giovedì 2 giugno 2011

VINCENZO NUCCI A SALERNO



SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY



VINCENZO  NUCCI


ILLUMINAZIONI:   “Tra Luce, Memoria e Malinconia”

(Retrospettiva Collaterale e Contemporanea alla 54° BIENNALE di VENEZIA - Padiglione Italia, 2011)


A CURA

di GIOVANNI BONANNO

11 Giugno al 27 Novembre 2011

Inaugurazione: Sabato 11 Giugno 2011

ore 18.00


Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159
e-mail: bongiani@alice.it – Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/

Orario galleria 16 -19 Lunedì – Domenica

In concomitanza con la 54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno apre l’11 giugno 2011 con una mostra Retrospettiva dedicata a Vincenzo Nucci, artista siciliano di grande interesse che da diversi decenni ha improntato il suo lavoro di ricerca sulla luce e che risulta invitato al Padiglione Italia, 2011.


La retrospettiva dal tema “Illuminazioni: Tra luce, memoria e malinconia” documenta una selezione ragionata di 75 opere fra oli e pastelli (dal 1978 al 2010) realizzate da Vincenzo Nucci negli ultimi trent’anni di attività.” Il tema è il paesaggio, la campagna, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose buganvillee fiorite di lacche rosse, e soprattutto la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Enzo Nucci dipinge la natura siciliana, in quel tratto di costa intorno a Sciacca queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una assorta malinconia. Le sue opere sono “memorie di un tempo”, con le case, le palme, i rampicanti e le buganvillee che hanno preso il sopravvento e riempito il vuoto di una vita che ormai non c’è più. L’artista saccense guarda alla natura, al paesaggio con stupore. Le sue opere vivono la dimensione intima e "visionaria” dandoci struggenti emozioni e nel contempo delicati e sottili memorie che solo la poesia, quella vera, sa rivelare. Come dice Piero Guccione, (1989) "Enzo Nucci è uno dei pittori che dipingono ancora la natura. Più esattamente Nucci dipinge la natura siciliana poiché la abita; in quel tratto di costa intorno a Sciacca dove più fortunata e civile la vita conserva un barlume di dolcezza rispetto ad altre zone devastate dell'isola. […] queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una malinconia greve "irredimibile" della nostra natura insulare." E’ dal 1980 che Vincenzo Nucci dipinge paesaggi, paesaggi della Sicilia con la casa padronale, le mura di cinta, e oggi le palme, simbolo della dolce Sicilia,del la Sciacca araba e Barocca che dal mare con orgoglio guarda all’Africa e sogna. Enzo Nucci, è un artista di grande qualità, capace di cogliere le insolite e struggenti emozioni dell’anima. Dalla sua finestra sopra il porto di Sciacca guarda affascinato l’orizzonte del mediterraneo, l’Africa e il magico ed esotico Oriente e intanto traccia immagini di palme e di orizzonti volutamente non definiti in cui la nostalgia intrisa di insolite memorie si tramuta in delicata e struggente malinconia, in assorto silenzio e soprattutto in incantata e magica rivelazione lirica.




Vincenzo Nucci : 
 “Tra Luce, Malinconia e Memoria”


Vincenzo Nucci da circa un quarantennio di ricerca dipinge ossessivamente i luoghi della memoria, della malinconia, con antiche ville secolari dove il tempo si è apparentemente rappreso e fermato. I suoi primi lavori negli anni Sessanta hanno avuto come tema centrale la guerra in Vietnam e il terremoto in Sicilia con una pittura pienamente aggiornata rispetto l’esperienze culturali e artistiche che si svolgevano in quel tempo in campo internazionale. Dopo circa un decennio di attività, di colpo, ha visto l’artista siciliano allontanarsi dalle vicende prettamente sociali e il tema ricorrente della sua pittura è diventato soltanto la sua Sicilia. Per diversi anni Vincenzo Nucci ha continuato a osservare curioso il paesaggio della sua fascinosa Sciacca con la casa padronale e le inquiete buganvillee fiorite dai colori vellutati che si arrampicano avidi a scrutare il mare Mediterraneo e l’orizzonte immacolato dell’Africa araba. Per molti anni l’artista ha dipinto in modo ossessivo solo paesaggi, quei paesaggi del Belice con gli orizzonti dati come “logos indefinito”, come superamento del dato provvisorio del reale e del visibile. Un visibile che s’incarna nella figurazione ma nel contempo la trascende e la proietta in una dimensione soffusa, intima in cui l’apparire si trasforma in essenza malinconica carica di silenzio e di cose non completamente svelate. L’artista ormai lavora sul crinale ossessivo di una figurazione in cui le immagini vivono la dimensione sospesa e impalpabile del momento.

Sono magiche visioni che si posizionano metaforicamente tra natura e storia, tra coscienza e sofferta aspirazione. La tela di Nucci non è altro che il “sudario della memoria”, dei ricordi rappresi, del passato trascorso che affiora come dolce ricordo e si condensa in materia più concreta e lirica. La visione dell’artista saccense nasce quindi da questa particolare capacità di trasportarci in un altrove praticabile in cui sentiamo persino i suoni, gli odori e i profumi delle diverse stagioni isolane; l’odore di terra dopo un temporale, il profumo del basilico, le cicale sospese all’ombra di una palma gentilizia a cantare e ricordarci i memorabili momenti di vita trascorsi accanto ad un solitario casolare di campagna. Insomma, la pittura di Enzo Nucci è intrisa di insolite memorie cariche di nostalgia e di profondo e assorto silenzio. Il paesaggio per l’artista siciliano non è semplice descrizione o pura sensazione percettiva ma inesorabile ossessione, struggente apparizione di memorie di luce non del tutto corporee ma che lasciano comunque tracce sostanziali ancora visibili. Tutta la sua pittura è intrisa di passato, di ricordi sedimentati in una dimensione alquanto provvisoria ma immediata.



Per il pittore siciliano, l’arte è essenzialmente evocazione, sortilegio, vertigine. Forse il suo mistero sta tutto racchiuso nel suo magico studio arroccato tra tante fitte case arabe pressate a dismisura sopra il porto che formano la parte antica e più vera della città di Sciacca. Lì prendono forma i ricordi e nascono le architetture e i giardini con insoliti paesaggi svuotati di ogni presenza umana; solo la memoria della natura nella sua mitica essenza e nel silenzio più maestoso. Una visione decisamente “sospesa”, di confine, dilatata a dismisura che si concede ai flussi illogici dell’anima per diventare aria, vento africano, apparizione e anche superba emozione poetica. Da lì, l’artista scruta gli umori del giorno e elabora le sue misteriose visioni dai colori tenui che si trasformano per incanto in tonalità di colore alquanto ricercati. Come dice Philippe Daverio, “quell’architettura siciliana che proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell'infinito della luce e della percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al sole il colore della loro identità mediterranea”. Secondo Nucci, Il percorso pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di emozioni, di ricerca infinita, di dubbi, e poi d’immagini, di silenzio assorto e anche di interminabili viaggi che l’occhio compie in cerca di qualche autentica certezza.

