venerdì 17 maggio 2024

Pavilion Lautania Valley - Retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini, “Casse, carboni e francobolli a domicilio”

 

 SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 

CASSE, CARBONI E FRANCOBOLLI A DOMICILIO”

 

a cura di Sandro  Bongiani

con testi critici di Sandro Bongiani e Piero Cavellini

(In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia)

 

Dal 24 maggio 2024  al  2 luglio 2024

Inaugurazione:  Venerdì  24  maggio  2024,  ore 18.00

 




Pavilion Lautania Valley / Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere

Retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini   

“CASSE, CARBONI E FRANCOBOLLI A DOMICILIO”

A cura si Sandro Bongiani  con testi critici di Sandro Bongiani e Piero Cavellini.

In  collaborazione con l'Archivio  Cavellini di Brescia

 

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea  è lieta di inaugurare  in coincidenza con il tema “Stranieri Ovunque” e in contemporanea con la 60. Biennale Internazionale di Venezia 2024 presso il Pavilion Lautania Valley, dopo la retrospettiva dell’artista americano  pre-pop Ray Johnson, la  seconda mostra retrospettiva dedicata a Guglielmo Achille Cavellini. Una mostra a cura di Sandro Bongiani incentrata  sul tema  dello straniero ovunque in cui viene segnalata da aprile a novembre, per tutto l’arco della durata della  60. Biennale di Venezia 2024 la condizione  di sei artisti marginali attivi che in modo originale e solitario hanno continuato a lavorare nell’isolamento  collettivo, alcuni anche per diversi decenni non curandosi  minimamente del mercato e del sistema ufficiale dell’arte producendo nel tempo opere per certi versi non conformi ai dettami imposti dal mercato e proseguendo in un cosciente viaggio solitario e personale.  Ad un tema  generico scelto da  questa biennale abbiamo preferito segnalare la condizione difficile e marginale attiva di alcuni artisti di diverse generazioni e  latitudini del mondo costretti a vivere  da “straniero sempre”, non semplicemente nel senso geografico del termine  ma soprattutto  umano e esistenziale. Una sorta di rilettura delle proposte in atto presentate per l’occorrenza in un padiglione  del tutto virtuale, con un’area immaginaria di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley.

Quella di Guglielmo Achille Cavellini,  da autentico “straniero” rimane una proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale diffusa con opere grafiche, artistamps, performances e happening ad ampio raggio in diversi paesi del mondo.  Vengono presentate per l’occasione per questo evento opere che coprono un arco di tempo che va  dal 1966 al 1989 tra casse che contengono opere distrutte, legni-carboni e francobolli d’artista in una mostra da noi volutamente  “virtuale”,  come giusto sviluppo logico delle mostre-catalogo realizzate per diverso tempo dall’artista bresciano a domicilio, tra opere ad acrilico, intarsi, collage e studi grafici preparatori creati anche sotto forma di Artistamp, con il fine d’indagare  una parte  significativa del lavoro  di Cavellini ancora non  del tutto pienamente  compreso. Nella sua ininterrotta navigazione nel territorio dell’arte GAC ha ricercato senza sosta segnali  chiarificatrici che rendessero esplicito la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale. In tale contesto nascono nella seconda metà degli anni Sessanta anche i primi francobolli, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale. Una vita  decisamente dedita totalmente all’autostoricizzazione diffusa ampiamente dal 1970 in poi  con mostre e cataloghi a domicilio, manifesti, spille, stickers, cimeli, francobolli, performance, happening, pensate in concomitanza con il centenario della nascita coincidente idealmente nel 2014 presso il  Palazzo Ducale di Venezia e anche nei musei più prestigiosi del mondo.

Scrive Piero Cavellini: “ E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono. Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione. Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo. Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.  E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica. Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”.

