venerdì 26 luglio 2013

55 Biennale di Venezia 2013/ PADIGLIONE TIBET

PADIGLIONE TIBET - VENEZIA
a cura di Ruggero Maggi



"Padiglione Tibet" si materializza a Venezia a Cà Zanardi nel 2011 grazie a Ruggero Maggi, ideatore e curatore, e nel 2012 a Torino a “Padiglione Italia", su invito di Vittorio Sgarbi, nella Sala Nervi del Palazzo delle Esposizioni. Numerose sono successivamente le presenze di "Padiglione Tibet" in varie località italiane.




Quest'anno Venezia, grazie a "Padiglione Tibet", con il patrocinio del Comune di Venezia, Assessorato alle Politiche Giovanili Centro Pace, è stata invasa pacificamente da immagini, colori, atmosfere e suoni che misceleranno, con un prezioso intreccio, la creatività e la sensibilità degli artisti contemporanei che hanno voluto aderire e contribuire a creare questo particolare Padiglione.

In un'epoca in cui ogni tipo di dato viene trasmesso ad iper-velocità da una parte all'altra della terra, la convinzione che delle preghiere possano essere recitate e diffuse con un semplice, lieve tocco, con un soffio di vento, può sembrare quasi ingenuo ad un occidentale; al contrario è indice di quanto la realtà tibetana profondamente spirituale si fonda intrinsecamente con la natura stessa, in un inarrestabile scambio con l'universo. Da sempre la circolarità è sinonimo di movimento, di ritmo, di flusso, un concetto presente in ogni aspetto della storia dell'Umanità e che la cultura tibetana ha sviluppato attraverso la realizzazione di strutture e costruzioni legate alla propria filosofia di vita. Per l'uomo tibetano la maggiore preoccupazione non è cosa fare durante il giorno, ma cosa essere nella propria intera esistenza.

In questa rassegna internazionale i monaci tibetani fanno ruotare le Ruote della Preghiera per invocare un buon karma, per la crescita spirituale e la guarigione, Le ruote sono anche dette chokhor (ruota della legge) in Tibetano.

Questo grande evento artistico è dedicato ai 118 martiri tibetani (numero tragicamente da aggiornare quasi quotidianamente) che si sono immolati per la libertà di altri, per la verità di tutti...

Un unico tema, declinato nei modi della pittura, della scultura, della performance e del video, per realizzare un grande evento che sottolinei coralmente il profondo senso di spiritualità dell'universo tibetano e creare un ponte sensibile che induca i visitatori ad una maggiore conoscenza di questo popolo, diventato una minoranza etnica e che rischia di perdere il proprio patrimonio culturale e spirituale fondato su concetti di pace e non violenza ... un ulteriore motivo per varcare la soglia della Chiesa di Santa Marta.




Lo spazio: Santa Marta Congrassi - Spazio Porto
Dorsoduro   30123 Venezia

Orari: martedì – domenica 10.00/18.00 - chiusura: lunedì

Informazioni: www.padiglionetibet.com - ruggero.maggi@libero.it - Tel. 320.9621497



martedì 23 luglio 2013

SEGNI D'AUTOMAZIONE/ Decima Rassegna di Arte Contemporanea - Comune di Stella Cilento





Azione critica nella cibernetica coeva.
(Segni d’automatismo)




Colgo l’occasione per quest’appuntamento espositivo annuale a Stella Cilento per tentare un aggiornamento nelle osservazioni delle espressioni artistiche attuali.

Nella maggior parte dei casi in cui visitiamo esposizioni d’arte ci limitiamo ancora a vedere l’opera, considerandolo un momento estetico fine a se stesso, il più delle volte con un atteggiamento passivo, non-intenzionale, generico, a-temporale. Nella quotidianità invece interagiamo scambiando informazioni, con tutti i sistemi tecnologici che fanno parte della realtà, e che ci sono necessari per vivere nella società. Il mondo è da vedere come un enorme interfaccia, e la connettività come nuova dinamica della socialità. La cibernetica ci svela un modo nuovo di vedere il mondo, ogni entità, sia essa biologica che tecnologica genera e scambia informazioni con l’esterno, perciò tutto è interazione e ogni azione è dialogica. Ciò ci insegna a guardare e non semplicemente a vedere. L’etimologia che definisce l’atto del guardare può essere collegata ad uno stato di guerra: “stare in guardia”, “custodire”, “vedetta”. A differenza del vedere che è una pura attività pacificata, guardare è, ben diversamente, il mezzo attraverso cui cerchi di smascherare gli inganni e le manipolazioni delle cose, ma anche delle idee sulle cose.