Quella di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di Nucci la luce è l’unica certezza, la vera presenza che può tentare di svelare la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione in cui il sale per strano sortilegio s’impasta con i delicati ricordi del passato e con il sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in apparizioni misteriose, sfuggenti. I ricordi di luce impressi nella tela attraverso la pittura non posseggono una forma definita e definitiva, sono solo presenze che condividono la dimensione di chi è diseredato e tenta invano di resistere, di esserci ancora, “dove la natura - come dice Aldo Gerbino - si stempera nella grazia di un estenuato ricordo, come sopraffatto da quella lacerazione nostalgica che concede quel tanto che basti al passato”.

Una natura ritrovata che nasce da un assiduo contatto con artisti del suo tempo come Ruggero Savinio, Piero Guccione, Carlo Mattioli, legati da profonde affinità di come poter trattare e intendere il visibile e anche dal continuo approfondimento con il passato, come Pierre Bonnard che Nucci ama più di tutti per la rara capacità che ha il pittore francese di trattare la dolce materia e farla vibrare in delicate e ricercate intensità cromatiche. Nella pittura di Vincenzo Nucci le antiche ville padronali dal tufo macerato dal tempo appaiono come presenze sfuggenti, quasi apparizioni metafisiche. La densa materia del colore ad olio o del pastello a contatto con la luce sembra che si sfarini trasformandosi improvvisamente in essenza malinconica, in delicata e soffusa presenza onirica con il vento maestoso e prepotente del Carboi che di notte, all’ombra di una palma araba africana, sembra che sibili malinconici ricordi di un tempo ormai trascorso e intanto di giorno accarezza compiaciuta l’aspra e selvaggia radura ancora non domata del selvaggio Belice. Questa è l’emozione che si respira guardando gli insoliti scorci paesaggistici in cui la luce siciliana si distende beffarda come timida apparizione. Paesaggi della memoria che incarnano provvisoriamente il mistero della vita, paesaggi in/cantati rilevati nella dimensione più intima e sofferta dell’anima. Questa è la pittura di Vincenzo Nucci.                                                                                          Giovanni Bonanno






Biografia

Vincenzo Nucci è nato a Sciacca (Ag) nel 1941 e qui ha sempre lavorato. Frequenta l’Istituto d’Arte di Palermo e l’Accademia di Belle Arti di Agrigento. Le sue prime personali, nel decennio fra il 1960 ed il 1970 in varie città italiane, lo vedono impegnato nei temi sociali e drammatici come la guerra del Vietnam e il terremoto del Belice. Dal 1980 Nucci dipingerà solo paesaggi, anzi il paesaggio Siciliano, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose bouganville fiorite di lacche rosse, le antiche rovine di Selinunte e, infine, lei, la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Nel 1989 è invitato alla Biennale Nazionale Città di Milano, Palazzo della Permanente. Nel 1991 conosce Philippe Daverio che lo invita ad esporre alla rassegna d’arte “Anni Ottanta in Italia” all’Ex Convento di San Francesco di Sciacca e successivamente organizza una sua personale alla galleria Daverio a Milano. Nel 1992 conosce Marco Goldin che gli organizzerà nel 1994 una mostra antologica a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con scritti in catalogo dello stesso Goldin, di Guido Giuffrè e di Marco Vallora. A Conegliano, Palazzo Sarcinelli esporrà ancora nella rassegna “Da Fattori a Burri, Roberto Tassi e i pittori”, nella mostra “Una donazione per un nuovo museo”, e ancora nel 1998 “Elogio del pastello, da Morlotti a Guccione”. Sempre su invito di Marco Goldin, nel 1999 terrà una mostra antologica del pastello “Opere 1981-1999″, a Treviso nella Casa dei Carraresi, con testi di Marco Goldin ed Enzo Siciliano. Nel 2003-2004 la Provincia Regionale di Palermo organizza una sua mostra antologica al Loggiato San Bartolomeo, “Opere 1981-2003″, con scritto in catalogo di Aldo Gerbino. Nel 2006 è invitato da Philippe Daverio alla LVII edizione del Premio Michetti di Francavilla al Mare. Nel 2007 è presente alla mostra “Arte Italiana 1968-2007. Pittura”, curata da Vittorio Sgarbi al Palazzo Reale di Milano. Del 2008 la mostra personale “Impressioni di luce” alla Galleria 61 di Palermo e l’antologica “Opere 1984 – 2008” presso l’ex Convento di San Francesco a Sciacca con testo in catalogo di Philippe Daverio. Del 2010 la personale “Gli uomini del paesaggio” alla Galleria Spazio Forni di Ragusa e la collettiva “Mare Nostrum” alla Galleria Forni di Bologna. Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia. L’artista vive a Sciacca.

lunedì 3 gennaio 2011

Calendario Stagione 2010/2011

MOSTRE Virtuali 
WWW.OPHENVIRTUALART.IT




SVOLTE:
- 4 Settembre - 29 Ottobre / Mostra Retrospettiva di Giuliano MAURI


- 6 Novembre - 6 Gennaio 2011 / Mostra Retrospettiva di Paolo SCIRPA

 - 8 Gennaio - 31 Marzo 2011 / Mostra Antologica di Clemente PADIN



- 11 Giugno - 27 Novembre 2011 / Mostra Retrospettiva  di Vincenzo NUCCI





DA FARE:
- Dicembre 2011 - Settembre / Mostra Personale di Marcello DIOTALLEVI



CORSO 

- 11 Giugno – 27 Novembre 2011 / Mostra Retrospettiva  di VINCENZO NUCCI
 Presentazione  critica di GIOVANNI BONANNO
                                                                         
 
VINCENZO  NUCCI

ILLUMINAZIONI:   “Tra Luce, Memoria e Malinconia”

(Retrospettiva Collaterale e Contemporanea alla 54° BIENNALE di VENEZIA - Padiglione Italia, 2011)

In concomitanza con la 54a Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno apre l’11 giugno 2011 con una mostra Retrospettiva dedicata a Vincenzo Nucci, artista siciliano di grande interesse che da diversi decenni ha improntato il suo lavoro di ricerca sulla luce e che risulta invitato al Padiglione Italia, 2011.

