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martedì 23 dicembre 2008

POIESIS/ L'ANGOLO DELLA POESIA



-P O I E S I S-
L'ANGOLO DELLA POESIA


















Il Poeta salernitano
Alfonso Gatto



Per fermare la guerra basta un lamento napoletano?



A volte la poesia ci offre sensazioni e emozioni forti, a volte le parole dei poeti diventano macigni come case che ci vengono addosso, quasi sempre le parole dei politici sono lettere morte che vagano e si perdono nel vuoto. La poesia è capace a fermare la stupidità e la vanità di questo animale pensante chiamato “uomo”, questo essere insospettabile che periodicamente è capace di distruggere tutto quello che trova e senza alcun orgoglio annulla e annienta qualsiasi nuovo desiderio. Bisogna per forza credere alla voce solitaria di un poeta, almeno per sopravvivere e per sperare ancora, soprattutto se il poeta in questione è Alfonso Gatto.







Si chiama “lamento d’una mamma napoletana”, e una poesia di Alfonso Gatto ed è stata scelta dalla Casa della Poesia come manifesto contro la guerra,in occasione del centenario della nascita del poeta salernitano, su http://www.casadellapoesia.org/ è possibile ascoltare dalla voce del poeta Jack Hirschman quello che è stato indicato il manifesto poetico contro la guerra.














La poesia scelta



“Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga dietro la porta come un cane,
mio, delle mie mani, del mio petto giallo ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi tutta la vita,
del vestito nero che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni perché non parta,
lui, ch’è già partito e che non tornerà.”





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Biografia sintetica

Nato a Salerno nel 1909 da una famiglia di marinai di origini calabresi, frequentò l' università di Napoli senza però laurearsi. Lavorò come commesso, come istitutore di collegio, correttore di bozze ed infine divenne giornalista. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista" Campo di Marte" che diventò la voce del più avanzato ermetismo.A partire dal 1943 fece parte della Resistenza e le poesie scritte in quel periodo offrono una testimonianza efficace delle idee che animarono la lotta di liberazione. A guerra finita, fu direttore di" Settimana" , poi co-direttore di "Milano-sera" ed inviato speciale dell'Unità. Nel 1951 lasciò clamorosamente e polemicamente il partito. Vinse vari concorsi letterari: "Savini" (1939), "St. Vincent" (1950), "Marzotto" (1954), "Bagutta" (1955) Oltre che poeta fu anche scrittore e, in particolare, scrisse testi per l'infanzia. Negli ultimi anni della vita si dedico' alla critica dell'arte e della pittura. Mori' a Orbetello (Grosseto) nel 1976, in un incidente d'auto.A partire dal limpido, musicale discorso svolto nelle prime raccolte, Alfonso Gatto sviluppa la sua poesia passando attraverso una serie complessa di esperienze: dai versi politici al lirismo umanitario appassionato e acceso, fino al raggelarsi della parola nella meditazione della morte e nella contemplazione lucidamente razionale del mutare oscuro della vita e delle forme che premono gli uomini.Il linguaggio del ventenne autore di ISOLA pare nascere dall' urgenza" di fondere determinati contenuti sentimentali, una propria retorica di sguardo e di memoria meridionali nell' irta e drammatica sintesi espressiva di un Ungaretti, passando attraverso Campana e sposando....i toni vociani più esasperati -quel Rimbaud...-, come una musica non più sensitiva, ma interiore."... Con tutte le sue ossessive effusioni sentimentali Alfonso Gatto è il solo temperamento di moralista che si sia affacciato, dopo Cardarelli, nella lirica d' oggi. Egli è il solo che abbia ... scalzato i motivi interiori...dalla loro vernice patetica, per far loro acquistare un sapore di verità rimproverata, cogliendo al vivo la parte di noi stessi che risponde all'ansia del tempo via via con maggior dolore e rancore.
Si dirà che un simile travaglio era un po' nell' aria; ma dobbiamo unicamente a lui la forza con cui esso è giunto...a darci l' immagine di una nuova" coscienza letteraria" ."...Dunque in Alfonso Gatto non si sente uno che racconta o canta; a un estremo di abbandono e di malinconia corrisponde un' eguale misura di macerato riserbo che si comunica a chi legge."...si capisce che, per arrivare all' amarezza ardita e sonante di questeultime cose, Gatto deve aver tenuto presente l' esperienza umana fatta nel dopoguerra; e quella letteraria...di altre liriche sbagliate o pericolanti nell' assurdo, ma che contenevano i più accesi stati d' animo della sua sensibilità: a frammenti, a stacchi pieni, quasi blocchi, gettati lì, col vergine stupore con il quale il pittore cubista avrebbe saputo comporre e scomporre geometricamente un paesaggio interiore." (G. Spagnoletti, La Fiera Letteraria)