L’attuale trasformazione dell’universo artistico trova la sua matrice in questa nuova organizzazione, tutta coeva, della vita e della conoscenza. Le discipline umanistiche si arricchiscono dei nuovi contributi delle scienze come la fisica, la matematica, la fisiologia e la biologia e, attraverso le scoperte sui processi mentali, ci si appropria delle nuove relazioni tra corpo-mente-sensazioni-emozioni della neuro-fisiologia.

Le conoscenze tecnologiche attuali inducono, inoltre, a riflessioni sull’organizzazione del vivente e sul suo funzionamento. Queste ultime conoscenze, specie per l’invenzione di nuovi materiali e per la loro introduzione nelle fasi produttive della lavorazione di oggetti, sono di ausilio agli scienziati di ingegneria (e bio-ingegneria) dell’artificiale per riprodurre in modo sempre più similare alcuni automatismi umani.

Ciò richiede al mondo dell’arte un ripensamento sia su ciò che si intende per “fare” arte e sia su ciò che si deve intendere per storia delle organizzazioni artistiche, riunite oggi sotto il segno delle informazioni. L’opera d’arte, dopo aver trovato la propria autonomia nel secolo scorso dalle altre discipline estetico-filosofiche, letterarie, psicoanalitiche, sociologiche, ecc…, nel pensiero attuale si presenta come un soggetto, o meglio, con un proprio organismo che è autorganizzato in informazione. Per questo la formula segni d’automazione, ribadisce che l’arte tutta è da intendersi come un micro-mondo; l’artista crea una gamma di visualità che all’occhio del fruitore generano sensazioni sempre diverse che non rimandano a qualcosa d’altro, ma significano per loro stesse.

A partire da ciò, si è modificato, radicalmente, il modo di intendere le opere d’arte che indifferentemente agli ambiti a cui appartengono: letteratura, pittura, scultura, ecc…, esse sono oggi considerate bene culturale, cioè strutture cognitive iscritte nel patrimonio genetico dell’umanità.

L’opera, così intesa, è un prodotto che non solo è costituita da un organismo che va interpretato (materia) ma partecipa al mondo della vita (o della natura) ogni volta che vi è un fruitore che cerca di comprendere e di riconoscerla nella sua organizzazione linguistico-logica (o tecno-logica) per le informazioni che essa (opera) racchiude. Perciò non basta soltanto produrre un’opera ed esporla, ma importante diventa il ruolo del fruitore, giacché tutto è da intendere in modo inter-attivo così come è l’intera organizzazione della società presente.

Nell’universo dell’arte contemporanea al di là di qualsiasi forma e di qualsiasi linguaggio utilizzato per costruirla, una delle attività implicite di chi l’arte la “guarda” è quella di scovare dei “segni”: punto, linea o figura a cui corrispondano, in senso proprio o figurato, i concetti di limite, posizione, direzione. Il segno ci rimanda subito ad un intervento diretto dell’uomo (dipingere, scolpire, scrivere non è altro che mani-polare mano-mettere la realtà che è capacità solo dell’uomo appunto) che modificando l’ambiente lascia delle tracce di se, in un procedimento visuale cioè di tipo artistico. Ogni artista-uomo che produce un segno, nello spazio circostante, lo fa per metterlo in relazione con ciò che è fuori, ponendolo così “in oggetto”, lo rende visibile, comunicabile. Per quanto detto fino ora, l’opera d’arte si contraddistingue per due elementi fondamentali: materia e pensiero.

La materia e il linguaggio oggi legano l’opera d’arte al tempo-spazio e allo spazio-tempo della sua elaborazione e costituzione. Un’opera è differenziata ed è riconoscibile dalle altre opere per la sua fisicità (alias, per i materiali con cui è assemblata). Il pensiero è costituito dal modo in cui l’opera si è manifestata come organizzazione o narrazione o racconto di un punto di vista.

Una visione che parte dalla cibernetica, come aggiornamento della visione sull’arte ci libera dagli pseudo-artisti che vogliono raccontarci una verità unica, essi sono in torto rispetto all’attuale che ci educa invece alle verità relative: il logos è divenuto un proliferare infinito di spazio-tempo e di ambienti. Viva la libera interpretazione. Siamo tutti critici potenziali. I critici innovativi, come si ritiene il sottoscritto, indicano le produzioni artistiche, le descrivono (interpretano o raccontano) non tanto come delle rappresentazioni, ma le trattano già come delle configurazioni artistiche.