La retrospettiva dal tema “Illuminazioni: Tra luce, memoria e malinconia” documenta una selezione ragionata di 75 opere fra oli e pastelli (dal 1978 al 2010) realizzate da Vincenzo Nucci negli ultimi trent’anni di attività.” Il tema è il paesaggio, la campagna, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose buganvillee fiorite di lacche rosse, e soprattutto la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Enzo Nucci dipinge la natura siciliana, in quel tratto di costa intorno a Sciacca queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una assorta malinconia. Le sue opere sono “memorie di un tempo”, con le case, le palme, i rampicanti e le buganvillee che hanno preso il sopravvento e riempito il vuoto di una vita che ormai non c’è più. L’artista saccense guarda alla natura, al paesaggio con stupore. Le sue opere vivono la dimensione intima e "visionaria” dandoci struggenti emozioni e nel contempo delicati e sottili memorie che solo la poesia, quella vera, sa rivelare. Come dice Piero Guccione, (1989) "Enzo Nucci è uno dei pittori che dipingono ancora la natura. Più esattamente Nucci dipinge la natura siciliana poiché la abita; in quel tratto di costa intorno a Sciacca dove più fortunata e civile la vita conserva un barlume di dolcezza rispetto ad altre zone devastate dell'isola. […] queste immagini di palme e brevi orizzonti contemplano il sentimento di una malinconia greve "irredimibile" della nostra natura insulare." E’ dal 1980 che Vincenzo Nucci dipinge paesaggi, paesaggi della Sicilia con la casa padronale, le mura di cinta, e oggi le palme, simbolo della dolce Sicilia,del la Sciacca araba e Barocca che dal mare con orgoglio guarda all’Africa e sogna. Enzo Nucci, è un artista di grande qualità, capace di cogliere le insolite e struggenti emozioni dell’anima. Dalla sua finestra sopra il porto di Sciacca guarda affascinato l’orizzonte del mediterraneo, l’Africa e il magico ed esotico Oriente e intanto traccia immagini di palme e di orizzonti volutamente non definiti in cui la nostalgia intrisa di insolite memorie si tramuta in delicata e struggente malinconia, in assorto silenzio e soprattutto in incantata e magica rivelazione lirica.

                 
Visita:


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Tutti i Diritti  sono riservati , pertanto,  per qualsiasi richiesta  occorre contattare espressamente l'artista in questione  o l'Ophen virtual Art Gallery per avere Il permesso esplicito di Pubblicazione.  

venerdì 31 dicembre 2010

MOSTRA ANTOLOGICA DI CLEMENTE PADIN




SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY


MOSTRA ANTOLOGICA   di CLEMENTE PADIN

“OLTRE IL MURO,  TRA UTOPIA E TRASGRESSIONE”

A CURA  di GIOVANNI BONANNO


8 GENNAIO – 31 MARZO 2011

Inaugurazione: Sabato 8 Gennaio 2011 ore 18.00



Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159

e-mail: bongiani@alice.it – Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/

Orario galleria Lunedì - Domenica




Comunicato Stampa

“Oltre il Muro, tra Utopia e Trasgressione” é il titolo della mostra antologica che lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica a Clemente Padin, uno dei più importanti e storicizzati artisti uruguaiani che per questa mostra presenta 72 opere tra “Visual Poems”, Poesia Digitale e Mail Art realizzati tutti tra il 1967 e il 2010.

Clemente Padin è un artista decisamente complesso che si pone volutamente in disparte da provvisorie ipotesi mercantili nel tentativo di procedere oltre il limite, oltre il muro, tra utopia e trasgressione. Partito nel 1967 da proposte di poesia visiva con i suoi “Visual Poems” e ben presto approdato alla Mail Art, in contatto con il mondo alternativo dell’arte postale grazie anche al coinvolgimento e scambio di opere e di opinioni nel complesso circuito latino-americano. Oggi, Clemente Padin è un’artista di “frontiera”; grafico, performer, videoartista, e impegnato attivamente nel netartworker e soprattutto nel sociale. Nel 1974, durante la dittatura militare uruguayana, aveva organizzato il primo Latinoamericana Mail Art Exposition a Galeria U, a Montevideo, Uruguay. Denunciato per idee sovversive dal regime dittatoriale uruguaiano in quel tempo assai poco disponibile al rispetto dei diritti umani, arrestato e processato dalla dittatura del suo paese per vilipendio alla morale ed alla reputazione dell'Esercito, venne condannato a quattro anni di prigione e incarcerato. Dopo due anni di permanenza in carcere (agosto del 1977 a tutto novembre 1979), venne liberato in anticipo grazie all'interessamento di molti artisti ed alla solidarietà internazionale, tuttavia, per diversi anni subì tragicamente la costrizione e l’impedimento della libertà, costretto a condividere dal 1977 al 1984, una libertà vigilata e “condizionata”. Solo nel 1983 ha potuto riprendere e continuare in modo più costante il suo impegno contro le armi e la violenza e il rispetto dei diritti umani. Oggi, dopo oltre un quarantennio di attività, Clemente Padin è ormai un artista conosciuto a livello internazione per i suoi apporti soprattutto nel sociale; uno dei pochi artisti contemporanei ancora impegnati in una attenta e sistematica denuncia del sistema politico e della triste condizione umana. In tutti questi anni l’artista uruguaiano ha continuato, con tutti i modi e gli strumenti possibili a sua disposizione, a credere e a sperare nella libertà, nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza etnica, politica, religiosa, e anche dalla condizione sociale e economica. Sicuramente è un artista interessante soprattutto per il continuo apporto alle problematiche sociali e umane svolte in tanti anni di lavoro. In tutta l’opera di Padin è presente il carattere essenzialmente ideologico, una determinata utopia propositiva e anche la lucida energia trasgressiva che questo straordinario artista immette volutamente e costantemente in tutto il suo lavoro di ricerca, supportato anche da nuovi ed efficaci strumenti come la mail art, l’arte digitale e la performances che permettono di evidenziare in modo prepotente e compiuto tali problematiche.
                                                            


Chi è Clemente Padin?
Biografia:
Clemente Padin (Lascano, Rocha, Uruguay, 8 ottobre 1939). Poeta, artista e graphic designer, performer, artista video e multimediali in rete.

Si è laureato in Letteratura Spagnola presso la Facoltà di Lettere e dell'Educazione presso l'Università della Repubblica (Uruguay).

Ha diretto le seguenti pubblicazioni: Huevos del Plata (1965-1969), 10 e OVUM OVUM (1969-1975), partecipazione (1984-1986) e Correo del Sur (2000). Attualmente lavora con la rivista d'esplorazione culturale: Online Magazine Arte Contemporanea e Nuove Tendenze.

Ha pubblicato in riviste e pubblicazioni internazionali. E 'stato tradotto in molte lingue, tra cui inglese, portoghese, francese, italiano, ungherese, olandese, tedesco e russo.

Per la sua opposizione alla dittatura uruguayana (1973-1984), ha passato 2 anni in carcere, e fino al 1984 era in "libertà vigilata". Dopo il 1984 ha potuto sviluppare liberamente il suo lavoro artistico e letterario.

Ha partecipato a numerose esposizioni e mostre d'arte e oltre 2.000 mostre di mail art in tutto il mondo.



