposta come prima.


San Michele





















LA PALA PETROBELLI DI PAOLO VERONESE RICOSTRUITA




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IL CRISTO VELATO DI G. SANMARTINO



Napoli/ Il Museo Cappella Sansevero
Cristo velato






MUSEO CAPPELLA SANSEVERO
Riapre la Cappella Sansevero



Situato nel cuore del centro antico di Napoli, il Museo Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinastico, bellezza e mistero s’intrecciano creando qui un’atmosfera unica, quasi fuori dal tempo.



Tra capolavori come il celebre Cristo velato, la cui immagine ha fatto il giro del mondo per la prodigiosa “tessitura” del velo marmoreo, meraviglie del virtuosismo come il Disinganno ed enigmatiche presenze come le Macchine anatomiche, la Cappella Sansevero rappresenta uno dei più singolari monumenti che l’ingegno umano abbia mai concepito.






Chi è l'autore dell'opera?


Giuseppe Sanmartino (Napoli, 1720Napoli, 1793) è stato un scultore italiano
è una delle maggiori personalità artistiche del Settecento italiano, ricordato principalmente per il Cristo velato, scultura in marmo realizzata nel 1753 per la cappella dei principi di Sangro di Sansevero a Napoli, Santa Maria della Pietà, meglio nota come Cappella Sansevero o "Pietatella". Capolavoro della scultura europea del Settecento (tanto che Antonio Canova avrebbe voluto esserne l'autore), la statua rappresenta Cristo che giace esanime su un giaciglio e poggia il capo su due cuscini; il suo corpo appare mirabilmente velato da un tessuto finissimo (da cui il nome della scultura), talmente ben reso da non sembrare scolpito nel marmo ma reale. La magistrale resa del velo, che si deve al virtuosismo fuori del comune dell'artista, ha nel corso dei secoli dato adito ad ipotesi, popolari e non (e comunque non verificate), secondo cui il principe committente, il famoso scienziato e alchimista Raimondo di Sangro, avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo.




VISITA IL MUSEO CAPPELLA SANSEVERO

-Visita il Museo
http://www.museosansevero.it/cappellasansevero.html

-Photo Gallery
http://www.museosansevero.it/photogallery.html

-Web Tv
http://www.museosansevero.it/webtv.html

Museo Cappella SanseveroVia Francesco De Sanctis, 19/2180134 – NapoliTel./fax: +39 081.5518470

(info@museosansevero.it
http://www.museosansevero.it/





IL DIBATTITO IN CORSO

















IL DIBATTITO IN CORSO

Il Mercato, l’arte e gli artisti mancati

L’ultima idea geniale del momento è di Charles Saatchi, quella di cercare il prossimo artista da scoprire attraverso un reality show sulla Bbc il nuovo Michelangelo dalla trovata a tutti i costi, dopo il decadente imbalsamatore in formaldeide (Damien Hirst) e il ludico lunaparchista Jeff Koons, che dubitiamo assai sull’intensità e la profondità del lavoro prodotto in questi anni, ma completamente d’accordo sulle grandi qualità manageriali di questi due personaggi, visto che con oggetti poco significativi e decisamente banali arrivano a venderli a suon di milioni di euro, (16 per l’esattezza per J. Koons). Non male. Anche Damien Hist con il vitello d’oro, “The Golden Cald” che consiste in un esemplare di vitello immerso nella formaldeide, incoronato da un cerchio d’oro massiccio, con le corna e gli zoccoli gettati nell’oro a 18 carati, incassato in un acciaio senza macchia e placcato in oro e scatola di vetro. Venduto il 16 settembre a Londra a 13 milioni, prima della controversa mostra a Versailles. Certamente il vitello d’oro è per chi l’ha venduto e non per l’acquirente. Hirst, alcuni mesi prima di questa crisi finanziaria aveva capito qualcosa più di noi e si era fatto programmare in tutta fretta una mega asta di oltre 200 opere, incassando 111 milioni di sterline, vendendo gran parte dei cadaveri in mostra. Di certo aveva capito che la situazione stava cambiando e che non si potevano più ottenere prezzi eccessivi come prima. Ormai siamo in piena emergenza, la crisi economica sta disarmando quasi tutti, credo che non ci sarà più un mercato dell’arte drogato. Il mercato dell’arte per diversi anni è stato come quello finanziario; corrotto, adulterato, senza regole e spesso con proposte deboli. Un’arte programmata , nata morta che la propaganda e la pubblicità l’ha resa attraente e desiderabile, proprio come certe donnine di strada che vanno a battere con il vestito della festa. Anche i curatori, (curatori e non più critici) e i media, si sono comportati in questi anni pressappoco come certe società finanziarie che oggi si trovano al tracollo e grattano ossessivamente i rimasugli del barile. Per anni, si è omesso volutamente la vigilanza dei prodotti artistici, di controllare cosa si produce e se sono di qualità; tutti erano d’accordo, galleristi, curatori e collezionisti. Direi una grande famiglia di idolatri votati al vitello d’oro. In questi anni questa macchina infernale ha triturato di tutto e dal niente ha prodotto ricchezza e potere. Ora con la crisi si ritorna a qualche decennio prima, alla selezione e il controllo del mercato, (si spera), un mercato più interessante rispetto a quello sclerotizzato di alcuni mesi fa. Robert Hughes nei suoi “Art essay” trasmessi da Channel 4 ha attaccato Hirst, accusandolo per il suo lavoro alquanto banale e anche per un rapporto fittizio e superficiale con la natura, affermando che le opere di questo pseudo artista sono state gonfiate in modo esagerato allo scopo di produrre ricchezza, perché le sue trovate, non sono opere ma semplici carcasse di animali già nate morte e che stanno letteralmente marcendo nella putrida formaldeide . Hughes, non se la prende soltanto con l’artista/mercante di se stesso (Hirst). Di sicuro, questo sarà un anno difficile, l’anno cinese della mucca e non proprio della mucca pazza, sicuramente problematico e incerto, ma farà emergere i veri valori che ci sono in campo e la qualità dell’opera che prevarrà di certo sulle trovate e sui successi effimeri del momento. E’ proprio nei periodi di recessione e di povertà che i migliori artisti emergono prospettando visioni nuove che in prospettiva si consolideranno vincenti.

Quali saranno gli artisti che emergeranno?
Saranno, forse quelli “di partito preso” che invocano ripetutamente il ritorno alla pittura o quelli che ripetono formule e visioni già collaudate, e poi, emergerà un nuovo grande artista come auspica C. Saatchi, visto che da qualche anno ne siamo orfani, ovvero, ci sarà un altro grande P. Picasso che catalizzerà l’attenzione e metterà a scompiglio il sistema dell’arte, e inoltre, sarà in grado di attivare campi di ricerca ancora non indagati? Già qualche rampante gallerista, fa dei nomi di possibili e futuri nuovi personaggi dell’arte. Noi, stiamo con i piedi per terra, aspettando giustamente di vedere ciò che faranno gli stessi artisti. Anche Massimiliano Gioni, curatore degli eventi della Fondazione Trussardi di Milano è convinto che in questo periodo di austerity planetaria ci sarà un ritorno; non alla pittura ma ai materiali poveri, che secondo lui, ben rappresentata dalle sculture viventi fatte di soli gesti di Tino Sehgal, la crisi della finanza immateriale rappresentata da un’arte ovviamente immateriale. Noi non siamo completamente daccordo con Gioni, non siamo per un ritorno alla pittura e alla figurazione se nasce dal recupero nostalgico, come non siamo disposti ad assecondare in senso estremistico l’improvvisazione tout court e la provocazione più bieca. La convinzione che abbiamo è che se non si ha niente da dire, se non vi è alla base del lavoro un bisogno personale e una nuova visione di ricerca, ciò che si fa diventa inutile e sarà relegato nella peggior pattumiera tutto ciò che di stupido e di banale abbiamo prodotto. Sandro Bongiani

sabato 17 gennaio 2009

ARTE/ EVENTI IN PRIMO PIANO




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CALENDARIO: L'ARTE ONLINE




NEWS E MOSTRE & Musei Online


I BIT CULTURALI IN ITALIA


http://www.bitculturali.it/online/?cat=2



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Grandi artisti contemporanei