Ecco che possiamo considerare questa collettiva come una raccolta genetica di un bagaglio di esperienze mentali. Non ci resta che guardare!







Bonanno:

Tavole pittografiche a metà tra moda e pubblicità. La ripetizione del segno è quasi l’appropriarsi di una tecnica comics svuotandola dal significato che dà la striscia e quindi dando al fruitore il compito di immaginarsi quale potrebbe essere la seconda tavola e poi la terza.
Il rimando alla traccia che compone la figura, che ha anch’essa i connotati di essere una traccia, ci pone il dubbio che quella figura sia in realtà un archetipo plasmato da un dio che forse non ha un nome ma che incute su di noi dandoci la vita.



1- Giovanni  Bonanno,  Accumulazione HX1    Tecnica mista, 2013.


2- Giovanni Bonanno, Accumulazione HX2  Tecnica mista, 2013.




3- Giovanni Bonanno, Accumulazione HX3  Tecnica mista, 2013.




4- Giovanni Bonanno, Accumulazione HX4  Tecnica mista, 2013.





5- Giovanni Bonanno, Accumulazione HX5  Tecnica mista, 2013.








De Caro:

Un esempio di visualità militante. Preleva estratti di realtà fotografica destrutturando l’immagine a livello biochimico, non si ferma a vedere la realtà, la guarda e vi penetra fin dentro la sua struttura molecolare. Un’azione scultoria “a togliere”, dal blocco visivo estrae pixel fino all’ultimo brandello di tessuto che delimita la tela dallo spazio esterno. Le sue opere appaiono come oggetti geometrici dotati di omotetia interna, quasi fossero dei frattali artigianali.



Paolo Tomio:

Elabora nuove forme d’arte attraverso la macchina, proponendo forme che rimandano ad una percezione altra del tecnologico e del racconto. I suoi segni non sono materialmente grafici, sono flussi di elettroni che transitano nei circuiti del computer. Tutti i vecchi e nuovi contenutismi dell’immagine, l’illustrazione e l’iconologia, vengono smentiti e relegati dove devono stare, tra i residuati dell’estetica, in quanto questi processi formali si dimostrano senza possibile dubbio non mediazioni tecniche o visualizzazioni dell’idea o del concetto, ma autonome costruzioni che sorgono, procedono e si definiscono in una loro esauriente autogenesi.



Paladini:

Sovrapposizione di piani, forme che si amplificano intersecandosi tra le diverse stratificazioni in un intarsio grumoso racchiuso in geometrie ostinate. L’equilibrio è tra la materia pittorica e il segno.
 Tutto è dosato, quasi come in un laboratorio costruito su un rigore che si rifà al classico. Il linguaggio è quello della pittura; beninteso però come uno dei linguaggi possibili. Potremmo dedurne che la morte dell’arte non c’è stata e che la pittura dopotutto resisterà per molto tempo ancora.



Fusco :

Osservare, prelevare, catalogare, sezionare, porre in oggetto.  Queste sono le fasi di un processo meditato oltre la velocità della vita attuale. Segni spuri, delimitano figure filiformi. Estrarre campioni di natura (quella che ancora resiste) per porla in essere. Ciò ci ricorda che l’uomo comune possiede ancora la facoltà di ascoltare il silenzio. Un pensiero ecologico e una materia organolettica, sono armi possibili contro l’Horror Pleni.



Zucchini:

Un paesaggista cibernetico. Configura estratti di realtà geo-fisiche penetrandovi fin dentro la struttura molecolare. Una matericità giustificata dall’intento di immensificare la natura, intravedendola oltre qualsiasi apparenza. Una pittura a raggi X. Uno strapaesaggio, inteso come legge di natura che è uguale in tutte le dimensioni, del macro e del micro; una parete di calce o il nucleo di un atomo di cobalto. Analogie chimiche e biologiche, tra percezione reale e macchinale.



D’Antonio:

Una figurazione algoritmica, i colori si incanalano secondo direzioni assiali, e si presentano con tonalità asettiche. La materia dell’opera è esigua, minima, rasenta una povertà di spirito che non è altro che un’attestazione di una mancanza dell’uomo attuale matematizzato nella sua logica. Oltretutto questa bidimensionalità estrema, tirata a lucido come una parete d’acciaio non lascia nessuna possibilità d’appiglio, niente tattilità, quindi niente corporalità per una società tecno-scientifica. Può essere anche un’operazione al rovescio, forse proprio questa mancanza ci stimola per reazione al desiderio di riaverla.