E’ proprio in questo lungo e travagliato periodo tra gli anni 60’ e gli anni 80’ che Cavellini utilizza un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014. Ne risulta  la complessa composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui l’opera diviene il mezzo privilegiato con cui cercherà di eternizzare il proprio stato e condizione. Dopo  essere trascorsi già 110 anni  dalla nascita e 34 anni dalla sua dipartita, l’artista bresciano  rimane, nella frenesia di una società che cambia umore e costumi troppo in fretta il testimone privilegiato e indocile del suo particolare momento storico. Dopo lunghi anni di scarsa attenzione da parte delle istituzioni, ci sembra che sia arrivato il tempo di una doverosa e significativa rivalutazione come giusto riconoscimento che certamente avrebbe del tutto meritato.

Si ringrazia l’Archivio Cavellini di Brescia per la fattiva collaborazione alla realizzazione di questa importante retrospettiva a lui dedicata.

 

 


BIOGRAFIA  di  GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI  

GAC (Guglielmo Achille Cavellini)  è stato un importante studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40 esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni, vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Nascono i Teatrini e i  francobolli d’artista attraverso i quali viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero  e democratico che permette a GAC di avere  contatti e confronti importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta.

 

 


Pavilion Lautania Valley

“Stranieri qui e altrove - Active Marginal Generation Everywhere”

Mostra n°2 / Retrospettiva di Guglielmo Achille Cavellini

“CASSE, CARBONI E FRANCOBOLLI  A DOMICILIO”

Presentazione di 56 opere a cura di Sandro Bongiani

con testi critici di Sandro Bongiani e Piero Cavellini

da Venerdì  24 maggio a Martedì 2 luglio 2024

Opening  Venerdì  24 maggio 2024  ore 18:00

ORARI:  tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/

E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3937380225

Credits: Archivio Cavellini - Brescia



GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI

L’arte tra casse, carboni e ironia a domicilio

Presentazione di Sandro Bongiani, 13 maggio, 2024

 


 “Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del pubblico e della  società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e  singolare attività. La saluto e la elogio. Vivissimi auguri”.

 (Da una lettera di Jean Dubuffet  a Guglielmo Achille Cavellini, del 15-10-1978)

 

G.A.C. acronimo di (Guglielmo Achille Cavellini), nasce l'11 settembre del 1914 e  muore a 74 anni il 23 ottobre del 1990.  E’ stato esattamente nel 1971 che ha inventato  “l’autostoricizzazione”, siglando ironicamente ogni opera con la data del centenario dell'autore e  inviando per via postale in tutto il mondo una decina di “mostre a domicilio”. In Italia, per diversi decenni, GAC è stato osteggiato come  “un ricco eccentrico in vena di esibizionismo”, non compreso perché ritenuto soltanto un importante  collezionista d’arte contemporanea  e di conseguenza  collocato dalla critica ufficiale  nel completo isolamento.  A partire dal 1971,  dopo l’irruzione nel mondo dell’arte dell’americano Ray Johnson, vissuto nello stesso periodo dell’artista bresciano, G. A. Cavellini  incomincia a   ribellarsi ai poteri forti  attuando  l'autopromozione e l'autocelebrazione di sé attraverso la diffusione di interventi di vario tipo cercando  opportunamente  di  ridicolizzare certe  logiche sottese al mercato dell'arte. GAC riteneva il sistema ufficiale dell’arte impenetrabile e corrotto, di conseguenza la decisione di proporre la sua stessa presenza come autentico momento creativo. Insomma, una sorta di artista isolato che  dal chiuso decide finalmente di non far parte più di quella schiera  di pittori delusi e incompresi come  Munch,  Van Gogh, Modigliani o Tancredi e di far sentire la propria voce attuando appropriate “interferenze” all’interno del sistema monopolistico dell’arte. Dopo aver realizzato, distrutto e riciclato una parte consistente del suo lavoro degli anni precedenti,  GAC decide di  compiere “il grande passo”, ossia di contrapporsi ad un sistema ormai sordo e monotono, un ulteriore sviluppo verso la messa in crisi del tradizionale sistema ufficiale dell’arte.