Opere

Isola, Libreria del novecento-Napoli 1932

Morto ai paesi, Guanda-Modena 1937

Poesie, Milano 1939 Vallecchi-Firenze 1943

L' Allodola, Scheiwiller-1943

Amore della vita, Rosa e ballo-Milano 1944

Il sigaro di fuoco (Poesie per bambini) Bompiani-Milano 1945

Il capo sulla neve, Milano-Sera-Milano 1949

Nuove poesie, Mondadori - Milano 1950

La madre e la morte, Critone-Lecee 1950

La forza degli occhi, Milano 1954

Poesie, Milano 1961

Osteria Flegrea, Milano 1962

Il vaporetto (Poesie per bambini), Nuova Accademia - Milano 1963

Desinenze, Mondadori- Milano 1977





Per Alfonso Gatto, a cura della Amministrazione provinciale di Salerno Assessorato ai Beni Culturali, Salerno, Tipografi Guardamagna, è uscito nel 1994 un volume approntato in occasione della mostra" Salerno rima d'eterno: Alfonso Gatto" .Immagini, documenti, manoscritti, dipinti, testimonianze (Salerno, 23 aprile 1994)- contributi di:G. PAMPALONI, La poesia di Alfonso Gatto,G.C.SCIOLLA, Appunti per Alfonso Gatto pittore,G. DUCCILLI, Su la poesia di Alfonso Gatto, Alfonso Gatto: inediti con una nota di A. MODENA.S. RAMAT," Morto ai paesi"di Alfonso Gatto, in" Poesia", 1993, n. 68, pp.42-53.










CONTEMPORANEAEMAILARTSALERNO-ARTECONTEMPORANEAEMAILARTSALERNO







IL DIBATTITO E LA POLEMICA






LA POESIA DI TERMINELLI E L’OTTUSO OSTRACISMO DI UNA LETTURA FALSANTE.






