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mercoledì 1 aprile 2009

ARTISTA ARCHIVIO OPHEN ART/ Gabriele Jardini





ARCHIVE OPHEN - ART EXHIBITIONS - CONTEMPORARY ART E MAIL ART



UN ARTISTA DELL'ARCHIVIO OPHEN ART


Gabriele Jardini , Uomo, sabbia luglio 2003 Sardegna (CA)




PERSONALE

DI

GABRIELE JARDINI

A VARESE




Muro di neve tra due betulle, bastoni appuntiti di varie dimensioni inverno 2004 Prealpi Svizzere (CH)


“Per presentare “Buchi nella neve” l’opera che Gabriele Jardini espone nello spazio di Clip, non si può che partire dalle sue stesse parole che raccontano il processo del suo lavoro e la pratica “tribale” attuata per la realizzazione di questa scultura/fotografia (“Tra due tronchi di Betulla pendula ho costruito un muro di neve che il gelo della notte ha indurito. La mattina seguente, per la foratura della parete ghiacciata, sono andato alla ricerca di grossi rami secchi di varie dimensioni che ho appuntito e scaldato gli apici sul fuoco”). La scultura originale, realizzata con materiali deperibili sulle prealpi svizzere nel Dicembre del 2000, è presentata qui come immagine fotografica, medium che Gabriele Jardini predilige e sceglie per tradurre e proiettare nel futuro le sue effimere e deperibili installazioni. Jardini è un artista che s’immerge nella natura con lo sguardo indagatore dello scienziato e quello immaginifico del poeta. La sua docile erranza gli permette di considerare il territorio come una palestra per la fantasia e l’immaginazione, e di intervenire nei luoghi della natura organizzando in una dialettica quasi osmotica, spazi, forme e colori. E questo, pensando anche alla storia dell’arte contemporanea, con cui relazionarsi discretamente, come in questo caso, Buchi nella neve, dove ritroviamo un sotteso omaggio ai buchi di Lucio Fontana rimodellati poeticamente sul mondo reale. In fondo è un artista che sa cogliere le piccole cose: lascia scorrere, lavora sul tempo, si adatta, seleziona, riporta,pratica l’attesa e poi, porta la natura dentro ad una stanza. “