GRANDI ARTISTI: KEITH HARING
opera di Keith Haring




Milano - Vecchiato Art Galleries http://www.vecchiatoarte.it/

Keith Haring apre ufficialmente la nuova sede della galleria Vecchiato Art Galleries a Milano, nel cuore della città a pochi passi dal Duomo. La mostra, curata da Luca Beatrice, illustra i principali passi della creatività dell'artista attraverso una accurata selezione di opere, tra cui alcune sculture molto significative, dal 1981 al 1988. Le opere esposte ben rappresentano l'universo visuale di Keith Haring, coloratissimo, primitivo e simbolico, infatti tutti i lavori sono realizzati con materiali e supporti diversi: dall'inchiostro all'acrilico, dall'acquaforte allo smalto, dalla carta al cartone, dall'acciaio all'alluminio al legno intagliato. Luca Beatrice commenta: “la sua arte “per tutti”, come lui stesso amava precisare, si è andata definendo universalmente in segni che hanno trovato nelle più svariate forme - da un mini supporto in legno o metallo alla parete di una chiesa - lo spazio per una espressività senza eguali. Che si trattasse di cartone, polistirolo o alluminio, o che il suo strumento fosse un enorme pennello, un'incisione, o una pittura acrilica, gli omini stilizzati di Haring vivono nell'immaginario collettivo come ironico e giocoso messaggio di derisione al perbenismo imperante della società occidentale”.Afferma Haring nel 1984: “L'Arte vive attraverso l'immaginazione delle persone che la guardano. Senza questo contatto, l'arte non esiste. Ho dato a me stesso il lavoro di essere un produttore di immagini del ventesimo secolo e ogni giorno cerco di capire le responsabilità e le implicazioni che questa scelta comporta. E' diventato chiaro per me che l'arte non è un'attività elitaria riservata all'apprezzamento di pochi, ma essa esiste per tutti noi, ed è questo che continuerò a perseguire”.





L'esposizione si svolge in concomitanza con la rassegna che il museo BAM di Mons in Belgio riserva al grande maestro statunitense.

Accompagna la mostra un esaustivo catalogo bilingue in inglese e italiano, edito da Vecchiato Art Galleries con testo critico di Luca Beatrice.

Informazioni
Vecchiato Art GalleriesVia Santa Marta 3MilanoTel. 02 39661104

info@vecchiatoarte.ithttp://www.vecchiatoarte.it/



Chi è Keith Haring

Questa è la storia di un uomo che ha tracciato il proprio percorso danzando come la traiettoria, instabile ma potente, di una stupenda cometa. Il 4 Maggio 1958 Keith Haring nasce a Reading, in Pennsylvania, e cresce a ritmo di rock'n roll. Molto presto inizia a disegnare, incoraggiato dal padre Allen che condivide la sua stessa passione. Il debutto artistico di Keith è fortemente influenzato, infatti, dai fumetti che il padre schizza velocemente per lui. Conduce una vita ordinaria, nel cuore dell'America borghese: isolato dal mondo, distante dallo shock della controcultura degli anni '60, Keith si alimenta solamente di periodici come Look e Life e di televisione che, in quel periodo, si occupa ininterrottamente della guerra del Vietnam. Con l'arrivo degli anni '70, afferma la sua indipendenza incontrando inevitabilmente droghe e alcool, ma assaporando anche la pittura, che diventa e rimane per sempre la sua vera passione. Ascolta i Gratetful Dead, i Led Zeppelin, i Beatles e nel 1976 è accettato alla Ivy School of Professional Art di Pittsburgh dove studia Arte commerciale. Abbandonati velocemente questi studi, si mantiene con numerosi lavori saltuari e scopre, allo stesso tempo, Pollock, Warhol e Alechinsky. L'Arte e quel periodo storico sono strettamente legati: Keith inizia ad esplorare nuove tecniche, producendo opere dalle dimensioni maggiori. Si esibisce per la prima volta nel 1978 all'Arts and Crafts Center di Pittsburgh e, nello stesso anno, si trasferisce a New York. Qui incontra Basquiat, divora i libri scritti da Burroughs ed entra alla School of Visual Arts: studia semiotica, storia dell'arte, scultura e pittura, cibandosene per i suoi lavori futuri. Il suo linguaggio abbraccia inoltre i geroglifici e le linee geometriche, i collages testuali, le fotocopie, dando vita ad un'esplosione di energia. Nel 1980 si esibisce al Club 57, prende parte all'esibizione New York/New Wave e incontra artisti del graffito come Futura 2000 e Fab Five Freddy. In seguito, inizia a dipingere in luoghi pubblici, realizzando la sua prima opera murale nel 1981in una scuola del Lower East Side. Presente alla Documenta 1983 di Kassel, trascorre le notti in clubs e saune: lavoro e vita si fondono, diventando un'unica cosa. John Lennon è assassinato nel 1980: una decade sta finendo, un'era sta cambiando. Keith Haring è vivo!La città e la vita sono i suoi temi preferiti. Dovunque si trovi, disegna, dipinge, lasciando il sua firma ogni volta. Dipinge nelle metropolitane, sui cartelloni pubblicitari, fuggendo al controllo della polizia che lo segue ad ogni suo passo. Dipinge sui muri di qualsiasi città del mondo, da Melbourne a Manhattan, da Rio a Minneapolis, marchiando qualsiasi oggetto, partecipando inoltre alla Biennial of Whitney Museum e a quella di San Paolo in Brasile, senza mai perdere la sua coerenza artistica. La metropolitana di New York è il suo laboratorio, il luogo dove lui sperimenta, improvvisando ed inventando, ma sempre utilizzando lo stesso metodo: disegnata una prima trama, traccia con il pennello icone e modelli che ciascuno di noi, a poco a poco, è in grado di riconoscere. Così come la quantità delle sue creazioni aumenta, maggiore è il numero degli spazi pubblici a sua disposizione, luoghi in cui il pubblico può ammirare liberamente e gratuitamente la sua creatività. Nel 1984, Keith afferma: “L'arte vive attraverso l'immaginazione delle persone che la guardano. Senza questo contatto, l'arte non esiste. Ho scelto di diventare un produttore di immagini del XX secolo e ogni giorno cerco di capire le responsabilità e le implicazioni che questa scelta comporta. è diventato chiaro per me che l'arte non è un attività elitaria riservata all'apprezzamento di pochi, ma esiste per tutti noi, ed è questo che continuerò a fare”. Keith Haring compie 26 anni. Cosa rimane nella tua mente della tua infanzia quando compi 26 anni? Figure inanimate, alcuni ricordi sbiaditi, il mondo di Walt Disney rovinato, la certezza che il mondo stia arrivando alla sua conclusione, o piuttosto la convinzione che il futuro ed i sogni di ognuno di noi siano raggiungibili? Chi può saperlo? Keith sceglie il suo percorso, tornando ai luoghi della sua infanzia e trasportandoli agli anni della sua maturità. Cartoni animati ed energia atomica, icone infantili e industria del consumo, bambini schiacciati dal potere della tecnologia, schiavizzati, sacrificati al volere della macchina, gratificazione immediata dei bisogni del singolo e della totalità dei desideri, il potere del sesso. Egli si pone al centro dei problemi della sua generazione, della sua era. Riunisce, paragona e unifica figure opposte ed icone contraddittorie. La sua arte nasce da questo confronto. “Io dipingo quadri che rappresentano la mia ricerca. Lascio agli altri il compito di decifrarli, di capirne i simboli e le loro implicazioni. Io sono solo un intermediario”. Meglio di altri, Keith Haring intuisce di avere i giorni contati e capisce così di dover danzare attraverso la vita, viverla velocemente. Utilizza vari supporti per la realizzazione dei i suoi lavori: dal calco in gesso del David di Michelangelo al corpo di Grace Jones, tornando poi nuovamente ai murales. Il successo è lì, pronto ad incontrarlo. Si innamora di un DJ e Madonna canta al suo compleanno. Per condividere con i compagni di avventura la felicità ed il successo, organizza un enorme party a New York. Tremila persone si presentano al Garage Paradiso. E' la primavera del 1984 e la festa si intitola Party of Life. La vita è un viaggio. Keith continua a viaggiare. Presenta i suoi lavori alla CAPC di Bordeaux, e prende parte alla Biennale di Parigi. Le sue sculture in acciaio dipinto vengono esposte alla Leo Castelli Gallery di New York e in quell'occasione afferma: “Vedere le mie sculture in mostra presso la Leo Castelli Gallery è un grande onore…perché lì le sale sono sacre. Jasper Johns ha esibito i suoi lavori lì, Lichtenstein ha dipinto un murale gigante proprio lì. Per me questa è l'occasione per fare qualcosa di completamente irrispettoso!” Inizia così a dipingere i suoi personaggi, provenienti dalle strisce dei fumetti, direttamente sulle pareti della galleria. In questo maniera ritorna all'adolescenza, trovando allo stesso tempo anche che un modo ed un metodo personale tramite cui fare i primi passi verso lo status di artista consolidato. E' il 1985. Esiliato dal mondo artistico ufficiale, Keith Haring è tuttavia un artista di successo molto popolare. Sempre nel cuore della modernità, considera la sua arte come una massa risultante da prodotti commerciali. è molto attento alla promozione delle proprie opere, del proprio lavoro, e non è solo un businessman, ma anche un artista che vuole essere sicuro che il suo lavoro ed il suo impegno artistico siano disponibili a tutti. Capendo davvero l'importanza della distribuzione, Keith vuole che il suo nome non sia collegato ad uno stereotipo, ma piuttosto far sì che il suo lavoro sia aperto a tutti, in un incessante dare e avere. Questa apertura, questo scambio ed il commercio non sono sleali nei confronti dell'arte convenzionale, ma diventano una parte importante ed integrale di essa. Nel 1986, Keith Haring smette di disegnare nelle metropolitane una volta per tutte e apre un negozio a Manhattan nel quale vende magliette, cartoline, poster, prodotti figli della sua stessa arte: il Pop Shop. In questo modo vuole rendere la sua arte ancora più accessibile, includendola nella vita quotidiana di tutti: in seguito, Keith diventa un vero e proprio marchio. Così facendo, si assicura inoltre la libertà rifiutandosi di dipendere esclusivamente dai mercanti d'arte. Mantiene la distanza dal circolo ufficiale dell'arte, ma lo fa senza alterare la natura del suo lavoro come artista, e senza perdere popolarità. Molto presto, non contento di copiare vecchi modelli, concepisce dei prodotti originali per il suo negozio. In questo modo il suo nome, il suo marchio e la sua arte vengono distribuite a livello mondiale. Il pensiero corre allora a Warhol, anche lui di Pittsburgh, amico di Keith dal 1983 e soggetto di alcune sue opere in cui appare come Andy-Mouse – rappresentazione del mondo Disney e dei prodotti di Warhol - sottolineando la natura riproducibile dell'arte. Ad ogni modo, Haring non si lega alla riproduzione di marchi commerciali come la Campbell's Soup o la Coca Cola, ma inventa nuovi schemi che non smette mai di rappresentare. Nello stesso momento in cui il marketing si sviluppa, inizia l'era del marchio personale. Keith Haring continua a viaggiare per il mondo lasciando i suoi segni. In quell'anno dipinge murali a New York, a Parigi, ad Amsterdam dove espone allo Stedeljik Museum, arrivando anche al muro di Berlino. Tiene inoltre lezioni di disegno, prendendo parte a programmi d'aiuto ai bambini. Per celebrare il bicentenario della Statua della Libertà, disegna il profilo della statua su di un enorme telone, il quale viene poi appeso a un edificio arrivando a coprirne 11 piani: più di un migliaio di bambini colorano seguendo i contorni tracciati da Keith. Gli anni '80 sono anni caritatevoli e sinceri. Dal Band Aid fino a molti altri impegni umanitari, gli occidentali finalmente capiscono di non essere soli a questo mondo. Nel 1987 Keith Haring si impegna ancora di più nel suo lavoro con i bambini. In tutto il mondo dipinge murales all'aperto. In seguito, attraverso le commissioni statali e le operazioni di pubblicità per la beneficenza ai bambini, ritorna al suo primo amore, i fumetti. Dipinti e sculture ispirate ai bambini segnano il suo lavoro e, inoltre, aiuta con la propria pittura la campagna di alfabetizzazione sia in Germania che negli Stati Uniti. è totalmente parte di quest'epoca e sceglie di usare il suo lavoro per la causa nella quale ha sempre creduto, l'infanzia, e che, come spesso ha detto, non ha mai abbandonato. In quell'anno crea una delle sue sculture più importanti: Red Dog per Landois. Produce inoltre un'altra scultura monumentale per lo Schneider's Children Hospital of the Jewish Medical Center oni Long Island. Quando Andy Warhol muore, Keith afferma: “Lui è stato il primo artista pubblico, nel vero senso della parola, e sia la sua arte che la sua vita hanno cambiato la nostra concezione di arte e vita nel XX secolo”. Gli anni '80 sono segnati dal lutto. La malattia e la morte sono onnipresenti. Jean Michel Basquiat muore nel 1988. Keith, che si trova in Giappone, scopre che il suo corpo è coperto da piccoli punti viola e capisce di essere stato contagiato dall'AIDS. Dopo momenti di forte disperazione, Keith si lancia nel lavoro con un energia incredibile. Paga il suo tributo a Basquiat attraverso le sue tele, con lavori come Silence=Death, e altre opere in cui, anche se la morte è predominante, la promessa dell'arte e della sua continuità non lo abbandonano mai. Forse Haring voleva esorcizzare il suo destino o tentare di vedere la sua arte da un altro punto di vista. Collabora poi con Burroughs a una serie di stampe ad edizione limitata, Apocalypse e The Valley, e inoltre prepara quella che è la sua ultima mostra alla Tony Shafrazi Gallery, nella quale si condensano tutti i temi affrontati fino a quel momento. Figure intrecciate e tracce di pittura che corrono sulla tela, assurdi collegamenti tra l'uomo, l'animale e la macchina. Nel 1989 crea una fondazione con lo scopo di aiutare i bambini e di supportare le organizzazioni che si battono contro l'AIDS. Realizza infine il suo ultimo lavoro pubblico sulla facciata della chiesa di Sant'Antonio a Pisa: il murale Tuttomondo è la sua ultima celebrazione della vita.