Ho voluto far passare del tempo, prima di rispondere, con questo scritto, ad un articolo dal titolo “Pietro Terminelli: del pensiero e delle forme poetiche”, comparso nella rivista “Il Convivio”, n. 32 del gennaio-marzo 2008, a firma di Ciro Vitiello, per potere contenere quelle che, subito dopo la pubblicazione del suddetto articolo, potevano risultare delle impreviste e tumultuose reazioni emotive, anche se giustificate, nei riguardi delle tante sviste, distorsioni, omissioni e finale stroncatura operate dal Nostro, al fine di annullare per sempre tutta l'attività poetica ed etica svolta da Pietro Terminelli.Un’operazione, senza dubbio, indecorosa, inobiettiva e scandalosa, effettuata oltre tutto a distanza di molto tempo e per di più, non essendo in vita il Terminelli. Di certo, siffatte operazioni lasciano il tempo che trovano – mi sono detto – anche se evidenziano delle turlupinature vistose e delle distorsioni nei riguardi dello spessore etico e valore poetico dell’immaginazione terminelliana, che alla fine fanno tanto male, in quanto non si possono accettare.Cercherò allora di fare delle brevi annotazioni, seguendo quanto scrive il Nostro, che cavalca la tigre di carta dell’arroganza stroncatoria, riversando sulla poesia terminelliana le sue imprecisioni ed incoerenze estetiche, ideologiche e culturali.Occorre dire subito che, per buona parte dell’inizio del suo scritto, il Nostro non fa che presentare il Terminelli come il rappresentante di “una forma letteraria sovvertitrice dei modelli vigenti”, trattandosi di un “intellettuale emarginato ma non marginale; per questo, tuttavia –annota ironicamente – può godere pienamente del piacere dell’autonomia e della libertà”. Qui, il Nostro non riesce a capire che le vere motivazioni e ragioni che hanno attivato la poesia e le riflessioni critiche del Terminelli sono di carattere etico e di non accettazione di quella letteratura asfissiante e non democratica voluta e gestita dal Potere. Invero, il putrefatto accademismo della leadership degli intellettuali al potere, di fatto ed in modo reazionario, non aveva consentito il rinnovo della letteratura di fronte alle nuove esigenze culturali reali in modo da dar luogo ad una vera letteratura democratica, che offrisse una cultura come verità.Si comprende subito che il problema di fondo viene taciuto ed addossato alle “illibertà che tanto selvaggiamente (a disdoro del principio roussoiano) l’uomo contemporaneo sta ingene-rando”. Del resto, il Terminelli sapeva molto bene cosa significasse l’essere underground: “Essere underground significa scegliere una canalizzazione diversificante, concedere alla base una non fugace letteratura di sollazzi, sganciarla perciò da una codifica di messaggi comuni mercificati, ripulirla dalle scorie, la scorza controrivoluzionaria dei compromessi piccoli-borghesi e dei partiti ambivalenti: il messaggio deve scorrere limpido e necessario alla prassi rivoluzionaria, deve affrontare la storia, i problemi economici e politici, e disinnescare le istanze nel mondo meramente disalienante” (Ideologia ed intergruppo, in “Intergruppo”, n. 8 del gennaio 1976). E’ riduttivo e dovuto a chiare imprecisioni quanto poi seguita a scrivere: “Egli procede con fermezza controcorrente, convinto e sicuro che da quel “contro” germini la vera autentica arte la quale, scatto tra ragione e rivoluzione, scommessa della creazione sul nulla mostruoso della storia, sola propone il più profondo segno di una presenza vitale di riferimento”. Per il suddetto il procedere “controcorrente” è già una colpa e “l’essere underground”, uno status presentato come una sicura garanzia di attivazione e promozione di un’arte autentica, convinzione mai, in realtà, condivisa ed espressa dal Terminelli. In tal senso, però manca da parte del Nostro un’analisi anche minima riguardante l’operazione obiettiva elaborata dal Terminelli nell’ambito della sua poesia. In più, seguita col dire che “chi si spinge sulla strada della provocazione della creazione (…) deve costruirsi ogni elemento del poetare, il linguaggio, lo stile, le forme, le strutture. Per questo gli necessitano forza di pensiero, prospettiva filosofica, conoscenza della dinamica del linguaggio, coscienza civile” nella finalità di presentare poi “l’implosione dei valori, la forza dei linguaggi, la tormentata gestione delle forme, una natura singolare e autentica di creazione della realtà”, perché in un’opera inventiva il tempo ricercherà proprio queste caratteristiche formali, insieme ad una “potente sostanza del