E’ proprio  Guglielmo Achille Cavellini per primo a porre in modo evidente  il problema della mercificazione e del condizionamento da parte del  potere culturale attuando per reazione un  straordinario  “attivismo  di contrasto “trasversale” contro il sistema  impenetrabile dell’arte ufficiale. L’arte, dopo essere stata relegata  per molto tempo al chiuso delle idee,  con l’attuazione dell’autostoricizzazione”  diveniva  liberazione, apertura delle frontiere culturali che si integrava  nella vita. Cavellini, di conseguenza, si ritrova a condividere contemporaneamente vari campi d’esperienza alternativi alle proposte della cultura ufficiale;   dalla pittura all’oggetto, dalla scrittura all’appropriazione, dalla body art alla performance, collocandosi apertamente ai margini di un sistema, in una zona franca, ovvero “in una periferia di confine praticabile” abbracciando  concretamente una pratica che di fatto assorbiva   diverse esperienze convogliandole in nuove  possibilità creative. Inoltre, con la preferenza e l’utilizzo della Mail Art  poteva finalmente confrontarsi a 360 gradi con  artisti di diversa esperienza e latitudine sparsi in tutto il mondo.  Una pratica, quindi, “di lucido confronto” che poteva fare  a meno del mercato dell’arte. Dal 70 in poi, Cavellini partecipa attivamente alla messa in crisi del sistema “come battitore libero“ condividendo  in modo deciso e parallelo più campi di ricerca e smantellando così un concetto tradizionale che preferiva la  produzione dell’artista ripetitiva e ben identificabile, una produzione  piuttosto “riconoscibile”  al completo servizio del mercato dell’arte. Oggi, GAC ci sembra davvero una presenza convincente, nonostante sia stato relegato ai margini di un sistema autoritario e subendo di conseguenza il silenzio e l’anonimato come triste marchio d’infamia che il sistema dell’arte attribuisce  a chi non reputa utile alla causa  speculativa del mercato ufficiale dell’arte. Grosso modo  è’  quello che ha vissuto nello stesso periodo anche l’artista americano Ray Johnson considerato il “più famoso artista sconosciuto di New York”, che circa cinque anni dopo la scomparsa di Cavellini,  nel 1995, decise di concludere il suo viaggio, forse “l’ultima performance testamento" dell’artista americano gettandosi nelle acque gelide del Long Island di Sag Harbor e lasciandosi annegare.

Secondo Guglielmo A. Cavellini, dopo la Pop Art tutto poteva   diventare  merce  consumo e l’artista trasformarsi in  un’icona da incensare e venerare.  Inoltre, con  le proposte  dadaiste  ogni oggetto poteva  essere considerato “artistico” e quindi presentato come opera d’arte; bastava “deprivarlo” dalla reale funzione pratica e immetterlo  in una galleria d’arte certificando così   un suo possibile valore artistico. Negli  anni ’60,  anche Piero Manzoni  aveva cercato di  sovvertire  un ordine prestabilito attuando interventi di tipo “utopico” che di fatto sconvolgevano  il sistema ufficiale dell'arte che si  regolava sul tacito patto consensuale tra coloro che  gestiscono le ipotesi e i flussi  di opere d’arte da immettere in circolazione all’interno del mercato dell’arte. 

Ultima necessaria considerazione da fare  è  la trattazione dei cataloghi e le “mostre a domicilio”, mostre catalogate da Cavellini tra il 1974 e il 1987 che, anziché essere presentate in galleria furono inviate per via postale ai destinatari prescelti. L’invenzione consisteva nel dare un senso all’autocelebrazione nei quali l'artista ha documentato le sue innumerevoli operazioni di provocatoria autopromozione e che ha poi spedito gratuitamente a migliaia di critici, artisti, collezionisti, musei, biblioteche, archivi. Scriveva: “Continuo la serie delle mie mostre a domicilio...”, una decina di “mostre a domicilio” in tutto edite da Nuovi Strumenti di Brescia. Le “mostre a domicilio” sono state una sorta di punto di riferimento per molti giovani artisti con i quali intratteneva un intenso scambio risultando uno dei più interessanti e sperimentali modi in quel tempo  per presentare e documentare le opere  che, in diverse occasioni, G.A.C. ha definito  questo modo di fare la “sua opera più importante”.