Ci lascia il 16 Febbraio del 1990 dicendo: “I miei disegni non cercano di imitare la vita, ma cercano di crearla ed inventarla”.


Opere:

http://translate.google.com/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.haring.nebelbank.de/&ei=cfjeSd6qK86GsAaSnPHcCA&sa=X&oi=translate&resnum=5&ct=result&prev=/search%3Fq%3DKeith%2BHaring%26hl%3Dit%26rls%3Dcom.microsoft:it:IE-SearchBox%26rlz%
3D1I7GGLL_it


Il Murales di Pisa:
http://www.comune.pisa.it/turismo/itinerari/haring-it.htm



Video:
http://www.youtube.com/watch?v=ajNqEcBb_Hw

http://www.youtube.com/watch?v=KtCwnc_qPV0

http://www.youtube.com/watch?v=MR-MbMDmq4w

http://www.youtube.com/watch?v=NamYGuBUQC8

http://www.youtube.com/watch?v=sVqGOdYo5FU





Altri Eventi:




Spazio Brancaccio Ecostyle

COMUNICATO STAMPA


Giovanni Bonanno – Occupatio/Dissipatio
16 FEBBRAIO - 31 MARZO 2009

Inaugurazione: lunedì 16 Febbraio 2009 - h.19
Testo Critico di Sandro Bongiani


Spazio Brancaccio Ecostyle , Via Giovan Angelo Papio 39 (84122) Salerno
Tel. + 039 089 56 47 991
Contatti: info@brancaccio.it
Orario galleria: lunedì/sabato: 9.00 – 20.30



“Occupatio/Dissipatio”
è il titolo della mostra che lo Spazio Brancaccio Ecostyle
dedica a Giovanni Bonanno

(Ecostyle, il nuovo spazio aperto da Brancaccio in via Papio, propone 16 opere dell’artista contemporaneo Giovanni Bonanno con presentazione critica di Sandro Bongiani)




Bonanno, presenta sedici lavori, di cui alcuni sono dittici e trittici, incentrati sulla perdita dell’identità dell’uomo contemporaneo, in particolare, è interessato a definire una visione alternativa, un nuovo immaginario . In una società carica di profondi cambiamenti culturali, sociali, segnata dall’alterità e dai nuovi modi nella costruzione dell’io, i consueti concetti tradizionali vengono ripetutamente smantellati e sostituiti da nuove e provvisorie percezioni e dal nuovo modo di relazionarsi con l’io. Bonanno, da bravo analista, mette l’uomo a nudo di fronte a se stesso, al suo specchio culturale e sociale facendo intendere come la tecnologia odierna abbia sconvolto definitivamente in nostro io, con ciò non vuole rappresentare l’io come registrazione del bello, bensì come possibilità per accedere ad un livello più profondo di conoscenza. Con l’ultima serie di opere “Occupatio H.X.”, l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione, molto più espressivo e idoneo, in cui le fattezze esteriori del volto e del corpo, gli orifizi degli occhi, del naso, delle orecchie, della bocca e persino dei genitali vengono occupate ossessivamente da una miriade di formiche disegnate a china direttamente sulla fotografia digitalizzata. Ne vengono fuori esseri profondamente mutati, senza una loro chiara identità; esseri caratterizzati da certi stereotipi della società attuale, come quelli imposti attraverso la pubblicità commerciale di massa; non a caso l’artista preferisce lavorare spesso direttamente sopra foto anonime e impersonali, volutamente scelte per il dato asettico e anestetizzato. I corpi ripresi dalla realtà più oggettiva, “caricati” di accumuli di formiche occupano ossessivamente parti di corpo umano, creando stati d’animo e situazioni emotive da cortocircuito, rivelandosi decisamente destabilizzanti di un ordine apparentemente normale accettato per armonico.