mondo”.Di certo, si tratta di annotazioni generiche estrapolate da un’estetica vaga e per di più riguardanti aspetti formali della poesia. Inoltre, scrive che Terminelli “ebbe l’intento di perseguire una poesia totale, non in senso poematico per aver indagato e verificato gli aspetti politici, sociologici, letterari del reale, bensì per aver intessuto la sua poesia “di tanti linguaggi e di vaste tematiche, dell’economia, della filosofia, della politica, della sociologia”.Più che agli stilemi formali, che erano numerosi ed inediti nelle sue liriche, l’attenzione del Terminelli era piuttosto concentrata sull’azione rivelatrice della poesia nei riguardi delle contraddizioni di una letteratura falsa, comprendente anche la neoavanguardia, “il cui equivoco era un dentro/fuori con mezzi tecnici e scarsezze innovative sul piano di una epifania, oltre la crisi del capitalismo e dei suoi strumenti non idonei ed anchilosati” (Antigruppo Palermo, n. 7 del luglio 1975) e, soprattutto, della realtà nei suoi risvolti demenziali ed alienanti, negli aspetti feroci e terribili, in forza di un verso lungo antilirico, paratattico, scoppiettante in un flusso esplosivo di enunciazioni tendenti a verificare e a svelare la sconcertante disumanizzazione dell’anima dell’uomo. Del resto, lo stesso Terminelli, nel luglio del 1975, nella rivista "Antigruppo Palermo", aveva annotato che "Una cultura alternativa nel senso dell'ordine della struttura di classe antagonista deve nascere ovviamente dall'impadronimento dei mezzi di produzione estetica da parte del popolo, all'interno del popolo, in cui lo scrittore, il poeta ne sia il soggetto/oggetto che si spinge negli interessi interreagenti, intersoggettivi, antagonistici dei rapporti di classe", perché “Il poeta, come uomo di strada, come un lavoratore manuale, ha sviluppato la sua res, ha svolto con un linguaggio proprio una misurazione poetica e desublimante del tessuto rivisitato storicamente, ha costretto se stesso ad una verifica- destruttura nuova espressamente internazionalizzante, svuotata da ogni compromesso oscuro ed ambivalente per porsi nella avanzata informatica ed ideologica, culturale, strabiliamente letteraria e rivoluzionaria” (Intergruppo, n. 9 dell’agosto 1976).Venendo, così, a trattare della poetica del Terminelli, il Nostro afferma che il Terminelli è approdato “a una sorta di psicologia personale e soggettiva, con una comunicazione diretta con l’oscuro dell’interiorità dove è assommata tutta la conoscenza, di persona e di civiltà”. Si comprenda che tutto ciò è falsante in sé, oltre che circoscritto e limitato al solo libretto dal titolo “Immagini ed ingrandimenti” del 1991, non tenendo presente le ben diverse poetiche rinvenibili nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, che non vengono neanche citate.Ma, sentite, che cosa scrive: “Pervicacemente l’io, tuttavia, se è eliminato nel soggetto, e se il soggetto è rovesciato come oggetto guardato (…) addiviene che è la mente, come ente a sé, a gestire e dominare il flusso irruente e massivo delle immagini, che avanzano in disordine…”.Non occorre molto per comprendere che siffatta asserzione serve al Nostro per poter qualificare la poesia del Terminelli come uno spurio risultato e prodotto della ragione, in quanto il lungo procedere del verso si origina dalle operazioni effettuate dalla mente che “accosta, accatasta, aggrega, ammassa in un debordare che dà il senso di sazietà e addirittura di crapula”. Una sorta di “accumulazione” alla Arman?Il che non risulta al critico Donato Valli secondo quanto annota nel suo scritto dal titolo “Il testo fluente”, comparso in “Quaderno di Intergruppo 2”, nel settembre del 1982: “La poesia di Terminelli si attesta, infatti, su un "continuum" di discorso, la cui principale caratteristica è quella dell’appropriazione di tutti i dati del reale, nessuno escluso, ma senza ordinarli categorialmente e aprioristicamente: la poesia "si fa" all’interno di quel discorso, coincide con esso, non ne è il risultato o la predeterminazione. Allora la grande rivoluzione rispetto alle dimensioni canoniche e scolastiche della poesia consiste non nell'esclusione della realtà e nell'eccentuazione del momento formale, quasi materica escrescenza di quella realtà svuotata di significati positivi, ma nella destituzione delle categorie razionali ordinatrici, al fine di rendere evidente, al termine dell'operazione, il caos insito nell'ordine apparente istituzionalizzato e la non-razionalità di ogni effimera ragione programmatoria e