Born on octuber 8, 1939 in Lascano, Uruguay. Poet, artist and graphic designer, performancer, videoartist, multimedia and netartworker. Graduated in Letras Hispanas of University of The Republic, Uruguay. Director of the art magazines Los Huevos del Plata (1965-1969); OVUM 10 and OVUM (1969-1975) and Participación (1984-1986). Author of 18 books edited in Francie, Germany, Holanda, Italie, Venezuela, United States and Uruguay. Has participated in numerous art exibitionns and more than 2.000 exibitions of mail art in the word. One solo show in United States, Italie, Corea, Argentina, Uruguay, Germany, Spain, Belgic and Japon. Some of recognition it has receive are special invitated in the XVI Bienal of San Pablo, Brazil, 1981; Special Mention in I Bienal de La Habana, Cuba, 1984. The Art and Letters Academy of Germany le concedió una beca en 1984, etc. Since La Poesía Debe Ser Hecha por Todos, Montevideo, Uruguay 1970, ha realizado docenas de presentaciones y performances en todo el mundo. Se han publicado sus notas y artí****s en docenas de revistas y publicaciones traducidas al inglés, portugués, francés, italiano, húngaro, holandés, alemán y ruso y ha participado en múltiples eventos en Internet desde 1992. Ha participado personalmente en encuentros relacionado con el arte y la poesía, since Exposición de Proposiciones a Realizar, Buenos Aires, 1971 and XVI Bienal de San Pablo, Brasil, 1981,until XI International Congresse of Estetic, Nottingham, Inglaterra, 1988; Acciones, Chester Spring, Filadelfia, EE UU. 1989; XXXIX Congreso SALALM, Salt Lake City, Utah, EE.UU. 1994; V International Bienal of Visual/ Experimental Poetry, México City, México, 1996, Eye Rytmes, Edmonton, Alberta, Canadá 1997; Intersignos, San Pablo, Brasil 1998; VIII International Festival of Poetry, Medellín, Colombia 1998, International Biennale of Poetry, Belo Horizonte, Brasil 1998, and much more.


+ Clemente Padín: http://www.escaner.cl/padin
E-mail:  clepadin@adinet.com.uy,   7w1k4nc9@adinet.com.uy,   clementepadin@gmail.com.uy
Indirizzo: Clemente Padín  C. Correo Central 1211  11000 Montevideo – Uruguay  Tel. + (598 2) 506 0885






CLEMENTE  PADIN

Presentazione Critica
di Giovanni Bonanno



Oltre il muro, tra utopia e trasgressione


Da un po’ di tempo la situazione artistica contemporanea risulta complicata e imprevedibile. Dopo i profondi mutamenti delle avanguardie storiche che hanno contribuito definitivamente al mutamento della cultura degli ultimi decenni. In questi ultimi anni si sta assistendo ad una ondata ripetuta di citazioni senza alcuna autenticità, creata da falsi profeti illuminati che venduti al consumismo ai centri di potere, creano gruppi e progettano mostre senza alcun valore culturale. Un eccessivo proliferare di artisti, di gallerie e di riviste, di cataloghi monografici che girano attorno una situazione che nasce essenzialmente dalla pianificazione pre-organizzata dagli addetti ai lavori con il solo fine di portare l’arte verso una sorta di azzeramento delle idee a grado zero. Queste inaffidabili strategie lucidamente mercantili vengono attuate con il solo fine di rinnovare il mercato e l’interesse del collezionismo ormai esausto a casa della crisi del mercato dell’arte, e più in generale della fastidiosa crisi economica e finanziaria che attanaglia da tempo il sistema economico di tutto il villaggio globale. Molti giovani, a scadenze programmate, vengono sacrificati sull’altare dell’arte pronti a cambiare pelle e produzione artistica a seconda delle richieste di certi critici alla moda. Luciano Caruso si è posto lucidamente il problema confessando: “Chissà se col tempo capiranno che sono serviti da truppa d’assalto, in vista di ben altri interessi!”. Ne risulta, quindi, una situazione profondamente confusa, senza idee e soprattutto senza un progetto lucidamente perseguito di messa in discussione del mondo. Dopo il riflusso e la situazione chiaramente mercantile, la situazione oggi impone all’artista il riprendere il cammino interrotto e il recupero più alto dell’esperienza precedente, per proseguire verso la trasgressione, rifiutando le leggi del mercato che condizionano l’artista a tal punto da far prediligere la qualità mercantile dell’oggetto che l’energia estetica e creativa del vero lavoro artistico. Naturalmente in questa condizione difficile, l’artista può lavorare individualmente in modo forte, solo se trova dei riferimenti che possano garantire degli stimoli che siano rilevati non da una realtà attuale piuttosto confusa, bensì da un momento di presa di coscienza veramente autentica. Esiste sempre un dualismo fra un’arte cosiddetta “normale” e un’arte “progressiva”, cioè tra un’arte che opera con i canoni e nei canali stabiliti dalle regole della comunicazione codificate. Il suo vero destino è quello di porsi in condizione di essere continuamente emarginata ed estraniata dai circuiti economici della comunicazione. Il solo obiettivo lucido che il mercato dimostra di possedere, credo, è quello di esaltare costantemente la superficialità produttiva nel tentativo di omologarla nel sistema culturale e soprattutto soffocare la ragione vera e autentica dell’opera d’arte: la creatività. Un’artista attento esclusivamente a delle verità di ricerca non potrà mai essere economicamente autosufficiente perché si trova in perfetta antitesi col mercato. I suoi sono antivalori per il mercato. Per cui ogni attività profonda e totalizzante dell’artista non può non contare sul risultato economico del proprio esercizio. L’arte non può morire soffocata dall’inutilità “funzionale” del consumismo, a causa di una società multinazionale e regime culturale che considera il sistema artistico un “sottosistema comunicativo” che controlla perfettamente e non rispetta la funzione primaria dell’arte che è soprattutto quella di affermare autonomamente la creatività dell’uomo. Un artista complesso e non uniformato ai dettami del potere commerciale e politico globale è sicuramente l’uruguaiano Clemente Padin. Un artista decisamente lucido che si pone volutamente in disparte da provvisorie ipotesi mercantili nel tentativo di procedere oltre il limite, oltre il muro, tra utopia e trasgressione. Partito nel 1967 da proposte di poesia visiva con i suoi “Visual Poems”, opere che abbracciano un arco di tempo che va dal 67 al 70 e ben presto approdato alla Mail Art, (già nel 1967 era entrato in contatto con il mondo alternativo dell’arte postale grazie alle pubblicazioni di Dick Higgins, alla corrispondenza con Ken Friedman e anche al coinvolgimento e scambio di opere di arte postale e di opinioni nel circuito latino-americano composto allora da Edgardo Antonio Vigo, Guillermo Deisler, Horacio Zabala, Bruscky Paolo del Brasile, Julio Plaza, Pedro Lyra, Damaso Ogaz, Daniel Santiago, Samaral, Jonier Marín, Diego Barboza e qualche altro artista latino. Nel 1971 partecipa alla prima mostra di Ray Johnson a Filadelfia.). Oggi, Clemente Padin è un’artista di “frontiera”; grafico, performer, videoartista, e impegnato attivamente nel netartworker e soprattutto nel sociale. Nel 1974, durante la dittatura militare uruguayana, aveva organizzato il primo Latinoamericana Mail Art Exposition a Galeria U, a Montevideo, Uruguay. Denunciato per idee sovversive dal regime dittatoriale uruguaiano in quel tempo assai poco disponibile al rispetto dei diritti umani, arrestato e processato dalla dittatura del suo paese per vilipendio alla morale ed alla reputazione dell'Esercito, venne condannato a quattro anni di prigione e incarcerato. Dopo due anni di permanenza in carcere (agosto del 1977 a tutto novembre 1979), venne liberato in anticipo grazie all'interessamento di molti artisti ed alla solidarietà internazionale, tuttavia, per diversi anni subì tragicamente la costrizione e l’impedimento della libertà, (2 anni di carcere e altri 5 lunghi anni di libertà vigilata e “condizionata”, dal 1977 al 1984, per un totale di 7 interminabili anni). Solo nel mese dell’ottobre 1983 ha potuto riprendere un po’ più assiduamente la sua attività artistica organizzando alcune interessanti mostre come quella storica del "1° Maggio" presso l'Associazione degli impiegati bancari di Uruguay e continuare in modo più costante il suo impegno contro le armi e la violenza e il rispetto dei diritti umani. Oggi, dopo oltre un quarantennio di attività, Clemente Padin è ormai un artista conosciuto a livello internazione per i suoi apporti soprattutto nel sociale; uno dei pochi artisti contemporanei ancora impegnati in una attenta e sistematica denuncia del sistema politico e sociale e della triste condizione umana. In tutti questi anni l’artista uruguaiano ha continuato, con tutti i modi e gli strumenti possibili a sua disposizione, a credere e a sperare nella libertà, nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza etnica, politica, religiosa, e anche dalla condizione sociale e economica. Insomma, ci ha fatto capire che bisogna ripudiare energicamente la violenza, il terrorismo e la guerra, come unico strumento per risolvere le contese tra gli uomini e gli stati. Inoltre ci ha sollecitato verso un comportamento più attivo e propositivo, verso un mondo che incentra il suo esistere sulla giustizia sociale, sulla solidarietà di tutti, sul rispetto, sul dialogo e su un’equa distribuzione solidale delle risorse disponibili. Sicuramente è un personaggio da proporre come Premio Nobel per la pace per il continuo apporto alle problematiche sociali e umane svolte in tanti anni di lavoro. Purtroppo, nel nostro distratto e arrogante pianeta terra assistiamo increduli ad una sistematica demolizione di ogni principio di giusta convivenza civile, basata sull’esclusione e sulla costante discriminazione sociale dell’essere umano, in un sistema prevaricante che preferisce al dialogo la barbarie e la diseguaglianza sociale. In tutta l’opera di Padin è presente il carattere essenzialmente ideologico, supportato da nuovi strumenti come la Mail Art che permettono di evidenziare in modo prepotente ed efficace tali problematiche. Padin in una sua dichiarazione afferma: “Mail Art from these tendencies and return it to its communicative efficacy. It is impossible to reduce artists to the political or the social; yet artists can only reduce reality by pretending that their work is not involved in the political and social. In conclusion, there are several options that the networkers can choose from:

• They can opt for social values already in existence or they can change the codes of social communication.

• They can qualify or try to measure the different mechanisms of control within the system, or try a new form of representation that will enable artists to question all established knowledge.

• They can reproduce work only for the art market which includes all work that is permissible, or propose works and texts that question the aesthetic, social and political status.

• They can resign their social responsibility by "l´art pour l´art" or... (1)

Per convincersi davvero dell’apporto e dell’importanza di Clemente Padin basterebbe soltanto aprire per un momento gli occhi per rimanere di colpo indifesi e smarriti per tale determinata e prepotente indagine sociale, per l’utopia propositiva e anche per la continua e lucida energia trasgressiva che questo straordinario artista immette volutamente e costantemente in tutto il suo lavoro di ricerca.            Giovanni Bonanno



(1) - (book "ETERNAL NETWORK-A Mail Art Anthology" edited by Chuck Welch, University of Calgary Press, Alberta, Canada, 1995 (page 205)

giovedì 4 novembre 2010

MOSTRA RETROSPETTIVA DI PAOLO SCIRPA




“La mia ombra sospesa dentro un Ludoscopio”


(di G. Bonanno –  Poema Visivo   dedicato a Paolo Scirpa)





Con.

gli occhi

rimango sospeso

a scrutare

incantato

l’ombra

del

nulla,

avido attraverso

spazi insostanziali a me ignoti,

cerco nel non luogo

di aggrapparmi a brandelli di luce.

Il viaggio tra incertezza e transitorietà

si fa ora insostenibile.

Come una dinamo la mia essenza volubile

si frantuma e si compenetra nel vuoto.

Ormai sono solo luce

e accadimento incessante,

frammento in volo

e anche energia sospesa.

Nel silenzio

più assorto

e inquieto

scopro

stupito

di esserci

anche

ora.

Giovanni Bonanno © 2010





Cattedrale di Noto, navata centrale, 2010
Collezione Bongiani Ophen Art Museum di Salerno 




" L’UTOPIA   PRATICABILE"

Presentazione di Giovanni Bonanno



L’arte, da sempre, vive la dimensione conoscitiva di diverse ricerche e scoperte che vengono “filtrate” dall’artista, confrontate e sublimate in una cosa che chiamiamo “creatività”. L’artista è essenzialmente un produttore di immagini che vengono fuori dalle nuove scoperte della fisica e di tutte le scienze in genere; deve per forza leggere in profondità, dentro una complessità del sistema socio-culturale. La produzione creativa, pertanto, risente di questi fattori a tal punto che n’è altamente condizionata, per cui, produrre al di fuori di queste coordinate non ha alcun senso. Sono sempre più convinto che l’artista di oggi ha bisogno di indagini sempre più di tipo sociologico e scientifico se vuole approdare a rilevamenti di una certa consistenza e sostanza culturale. Questo modo di procedere è stato compreso da subito da Paolo Scirpa. Tra il Settanta e gli anni Ottanta, il lavoro dell’artista siciliano si collocava già in linea con diverse ricerche e tendenze contemporanee internazionali e la sua posizione risultava autonoma e singolare rispetto alle proposte formulate in Italia da diversi personaggi dell’arte che si sono avventurati verso ipotesi altamente condizionate dal mercato, dal facile e provvisorio riscontro del momento a fini meramente speculativi. Partito da un iniziale interesse futurista e dada, si ritrova negli anni Sessanta ad approfondire le ricerche più significative di quel periodo; dai “primitivi” concetti spaziali di Fontana alle ricerche percettive di Albers e da qui al Cinetismo. Da un lato, le ricerche ottiche e percettive e dall’altro la nuova poetica del Nouveau Realisme di Pierre Restany. In più di 40 anni di ricerca, l’artista non si è mai limitato a proporci una sua visione monotona, anzi, ha indagato ad ampio raggio le diverse possibilità del fare con soluzioni assai concilianti e sorprendenti. Mi riferisco all’uso di diverse tecniche come l’incisione, la pittura geometrica di impronta ottica, la pittura al fosforo giocata sul doppio modo di percepirla, fino ai progetti utopistici nel territorio. Infatti, dopo i “Ludoscopi”, negli anni Ottanta inizia a realizzare anche una serie di progetti d’intervento nel territorio utilizzando il fotomontaggio con inserimenti di elementi artificiali nel tessuto consueto del reale. Ipotesi chiara, questa, di una ricerca d’’impronta utopistica” in cui il reale viene metaforicamente violato da segnali, interferenze e presenze al neon “dis-equilibranti”. Anche in queste nuove opere, come i “ Ludoscopi”, l’elemento visivo “destabilizzante”, proposto ora in una dimensione più amplificata, altera il normale rapporto costitutivo; nasce la sorpresa, la meraviglia, lo stupore. In definitiva, non sono altro che interferenze eversive per costringerci a riflettere, elementi provvisori che tentano di “destabilizzare” un ordine consueto e accettato per normale. In tal senso, questi accadimenti ripropongono l’esigenza di una presa di coscienza; ancora una volta l’osservatore è costretto a darsi una motivazione logica. In tutte le sue proposte di lavoro, l’artista ha immesso, sempre, questi suggerimenti di riflessione critica e di volontà morale, suggerendoci, altresì, la via più congeniale da ricercare e da percorrere senza subirla totalmente. Con i “Progetti d’intervento nel territorio” vi è la lucida esigenza di analizzare in una nuova chiave d’indagine la propria e personale visione poetica utilizzando un diverso rapporto e un’altra scala dimensionale a verifica della fattibilità della cosa proposta. Tutto il lavoro di Scirpa può ascriversi nell’ambito di un progetto più ampio che potremmo chiamare “dell’utopia praticabile”, di quell’area d’indagine “im/possibile” ai confini delle soglie disciplinari, in una sorta di fertile e felice contaminazione poetica incentrata sul dato progettuale e utopistico avviato sorprendentemente a Como da artisti di grande interesse come il grande futurista Antonio Sant’Elia, Francesco Somaini e Ico Parisi, che hanno indagato in diverso modo questa pratica ancora del tutto attuale e contemporanea. Unico appunto che sentiamo di fare ad una certa critica militante è quello di aver sottaciuto su un’altra questione di lavoro contemporanea e parallela ai progetti d’intervento; mi riferisco all’utilizzo per lungo tempo della Mail Art, che inizia almeno dal 1983 fino a tutto il 2007, che ha visto Scirpa presente ad una lunga serie di mostre internazionali, (tutto ciò è verificabile consultando i dati della monografia di M. Meneguzzo, Ed. Mazzotta), proponendo i suoi Ludoscopi e i fotomontaggi. la Mail Art è essenzialmente libertà creativa e invenzione allo stato puro, senza alcun condizionamento, senza nessuna costrizione. La Mail Art è anche contaminazione di idee, confronto e condivisione di nuove proposte, ma soprattutto grande e indefinito laboratorio sperimentale e concettuale di ricerca planetaria.