Giovanni Bonanno, nato nel 1954 a Menfi, nella valle dei templi tra Selinunte e Agrigento. Di formazione comasca, da sempre interessato al Naturalismo Integrale, l’artista ha operato insistentemente ai confini delle soglie disciplinari, in una sorta di fertile e felice contaminazione poetica incentrata sul dato progettuale e utopistico avviato precedentemente a Como da artisti di grande interesse come Antonio Sant’Elia, Francesco Somaini, e Ico Parisi. Vive e lavora da diversi anni a Salerno.

Diverse le mostre personali e le rassegne internazionali a cui ha partecipato: Rassegna Castello Svevo a Termoli (1976), La Rassegna “ Scultura / Giovani “ - Galleria San Fedele di Milano (1980), diverse partecipazioni al Premio Internacional De Dibuix “Joan Mirò” Barcellona), (1981-1983), Muestra Internacional De Arte Grafico “Arteder 82 ”di Bilbao (1982), Salon de la Jeune Peinture” - Gran Palais (1983), Gallery Art Space di Nishinomiya (1985), Al Metropolitan Museum of Tokyo e all’ ABC Gallery of Osaka (1986), alla Biennale Internazionale di Malta, Museo Mystique d'Arte Moderna (1988) al Museum Municipal of Kyoto, (1988), Mostra Antologica “Natura-L-Mente”-Villa Camilla Olgiate Comasco (1991), al City Museum and Art Gallery, Stoke On Trent, (1993), alla Bienal Internacional De Arte Postal “ Colegio Universitas - Sao Paulo (1997-1999) alla Bienal Internacional De Arte Correo - Galeria De Arte Fernando Serrano, -Moguer, (1999). Recentemente ha esposto presso: “Le sembianze anatomiche“ – Palazzo Aragona Cutò di Bagheria, (2004). Mailmania Biennial Exhibition" Spaces Studio J, Victoria, British Columbia-Canadà (2008), Al Florean Muzeum –Romania (2008)







SPAZIO BRANCACCIO ECOSTYLE
Via Giovan Angelo Papio 39 (84122) Salerno
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martedì 23 dicembre 2008

POIESIS/ L'ANGOLO DELLA POESIA



-P O I E S I S-
L'ANGOLO DELLA POESIA


















Il Poeta salernitano
Alfonso Gatto



Per fermare la guerra basta un lamento napoletano?



A volte la poesia ci offre sensazioni e emozioni forti, a volte le parole dei poeti diventano macigni come case che ci vengono addosso, quasi sempre le parole dei politici sono lettere morte che vagano e si perdono nel vuoto. La poesia è capace a fermare la stupidità e la vanità di questo animale pensante chiamato “uomo”, questo essere insospettabile che periodicamente è capace di distruggere tutto quello che trova e senza alcun orgoglio annulla e annienta qualsiasi nuovo desiderio. Bisogna per forza credere alla voce solitaria di un poeta, almeno per sopravvivere e per sperare ancora, soprattutto se il poeta in questione è Alfonso Gatto.







Si chiama “lamento d’una mamma napoletana”, e una poesia di Alfonso Gatto ed è stata scelta dalla Casa della Poesia come manifesto contro la guerra,in occasione del centenario della nascita del poeta salernitano, su http://www.casadellapoesia.org/ è possibile ascoltare dalla voce del poeta Jack Hirschman quello che è stato indicato il manifesto poetico contro la guerra.














La poesia scelta



“Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga dietro la porta come un cane,
mio, delle mie mani, del mio petto giallo ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi tutta la vita,
del vestito nero che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni perché non parta,
lui, ch’è già partito e che non tornerà.”





Video






Biografia sintetica

Nato a Salerno nel 1909 da una famiglia di marinai di origini calabresi, frequentò l' università di Napoli senza però laurearsi. Lavorò come commesso, come istitutore di collegio, correttore di bozze ed infine divenne giornalista. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista" Campo di Marte" che diventò la voce del più avanzato ermetismo.A partire dal 1943 fece parte della Resistenza e le poesie scritte in quel periodo offrono una testimonianza efficace delle idee che animarono la lotta di liberazione. A guerra finita, fu direttore di" Settimana" , poi co-direttore di "Milano-sera" ed inviato speciale dell'Unità. Nel 1951 lasciò clamorosamente e polemicamente il partito. Vinse vari concorsi letterari: "Savini" (1939), "St. Vincent" (1950), "Marzotto" (1954), "Bagutta" (1955) Oltre che poeta fu anche scrittore e, in particolare, scrisse testi per l'infanzia. Negli ultimi anni della vita si dedico' alla critica dell'arte e della pittura. Mori' a Orbetello (Grosseto) nel 1976, in un incidente d'auto.A partire dal limpido, musicale discorso svolto nelle prime raccolte, Alfonso Gatto sviluppa la sua poesia passando attraverso una serie complessa di esperienze: dai versi politici al lirismo umanitario appassionato e acceso, fino al raggelarsi della parola nella meditazione della morte e nella contemplazione lucidamente razionale del mutare oscuro della vita e delle forme che premono gli uomini.Il linguaggio del ventenne autore di ISOLA pare nascere dall' urgenza" di fondere determinati contenuti sentimentali, una propria retorica di sguardo e di memoria meridionali nell' irta e drammatica sintesi espressiva di un Ungaretti, passando attraverso Campana e sposando....i toni vociani più esasperati -quel Rimbaud...-, come una musica non più sensitiva, ma interiore."... Con tutte le sue ossessive effusioni sentimentali Alfonso Gatto è il solo temperamento di moralista che si sia affacciato, dopo Cardarelli, nella lirica d' oggi. Egli è il solo che abbia ... scalzato i motivi interiori...dalla loro vernice patetica, per far loro acquistare un sapore di verità rimproverata, cogliendo al vivo la parte di noi stessi che risponde all'ansia del tempo via via con maggior dolore e rancore.
Si dirà che un simile travaglio era un po' nell' aria; ma dobbiamo unicamente a lui la forza con cui esso è giunto...a darci l' immagine di una nuova" coscienza letteraria" ."...Dunque in Alfonso Gatto non si sente uno che racconta o canta; a un estremo di abbandono e di malinconia corrisponde un' eguale misura di macerato riserbo che si comunica a chi legge."...si capisce che, per arrivare all' amarezza ardita e sonante di questeultime cose, Gatto deve aver tenuto presente l' esperienza umana fatta nel dopoguerra; e quella letteraria...di altre liriche sbagliate o pericolanti nell' assurdo, ma che contenevano i più accesi stati d' animo della sua sensibilità: a frammenti, a stacchi pieni, quasi blocchi, gettati lì, col vergine stupore con il quale il pittore cubista avrebbe saputo comporre e scomporre geometricamente un paesaggio interiore." (G. Spagnoletti, La Fiera Letteraria)



Opere

Isola, Libreria del novecento-Napoli 1932

Morto ai paesi, Guanda-Modena 1937

Poesie, Milano 1939 Vallecchi-Firenze 1943

L' Allodola, Scheiwiller-1943

Amore della vita, Rosa e ballo-Milano 1944

Il sigaro di fuoco (Poesie per bambini) Bompiani-Milano 1945

Il capo sulla neve, Milano-Sera-Milano 1949

Nuove poesie, Mondadori - Milano 1950

La madre e la morte, Critone-Lecee 1950

La forza degli occhi, Milano 1954

Poesie, Milano 1961

Osteria Flegrea, Milano 1962

Il vaporetto (Poesie per bambini), Nuova Accademia - Milano 1963

Desinenze, Mondadori- Milano 1977





Per Alfonso Gatto, a cura della Amministrazione provinciale di Salerno Assessorato ai Beni Culturali, Salerno, Tipografi Guardamagna, è uscito nel 1994 un volume approntato in occasione della mostra" Salerno rima d'eterno: Alfonso Gatto" .Immagini, documenti, manoscritti, dipinti, testimonianze (Salerno, 23 aprile 1994)- contributi di:G. PAMPALONI, La poesia di Alfonso Gatto,G.C.SCIOLLA, Appunti per Alfonso Gatto pittore,G. DUCCILLI, Su la poesia di Alfonso Gatto, Alfonso Gatto: inediti con una nota di A. MODENA.S. RAMAT," Morto ai paesi"di Alfonso Gatto, in" Poesia", 1993, n. 68, pp.42-53.