provvidenziale". Il Valli giustamente può precisare in modo chiaro che Terminelli rifiuta sia “la presunzione ordinatrice della perfetta razionalità hegeliana” che “il prospettivismo definitorio della prassi marxista”.Afferma il Nostro che per il Terminelli “l’io scompare per farsi noi, altro”, anche perché “l’esterno è un po’ l’immagine dell’interno”, mentre per il Valli il Terminelli mette in parentesi propriamente le due dimensioni del reale, quella visibile e invisibile, approdando ad un radicalismo poetico che evidenzia il ribaltamento della esaltazione dell’ideologia poetica nella contestazione e parodia di qualsiasi ideologia come strategia totalizzante e come esegesi dogmatica del reale ed il conseguimento della messa in crisi dell’ “intera struttura ideologica del linguaggio” e di qualsivoglia organizzazione logica. Pur tuttavia, il Vitiello, imperterrito, continua col dire che il Terminelli “capovolge l’ego e lo situa nell’altro, nella realtà, nella storia…” e al suo posto mette la mente “come coattiva funzione del rapimento delle immagini che nascono da incipit cosali o situazionali” e come “apice della comprensione, della interpre- tazione, destinata a disciplinare (nel senso di ordinare) l’ammasso tumultuante e smisurato che si agita nel cosmo/uomo/mondo/storia”. E’ certo che siffatti enunciati, circoscritti ad una sola silloge poetica, non possono essere assunti come unici ed esaustivi, fagocitando anche le ben diverse poetiche elaborate nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle poesie de “Lo Schiaccianoci”. Ma di queste, il suddetto non osa parlare per delle ragioni che cercheremo di precisare in seguito. D’altra parte, lo stesso poeta, in Intergruppo, n. 10 del febbraio 1977”, aveva scritto che “Ogni dato estetico è un risultato della prassi e conoscenza ideologica, con la quale il soggetto operante viene a confluire nell’oggetto mediato, coinvolgendolo e conducendolo seco infuocato nella libertà della espressione, nella sostanzialità semantica, poetica ed estetica” e che “Se il contenuto è in un rapporto ideologico-dialettico (come così affrontato nella immediatezza della conoscenza dell’oggetto e della sua mediazione sociale e storica) è comprensibilissimo che l’avanzamento non conduce fuori dalla traiettoria della letteratura”.Ed, inoltre, “…ogni operazione intellettuale di avanguardia deve concepire un rapporto unico con la sovrastruttura di disalienazione del messaggio ideologico mercificato ed alienante” ed, in tal senso, occorre evidenziare che al poeta spetta il compito di “problematizzare il reale”, per dirla con il Valli, non la funzione di “accertare i meccanismi oscuri della perfidia dell’esistenza, bensì quella di elencare i dati sperimentali di questa perfidia”.Pur tuttavia, al nostro non piace neanche il verso terminelliano perché “è mortificato nella sua accezione ritmica e retorica, come misura quantitativa distinta e definita”, la cui caratteristica è il suo “lungo, inarrestabile procedere” la cui natura è solo docile alla volontà della mente, come abbiamo visto. Inoltre, il critico riporta 4 lunghissimi stralci di liriche desunte da Poesie Antigruppo del ’73, dalle Ideologie politiche del ’97, da Immagini e ingrandimenti del ’91 e da Involucro del ’92, appositamente scelti fra i più neutri, per potere affermare in modo generico la forza ma anche la precaria debolezza di una siffatta poesia tutta giocata sulla ragione e sull’assenza totale dell’anima del poeta. Asserzioni di comodo, dunque, inaccettabili per un esercizio che esula totalmente da una seria analisi critica, attivate unicamente da una egocentrica tracotanza intollerabile che, oltre tutto, offende i numerosi critici di vaglia che si sono occupati della poesia del Terminelli.Il bello è che prima il Nostro aveva scritto che Terminelli, a suo dire, “probabilmente ha una statura da essere ripresa e guardata, scrutata, indagata, sistemata in una prospettiva critica e storica giusta e non parziale come accade”. Visti i suddetti risultati, c’è molto da sperare!Ma, imperterrito, il Nostro, dietro false premesse, dà la stroncatura più penosa ed intollerabile. Infatti, scrive: “Spostando l’indice sul versante della valutazione, sobbalzano alcuni non peregrini interrogativi: una poesia che è tutta calata nella realtà storica e culturale – la mente non altro compone che l’essenza di essa – ha un destino duraturo? E a essere configurata in un’epoca successiva, che appare totalmente mutata non solo nella forma ma anche nelle radici delle sue costumanze e dei