TINO
STEFANONI
PITTURA
OLTRE LA PITTURA
a cura di Vincenzo Mazzarella,
Nicola Pedana e Luca Palermo
testo critico di Valerio Dehò
intervento di Enzo Battarra,
già curatore della mostra personale
dell’artista a Caserta “Magica concettualità"
REGGIA DI CASERTA
Appartamenti storici, retrostanze
del ‘700
Vernissage giovedì 7 dicembre
2017 ore 17
Durata: 8 dicembre 2017 | 7 gennaio
2018
Orario: 8,30 – 19,30 - chiusura
martedì
La Reggia di Caserta dal 7
dicembre 2017 al 7 gennaio 2018 dedica a Tino
Stefanoni (Lecco, 1937) una mostra antologica dal titolo “Pittura oltre la pittura” che si svolgerà
negli Appartamenti storici, retrostanze del ‘700 della Reggia di Caserta. Il
vernissage è in programma per giovedì 7
dicembre alle ore 17. La mostra è a cura di Vincenzo Mazzarella, Nicola
Pedana e Luca Palermo con testo critico di Valerio Dehò. Sarà Enzo Battarra,
già curatore della personale dell’artista alla galleria Nicola Pedana di
Caserta “Magica concettualità”, a ricordare la figura del maestro. Sarà questa,
infatti, la prima mostra che si va a
realizzare dopo la recentissima scomparsa del grande artista internazionale,
avvenuta sabato 2 dicembre mentre era in corso l’allestimento nella Reggia.
Tino Stefanoni era innamorato del Palazzo vanvitelliano e delle sontuose sale,
chiedendo lui stesso di potervi esporre. Sarebbe ora felice di poter
partecipare al suo vernissage.
Grazie ai prestiti da parte dei
collezionisti, l’antologica proporrà per lo più opere inedite mai presentate
prima in spazi pubblici. L’esposizione resterà aperta fino al 7 gennaio 2018
tutti i giorni dalle ore 8,30 alle 19.30, martedì chiusa.
Il percorso espositivo
cronologico si apre con i lavori nei quali si avvertono le suggestioni della Metafisica
di Carlo Carrà che Stefanoni predilige rispetto a quella di Giorgio de Chirico,
per la sua capacità di far scoprire la bellezza nascosta nella vita quotidiana.
Nel ciclo dei Riflessi (1965-1968), i piccoli
rilievi tondi diventano la base per dipingere dei paesaggi in miniatura, in cui
già si percepisce la cura al dettaglio che diventerà nel tempo una delle cifre
più caratteristiche dell’artista lecchese. A cavallo tra la fine degli anni
Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Stefanoni intuisce per primo la
possibilità di utilizzare la segnaletica stradale nella rappresentazione della
realtà, in maniera ironica e distaccata. Nascono così i Segnali
stradali regolamentari, al cui interno sono inseriti oggetti-icona che
rispondono all’esigenza linguistica, propria di quegli anni, di far conquistare
all’elemento visivo territori che appartenevano alla parola. Queste immagini
ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una “metafisica
senza mitologia” con oggetti comuni come matite, mestoli, scope, flaconi,
giacche e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni
agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche. È
il caso del ciclo delle Piastre, guida per la ricerca delle cose (1971),
sculture che rispettano la bidimensionalità del disegno o della pittura, o
delle Memorie (1975-1976) dove le tracce degli
oggetti sono replicati dai segni lasciati dalla carta carbone. In questi
lavori, il richiamo alla Pop Art svanisce a favore del rigore dell’arte
concettuale, alla quale Stefanoni si avvicina già alla fine degli anni ‘70
con Elenco di cose (1976-1983), una serie quadri
realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e quotidiani,
estranei alla tradizione della pittura come una cucina a gas o una pinza,
diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale. A questa seguirà
quella delle Apparizioni (1983-1984) in cui
domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore, con immagini
impalpabili come colte attraverso un cielo nebbioso. Come afferma Valerio Dehò,
autore del testo in catalogo, “Tino Stefanoni non adopera dei simboli, non
vuole far aprire le porte all’ignoto o dell’inconoscibile. La sua apparente
freddezza racchiude una passione per tutto ciò che di semplice l’uomo sia
riuscito a creare, la sua arte ha pochi coinvolgimenti emotivi in questa fase
proprio per l’essenzialità della disciplina platonico-cartesiana ma presuppone
la complicità dello spettatore, la sua capacità di farsi sorprendere dall’ovvietà
come strada per rileggere l’intera realtà. Il lavoro di Stefanoni è cristallo
di rocca da scaldare con lo sguardo”. Dal 1984, con Senza titolo, il
colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai
la figura umana. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza
mitizzarla, la Metafisica, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione
di eleganza e rarefazione del Beato Angelico, al quale spesso Stefanoni si
richiama per la passione per l’osservazione, legata alla rivelazione delle
geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio. Le sue casette,
i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma
riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte
italiana che diventano icone, per questo devono essere comprensibili, proprio
perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione. I paesaggi o le nature morte che
costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o
raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose.
Anche le sue più
recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco,
riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a
delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a
diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.
Accompagna la mostra un catalogo edito dal Comune di Lecco con, oltre ai testi
istituzionali, un saggio critico di Valerio Dehò.
TINO STEFANONI, nato nel 1937 a Lecco, dove si è spento il
2 dicembre 2017, aveva studiato al Liceo Artistico Beato Angelico e alla
facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Dopo alcune mostre fra il
‘63 e il ‘66, la sua vera e propria attività artistica è iniziata nel 1967 con
il conseguimento del 1° Premio San Fedele di Milano, importante rassegna per
giovani artisti, della cui giuria facevano parte anche il conte Panza di Biumo
e Palma Bucarelli. Da allora ha esposto in numerose gallerie private italiane e
straniere, spazi pubblici e museali, manifestazioni internazionali (Biennale di
Venezia 1970 e 2011).
Spazi pubblici e Musei: 1977 Palazzo dei Diamanti, Ferrara; 1979
Castello di Portofino; 1981 Museo ICC, Anversa; 1990 Museo Koekkoek, Kleve;
1992 Stadtgalerie, Sundern; 1994 Museo di San Marino e Villa Manzoni, Lecco;
1996 Palazzo Civico, Sarzana e Istituto Italiano di Cultura, Parigi; 1997
Istituto Italiano di Cultura, Chicago; 1999 Chiostri di San Domenico, Reggio
Emilia e Galleria San Fedele, Milano e XIII Quadriennale di Roma, Palazzo delle
Esposizioni, Roma; 2000 Museo di Tortolì; 2002 Palazzo Forti, Verona; 2003
Trevi Flash Art Museum; 2005 XIV Quadriennale di Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna, Roma; 2006 Palazzo Pubblico Magazzini del Sale, Siena, unito
alla creazione del Drappellone del Palio del 16 agosto 2006; 2007 Casa
del Console, Calice Ligure; 2008 Galleria d’Arte Moderna di Valdagno; 2011
Galleria Civica Ezio Mariani, Seregno; 2013 Galleria Gruppo Credito
Valtellinese Refettorio delle Stelline, Milano; 2014 Università Bocconi, Milano
e Palazzo Parasi, Cannobio.