CONTEMPORANEAEMAILARTSALERNO-ARTECONTEMPORANEAEMAILARTSALERNO







IL DIBATTITO E LA POLEMICA






LA POESIA DI TERMINELLI E L’OTTUSO OSTRACISMO DI UNA LETTURA FALSANTE.






Ho voluto far passare del tempo, prima di rispondere, con questo scritto, ad un articolo dal titolo “Pietro Terminelli: del pensiero e delle forme poetiche”, comparso nella rivista “Il Convivio”, n. 32 del gennaio-marzo 2008, a firma di Ciro Vitiello, per potere contenere quelle che, subito dopo la pubblicazione del suddetto articolo, potevano risultare delle impreviste e tumultuose reazioni emotive, anche se giustificate, nei riguardi delle tante sviste, distorsioni, omissioni e finale stroncatura operate dal Nostro, al fine di annullare per sempre tutta l'attività poetica ed etica svolta da Pietro Terminelli.Un’operazione, senza dubbio, indecorosa, inobiettiva e scandalosa, effettuata oltre tutto a distanza di molto tempo e per di più, non essendo in vita il Terminelli. Di certo, siffatte operazioni lasciano il tempo che trovano – mi sono detto – anche se evidenziano delle turlupinature vistose e delle distorsioni nei riguardi dello spessore etico e valore poetico dell’immaginazione terminelliana, che alla fine fanno tanto male, in quanto non si possono accettare.Cercherò allora di fare delle brevi annotazioni, seguendo quanto scrive il Nostro, che cavalca la tigre di carta dell’arroganza stroncatoria, riversando sulla poesia terminelliana le sue imprecisioni ed incoerenze estetiche, ideologiche e culturali.Occorre dire subito che, per buona parte dell’inizio del suo scritto, il Nostro non fa che presentare il Terminelli come il rappresentante di “una forma letteraria sovvertitrice dei modelli vigenti”, trattandosi di un “intellettuale emarginato ma non marginale; per questo, tuttavia –annota ironicamente – può godere pienamente del piacere dell’autonomia e della libertà”. Qui, il Nostro non riesce a capire che le vere motivazioni e ragioni che hanno attivato la poesia e le riflessioni critiche del Terminelli sono di carattere etico e di non accettazione di quella letteratura asfissiante e non democratica voluta e gestita dal Potere. Invero, il putrefatto accademismo della leadership degli intellettuali al potere, di fatto ed in modo reazionario, non aveva consentito il rinnovo della letteratura di fronte alle nuove esigenze culturali reali in modo da dar luogo ad una vera letteratura democratica, che offrisse una cultura come verità.Si comprende subito che il problema di fondo viene taciuto ed addossato alle “illibertà che tanto selvaggiamente (a disdoro del principio roussoiano) l’uomo contemporaneo sta ingene-rando”. Del resto, il Terminelli sapeva molto bene cosa significasse l’essere underground: “Essere underground significa scegliere una canalizzazione diversificante, concedere alla base una non fugace letteratura di sollazzi, sganciarla perciò da una codifica di messaggi comuni mercificati, ripulirla dalle scorie, la scorza controrivoluzionaria dei compromessi piccoli-borghesi e dei partiti ambivalenti: il messaggio deve scorrere limpido e necessario alla prassi rivoluzionaria, deve affrontare la storia, i problemi economici e politici, e disinnescare le istanze nel mondo meramente disalienante” (Ideologia ed intergruppo, in “Intergruppo”, n. 8 del gennaio 1976). E’ riduttivo e dovuto a chiare imprecisioni quanto poi seguita a scrivere: “Egli procede con fermezza controcorrente, convinto e sicuro che da quel “contro” germini la vera autentica arte la quale, scatto tra ragione e rivoluzione, scommessa della creazione sul nulla mostruoso della storia, sola propone il più profondo segno di una presenza vitale di riferimento”. Per il suddetto il procedere “controcorrente” è già una colpa e “l’essere underground”, uno status presentato come una sicura garanzia di attivazione e promozione di un’arte autentica, convinzione mai, in realtà, condivisa ed espressa dal Terminelli. In tal senso, però manca da parte del Nostro un’analisi anche minima riguardante l’operazione obiettiva elaborata dal Terminelli nell’ambito della sua poesia. In più, seguita col dire che “chi si spinge sulla strada della provocazione della creazione (…) deve costruirsi ogni elemento del poetare, il linguaggio, lo stile, le forme, le strutture. Per questo gli necessitano forza di pensiero, prospettiva filosofica, conoscenza della dinamica del linguaggio, coscienza civile” nella finalità di presentare poi “l’implosione dei valori, la forza dei linguaggi, la tormentata gestione delle forme, una natura singolare e autentica di creazione della realtà”, perché in un’opera inventiva il tempo ricercherà proprio queste caratteristiche formali, insieme ad una “potente sostanza del mondo”.Di certo, si tratta di annotazioni generiche estrapolate da un’estetica vaga e per di più riguardanti aspetti formali della poesia. Inoltre, scrive che Terminelli “ebbe l’intento di perseguire una poesia totale, non in senso poematico per aver indagato e verificato gli aspetti politici, sociologici, letterari del reale, bensì per aver intessuto la sua poesia “di tanti linguaggi e di vaste tematiche, dell’economia, della filosofia, della politica, della sociologia”.Più che agli stilemi formali, che erano numerosi ed inediti nelle sue liriche, l’attenzione del Terminelli era piuttosto concentrata sull’azione rivelatrice della poesia nei riguardi delle contraddizioni di una letteratura falsa, comprendente anche la neoavanguardia, “il cui equivoco era un dentro/fuori con mezzi tecnici e scarsezze innovative sul piano di una epifania, oltre la crisi del capitalismo e dei suoi strumenti non idonei ed anchilosati” (Antigruppo Palermo, n. 7 del luglio 1975) e, soprattutto, della realtà nei suoi risvolti demenziali ed alienanti, negli aspetti feroci e terribili, in forza di un verso lungo antilirico, paratattico, scoppiettante in un flusso esplosivo di enunciazioni tendenti a verificare e a svelare la sconcertante disumanizzazione dell’anima dell’uomo. Del resto, lo stesso Terminelli, nel luglio del 1975, nella rivista "Antigruppo Palermo", aveva annotato che "Una cultura alternativa nel senso dell'ordine della struttura di classe antagonista deve nascere ovviamente dall'impadronimento dei mezzi di produzione estetica da parte del popolo, all'interno del popolo, in cui lo scrittore, il poeta ne sia il soggetto/oggetto che si spinge negli interessi interreagenti, intersoggettivi, antagonistici dei rapporti di classe", perché “Il poeta, come uomo di strada, come un lavoratore manuale, ha sviluppato la sua res, ha svolto con un linguaggio proprio una misurazione poetica e desublimante del tessuto rivisitato storicamente, ha costretto se stesso ad una verifica- destruttura nuova espressamente internazionalizzante, svuotata da ogni compromesso oscuro ed ambivalente per porsi nella avanzata informatica ed ideologica, culturale, strabiliamente letteraria e rivoluzionaria” (Intergruppo, n. 9 dell’agosto 1976).Venendo, così, a trattare della poetica del Terminelli, il Nostro afferma che il Terminelli è approdato “a una sorta di psicologia personale e soggettiva, con una comunicazione diretta con l’oscuro dell’interiorità dove è assommata tutta la conoscenza, di persona e di civiltà”. Si comprenda che tutto ciò è falsante in sé, oltre che circoscritto e limitato al solo libretto dal titolo “Immagini ed ingrandimenti” del 1991, non tenendo presente le ben diverse poetiche rinvenibili nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, che non vengono neanche citate.Ma, sentite, che cosa scrive: “Pervicacemente l’io, tuttavia, se è eliminato nel soggetto, e se il soggetto è rovesciato come oggetto guardato (…) addiviene che è la mente, come ente a sé, a gestire e dominare il flusso irruente e massivo delle immagini, che avanzano in disordine…”.Non occorre molto per comprendere che siffatta asserzione serve al Nostro per poter qualificare la poesia del Terminelli come uno spurio risultato e prodotto della ragione, in quanto il lungo procedere del verso si origina dalle operazioni effettuate dalla mente che “accosta, accatasta, aggrega, ammassa in un debordare che dà il senso di sazietà e addirittura di crapula”. Una sorta di “accumulazione” alla Arman?Il che non risulta al critico Donato Valli secondo quanto annota nel suo scritto dal titolo “Il testo fluente”, comparso in “Quaderno di Intergruppo 2”, nel settembre del 1982: “La poesia di Terminelli si attesta, infatti, su un "continuum" di discorso, la cui principale caratteristica è quella dell’appropriazione di tutti i dati del reale, nessuno escluso, ma senza ordinarli categorialmente e aprioristicamente: la poesia "si fa" all’interno di quel discorso, coincide con esso, non ne è il risultato o la predeterminazione. Allora la grande rivoluzione rispetto alle dimensioni canoniche e scolastiche della poesia consiste non nell'esclusione della realtà e nell'eccentuazione del momento formale, quasi materica escrescenza di quella realtà svuotata di significati positivi, ma nella destituzione delle categorie razionali ordinatrici, al fine di rendere evidente, al termine