fenomeni culturali e linguistici, regge di essere inserita nel nostro presente, di elevarsi a forza di rappresentazione di sé? Oggi che la società non detiene più nulla di appena cinque anni fa, che sono aborrite come lebbra le ideologie – assi portanti della struttura politica e sociale – le composizioni massive e oggettive di Terminelli perdono di efficacia”. Si comprenda subito che da una falsa impostazione dei problemi si perviene a delle false risultanze che poi, servono per avvalorare quelle sapide domandine del Nostro per consentirgli una falsante stroncatura. Allora, nel premettere che il discorso del Nostro riguarda solo una parte della poesia terminelliana, avendone tralasciato appositamente i risultati migliori rinvenibili nelle Poesie epidermiche e soprattutto nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, non volendo richiamare quanto ho scritto nel volume dedicato alla poesia del Terminelli, lascio che sia il Di Maio a voler precisare alcuni aspetti della poesia terminelliana per poi chiarire, in che cosa obiettivamente è consistita l’operazione elaborata dal Terminelli.Scrive il Di Maio, in Antigruppo Palermo, n. 7 del lontano luglio 1975, che “La poesia di Pietro Terminelli, così densa di umori, di fatti, di eventi, così corposa nella sua cifra violenta, così irta e complessa nel suo "spessore" linguistico, recupera la "sovrastruttura" come campo di rigorosa ed attenta verifica demistificatrice (sottolineatura nostra), come luogo di incontro e di scontro, di puntuale intervento e di azione. E’ un recupero pieno, globale, a più strati e livelli, in cui il dato squisitamente intellettuale e ideologico integra precisi, puntigliosi riferimenti alla storia, alla cronaca, ecc. in un " continuum " di voce, in un rapporto dialettico acuminato e totale e in cui l’assunzione dell’elemento contestuale, quale esso sia, non assolve funzione intensiva di simbolo né esorcizza incubi privati, onirico-nevrotici, all’interno di una palus intellettuale sia pure fervidamente aggressiva”. Ciò per dire che è inaccettabile quanto prima è stato affermato dal Vitiello. Che poi la medesima “verifica demistificatrice” e la conseguente poesia che ne risulta non siano di stampo dogmaticamente ideologico, cioè condotte secondo una particolare ed aprioristica ottica ideologica di passivo incasellamento e riduzione della realtà vale quanto scritto dal Valli e, soprattutto, ciò che in proposito ho detto nel mio volume “La poesia di Pietro Terminelli” del 1995: “Riportiamo il passo in cui il Pasolini enuclea in modo chiaro la sostanza del problema ed in cui legittima una poetica fondata sulla verifica delle istanze che scaturiscono dall’ideologia estetica con quelle che derivano dall’ideologia politica”: “In altre parole l’ideologia di uno scrittore è la sua ideologia politica – condivisa, come fatto logico e morale, con tutti coloro che la pensano come lui – ma calata in una coscienza in cui si dà il massimo del particolarismo individualistico, con tutte le sue sopravivenze e contraddizioni storiche e concrete. La verifica di quello che succede in questo urto, in questa fusione, è la vera e propria ideologia di uno scrittore; quello che egli esprime poeticamente, va riportato a tale sua specifica ideologia; e non a quella, razionale e oggettiva, che egli professa come cittadino” (P.P. Pasolini, Le belle bandiere, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 155-161). Chiarito questo aspetto fondamentale, occorre precisare che le “composizioni massive e oggettive del Terminelli” non perdono di efficacia nei riguardi del presente, appunto, per quell’essere intrise di quell’ethos che cerca di scrutare e di annullare gli aspetti disumani di una società e dell’anima dell’uomo, perché essi, anzi, diventeranno sempre più virulenti e travolgenti.Inoltre, propriamente in forza di ciò che afferma il Nostro, ossia che le ideologie sono obsolete ed in crisi, ci permetterà di dire che sono in crisi pure i valori condivisi, le poetiche e perfino la medesima critica che si dimena tra il conformismo alle mode attuali, il disconoscimento di certi valori alla parte avversa, quando essa risulta asservita, una stroncatura può allora sembrare, come afferma il Raboni (in L’Europeo del 15/11/1986), “l’espressione di un risentimento personale o di gruppo oppure uno strumento di vendetta, un messaggio di avvertimento…”. Ma, ciò che inquieta di più per i suoi riflessi antidemocratici riguardanti la gestione della cultura è il tenore delle seguenti affermazioni dello stesso