 Da allora I tempi sono molto cambiati con internet ch’è entrata nella nostra vita in modo dirompente cambiando le nostre abitudini in modo decisamente profondo. Da questa idea originale e inusuale dei “Cataloghi a domicilio” di Cavellini,  diversi anni fa avevamo già   deciso di utilizzare le prime piattaforme virtuali nate dal desiderio di coniugare  l’esperienza sperimentale di Second Life, l’attività della galleria Pièce Unique a Parigi  del  napoletano Lucio Amelio con l’attivismo creativo di Guglielmo Achille Cavellini. Infatti, nel 2009, in tempi non sospetti del Covid, è stata creata da noi in Italia una delle prime Project Room “Ophenvirtualart”, Nel 2012 è arrivato lo “Spazio Ophen Virtual Art Gallery” della Collezione Bongiani Art Museum e infine nel 2021 la nuova galleria interattiva virtuale “Sandro Bongiani Vrspace" con annessa la piattaforma “Unique Space, Per certi versi è stato un doveroso  e necessario cambiamento che occorreva fare rispetto all’esperienza iniziale dei “Cataloghi a Domicilio” di Cavellini con uno spazio interattivo e virtuale innovativo specializzato nella documentazione e nella diffusione “democratica” dell’arte contemporanea e soprattutto sul cambiamento e sulla sostenibilità e il futuro dell’arte.

Oggi, lo “Spazio Ophen Virtual Art Gallery” assieme alla startup “Sandro Bongiani Vrspace”, dopo diversi anni di attività, nati da una costola gentile di Cavellini risultano per continuità e impegno le più importanti realtà sperimentali "no profit” interattive al mondo che operano sistematicamente online in ambito artistico in tempo reale con un serio programma concreto e continuativo di serie proposte culturali  in cui l’azione partecipativa dell’utente in punta di mouse è prioritaria come progetto cultuale e sperimentale dell’arte contemporanea. Ecco spiegato il legame indissolubile che ci lega con il mitico  e vulcanico Guglielmo Achille Cavellini, e altresì, il motivo profondo di questo nostro evento a lui dedicato.

 

 

Presentazioni di Piero Cavellini del 2014 e del 2017

 

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914-2014

 

Siglare nelle opere la data che celebra il proprio Centenario è stata una delle peculiarità nell’attività di Guglielmo Achille Cavellini a partire dal 1971, anno in cui decise che attraverso un meccanismo di Autostoricizzazione gli sarebbe stato permesso di incidere sull’identità dell’artista quasi sempre fuorviata e repressa da un sistema incapace di intenderne le libertà.  Azione questa che lo portò a destrutturare le condizioni del sistema stesso per condurle, a suo piacimento, in un ambito creativo nuovo che a molti parve un eccesso di megalomania ma che un contesto internazionale attento e desideroso di un cambiamento di queste condizioni acclamò come una nuova via dell’arte che, a partire da allora, l’avrebbe riavvicinata alla vita reale spostandola dalla rigidità evoluzionista in cui ancora si dibatteva, nonostante gli sforzi delle Avanguardie storiche del primo Novecento.  Un’anticipazione questa che precorre un concetto di liquidità sociale applicata allo specifico che sembra prevalere nell’analizzare il sistema complessivo della nostra epoca.  Tutto ciò per partire dalla fine e da quel work in progress che non senza un poco di meraviglia è vicino a concludersi ma la storia di GAC artista, usando l’acronimo con cui si firmava nel quale si specifica la sua formula comunicativa, ha ben più complessi antecedenti che di quell’atto finale sono un incipit molto più coerente di quanto non si possa pensare. Il suo avvento sulla scena dell’arte, ormai documentato da numerose biografie e autobiografie, si concretizza nell’incontro con Emilio Vedova a Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione e da allora ne è stato un continuo attraversamento attuato da un arbitro speciale, non un artista come tanti altri con la sua piccola o grande innovazione, uno stile, ma un individuo che conduce un giudizio illuminato, prima sulla sua generazione e poi sul resto del mondo e sulle trasformazioni che ha prodotto fino a che è stato in vita. 