Per Scirpa, questa pratica della Mail Art è stata necessaria per sperimentare particolari modalità della sua originale ricerca; c'è il momento della libera sperimentazione delle tematiche affrontate a confronto con altre realtà del pianeta (Il laboratorio globale del Network) e anche il momento della messa in atto d'interventi sperimentati e sperimentabili di ricerca personale nel circuito dell’arte cosiddetta ufficiale. Ancora oggi, si ha il pregiudizio a considerare gli interventi nell’ambito della Mail Art come pratica del tutto secondaria o inutile, mentre noi, crediamo che per comprendere la portata reale e completa di questo artista, anche tale aspetto del suo lavoro ha bisogno di essere indagato e analizzato ampiamente.




Per il Testo Critico integrale su Paolo Scirpa visita:

http://giovannibonanno.blogspot.com/2010/10/mostra-retropettiva-di-paolo-scirpa.html





L'INTERVISTA

PAOLO SCIRPA: ALLA RICERCA DELL’INFINITO






G.B. Come nasce P. Scirpa artista, quali sono le origini della sua ricerca?

P. S. Ho iniziato a studiare pittura fin dall’adolescenza. Dopo aver completato gli studi artistici, ho soggiornato negli anni Sessanta in diverse città europee, approfondendo la conoscenza delle Avanguardie storiche e frequentando per molti anni le officine grafiche di Salzburg. È in questo ambiente culturale che incontrai Oscar Kokoschka che mi evidenziò l’importanza fondamentale dello spazio e della luce nell’opera d’arte. Da giovane ho frequentato studi di artisti e architetti, visitato mostre, musei e ambienti artistici.
L’idea che ha animato i miei dipinti e le ideazioni plastiche è stata sempre quella di una centralità ideale da cui tutto converge e diverge. Attraverso la conoscenza storico-artistica (per es. Il Manifesto di Boccioni e il Cinevisualismo) e scientifica sono passato gradualmente a tradurre questa mia esigenza, utilizzando la luce autogena quale il tubo al neon e, con l’ausilio della specularità, realizzando spazi-luce simulati all’infinito.


G.B. Per qualsiasi lavoro creativo di ricerca basta affidarsi alla sola tecnica o si deve necessariamente indagare a tutto campo prendendo in considerazione le diverse ipotesi di lavoro ?

P. S. Bisogna indagare e prendere in considerazione tutte le ipotesi che maturano in noi e intorno a noi. Sono stato da sempre affascinato ed attratto da una coscienza sperimentale, attento alle invenzioni, alle nuove tecniche. Ritengo necessario filtrare con coscienza critica ogni idea per saper cogliere nel proprio intimo quelle spinte che, tradotte in segni o immagini, determinano una propria identità.


G.B. Agli inizi qual era la situazione artistica negli anni sessanta in Sicilia?

P. S. Agli inizi degli anni Sessanta, la situazione in Sicilia, anche se considerata di buon livello, non era semplice per me. Il clima che si respirava nell’ambiente sembrava che non permettesse di veder oltre, per cui diventò necessario tenere contatti con ambienti e artisti di altre estrazioni culturali che mi portarono alla decisione di trasferirmi a Milano, città più adatta per dei contatti soprattutto europei. Oggi considero questa scelta importante e positiva, nonostante le difficoltà incontrate.


G.B. Che atmosfera culturale si respirava a Milano negli anni 70 e 80 rispetto a oggi?

P. S. Non era una situazione facile: erano anni di trasformazione sociale in virtù della contestazione in atto che si protrasse a lungo negli anni Settanta. Tutto era messo in crisi e in discussione. Si sentiva un vivo fermento culturale che permetteva il contatto con artisti considerati storici. Si avvertiva la presenza di Lucio Fontana, mancato poco tempo prima del mio arrivo a Milano; la forza del suo operare era ben presente in moltissimi artisti che l’avevano conosciuto. La sua concezione spaziale mi dava una forte spinta nel guardare fiduciosamente in avanti.  Oggi il clima mi sembra alquanto diverso. Tutto è tornato ad una serenità apparente, dove lo spirito libero e laborioso nel suo silenzio non trova facile inserimento e gli spazi culturali sono strutturati, a me sembra, in aree di potere e di mercato. Le idee delle nuove generazioni con mezzi straordinari mi sembrano spesso vivaci e sorprendenti.

G.B. Il Futurismo e l’esperienza Dadaista sono stati i due momenti essenziali del suo percorso poetico che le ha permesso di approdare negli anni settanta a importanti risultati in sintonia con tutte le indagini di ricerca internazionale. Mi dice come nasce la serie dei “Ludoscopi” e la proposta della “Megalopoli consumistica”.