Raboni: “Una stroncatura (…) presuppone, per avere senso, un sistema di valori (estetici, ma anche etici, politici, ecc.) in nome del quale il giudizio viene espresso. Una stroncatura, insomma, non è una semplice expertise; è anche e soprattutto la negazione di un progetto in nome di un altro progetto. E così, in effetti, essa è stata usata, per esempio, dai futuristi contro i "passatisti", o dai sostenitori dello sperimentalismo degli anni Sessanta contro i rappresentanti del realismo (non importa se "socialista" o "borghese") dello stesso periodo. Oggi, se non mi sbaglio, progetti così forti ed esclusivi, o escludenti, non esistono; e non si vede dunque in nome di chi o di che cosa un critico potrebbe "stroncare" se non in nome della scuderia (casa editrice, giornale, clan snobistici, cosca universitaria, ecc.) alla quale appartiene”. Non credo, allora, che il Nostro sia in possesso di un “progetto forte” e nuovo, tale da offrire un’estetica che possa spiegare totalmente che cosa si debba intendere per poesia e per l’unicità che la caratterizza, dal momento che scrive che “La poesia è singolare (e) si raffigura come unicità”, in forza dello “spirito simbolico che presentifica, nel gesto, nell’azione, nell’immagine”, perché non basta ricorrere al 142° verso dantesco del V canto dell’inferno “E caddi come corpo morto cade” per intendere in modo esauriente quell’unicità, che si deve senza dubbio riconoscere alla poesia, anche se fosse accolta nell’accezione proposta dal Brandi e dalla mia ipotesi esegetica della “Verifica trascendentale”, cioè come “astanza”, spazio virtuale, trans-temporale e trascenden- tale. Inoltre, occorrerà precisare il come debba intendersi quello “spirito simbolico” che caratte- rizza l’unicità della poesia, considerata la fondamentale distinzione offerta dalla Susanne Langer nel suo “Problemi dell’arte” (Milano, 1962), cioè intendere la funzione simbolica non nel senso di rappresentare l’idea di qualcosa d’altro, non nella modalità di esprimere direttamente i contenuti del sentimento, come pensava R. Carnap, bensì come oggettivazione espressiva di forme simboliche del sentimento vitale del soggetto, cioè nel senso che il linguaggio artistico si avvale di un simbolo presentativo e non rappresentativo.Comunque, alla fine, il Nostro riconosce al Terminelli “ripiani nuovi, spazi acquiescenti, dove l’intuizione apre sorvegliatissimi spiragli di immedesimazione personale”, che riscontra in tre ampi stralci di liriche, desunti dal volume “Immagini ed ingrandimenti”. Il che ci sembra molto riduttivo nel senso che il Nostro ha tralasciato il benchè minimo accenno alle “Poesie estetiche”, alle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, alle fondamentali liriche dal titolo “Lo schiaccianoci”, per ripetere alla fine dello scritto il ritornello della poesia come unicità espressiva con il memento che, in assenza di essa, qualsiasi poeta è destinato a scomparire per sempre. Considerata la suddetta ricettina, avremmo preferito la seguente, estrapolata da “Ricette per fare poesia” del cuoco-poeta Queneau, almeno avremmo goduto del suo humour basato sul non-senso: “Prendete una parola, prendetene due, fatele cuocere come fossero uova, scaldatele a fuoco lento, prendete un pizzico di senso, versate la salsa enigmatica, spolverate con qualche stella e fatele andare a vela”. Fuor di celia, il non aver accennato il Nostro alle menzionate sillogi preoccupa non poco, in quanto sono propriamente esse, secondo lo Squarotti, che “tendono a una straordinaria libertà di forme e di invenzioni, tra parola e immagine, (…) in un agio di scrittura limpido e acuminato, ma senza più asprezze polemiche, anzi inteso a dare il piacere pieno della creazione” (in “Intergruppo, n. 16”). Infatti, con le Poesie epidermiche, le cui prime liriche sono state pubblicate ne “L’Involucro, n. 8, nel settembre del 1990, il Terminelli, ricorrendo ad un linguaggio medio-basso per riconoscere alla poesia un respiro umano, sociale e democratico, la pone su basi ontologiche come voce obiettiva e trascendentale dell’ “Essere”, come del resto riconoscono il Cardamone (Proposta di lettura, in “L’Involucro”, n. 9 del giugno 1991) e tanti altri critici.Invero, la poesia, per Terminelli, si poneva come lo strumento e la voce per realizzare un progetto che mirava alla fondazione di un essere in sincronia con la sua vera umanità. Infatti, nelle “Poesie epidermiche” ritroviamo il senso della catarsi e della sublimazione nei riguardi della disperazione di molte vite che non hanno