Afeltra:

dall’intarsio ligneo all’intarsio chimico-artificiale, ecco delle opere che hanno il gusto-tatto dell’attuale: forme di di-epossido combinate con pellicole elettrostatiche generanti una profondità al limite tra la percezione retinale e quella virtuale. Queste opere si sintetizzano a pieno nella formula “segni d’automazione”, il segno ultimo, quello impresso sull’opera è la risultante del gesto umano + la reazione chimico-organica, in cui si riequilibra il rapporto tra l’io e il mondo circostante. Lo spazio di queste opere supera le dimensioni euclidee configurando una dimensione “quarta” che si eterna in tutte le direzioni in un momento determinato. Proprio entro quest’oltre spazio i segni acquistano plasticità.



Pellini:

Una visualità urlata, le cui onde sonore frantumano la continuità di uno spazio che per quieto vivere vorremmo fosse nettamente delineato, apparentemente calmo; ma si sa che l’acqua cheta nasconde turbolenze interne. Dunque si ha l’impressione di un’identità del sé totalmente negata che per analogia rimanda ad una condizione storica di estrema precarietà. La Pellini, chiede alleanza all’ambito dei valori che si dimostrano più capaci di “resistere” alle macchine che si incontrano e delinea il suo agire nella sfera dei fenomeni organici, cellulari, biologici, ricercati ai livelli bassi, genetici, poiché sono alieni da compromessi con la sfera artificiale dei prodotti industriali. C’è solo il rischio, però nell’ostinazione a restare fedele all’organico, di scivolare nel reazionario.





Donatella Violi:

Nei paesaggi della Violi si sperimentano con grande diffusione sentimenti di solitudine e abbandono ed allo stesso tempo ansia e paure suscitate dalle relazioni interpersonali. Il successo delle chat-line e di tutte le modalità di relazione tecno mediate che attualmente imperano sono un chiaro esempio che mostrano come le persone siano apparentemente socializzate in rete, mentre in realtà possono essere profondamente chiuse in schemi mentali accomodanti ai propri bisogni narcisistici. Il Pensiero che vi si intravede è il fatto di creare forme di relazionalità basate su immagini della persona false e costruite, un po come a Valdrada, dove è importante la facciata della casa che si specchia nel lago, non ciò che vi si cela al suo interno. L’uomo non è più chi è, ma chi tenta di essere, chi finge di essere.



Gisela Robert:

In una società cibernetica in cui ogni manifestazione dell’uomo è un linguaggio generante informazioni sembra che la Robert dia un esempio genuino di sopravvivenza. La verità non è nella specializzazione ma nell’ibridazione; la sua pratica di mimesi vive “in mezzo a”, non si ancora a nessun lembo di terra, galleggia, vive in deriva perpetua. Le sue sono adesioni giustapposte di tratti che ammantano il piano-sfondo che scompare sotto il peso di miriadi di grafemi. Segni-lettere-simboli si mescolano e s’amalgamano in una fitta rete di catene semiotiche di un meta-linguaggio. Sono pagine verbo-visuali in cui la parvenza di una scrittura è un pretesto per riformulare sillabogrammi, allografi e logogrammi di un diverso sistema cognitivo. Alla semplicità superficiale dell’informazione odierna risponde con complessi logo-grammi che sono al limite della decifrabilità.
                                                                            Marcello Francolini



"SEGNI D'AUTOMAZIONE": RASSEGNA D'ARTE CONTEMPORANEA A STELLA CILENTO



"SEGNI D'AUTOMAZIONE": RASSEGNA D'ARTE CONTEMPORANEA A STELLA CILENTO





Sabato 27 luglio, alle ore 19.30, presso l’edificio “Rosa Niglio Itri” di Stella Cilento, con il patrocinio della Provincia di Salerno, dell’Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, dell’Unione Comuni dell’Alento e del Comune di Stella Cilento, si apre la decima rassegna di arte contemporanea Segni d’automazione, alla quale partecipano gli artisti Lucio Afeltra, Giovanni Bonanno, Silvio D’Antonio, Amedeo De Caro, Mimmo Fusco, Marco Paladini, Maria Pellini, Gisela Robert, Paolo Tomio, Donatella Violi, Rolando Zucchini. Le opere esposte sono testimonianza della loro attuale ricerca.


