PREMIATO A
ROMA, IN CAMPIDOGLIO, IL 14 MAGGIO
Carlo Iacomucci “Marchigiano
dell’anno”
Il
riconoscimento assegnato dal Centro Studi Marche che da trent’anni porta alla ribalta
i personaggi che hanno fatto conoscere la nostra regione in Italia e nel mondo.
L’artista, che ora vive a Macerata, è uno dei principali continuatori della
prestigiosa tradizione della Scuola del Libro di Urbino.
Il pittore e incisore urbinate
Carlo Iacomucci è uno degli otto “Marchigiani dell’anno”. Ha ricevuto il prestigioso riconoscimento mercoledì
14 maggio, a Roma, nella sala Protomoteca del Campidoglio. Il premio è stato istituito nel 1984 dal
Centro Studi Marche “Giuseppe Giunchi” di Roma per esaltare la “marchigianità”
e il senso di appartenenza a una regione conosciuta e apprezzata per operosità,
intraprendenza e spirito di iniziativa. Ogni anno il Cesma (Centro Studi Marche) porta alla ribalta i marchigiani sparsi in un
po’ ovunque, in Italia e nel mondo, che si sono distinti nei settori della
cultura, dell’economia, dell’arte, della ricerca e dell’imprenditoria.
Carlo Iacomucci
è originario di Urbino, ma da anni vive e lavora a Macerata. E’ uno dei
maggiori artisti viventi che porta avanti la prestigiosa tradizione della
Scuola del Libro di Urbino dove negli anni Trenta si sono formati Fiume,
Brindisi, Ciarrocchi e tanti altri che hanno segnato le vicende artistiche del
nostro Paese.
Carlo
Iacomucci è uno degli eredi di questa grande tradizione, tanto che si definisce
più incisore che pittore. Usa con straordinaria abilità la tecnica
dell’acquaforte usata come forma espressiva fin dal Medio Evo (quando si utilizzata l’acido nitrico)
proprio perché non soggetta a regole ferree e quindi consente all’artista di
liberare al massimo la propria creatività. Da quarant’anni fonda la sua ricerca
di base sul dilemma fra vero e falso, fra sogno e realtà. Si esprime attraverso
il segno che diventa anche “personaggio” o “sentinella della natura”. Con il
colore, invece, fa vibrare le corde del sentimento e stimola le emozioni. Poi usa
i simboli come l’onnipresente aquilone di pascoliniana memoria. L’aquilone
inteso come simbolo di libertà e di speranza. Oppure l’utilizzo delle tracce o
gocce: sette pennellate o spazi bianchi intesi come “movimenti ventosi nello
spazio”. Sette come i colori della luce.