P. S. Già da parecchi anni la mia pittura tendeva ad una astrazione strutturata sulla planimetria della città (la serie degli Habitat); la mia esperienza, sul terreno tracciato dal Manifesto di Boccioni, dal Dadaismo, dalla Pop Art, dal Nouveau Réalisme e perché no dalla Patafisica è andata progressivamente orientandosi verso un’attivazione dell’immagine con la creazione di composizioni visivo - polioggettuali e con l’uso di vari materiali. Nel ’72, servendomi di scatole in disuso di vari prodotti della nostra civiltà, presentai la Megalopoliconsumistica, come denuncia sociale.  Essendo la mia ricerca motivata da una forte spinta ideale ed avendo l’esigenza di esprimere nelle mie opere dei valori, sentii la necessità di rielaborare la Megalopoli consumistica,spogliando questa  artificiosa città del suo significato ironico. Le strutture primarie, già esistenti al suo interno, diventarono segni - luce al neon, una geometria di forme primarie che elaboro ancor oggi.
Nelle mie ideazioni plastiche, la luce diventa un vero strumento di scrittura spaziale dove lo spazio è la somma di diverse propagazioni luminose. Ho sperimentato varie soluzioni delle volumetrie ottiche: dal cubo al parallelepipedo, al cilindro. Ho realizzato spazi curvi che si raccordano, pozzi in cui i tubi luminosi degradano vero un abisso illusorio, strutture cubiche praticabili. Inoltre la mia ipotetica idea di illuminare con luci al neon la scalinata della cavea del Teatro Greco di Siracusa si ritrova nei cerchi concentrici dei Ludoscopi.
G.B. Contemporanei ai “Progetti d’intervento nel territorio” vi è la partecipazione a diversi progetti internazionali di Mail Art all’interno del circuito planetario, altro modo, parallelo e convergente, di fare ricerca a 360 °. Come nasce in quegli anni l’interesse per la Mail Art , e se tale esperienza, ancora in atto, è da considerarsi solo marginale rispetto ai lavori realizzati nel circuito dell’arte cosiddetta “ufficiale”.

P. S. Negli anni ’80 Ray Johnson e le operazioni di Mail Art che ritengo importanti laboratori in progress di ricerca internazionale e di idee spesso sorprendentemente originali, hanno suscitato in me un interesse tuttora vivo. Le tematiche che mi venivano proposte da varie parti del mondo erano
stimolanti e le sentivo come sprone a una nuova dimensione. Avevo già l’esigenza di rapportare le mie opere di luce con l’ambiente. Il mezzo postale permetteva di comunicare con ogni parte del mondo, così nacque in me la felice idea di trasferire con il collage su semplici cartoline di architetture, panorami urbanistici, ecc, le immagini delle mie opere di luce, come messaggio di pace.
Successivamente presi in considerazione l’idea d’ingrandire tali collage, leggendoli quindi come vari progetti d’intervento nel preesistente, cosa che naturalmente ho elaborato con delle foto da me stesso realizzate.


G.B.In qualche occasione, la sua poetica di lavoro è stata letta, a sproposito, come mera e semplice ricerca percettiva disgiunta da una motivazione morale e spirituale, che secondo noi, è la componente essenziale per capire veramente tutto il lavoro svolto da lei in diversi anni. Cosa intende per infinito?


P. S. E’ vero. Il mio lavoro è anche ricerca percettiva, che, di per sè, mi sembra importante, ma la considero come un supporto fondamentale che mi consente di dare dei contenuti alle espansioni di luce. L’idea dell’infinito mi ha fatto sempre riflettere ed è stato il movente del mio operare. Quindi le profondità fittizie dei ludoscopi diventano mezzo e messaggio nello stesso tempo, come tentativo di rincorrere una bellezza ideale e l’infinito che è dentro di noi.

G.B. E’ corretto pensare che dopo la pratica dei “contenitori di luce”, “i progetti d’intervento nel territorio” e la pratica della Mail Art, con gli ultimi lavori, come per esempio, “Il teatro e il suo doppio del 2009", lei ha un urgente bisogno di confrontarsi con lo spazio del paesaggio reale e non soltanto virtuale e metafisico. Cosa ne pensa?
P. S. Per la loro stessa natura i Ludoscopi dovrebbero dialettizzarsi con uno spazio più ampio e caratterizzato, dando un respiro più profondo all’ambiente preesistente e al mondo il suo nuovo senso con una nuova architettura concettuale.Con gli ultimi lavori, come ad esempio Il Teatro e il suo doppio, ho avvertito la necessità di utilizzare nuovi materiali, marmo, legno e la realizzazione programmata al computer: una stupefacente sorpresa per me nel vedere l’eccellente risultato. Tutto questo rimane come archetipo, ma sarebbe auspicabile per me superare l’utopia per realizzare un’opera simile, dove l’idea del Ludoscopio rimane integra alla base, un nuovo monumento forse per lo spettacolo di domani, , concepito per il teatro al suo interno e contemporaneamente anche all’esterno immaginando rappresentazioni con coreografie di vaste dimensioni.

G.B. La ricerca artistica dei giovani, oggi, risulta alquanto monotona e uniformata a indicazioni collettive pre-imposte, vedi il caso eclatante del giovane cileno Ivan Navarro (Cile 1972), che ha ripetuto esattamente la ricerca sulla luce svolta in tanti anni da lei, con la presunzione di farla passare anche per sua e presentandola in un grosso contenitore culturale come quello della 53° Biennale di Venezia del 2009 (padiglione cileno), ben sapendo che tali proposte creative erano già state formulate e documentate oltre trent’anni prima. Una similitudine di intenti che ha fatto pensare, persino, ad un “omaggio” alla sua interessante ricerca piuttosto che di una nuova e seria proposta poetica. Cosa consiglierebbe ad un giovane artista che decide oggi di approdare al mondo dell’arte?

P. S. Consiglierei di praticare la manualità artistica, di approfondire la conoscenza storica e di essere a contatto diretto con altri artisti, sperimentando a costo di sbagliare, pronti a ricominciare. Vorrei raccomandare di saper cogliere nel proprio intimo quelle sollecitazioni che, tradotte in segni, determinano una propria identità e, con etica professionale, di non essere mai epigoni.                     Giovanni Bonanno









PAOLO SCIRPA/ BIOGRAPHIE



Nasce a Siracusa il 5 luglio 1934; sin dall’adolescenza studia pittura nella locale Scuola d’arte, proseguendo successivamente gli studi artistici a Palermo ed a Catania. Soggiorna negli anni Sessanta in diverse città europee, approfondendo la conoscenza delle avanguardie storiche. Frequenta per molti anni le officine grafiche di Salzburg alla Kunstlerhaus ed alla Internationale SommerAkademie fữr Bildende Kunst culturalmente animata da Oskar Kokoschka; riceve il Premio della città per la litografia e vi incontra John Friedlaender nel cui studio successivamente lavorerà a Parigi.

Nel 1965 partecipa alla IXa edizione della Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. Nei primi anni della sua attività propende verso un espressionismo lirico già preoccupato dalla sintesi formale. Il suo impegno è di offrire un contributo umano ed artistico rispondente al proprio tempo. Nel 1968 si trasferisce a Milano dove sarà, più tardi, titolare di una Cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Tiene una sua personale nel ’69 a Milano, alla Galleria l’Agrifoglio, presentato da Vittorio Fagone, nel ’70 ad Amsterdam, Galerie De 3 Hendricken , nel ’74 a Bergamo, Galleria Fumagalli ed a Salzburg, Galleria Achleitner. In questo periodo i suoi interessi spaziano dalle ricerche del Nouveau Réalisme di Pierre Restany alla Pop Art.