La mostra sarà presentata al pubblico dal sindaco di Stella Cilento Antonio Rodano e dal critico Marcello Francolini che ne ha redatto il testo in catalogo.


mercoledì 26 giugno 2013

CHRISTINE ANNE TARANTINO


I MESSAGGERI DEL TEMPO

Poema visivo di Giovanni Bonanno  dedicato a  Christine Tarantino

Christine Tarantino, 64 anni, di Wendell, Massachusetts, è morta il 7 dicembre 2012 presso Hospice della Fisher casa in Nord Amherst, Massachusetts.




la vita è fatta di incubi

e di strane certezze,

di desideri

e di profonde cadute,

in cui il tempo passato

svanisce veloce all’orizzonte

e macchia una intera stagione.



Esseri mutanti

cavalcano orgogliosi il vento

e non si accorgono

che le orme del passato

marciscono ataviche all’intemperie.



Sono cadaveri nati dal nulla

che lasciano bave mucose

e tracce di fuoco rappreso

sopra vecchie lastre di pietra abbandonate.



Vivere è svelare gli strani intrecci

tra la provvisorietà

e l’inconsistenza di un momento.


 
L’ultima ora,

è ancora più sfuggente,

ha la leggerezza dell’apparire

in un succedersi di strani

eventi in divenire.


Solo i profeti

condividono l’oscurità,

e sanno trasformare i dubbi

in arcane memorie private.


Lasciati uscire ancora un sorriso

che possa diventare certezza

per chi vorrà carpire qualcosa di più

di ciò che eravamo e siamo diventati.



© Giovanni Bonanno 2013



giovedì 13 giugno 2013

APERTA LA COLLEZIONE CIVICA D'ARTE “RITA GALLE'- UPIGLIO” A MENFI.


GIORGIO  UPIGLIO



Stampatore
di
Sogni




Apre ufficialmente a Menfi, nel profondo Sud, alla presenza del maestro stampatore e incisore d’arte Giorgio Upiglio, nella monumentale sede museale di Casa Planeta la Collezione Civica D’Arte “Gallè – Upiglio”. L’importante raccolta permanente ospita gli acquarelli, sculture, porcellane e gioielli di di Rita Gallé e le numerose opere grafiche stampate dal marito Giorgio Upiglio, uno dei più grandi stampatori che abbiamo avuto in Italia. Sono presenti litografie, acqueforti, bulini, xilografie e libri d’artista originali di grandi artisti come Mirò, De Chirico, Düchamp, Giacometti, Man Ray, Fontana, Alechinski, Buzzati, Gunter Grass, Minguzzi, Fiume, Guttuso, Paladino, Chin, ecc. che per realizzare le proprie incisioni hanno deciso di affidarsi alle mani sapienti del meticoloso Giorgio Upiglio grande e ricercato maestro della stampa originale. Il desiderio di Giorgio Upiglio è quello di realizzare a Menfi una fucina di artisti all’insegna dell’arte grafica.






Si spera che nuove acquisizione di importanti autori internazionali vengano acquisite al fine di avere una panoramica più completa della produzione artistica realizzata in questi ultimi decenni nel campo della grafica contemporanea.




BIOGRAFIA


Ha cominciato nel 1945 all’ ATLAS, Arti Litografiche Ambrosiane a Milano in Porta Vittoria, con il padre Emilio e lo zio Raffele Cervone. Uno spazio di circa mille metri quadri con un reparto litografico condotto dal maestro Dante Caldara, un reparto tipografico e un dipartimento per il confezionamento del prodotto finito. In quel periodo, la sera, con il cugino Luciano Cervone, stampavano opere originali per amici pittori quali Gianni Brusamolino, Piero Leddi, Floriano Bodini e molti altri.


Nel 1960 con Renato Volpini ha aperto una stamperia clandestina a Milano in Via Caltanisetta, vi rimasi fino al 1972 e conobbi il mio primo valido collaboratore, Giancarlo Pozzi. Nel 1962, la moglie Rita Gallè apre “Gallerita”, una galleria d’arte dedicata all’esposizione di stampe originali e libri prodotti nel suo laboratorio. Il 1962 è l'anno in cui apre anche la sua storica stamperia "Grafica uno", dove realizza le sue opere grafiche per i più importanti artisti nazionali ed internazionali: Giorgio De Chirico, Lucio Fontana, Marcel Duchamp, Wifredo Lam, Joan Mirò, Günter Grass, Valerio Adami, ecc.