trovato una piena realizzazione di sé. La stessa fuga di quel vecchio impiegato di Stato, come evasione dalla Storia, avviene per potere salvaguardare l’esile sprazzo di vita che gli è rimasto per il monotono ripetersi di momenti alienanti in una realtà soffocante ed inautentica. Sono queste pagine espressive del “forte senso di dignità morale” del Terminelli, scrive l’Alaimo, mai sceso a compromessi con il potere, date nello spazio inedito di un alto e viscerale senso dell’umanità e di un riscatto, nella sua totalità, della vera dimensione della spiritualità e dell’eticità del cuore dell’uomo, in cui, per il suddetto critico, il poeta “riconoscendo sé nella storia di altri uomini, oggettivizza stati d’animo, aspettative, problemi” (L’Involucro, n. 9, giugno 1991). Si tratta, allora, di una poesia diversa in cui, per la Fiorino, “Il riscatto è il sogno della ribellione, deterrente e stimolo della liberazione della materia dolorante” (L’Involucro, n. 10, aprile 1992).E, anche quando questa utopia fosse del tutto travolta, aggiunge Sanguineti, in extremis, l'intellettuale potrà pur sempre farla rinascere dalle "interferenze del cuore " (Il chierico organico, Milano). Comunque sia, ciò che risulta meritorio in Terminelli è la sua utopia, ossia il suo pensiero progettuale che lo porta ad esperire e a verificare aspetti del reale, che mantengono stretti addentellati con il concetto di "trascendenza" del Marcuse nel senso specificato da Palombella (Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse, in SWIF, 1997-98), ossia con la "capacità in astratto di promuovere l'ingiustizia o la giustizia, la verità o il suo occultamento, e ancora la felicità o la repressione".Ma è soprattutto con le liriche de "Lo schiaccianoci" (il cui primo quintetto di liriche è comparso ne L’Involucro, n. 13, novembre 1994), cioè in una poesia eccelsa di un'alta postulazione metafisica, che il poeta cerca incessantemente di realizzare la piena e trascendentale libertà spirituale ed umanità dell’uomo ed il pieno significato della sua più intima identità in sincronia con l’idea dello Hegel del fine da riconoscere all'arte consistente nel dare "forma sensibile" a quel sentimento dell'uomo che vuole promuovere una vita di piena realizzazione e di una totale libertà spirituale.Invero, al tempo disintegrato della Storia, fatta di caos e di ferocie inaudite, Terminelli sa opporre la misura e lo spazio di una poesia che, nell'essere ricognizione trascendentale degli interrogativi più ossessivi dell'uomo, sa passare dal piano fenomenologico a quello noumenico, sublimando il tutto alle scaturigini primordiali di un'innocenza rigenerante. La sua è una poesia che sa esprimere l'essere della coscienza alienata dell'uomo d'oggi, le estrinsecazioni provenienti dalle attese del profondo, le peculiarità spirituali che l'io effonde tramite il suo sentimento e il suo pensiero. Il merito del Terminelli, allora, consiste nell'inesausta tensione di aver saputo guardare insistentemente alla "totalità" dell'uomo, alle sue alienazioni, al continuo sfaldamento dell'unitarietà della sua anima, tramite l'impiego di una poesia assunta come una modalità ricognitiva, valutativa e "verificale" e, quindi, come giudizio sulle aberranti manipolazioni esercitate dal potere e dalle sue strutture sulla coscienza di ciascun uomo.Lirica e trascendentale la sua poesia dà il fascino e la concretezza alla nostra coscienza della catarsi e della liberazione dagli schemi fossilizzati che l'opprimono e la alterano; il senso unitario di un'identificazione con la profondità della sua essenza spirituale e del ritrovamento significativo del nostro io sovrapersonale nella vitalità esistenziale di un'umanità assunta nella pienezza delucidativa delle sue luci e delle sue ombre.La lucidità inventiva della parola terminelliana qui è riuscita a svelare le fisionomie alte ed espressive dell'essere trascendentale dell' uomo con un pàthos che la sua investigazione poetica ricompone nel respiro metafisico e nel canto d'amore di una profonda chiarificazione e sublimazione della vera intimità spirituale dell'anima umana.Terminelli, invero, con le liriche dello "Schiaccianoci", ha aperto un'inedita pagina alla poesia trascendentale e metafisica, tesa oggettivamente alla fondazione della vera essenza dell'uomo con immagini fascinose di un mondo toccato dalla grazia di una poesia rivitalizzante la vera essenza della nostra spiritualità più alta ed avvincente. ANDREA BONANNO







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