La Mail Art, quale futuro?
Viviamo in una società che consuma di tutto, dai cosmetici alle armi nucleari. L'arte "ufficiale" si trova a che fare ormai con il patetico perché non riesce più a convincere; si adatta alle tattiche e alle mode pre-confezionate producendo oggetti sciatti che la critica tenta, in tutti i modi di accettare, dando motivazioni di vario genere a giustificare le qualità che spesso non ci sono. Oggi l'artista contemporaneo vive la triste condizione dello sventurato, vittima e carnefice bombardato da ondate di dubbia informazione, per cui ha la tendenza, spesso, ad auto-sterilizzarsi tra l'apatia e la paralisi collettiva. Secondo Peter Scotterdijk "viviamo in un mondo che mette le cose in una falsa equazione, produce una falsa uguaglianza di valori tra tutto e tutti e quindi raggiunge anche una disintegrazione e indifferenza". Con il tramonto del comunismo e delle rivoluzioni sembra vacillare la cultura di una società che fino a poco tempo fa chiedeva all'arte "l'immagine rivelatrice del proprio destino". L'arte moderna teorizzata dalle poetiche d'avanguardia, da sempre, ha trovato nel confronto spietato delle ipotesi, la propria verità, rifiutando facili accomodamenti! Sembra che tutto sia stato dimenticato, tutto é terribilmente consueto e prevedibile, perché l'arte di oggi vive una dimensione immaginativa priva di tensione utopica.
La Marginalità:
In questi ultimi anni qualcosa. sta cambiando, per convincersi di ciò basta seguire uno tra i tanti congressi decentrati (Networker Congress) che si svolgono in tutto mondo. Cos'è il Networker? E' la figura di un nuovo artista capace di ridefinire un ruolo "diverso" al futuro dell'arte. Questa esperienza detta comunemente Mail Art continuo a definirla "arte di confine", proprio perché desidera collocarsi al di fuori dal circuito ufficiale dell'arte e da certe relazioni mafiose (critico- galleria - mercato - museo). Secondo Eugenio Giannì, la Mail Art ha alcune caratteristiche storiche interessanti:
1 - La sua marginalità rispetto al sistema dell'arte ufficiale.
2 - scambio diretto tra gli operatori artistici, rifiutando ogni intermediario (Galleria - Critico -Mercato).
3 - Rifiuto di mercificare l'opera realizzata.
4 - Superamento della distanza geografica e culturale.
In definitiva, la Mail Art non è altro che un "laboratorio planetario" composto da numerosi "Network" sparsi su tutto il pianeta: archivi di idee, di sperimentalismo e di ricerca spontanea. Ovviamente, l'arte marginale non può permettersi di assecondare concetti "tradizionali" come la qualità del lavoro, la professionalità o la credibilità tanto cari a certi artisti nostalgici della tradizione. Quale credibilità può sussistere se la filosofia di tutto il sistema dell'arte marginale s'incentra sul rifiuto totale di ogni condizionamento? Secondo noi essa può anche permettersi, qualche volta, di negare "la qualità tradizionale" dell'opera d'arte cosiddetta ufficiale, proprio perché ha bisogno di partecipare intensamente al flusso della comunicazione che dilaga da una parte all'altra del pianeta in forme casuali, secondo una logica imprevedibile e con itinerari essenzialmente occasionali. In questo senso dettare regole prefissate che appartengono ai cicli produttivi dell'arte ufficiale significa "censurare" la libera ricerca dell'artista marginale.
Quale futuro?
Mentre un tempo l'artista operava nel completo isolamento, al servizio del mercato e della critica, ora con i Network c'è, sempre più, il desiderio di autonomia, la necessità di instaurare rapporti e contatti esterni, al di fuori del sistema, attraverso le reti internazionali utilizzando i diversi mezzi a propria disposizione. Questo nuovo sviluppo logico del pensiero sperimentale dovrebbe continuare a porsi al di fuori dei circuiti commerciali dell'arte. La ricerca di tutte queste idee e problemi può essere denominata "arte di confine", sviluppo logico del primo primitivismo postale. L'arte di confine desidera vivere una dimensione creativa non interessandosi minimamente alla genealogia di ciò che si chiama storia dell'arte, viaggiare da un paese e l'altro tra un emittente e ricevente con il fine essenziale di relazionarsi ai problemi della cultura di massa. In una società regolata da un libero mercato e del suo "diarroico" traffico economico di immagini, sussiste il desiderio, sempre più crescente, di collocarsi coscientemente al di fuori, in un "altrove praticabile” rispetto allo scenario totalizzante di una mediocrità planetaria; al di là di una immaginaria linea di Greenwich, come possibile spartiacque e cesura tra il presente e il futuro. In questo senso il Networker esprime il dissenso nei confronti delle convinzioni. Mentre il capitalismo distribuisce ricchezza e il successo costringe a produrre in modo standardizzato e seriale, l'arte di confine dilaga come flusso mentale, preferendo la contaminazione delle idee piuttosto che la monotonia. Essere "artisti di confine", non significa vivere intrappolati all'interno, in un caos organizzato, piuttosto convivere come libera presenza di frontiera, al di là del consueto e del banale. Mario Perniola, su tale problema afferma: "Contro l'accademismo fin dall'inizio si è levato la protesta degli artisti, l'intero movimento romantico può essere interpretato come l'affermazione intransigente della libertà, della produzione artistica contro qualsiasi nome, regola, modello in nome della autonomia assoluta, contro il mercato, la valutazione, la concezione della storia dell'arte, contro tutto ciò che condiziona l'attività dell'artista". Già Hegel aveva individuato il percorso che porta al di là dell'arte; con il Dada, anche gli artisti arrivano a una dimensione radicale dell'arte in tutti i suoi aspetti; pensano all'arte come ostacolo alla libertà della vita e, quindi, come costrizione. Secondo Perniola "l'arte è un carcere, perché gli artisti sono dei carcerieri; essi tengono imprigionata la creatività che si potrebbe manifestare nella società con ricchezza di forme e di espressioni". Il carcere per le false avanguardie è la società, il suo astratto ordine pianificato. Bisognerà, quindi, ricominciare “a giocare” nei luoghi immaginari del tempo, poter rispecchiarsi dentro lo specchio dell'immaginario collettivo, come momento di recupero e di riappropriazione di una identità, come riflessione del proprio essere al di sopra del suo stesso presente e come metamorfosi di un tutto. Occorrerà liberare l'immaginario, reprimere i falsi concetti, prendere la distanza critica rispetto ai falsi problemi della società e della cultura del nostro tempo. Ciò che conta non è "lo stile", ma la sua necessità a dar voce e corpo al necessario e al diverso. La sfida di oggi è contro una vacua conformità di maniera sempre più dilagante. Prendere coscienza di tutto ciò significa produrre in modo totalmente diverso e inaspettato. L'arte, ormai, ha a che fare con la circolarità elastica, nomade e planetaria delle idee. Giovanni Bonanno.
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