Ha realizzato libri d'artista con i più famosi editori e collaborato con gli scrittori e poeti di maggior rilievo. Ha tenuto conferenze, corsi di stampa per università degli Stati Uniti, Messico e varie altre parti del mondo. Ampie rassegne espositive gli sono state dedicate sia in Italia che all'estero, tra cui si possono ricordare: Moderna Museet, Stoccolma 1968; Istituto Italiano di Cultura, Colonia 1985 e 1995; Biblioteca Nazionale Braidense, Milano 1995. Nel 2007 si è svolta l'esposizione della sua attività presso l'Istituto Nazionale per la Grafica a Roma, in collaborazione con l'Archivio del Moderno di Mendrisio (CH). È presente nei più importanti cataloghi d'arte e riviste nazionali ed internazionali.


Ha vissuto tanti spazi milanesi, traslocando ogni volta un enorme quantità di carta, da Via Caltanisetta a Via Fara 9, da Via Marco Bruto a Via Olmetto e nuovamente in via Fara 4, ancora oggi la stamperia è aperta e funziona regolarmente.

                                                                                                                               Giovanni   Bonanno,
                                                                                                                        Archivio Ophen Art di Salerno







Visit:




venerdì 7 giugno 2013

RAY JOHNSON / ART BASEL 44




RAY  JOHNSON



RICHARD  L. FEIGEN & CO.
ART BASEL 44
June 13-16 2013






THE RAY JOHNSON ESTATE IS REPRESENTED EXCLUSIVELY BY RICHARD L. FEIGEN & CO.

34 East 69th Street     New York, NY 10065











Top Blog - Arte - Giugno 2013

http://labs.ebuzzing.it/top-blogs/arte?start=20


martedì 4 giugno 2013

ROLANDO ZUCCHINI/ STRAPAESAGGI




Rolando Zucchini

"Strapaesaggi"

Da sempre sono stato affascinato dal paesaggio. Esso, a uno sguardo attento e consapevole, e non, per così dire, di sfuggita, offre rimandi, sensazioni e suggestioni. Il paesaggio si offre agli occhi dell’artista con tutte le sue possibili varianti espressive che mutano ai differenti punti di vista. Sta a ognuno saperne coglierne gli aspetti più confacenti alla sua affinità espressiva, all’istinto naturale che c’è in lui; e sta a lui saperlo interpretare attraverso un’operazione di astrazione. Ha poco senso, ormai, tentare la sua riproduzione pedissequamente figurativa. A meno che non si desideri rappresentarne esclusivamente la bellezza esteriore, cosa perfettamente lecita e molto ben riuscita nel corso dei secoli nella storia dell’arte, il paesaggio va spiritualizzato per farlo tornare a vivere in una nuova dimensione. Sublimarlo mediante le emozioni che esso suscita. L’artista, messo di fronte a una qualsiasi visione, non può limitarsi a rifarla, a copiarla, ma entrare in essa per coglierne gli aspetti più reconditi, lasciarsi trasportare dal flusso dei pensieri che lo agitano. Un orizzonte non è solo un orizzonte, un orto non è solo un orto, così come il mare e il deserto e il cielo stellato che di notte ci sovrasta. L’artista li ammira, li osserva, li interiorizza, e poi se li dimentica; per ripescarli, quando meno se l’aspetta, nei meandri della mente, e li fa rivivere inconsapevolmente. Da questa operazione di astrazione, le opere non nascono dalla diretta osservazione, puramente empirica, dei dati sensibili, ma dalla riflessione che quei dati ha rielaborato seguendo inclinazioni e attitudini. Un quadro è il mondo circostante meditato e mediato dalla sensibilità di colui che l’ha creato. Un quadro ne suggerisce un altro e un altro ancora, senza più avvertire il bisogno di guardarsi attorno, perché, dopo il processo di assimilazione, le opere nascono spontanee. Lo sguardo dell’artista, quindi, non è semplicemente neutro, non si limita all’osservazione della realtà, ma attinge da essa per imbottirsi e caricarsi, e, poi, non si sa quando, svuotarsi con i gesti sulla tela. In tale procedimento di creazione, egli affina la tecnica, la migliora, per meglio esprimere ciò che gli sta dentro. Allora, e solo allora, un quadro prende vita. Non è qualcosa di fisso, di statico, di immobile. Un quadro ci accompagna e vive con noi: diventa mutevole, così come mutevoli sono gli umori di chi lo guarda. Ecco: paesaggi stravolti, straformati, straordinari; insomma: strapaesaggi. (Rolando Zucchini)






Strapaesaggio 9 2013 olio e t.m. su tavola 50x50 cm. (coll. Bongiani Art Museum – Salerno )