Credo sia questo l’unico modo per coglierne la presenza, senza fraintendimenti sulla questione dei ruoli e sui cambiamenti di stato che sono un argomento stantio nel definire un comportamento che stava ormai nel futuro.  Con quell’incontro del 1946 scopre una nuova arte astratta europea, capace in un attimo di far svanire nel nulla i suoi primi tentativi espressivi autodidatti che, rivisti oggi, testimoniano la sua innata artisticità, e ci volle poco perché decidesse che fosse più producente farsene paladino per metterla in luce verso il mondo piuttosto che continuare l’apprendistato su argomenti che stavano oramai fuori da quella contemporaneità.  Basterebbe questo atteggiamento per decidere di escluderlo dalla storia del collezionismo per introdurlo nella storia dell’arte. E’ questo il suo primo giudizio, un giudizio da artista che, liberato dai propri fantasmi, sceglie di articolare la sua presenza all’interno dell’esperienza generazionale che forniva le novità più pregnanti con cui era venuto improvvisamente in contatto. E’ per ciò che parlo di giudizio, come poi avverrà per il resto delle sue frequentazioni e si tradurrà in quel lavoro in fieri di cui si è detto, portandolo al punto di creare un piedistallo per l’arte degli altri come fosse la sua o quella che non avrebbe avuto bisogno di fare perché già in atto in un contesto che trovava più producente condurre piuttosto che partecipare.  Fin qua il primo atto che, condotto in porto con la pubblicazione del libro Arte astratta e con l’esposizione di una selezione delle opere presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1957, ne aprì un altro dove degli altri colleghi non aveva più bisogno.  Ha inizio qui l’attraversamento che in definitiva è un giudizio anch’esso ma sporcandosi le mani producendo da autore a partire dal 1960.

E tutti i Sessanta risultano una sorta di viaggio propedeutico all’ultimo dei suoi atti che ho citato in testa a questo scritto, condotto tra citazione e autopresentazione, tra pubblico e privato, tra costruzione e incassettamento, tra incendio e purificazione, dove se l’oggetto è sempre l’arte il soggetto è la vita, quella dell’artista ma anche quella di noi tutti. Appropriandosi delle opere degli altri, attività divenuta molto in voga circa vent’anni dopo, ne assoggetta la forma a queste sue incessanti dualità, ne estremizza i significati ed inizia a definirne i confini sovrastrutturali come nei primi francobolli a partire dal 1966. Che differenza ci sia rispetto al primo atto credo non sia una questione sostanziale ma che si tratti di una sorta di delocazione dello stesso atteggiamento dove in un luogo diverso, con delle architetture create da sé, come con il libro e la mostra in precedenza, attua la sua presenza verso l’esterno, azione propria della creazione artistica. In definitiva: non c’è bisogno di creare figure nuove per parlare di ciò che anche quelle già fatte esprimono.  Il terzo atto, ho già detto, ha inizio a partire dal 1971, anche se le Proposte dell’anno precedente in cui seziona con atto apparentemente iconoclasta tele di autori museali sono un antefatto di un cambiamento di stato, anche se ripeto non di sostanza: la forma altrui non serve più se è di se stesso che si deve parlare. E quel se stesso siamo tutti noi, l’essere artista è una metafora dell’essere nel mondo.  Il giudizio diventa filosofico, si parla di identità, di stato, di presenza, e della biografia come atto primigenio che può assumere valenze divinatorie: l’Autostoricizzazione  travalica il tempo ed è posteriore a tutto, compresa la modernità e la sua stentorea presunzione cronicistica. 