dell'operazione, il caos insito nell'ordine apparente istituzionalizzato e la non-razionalità di ogni effimera ragione programmatoria e provvidenziale". Il Valli giustamente può precisare in modo chiaro che Terminelli rifiuta sia “la presunzione ordinatrice della perfetta razionalità hegeliana” che “il prospettivismo definitorio della prassi marxista”.Afferma il Nostro che per il Terminelli “l’io scompare per farsi noi, altro”, anche perché “l’esterno è un po’ l’immagine dell’interno”, mentre per il Valli il Terminelli mette in parentesi propriamente le due dimensioni del reale, quella visibile e invisibile, approdando ad un radicalismo poetico che evidenzia il ribaltamento della esaltazione dell’ideologia poetica nella contestazione e parodia di qualsiasi ideologia come strategia totalizzante e come esegesi dogmatica del reale ed il conseguimento della messa in crisi dell’ “intera struttura ideologica del linguaggio” e di qualsivoglia organizzazione logica. Pur tuttavia, il Vitiello, imperterrito, continua col dire che il Terminelli “capovolge l’ego e lo situa nell’altro, nella realtà, nella storia…” e al suo posto mette la mente “come coattiva funzione del rapimento delle immagini che nascono da incipit cosali o situazionali” e come “apice della comprensione, della interpre- tazione, destinata a disciplinare (nel senso di ordinare) l’ammasso tumultuante e smisurato che si agita nel cosmo/uomo/mondo/storia”. E’ certo che siffatti enunciati, circoscritti ad una sola silloge poetica, non possono essere assunti come unici ed esaustivi, fagocitando anche le ben diverse poetiche elaborate nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle poesie de “Lo Schiaccianoci”. Ma di queste, il suddetto non osa parlare per delle ragioni che cercheremo di precisare in seguito. D’altra parte, lo stesso poeta, in Intergruppo, n. 10 del febbraio 1977”, aveva scritto che “Ogni dato estetico è un risultato della prassi e conoscenza ideologica, con la quale il soggetto operante viene a confluire nell’oggetto mediato, coinvolgendolo e conducendolo seco infuocato nella libertà della espressione, nella sostanzialità semantica, poetica ed estetica” e che “Se il contenuto è in un rapporto ideologico-dialettico (come così affrontato nella immediatezza della conoscenza dell’oggetto e della sua mediazione sociale e storica) è comprensibilissimo che l’avanzamento non conduce fuori dalla traiettoria della letteratura”.Ed, inoltre, “…ogni operazione intellettuale di avanguardia deve concepire un rapporto unico con la sovrastruttura di disalienazione del messaggio ideologico mercificato ed alienante” ed, in tal senso, occorre evidenziare che al poeta spetta il compito di “problematizzare il reale”, per dirla con il Valli, non la funzione di “accertare i meccanismi oscuri della perfidia dell’esistenza, bensì quella di elencare i dati sperimentali di questa perfidia”.Pur tuttavia, al nostro non piace neanche il verso terminelliano perché “è mortificato nella sua accezione ritmica e retorica, come misura quantitativa distinta e definita”, la cui caratteristica è il suo “lungo, inarrestabile procedere” la cui natura è solo docile alla volontà della mente, come abbiamo visto. Inoltre, il critico riporta 4 lunghissimi stralci di liriche desunte da Poesie Antigruppo del ’73, dalle Ideologie politiche del ’97, da Immagini e ingrandimenti del ’91 e da Involucro del ’92, appositamente scelti fra i più neutri, per potere affermare in modo generico la forza ma anche la precaria debolezza di una siffatta poesia tutta giocata sulla ragione e sull’assenza totale dell’anima del poeta. Asserzioni di comodo, dunque, inaccettabili per un esercizio che esula totalmente da una seria analisi critica, attivate unicamente da una egocentrica tracotanza intollerabile che, oltre tutto, offende i numerosi critici di vaglia che si sono occupati della poesia del Terminelli.Il bello è che prima il Nostro aveva scritto che Terminelli, a suo dire, “probabilmente ha una statura da essere ripresa e guardata, scrutata, indagata, sistemata in una prospettiva critica e storica giusta e non parziale come accade”. Visti i suddetti risultati, c’è molto da sperare!Ma, imperterrito, il Nostro, dietro false premesse, dà la stroncatura più penosa ed intollerabile. Infatti, scrive: “Spostando l’indice sul versante della valutazione, sobbalzano alcuni non peregrini interrogativi: una poesia che è tutta calata nella realtà storica e culturale – la mente non altro compone che l’essenza di essa – ha un destino duraturo? E a essere configurata in un’epoca successiva, che appare totalmente mutata non solo nella forma ma anche nelle radici delle sue costumanze e dei fenomeni culturali e linguistici, regge di essere inserita nel nostro presente, di elevarsi a forza di rappresentazione di sé? Oggi che la società non detiene più nulla di appena cinque anni fa, che sono aborrite come lebbra le ideologie – assi portanti della struttura politica e sociale – le composizioni massive e oggettive di Terminelli perdono di efficacia”. Si comprenda subito che da una falsa impostazione dei problemi si perviene a delle false risultanze che poi, servono per avvalorare quelle sapide domandine del Nostro per consentirgli una falsante stroncatura. Allora, nel premettere che il discorso del Nostro riguarda solo una parte della poesia terminelliana, avendone tralasciato appositamente i risultati migliori rinvenibili nelle Poesie epidermiche e soprattutto nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, non volendo richiamare quanto ho scritto nel volume dedicato alla poesia del Terminelli, lascio che sia il Di Maio a voler precisare alcuni aspetti della poesia terminelliana per poi chiarire, in che cosa obiettivamente è consistita l’operazione elaborata dal Terminelli.Scrive il Di Maio, in Antigruppo Palermo, n. 7 del lontano luglio 1975, che “La poesia di Pietro Terminelli, così densa di umori, di fatti, di eventi, così corposa nella sua cifra violenta, così irta e complessa nel suo "spessore" linguistico, recupera la "sovrastruttura" come campo di rigorosa ed attenta verifica demistificatrice (sottolineatura nostra), come luogo di incontro e di scontro, di puntuale intervento e di azione. E’ un recupero pieno, globale, a più strati e livelli, in cui il dato squisitamente intellettuale e ideologico integra precisi, puntigliosi riferimenti alla storia, alla cronaca, ecc. in un " continuum " di voce, in un rapporto dialettico acuminato e totale e in cui l’assunzione dell’elemento contestuale, quale esso sia, non assolve funzione intensiva di simbolo né esorcizza incubi privati, onirico-nevrotici, all’interno di una palus intellettuale sia pure fervidamente aggressiva”. Ciò per dire che è inaccettabile quanto prima è stato affermato dal Vitiello. Che poi la medesima “verifica demistificatrice” e la conseguente poesia che ne risulta non siano di stampo dogmaticamente ideologico, cioè condotte secondo una particolare ed aprioristica ottica ideologica di passivo incasellamento e riduzione della realtà vale quanto scritto dal Valli e, soprattutto, ciò che in proposito ho detto nel mio volume “La poesia di Pietro Terminelli” del 1995: “Riportiamo il passo in cui il Pasolini enuclea in modo chiaro la sostanza del problema ed in cui legittima una poetica fondata sulla verifica delle istanze che scaturiscono dall’ideologia estetica con quelle che derivano dall’ideologia politica”: “In altre parole l’ideologia di uno scrittore è la sua ideologia politica – condivisa, come fatto logico e morale, con tutti coloro che la pensano come lui – ma calata in una coscienza in cui si dà il massimo del particolarismo individualistico, con tutte le sue sopravivenze e contraddizioni storiche e concrete. La verifica di quello che succede in questo urto, in questa fusione, è la vera e propria ideologia di uno scrittore; quello che egli esprime poeticamente, va riportato a tale sua specifica ideologia; e non a quella, razionale e oggettiva, che egli professa come cittadino” (P.P. Pasolini, Le belle bandiere, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 155-161). Chiarito questo aspetto fondamentale, occorre precisare che le “composizioni massive e oggettive del Terminelli” non perdono di efficacia nei riguardi del presente, appunto, per quell’essere intrise di quell’ethos che cerca di scrutare e di annullare gli aspetti disumani di una società e dell’anima dell’uomo, perché essi, anzi, diventeranno sempre più virulenti e travolgenti.Inoltre, propriamente in forza di ciò che afferma il Nostro, ossia che le ideologie sono obsolete ed in crisi, ci permetterà di dire che sono in crisi pure i valori condivisi, le poetiche e perfino la medesima critica che si dimena tra il conformismo alle mode attuali, il disconoscimento di certi valori alla parte avversa, quando essa risulta asservita, una stroncatura può allora sembrare, come afferma il Raboni (in L’Europeo del 15/11/1986), “l’espressione di un risentimento personale o di gruppo oppure uno strumento di vendetta, un messaggio di avvertimento…”. Ma, ciò che inquieta di più per i suoi riflessi antidemocratici