Gabriele Jardini: Dall'altra parte dell'ombra

Testo
di Sandro Bongiani


In poco tempo l’uomo è riuscito a trasformare l’ambiente in cui vive a ritmi sempre più accelerati. La distruzione delle foreste tropicali, la desertificazione,il buco dell’ozono, le piogge acide minacciano inevitabilmente la delicata struttura e il precario equilibrio, ormai la sfida ambientale coincide con la nostra stessa esistenza, a meno che non venga riscoperto e propiziato uno spirito umanistico con un sentimento morale nei confronti della natura quasi dimenticata e delle sue straordinarie possibilità. Purtroppo, la natura è stata sostituita integralmente dalla cultura, la realtà da una catasta di logori relitti tecnologici. La perdita della “totalità” ha reso il rapporto tra l’uomo e la natura assai problematico. Di sicuro, dopo il Romanticismo, il percorso dell’arte ha conosciuto una intensa accelerazione che ha bruciato rapidamente il confronto con la natura, nel fuoco di una esigenza progressiva a valersi della più assoluta libertà espressiva. Una cultura, quindi, che nasce essenzialmente dalla “scissione” e dall’armonia perduta e si esprime in un’arte “dissonante” e lontana dall’equilibrio. L’uomo contemporaneo con la tragica consapevolezza dell’esilio dalla natura e la nostalgia dell’equilibrio perduto non riesce più a essere “sentimentale”. Nel 1978, con il Manifesto del Rio Negro, Pierre Restany sentiva la necessità di chiedersi: “Quale tipo di arte, quale sistema di linguaggio può suscitare un simile ambiente? Di certo un naturalismo di tipo essenzialista che si oppone al realismo della tradizione realista. Il naturalismo implica la più grande disponibilità dell’artista e la più grande apertura snaturando il meno possibile. In fondo nello spazio-tempo della vita di un uomo, la natura è la sua misura, la sua coscienza, la sua sensibilità”. Oggi si sente il bisogno urgente di un rapporto più intenso con la natura. Monet, a differenza di tutti gli altri, aveva capito che la pittura non era solo pura percezione della natura, ma anche sensibilità e partecipazione. Solo in questi ultimi anni si nota il tentativo da parte di alcuni giovani artisti di instaurare un “rapporto nuovo” con il mondo naturale, forse per tentare di ristabilire qualche equilibrio irreparabilmente infranto o per recuperare zone di immaginario perduto. Uno di questi giovani artisti è Gabriele Jardini. L’artista, per creare ha bisogno di varcare la soglia che lo divide con la natura e ritrovarsi immerso totalmente in essa. L’artista lombardo non desidera utilizzare solo gli occhi, ma tutti i sensi, il suo stesso corpo. Jardini ha compreso che la natura, per essere veramente capita ha bisogno della partecipazione attiva e quindi il coinvolgimento e lo sprofondamento dei sensi. Entrare nella natura significa attivare un dialogo utilizzando tutte le abilità e le strategie possibili. L’artista, totalmente immerso in quella “simbiosi” di natura e sensibilità, studia l’armonia che governa la natura, in attesa di qualche suggestione, che prontamente utilizza. La realtà dell’immagine che ne viene fuori coincide perfettamente con la realtà della natura; una natura profonda, delicata, musicale, sospesa nella sottile vertigine dell’evento. Jardini non vuole più vivere dentro il vuoto della cultura della nostra società, desidera autocollocarsi in posizione critica interrogandosi sulla propria funzione d’artista e sulla necessità espressiva di utilizzare una coscienza planetaria capace di svelare le straordinarie possibilità che la natura ancora ci offre. Ormai il suo laboratorio di ricerca è la natura; quando l’artista s’insinua tra i boschi di Gerenzano o della vicina Svizzera, il suo corpo incomincia a vibrare, a tendersi, diventa egli stesso foglia, ramo, rugiada. Dentro il suo “laboratorio verde”, in rapporto al luogo, trova sempre gli stimoli adatti e le suggestioni per definire i suoi “concetti d natura”. Sono convinto che Jardini non può più fare a meno della natura, non può immaginare l’opera prima nel mondo poetico e poi nel mondo fisico; sono due cose che deve relazionare nel momento stesso ch’è a contatto diretto con il paesaggio, in stretta sintesi tra natura e creatività. Certamente, ha bisogno di sentirsi addosso gli umori della natura, l’odore della terra, i ritmi naturali. Dentro il bosco, dal contatto tra la mano, la mente e gli elementi della natura, nasce un dialogo solitario, che spinge l’artista a inconsueti gesti, come per esempio assemblare le foglie tra loro, intrecciare i rami o incollare le parti di un corpo vegetale utilizzando le spine di robinia che trova facilmente in natura. Dall’osservazione attenta dei fenomeni naturali fa nascere misteriosi segnali poetici, variazioni ritmiche cariche di silenzio che vengono disseminati nello spazio del reale. Jardini ha la capacità insolita di “sintetizzare” gli svariati elementi che trova in natura, creando installazioni molto precarie, quasi sempre soggette a distruzione; a volte basta un piccolo gesto della mano o persino un soffio leggero per rompere l’incantesimo e spegnere la poesia. Per lui è fondamentale “imitare” i processi che avvengono in natura, studiare la caduta, la concentrazione e il diradamento delle foglie; la “mimesi” diventa prerogativa essenziale per dialogare con la natura. Dall’osservazione dei meccanismi che interagiscono in natura, dall’integrazione degli elementi naturali “raccolti”, nascono le suggestioni che spingono l’artista a realizzare determinati “gesti poetici”, per esempio: dal ritrovamento di alcune pigne è nata la necessità di farle roteare sulla sabbia allo scopo di riattivare una vasta zona di superficie naturale, ottenendo impronte abbastanza precarie, la scoperta di una grande ragnatela ha persino suggerito all’artista l’innesto di una serie di fiori secchi attorno alla sua circonferenza, seguendo un ordine e un ritmo tutto musicale, per divenire una sorta di corona sospesa nel vuoto. Il lavoro di Jardini, per vivere ha bisogno di ritrovare la sospensione dell’evento, “l’altra parte dell’ombra” ovvero la parte oscura e misteriosa del reale. I suoi eventi sono, in definitiva, apparizioni di tipo visionario che vogliono creare il sortilegio e condividere l’urgente bisogno di un rapporto immediato con la natura. La capacità di voler comprendere, sentire e intervenire, sono le uniche possibilità che l’uomo contemporaneo ha ormai a disposizione per risolvere i suoi problemi; questo è quello che Jardini tenta di rivelarci. Sandro Bongiani




Chi è Gabriele Jardini?


Gabriele Jardini nasce nel 1956 a Gerenzano, si diploma al Conservatorio di Brescia in Direzione di Coro e Canto Corale. La sua attività artistica inizia nel 1981 e dal 1985 lavora direttamente nell’ambiente naturale interagendo con il luogo ed i suoi materiali, spesso creando scultura effimere e caduche per poi fotografarle, unico documento che testimoni la loro breve esistenza. Dal ‘90 al ‘97 frequenta Enrico Baj. Nel 1995 fonda il Movimento Anaconcettuale. Nel 1994 e nel 2004 partecipa ad Arte Sella, la prestigiosa Biennale Internazionale di Arte nella Natura in provincia di Trento curata da Vittorio Fagone. Tiene personali al Museo di Scienze Naturali di Trento, alla Galleria Cavellini-Cilena di Milano, al Museo Ken Damy di Brescia, Photology a Milano, Artelife a Venezia e in numerose altre sedi espositive. E' presente poi ad Architettura e Natura, alla Mole Antonelliana a Torino, nei Musei di Scienze Naturali di Vienna e Berlino, all’Accademia Carrara di Bergamo, al Museo d’Arte Moderna Pagani a Castellana, all’Arengo del Broletto di Novara, alla Galleria D’Ascanio di Roma. Nel 2002 è tra i vincitori del Premio Biennale d’arte Donato Frisia, alla sua III° edizione. Nel 2007 è stato prodotto il portfolio “Ecosculture 1992-2007”: una raccolta di sue immagini per le edizioni del Museo Ken Damy.