Sembra proprio che ci siano i termini per constatare un’ulteriore preveggente anticipazione sui tempi a venire che tanti fiumi di parole hanno fatto scrivere senza individuare il soggetto vero delle cose, l’opera che le accompagnasse.  Ed eccola allora quella scrittura incessante che copre tutto per svelare la coscienza individuale, il senso di sé nell’essere attore della coscienza di tutti.  E’ con questo atto nuovo che GAC esplode, come se quelle opere post che necessitano per affermare un pensiero nuovo su se stessi volesse farle tutte lui. Ed esplode anche la comunicazione, senza Rete senza Socialnetworks, bisogna attuare da soli anche quella e non lasciare alcunché di intentato. Nascono così le Mostre a domicilio, cataloghi-opera in diecimila copie che viaggiano in tutto il mondo per rimpiazzare la staticità dei luoghi deputati, per diffondere, segnalare, scrivere una post-storia che non ha tutti i vincoli della precedente. Tutto via Posta, il modo migliore per occupare tutti gli spazi possibili, con una rete che si crea da sé, senza condizioni, senza mercato.  I soggetti sono sempre gli altri, ma smaterializzati, ridotti ad idea funzionale a sé stesso, come nelle 25 lettere ai grandi della storia con cui si coinvolge in relazioni amicali, o I Frontespizi di famosi libri di ogni tempo di cui diviene il principale protagonista, e così via in un eccesso parossistico di riscrittura dove tempo e spazio  si frammentano, ed ancora diventano liquidi ed incapaci di costruzioni stabili ed esclusive.

Sappiamo bene che la libertà non arriva da questa condizione, anzi come ne abbiamo riprova oggi ne è ulteriormente complicata , ma se non si scardina il lessico che la descrive, come hanno fatto i Ready made duchampiani a suo tempo, non avremo l’occasione per conquistarla. GAC questa ulteriore operazione la fece a suo tempo, forse troppo in anticipo perché venisse compiutamente recepita. Chissà che la ricorrenza del 2014, ora così vicina, non ci porti l’occasione per finalmente riconoscerlo?   (Piero Cavellini, 2014).

  


 GAC E L’EPICA DEL FRANCOBOLLO

 

Nella sua navigazione ininterrotta nel territorio dell’arte GAC esprime un giudizio sul sistema che la sottende.

Lo ha fatto da artista abbandonando la sua produzione per raccogliere attorno a sé una nuova generazione senza altra speranza di trovare luce per uscire da una diatriba sterile e passatista.

Continua poi producendo opere come artista attivo ricercando senza sosta segnali che rendessero esplicito il suo argomento: la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale.

Dapprima agendo sul suo stesso lavoro, incassettando le proprie opere precedenti distrutte o proponendole come opere bruciate, in seguito iniziando a ragionare sul consenso riservato alle opere degne di celebrazione.

In questo contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.

Sorge così un suo codice estetico speciale che lo accompagnerà in seguito in gran parte del suo lavoro.

E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono.

Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione.

Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo.

Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.

E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica.

Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”.

E’ in questo periodo quindi che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014.

Osservandone la varietà si trovano riassunte gran parte delle sue tensioni dove compaiono la raffigurazione geografica dell’Italia ricomposta attraverso elementi naturali come foglie, pigne, segmenti di tronchi d’albero, oppure sociali come la sua minuziosa scrittura o gli stessi elementi comunicativi che usava negli invii mailartistici. Non manca la sua riflessione sulla pittura del recente passato tra cui appare Andy Warhol con le sue iconografie popolari a cui si sente particolarmente vicino.

Ne risulta quindi la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.       Piero Cavellini,   Dicembre 2017

    

 

LE  OPERE:

SALA 1 / Casse con opere distrutte  1966 - 1970,

SALA 2 / Carboni  1966 - 1969,

SALA 3 / Francobolli  1966 - 1989

 


 

 

 


 

 


 








 
 
 
Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno 2024

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