riguardanti la gestione della cultura è il tenore delle seguenti affermazioni dello stesso Raboni: “Una stroncatura (…) presuppone, per avere senso, un sistema di valori (estetici, ma anche etici, politici, ecc.) in nome del quale il giudizio viene espresso. Una stroncatura, insomma, non è una semplice expertise; è anche e soprattutto la negazione di un progetto in nome di un altro progetto. E così, in effetti, essa è stata usata, per esempio, dai futuristi contro i "passatisti", o dai sostenitori dello sperimentalismo degli anni Sessanta contro i rappresentanti del realismo (non importa se "socialista" o "borghese") dello stesso periodo. Oggi, se non mi sbaglio, progetti così forti ed esclusivi, o escludenti, non esistono; e non si vede dunque in nome di chi o di che cosa un critico potrebbe "stroncare" se non in nome della scuderia (casa editrice, giornale, clan snobistici, cosca universitaria, ecc.) alla quale appartiene”. Non credo, allora, che il Nostro sia in possesso di un “progetto forte” e nuovo, tale da offrire un’estetica che possa spiegare totalmente che cosa si debba intendere per poesia e per l’unicità che la caratterizza, dal momento che scrive che “La poesia è singolare (e) si raffigura come unicità”, in forza dello “spirito simbolico che presentifica, nel gesto, nell’azione, nell’immagine”, perché non basta ricorrere al 142° verso dantesco del V canto dell’inferno “E caddi come corpo morto cade” per intendere in modo esauriente quell’unicità, che si deve senza dubbio riconoscere alla poesia, anche se fosse accolta nell’accezione proposta dal Brandi e dalla mia ipotesi esegetica della “Verifica trascendentale”, cioè come “astanza”, spazio virtuale, trans-temporale e trascenden- tale. Inoltre, occorrerà precisare il come debba intendersi quello “spirito simbolico” che caratte- rizza l’unicità della poesia, considerata la fondamentale distinzione offerta dalla Susanne Langer nel suo “Problemi dell’arte” (Milano, 1962), cioè intendere la funzione simbolica non nel senso di rappresentare l’idea di qualcosa d’altro, non nella modalità di esprimere direttamente i contenuti del sentimento, come pensava R. Carnap, bensì come oggettivazione espressiva di forme simboliche del sentimento vitale del soggetto, cioè nel senso che il linguaggio artistico si avvale di un simbolo presentativo e non rappresentativo.Comunque, alla fine, il Nostro riconosce al Terminelli “ripiani nuovi, spazi acquiescenti, dove l’intuizione apre sorvegliatissimi spiragli di immedesimazione personale”, che riscontra in tre ampi stralci di liriche, desunti dal volume “Immagini ed ingrandimenti”. Il che ci sembra molto riduttivo nel senso che il Nostro ha tralasciato il benchè minimo accenno alle “Poesie estetiche”, alle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, alle fondamentali liriche dal titolo “Lo schiaccianoci”, per ripetere alla fine dello scritto il ritornello della poesia come unicità espressiva con il memento che, in assenza di essa, qualsiasi poeta è destinato a scomparire per sempre. Considerata la suddetta ricettina, avremmo preferito la seguente, estrapolata da “Ricette per fare poesia” del cuoco-poeta Queneau, almeno avremmo goduto del suo humour basato sul non-senso: “Prendete una parola, prendetene due, fatele cuocere come fossero uova, scaldatele a fuoco lento, prendete un pizzico di senso, versate la salsa enigmatica, spolverate con qualche stella e fatele andare a vela”. Fuor di celia, il non aver accennato il Nostro alle menzionate sillogi preoccupa non poco, in quanto sono propriamente esse, secondo lo Squarotti, che “tendono a una straordinaria libertà di forme e di invenzioni, tra parola e immagine, (…) in un agio di scrittura limpido e acuminato, ma senza più asprezze polemiche, anzi inteso a dare il piacere pieno della creazione” (in “Intergruppo, n. 16”). Infatti, con le Poesie epidermiche, le cui prime liriche sono state pubblicate ne “L’Involucro, n. 8, nel settembre del 1990, il Terminelli, ricorrendo ad un linguaggio medio-basso per riconoscere alla poesia un respiro umano, sociale e democratico, la pone su basi ontologiche come voce obiettiva e trascendentale dell’ “Essere”, come del resto riconoscono il Cardamone (Proposta di lettura, in “L’Involucro”, n. 9 del giugno 1991) e tanti altri critici.Invero, la poesia, per Terminelli, si poneva come lo strumento e la voce per realizzare un progetto che mirava alla fondazione di un essere in sincronia con la sua vera umanità. Infatti, nelle “Poesie epidermiche” ritroviamo il senso della catarsi e della sublimazione nei riguardi della disperazione di molte vite che non hanno trovato una piena realizzazione di sé. La stessa fuga di quel vecchio impiegato di Stato, come evasione dalla Storia, avviene per potere salvaguardare l’esile sprazzo di vita che gli è rimasto per il monotono ripetersi di momenti alienanti in una realtà soffocante ed inautentica. Sono queste pagine espressive del “forte senso di dignità morale” del Terminelli, scrive l’Alaimo, mai sceso a compromessi con il potere, date nello spazio inedito di un alto e viscerale senso dell’umanità e di un riscatto, nella sua totalità, della vera dimensione della spiritualità e dell’eticità del cuore dell’uomo, in cui, per il suddetto critico, il poeta “riconoscendo sé nella storia di altri uomini, oggettivizza stati d’animo, aspettative, problemi” (L’Involucro, n. 9, giugno 1991). Si tratta, allora, di una poesia diversa in cui, per la Fiorino, “Il riscatto è il sogno della ribellione, deterrente e stimolo della liberazione della materia dolorante” (L’Involucro, n. 10, aprile 1992).E, anche quando questa utopia fosse del tutto travolta, aggiunge Sanguineti, in extremis, l'intellettuale potrà pur sempre farla rinascere dalle "interferenze del cuore " (Il chierico organico, Milano). Comunque sia, ciò che risulta meritorio in Terminelli è la sua utopia, ossia il suo pensiero progettuale che lo porta ad esperire e a verificare aspetti del reale, che mantengono stretti addentellati con il concetto di "trascendenza" del Marcuse nel senso specificato da Palombella (Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse, in SWIF, 1997-98), ossia con la "capacità in astratto di promuovere l'ingiustizia o la giustizia, la verità o il suo occultamento, e ancora la felicità o la repressione".Ma è soprattutto con le liriche de "Lo schiaccianoci" (il cui primo quintetto di liriche è comparso ne L’Involucro, n. 13, novembre 1994), cioè in una poesia eccelsa di un'alta postulazione metafisica, che il poeta cerca incessantemente di realizzare la piena e trascendentale libertà spirituale ed umanità dell’uomo ed il pieno significato della sua più intima identità in sincronia con l’idea dello Hegel del fine da riconoscere all'arte consistente nel dare "forma sensibile" a quel sentimento dell'uomo che vuole promuovere una vita di piena realizzazione e di una totale libertà spirituale.Invero, al tempo disintegrato della Storia, fatta di caos e di ferocie inaudite, Terminelli sa opporre la misura e lo spazio di una poesia che, nell'essere ricognizione trascendentale degli interrogativi più ossessivi dell'uomo, sa passare dal piano fenomenologico a quello noumenico, sublimando il tutto alle scaturigini primordiali di un'innocenza rigenerante. La sua è una poesia che sa esprimere l'essere della coscienza alienata dell'uomo d'oggi, le estrinsecazioni provenienti dalle attese del profondo, le peculiarità spirituali che l'io effonde tramite il suo sentimento e il suo pensiero. Il merito del Terminelli, allora, consiste nell'inesausta tensione di aver saputo guardare insistentemente alla "totalità" dell'uomo, alle sue alienazioni, al continuo sfaldamento dell'unitarietà della sua anima, tramite l'impiego di una poesia assunta come una modalità ricognitiva, valutativa e "verificale" e, quindi, come giudizio sulle aberranti manipolazioni esercitate dal potere e dalle sue strutture sulla coscienza di ciascun uomo.Lirica e trascendentale la sua poesia dà il fascino e la concretezza alla nostra coscienza della catarsi e della liberazione dagli schemi fossilizzati che l'opprimono e la alterano; il senso unitario di un'identificazione con la profondità della sua essenza spirituale e del ritrovamento significativo del nostro io sovrapersonale nella vitalità esistenziale di un'umanità assunta nella pienezza delucidativa delle sue luci e delle sue ombre.La lucidità inventiva della parola terminelliana qui è riuscita a svelare le fisionomie alte ed espressive dell'essere trascendentale dell' uomo con un pàthos che la sua investigazione poetica ricompone nel respiro metafisico e nel canto d'amore di una profonda chiarificazione e sublimazione della vera intimità spirituale dell'anima umana.Terminelli, invero, con le liriche dello "Schiaccianoci", ha aperto un'inedita pagina alla poesia trascendentale e metafisica, tesa oggettivamente alla fondazione della vera essenza dell'uomo con immagini fascinose di un mondo toccato dalla grazia di una poesia rivitalizzante la vera essenza della nostra spiritualità più alta ed avvincente. ANDREA BONANNO







