“IN ITALIA LA CULTURA VA IN CARROZZA”
In Italia la cultura non è finanziata da sponsor privati come succede all’estero. Una situazione in controtendenza a quella verificabile, per esempio, in Germania con la Siemens, colosso dell’elettronica che nonostante l’attuale crisi non diminuisce il budget di sostegno all’arte e ai progetti culturali. Questo è un esempio significativo di come il sistema tedesco supporta la cultura del paese. Il finanziamento pubblico tedesco o francese si ossigena dagli apporti dei privati per poi far funzionare al meglio la macchina pubblica. Questo è quello che si respira fuori dall’Italia tutto il contrario di quello che succede a casa nostra dove, salvo eccezioni, non decolla l’apporto dei finanziamenti privati. In Italia, sia per retaggio culturale sia per pigrizia, funzionano solo i finanziamenti pubblici. Oggi, più di prima vi è l’interesse ad approfittare dei finanziamenti pubblici, così molti si improvvisano gestori e guardiani della cultura; critici, teatranti e curatori. A proposito, chi sono veramente questi curatori? Ormai non sono più i vecchi critici di una volta che impiegavano il tempo a visionare e selezionare le diverse ricerche culturali in campo. Sono forse dei semplici “presentatori” che ipotizzano e prospettano situazioni “settoriali” utilizzando i finanziamenti pubblici e presentando ingenerosamente gli stessi artisti e gli stessi gruppi. Tanto per capirci, un caso eclatante è stato “l’ammucchiata” di mostre per la celebrazione del Centenario Futurista, rivelatosi alla fine controproducente persino per lo stesso Futurismo; un’accozzaglia di mostre slegate rispetto un filo conduttore unico, mal gestite, che in definitiva hanno dato il risultato opposto a quello sperato. La convinzioni che abbiamo in Italia, che fin quando è possibile approfittare, perché non farlo. Strano paese questo, anacronistico e per certi versi anomalo, che continua a muoversi per inerzia, abbandonandosi supinamente all’indifferenza . Di Orietta Berti, che di certo non è cult, vi è un brano di una futile canzone paesana nazional-popolare che incarna questo modo di fare:
Fin che la barca va lasciala andare, finché la barca va tu non remare.. -e aggiungiamo - … quando bisogno avrai, un campanello suonerai …
Questo testo, anche se è stato scritto molti anni fa dimostra di essere ancora molto attuale, perché ci rivela un’Italia “arruffona” dove il tempo sembra che si sia irreparabilmente raggrumato e raggelato.