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L'ARTE POST - HUMAIN

Una situazione tutta Post-Humain





“Occupatio/Dissipatio”


Viviamo in una società globale piena di contraddizioni, l’uomo non ha perso soltanto i naturali riferimenti che aveva con la natura ma persino il desiderio di sognare. Da sempre l’uomo ha cercato di essere creatore d’immagini, talvolta sforzandosi di imitare la natura, fino a decidere di contraffarla e di sostituirla nell’artificiale. Di certo, non esistono più limiti, ormai si vive una situazione complessa e deviata. Voler assumere “la diversità del reale”, l’uomo vive una situazione decisamente “anomala”; questa è la realtà della “simulazione significante”, una realtà in cui gli eventi naturali vengono attraversati da accorgimenti che ne alterano le componenti temporali-spaziali, dandoci l’illusione di una verità. In questa condizione, la realtà viene spesso sostituita con quella “virtuale, quasi una seconda realtà simulata e immateriale. La produzione creativa, oggi, vive la dimensione conoscitiva di diverse ricerche e scoperte che vengono “filtrate” dall’artista, confrontate e sublimate in una cosa che chiamiamo “immaginazione”. La produzione artistica risente di questi nuovi fattori; ne è altamente condizionata. L’artista di oggi deve per forza di cose leggere in profondità, dentro una complessità ormai “Post-Humain”. Ormai, i progressi nella biotecnologia stanno variando i confini in corrispondenza dei quali si celebra la fine dell’uomo e l’inizio del post-umano.






Secondo tale ipotesi le nuove problematiche in atto contribuiranno a ridefinire “una nuova costruzione dell’io” determinata dall’applicazione consueta di tecniche di trasformazione fisica; la chirurgia plastica, gli interventi a livello celebrale, l’inseminazione artificiale diventeranno una prassi comune per cui bisognerà reinventare se stessi. Si dovrà necessariamente ridefinire i parametri dell’esistenza stessa in un regno evolutivo artificiale. In arte, oggi, emerge un rinnovato interesse verso la natura e il corpo umano, alcuni artisti come G. Bonanno dimostrano di essere molto interessati a tali problematiche, tentando in tutti i modi di rispondere a questi nuovi interrogativi. Già, qualche anno fa C. Strano scriveva: “La ricerca linguistica e iconografica di Giovanni Bonanno si è sempre basata sull’improbabile, sul virtuale. Non un referente eminentemente fantastico, semmai immaginativo. In sintesi: non l’impossibile, ma l’improbabile, appunto. Così è stato per le “Espansioni” (disegni), per i “Percorsi” (foto manipolate), per i “Territoires” (il suo segno grafico e pittorico lasciato sul poliestere, ad esempio). Il corsaro della traccia grafico-estetica: questo ha fatto Bonanno. Sostanzialmente, ha disegnato mappe, segni sul territorio, e il fruitore s’è mosso alla ricerca di un tesoro improbabile, il tesoro di una provocazione in senso naturalistico e ambientalistico. E’ accaduto allora che l’utopia ideologia ha coinciso con l’utopia dell‘immaginazione creativa. Ciò è stato possibile anche perché nei suoi territori improbabili Bonanno ha giocato ampiamente con la memoria”. L’artista, con queste ultime l’opere presenta una serie di lavori incentrati sulla perdita dell’identità dell’uomo contemporaneo, in particolare, è interessato a definire una visione alternativa, un nuovo immaginario. Da sempre, l’artista ha lavorato sulle “dis-nature” immettendo nell’opera, come scrive Flaminio Gualdoni, “una violenta mozione disequilibrante e destabilizzante all’interno di un ordine stabilito e accettato per armonico; atto di negazione profondamente consapevole, gesto provocatoriamente arbitrario, l’operazione di Bonanno frantuma la realtà un ordine apparente o quantomeno normale recuperando una diversa dimensione cognitiva e immaginativa con ciò si nega il normale nella loro prepotente carica liberatoria: dietro ad esse emerge, utopica, la volontà di un nuovo e possibile equilibrio”. In una società carica di profondi cambiamenti culturali, sociali, segnata dall’alterità e dai nuovi modi nella costruzione dell’io, i consueti concetti tradizionali vengono ripetutamente smantellati e sostituiti da nuove e provvisorie percezioni e dal nuovo modo di relazionarsi con l’io. Bonanno, da bravo analista, mette l’uomo a nudo di fronte a se stesso, al suo specchio culturale e sociale facendo intendere come la tecnologia odierna abbia sconvolto definitivamente in nostro io. Con ciò non vuole rappresentare l’io come registrazione del bello, bensì come possibilità per accedere ad un livello più profondo di conoscenza. Con l’ultima serie di opere “Occupatio H.X.”, l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione, molto più espressivo e idoneo, in cui le fattezze esteriori del volto e del corpo, gli orifizi degli occhi, del naso, delle orecchie, della bocca e persino dei genitali vengono occupate ossessivamente da una miriade di formiche disegnate a china direttamente sulla fotografia digitalizzata. Ne vengono fuori esseri profondamente mutati, senza una loro chiara identità; esseri caratterizzati da certi stereotipi della società attuale, come quelli imposti attraverso la pubblicità commerciale di massa; non a caso l’artista preferisce lavorare spesso direttamente sopra foto anonime e impersonali, volutamente scelte per il dato asettico e anestetizzato’, in questo modo, si misura direttamente senza filtri metaforici con il corpo umano, la fotografia non ha più l’angusta e precaria dimensione documentaria del ritratto , ma piuttosto l’immediatezza provocatoria che la manipolazione grafica sovraccarica di una quota di comunicazione che fa leva sull’immaginazione. I corpi ripresi dalla realtà più oggettiva, “caricati” di accumuli di formiche occupano ossessivamente parti di corpo umano, creando stati d’animo e situazioni emotive da cortocircuito, decisamente destabilizzanti di un ordine apparentemente normale. Inoltre è da segnalare anche la rappresentazione di presenze inconsistenti e apparizioni apparentemente illogiche che si condensano in modo assai nascosto e velato, ma che hanno la capacità di trasformare l’opera dal puro reperto documentario verso una dimensione “altra”, assai più complicata e pregnante rispetto quella che noi comunemente percepiamo. Condividiamo appieno tali proposte incentrate ad una definizione nuova dell’io, attraverso la commistione di fantasia, finzione e ossessione. Da tali proposte, l’artista perviene ad una riformulazione decisamente “schioccante” dell’ umanità, che trasmette una impressione inquietante della condizione post-umana verso la quale ci stiamo avviando. Il lavoro di Bonanno diventa, in definitiva, il promemoria della fragilità psicologica dell’uomo moderno: il ritratto abbandona la similitudine, la ripetitività e la somiglianza della copia reale, la “mimesi” per divenire presa di coscienza e di conoscenza di un’io che non riesce a definirsi e a consolidarsi in forme più stabili. Di certo, queste apparizioni precarie e negate di accumuli incontrollati di formiche smantellano i luoghi comuni e i modelli certi della pseudo-identità. La dissoluzione della nozione d’identità viene esibita nel tentativo estremo di recupero dell’unità persa, come l’unica condizione possibile per trovare se stesso. L’emozione alla vista di questi lavori è molto forte, nonostante l’evidenza fotografica dell’immagini, dandoci un certo fastidio nel sentirci smarriti e indifesi, forse perché siamo costretti a scrutarci allo specchio del nostro “io impersonale”,che definisce un’identità anonima, sterilizzata, ma perfettamente aderente alla precarietà di come siamo diventati.

Sandro Bongiani