Nel 1972 presenta alla mostra “L’Oggetto Posseduto”, presso la Galleria San Fedele, un’opera di denuncia sociale, ”Megalopoli consumistica”, incentrata sull’assemblaggio di una gran quantità di involucri e contenitori a perdere. Successivamente, Gillo Dorfles ne pubblica l’immagine nel suo libro “L’intervallo perduto”, edito da Einaudi. Scirpa trae spunto anche dal Manifesto Tecnico della Scultura Futurista di Boccioni, che aveva teorizzato la possibilità di impiego della luce elettrica nell’opera d’arte e si collega alle sperimentazioni dell’Arte Ottica, incentrate su valori plastici di base e su problematiche percettive. La sua ricerca si orienta verso una dimensione in cui il colore non è più dipinto, i volumi non sono più scolpiti, una dimensione in cui divengono protagonisti, immateriali e spettacolari ad un tempo, gli elementi primi della luce e dello spazio. Attorno alla metà degli anni Settanta, Scirpa avvia dunque la realizzazione di opere che vengono definite da Carlo Belloli, in un suo approfondito saggio critico, “ludoscopi”, sculture che, per mezzo di un sistema di specchi e di luci al neon e tramite il gioco combinatorio di elementi essenziali - minimali (quali triangoli, cerchi, quadrati), propongono la percezione di spazi abissali, di profondità illusorie. Opere di grande suggestione e di immediato impatto visivo: in esse la luce non è più un elemento raffigurato, ma è opera essa stessa, generata dall’interno, che crea fughe prospettiche all’infinito, “veri iperspazi-luce”, in cui “si pratica l’abolizione del limite tra il reale e l’illusorio”, come nota Corrado Maltese, che nel 1981 lo segnalerà per la Pittura sul Catalogo Nazionale d’Arte Moderna Italiana Bolaffi, edizione Giorgio Mondatori e Associati. Al posto dei tradizionali segni della pittura si ha la generazione di segni/luce, segni/colore, che ci fanno affacciare su spazi vertiginosi, virtuali.

Sono anni in cui Scirpa conosce esponenti del MAC , tra cui Bruno Munari, che scrive sul suo lavoro evidenziandone l’aspetto ludico ed entra in contatto con i gruppi dell’Arte Ottica e Cinetica, come il GRAV a Parigi o il Gruppo T a Milano. I suoi spazi virtuali sollecitano l’attenzione anche di studiosi dei rapporti tra arte e scienza, tra cui il cibernetico Silvio Ceccato, per cui ha modo di riflettere sui meccanismi del pensiero umano ed alcuni studiosi che pubblicano i suoi progetti di spazi-luce come Roberto Vacca, in un suo saggio “Progettare impatti ambientali positivi” sulla rivista VIA, Giorgio Prodi , nei suoi testi “I meccanismi della mente” sul Sole 24 ore e Carmelo Strano in “Art Reflections e Techno Art” sulla rivista Arca.

Dal 1977 sue opere sono presenti annualmente, fino al 1991, nella sezione cinetica del Salon “Grands et Jeunes d’aujourd’hui” al Grand Palais des Champs-Elysées di Parigi.

Negli anni Ottanta sviluppa i suoi primi interventi progettuali sul territorio: tramite fotomontaggi, Scirpa simula l’inserimento di monumentali ludoscopi e relative vertiginose fughe prospettiche all’interno di paesaggi, edifici, monumenti, città, siti archeologici.

Nel 1982 il Symposium de Sculpture della città di Caen (Francia) sceglie il progetto di un suo ludoscopio che viene installato in permanenza alla Bibliothèque Municipale. Nel 1983, in occasione dell’anno leonardesco, egli compie una verifica del proprio lavoro, riscontrando nel Codice Atlantico alcuni principi sulla riflessione della luce che si ritrovano nei suoi ludoscopi: cambiano naturalmente i mezzi, specchi trasparenti e luci al neon. Nel 1984 presenta due personali in Giappone a Nishinomiya Koshienguchi e ad Iida Nagano. Nel 1985 Scirpa aderisce al manifesto dedicato da Carlo Belloli alle "direttrici operative della nuova visualità", partecipando alla prima rassegna del gruppo svoltosi nelle sale di Arte Struktura a Milano ed alle successive manifestazioni di questa nuova tendenza della comunicazione inoggettiva; nello stesso anno aderisce all'associazione AST (Arte-Scienza-Tecnologia) di Roma partecipando alla mostra di Palazzo Venezia "Artisti oggi tra scienza e tecnologia" curata da Corrado Maltese e ad altre manifestazioni sullo stesso tema; segnalato da Bruno Munari, partecipa alla mostra “La cosa inventata” Seibu Art Forum Italian Fair, a Tokio Ikebukuro, Osaka, e successivamente a Milano. Nel 1986, in occasione della mostra Arte-Scienza-Tecnologia alla Biennale Internazionale di Venezia, progetta un intervento di un suo ludoscopio da inserire sulla così detta tomba di Archimede a Siracusa. Negli stessi anni tiene diverse mostre personali tra le quali alle Gallerie Arte Struktura e Vismara Arte di Milano ed al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Nel 1987 presenta un’antologica alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Gallarate.

Nel 1990, in occasione del 125° anniversario della fondazione del Politecnico di Milano, Rossana Bossaglia lo invita a presentare al C.N.R. il suo lavoro come contributo ad un simposio patrocinato dall’UNESCO per “Nuove tecnologie ed arte - radici scientifiche dell’estetica”. Inoltre è presente a rassegne sulla Patafisica e, nel 1993 a Osaka, Foundation of Culture, alla International Triennial Competition of Painting , nel 1995, a Bologna, alle mostre “Utopie della città – La città virtuale” presso palazzo Sanguinetti e “Arte e Vita Artificiale” presso il Futur Show. Nello stesso anno presenta il suo lavoro con una mostra in occasione del convegno “Arte + Scienza – Mutamenti indotti dalle nuove tecnologie nell’arte contemporanea " presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. In alcuni ludoscopi egli idea raccordi illusori che creano uno spazio plastico curvo; in altri il raccordo seminterrato è praticabile; in altri ancora, di struttura cubica, la multispazialità è data dalle fughe prospettiche all’infinito, visibili da ogni lato, che si intersecano sulle diagonali del cubo stesso.

Nel 1996 realizza un mosaico tratto dalla elaborazione elettronica dell’ Annunciazione di Antonello da Messina del Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa; nello stesso anno tiene una nuova personale alla Galleria San Fedele “Percorsi comunicanti”, presentato da Marina De Stasio. Nel 1998 presenta i suoi ludoscopi durante la trasmissione RAI “1 mattina” e partecipa a Bagheria alla esposizione del “Museum” - Osservatorio dell’Arte Contemporanea in Sicilia. Nel ’99 tiene un’altra personale alla Galleria Arte Struktura di Milano, “La plasticità della luce” a cura di Andrea B. Del Guercio con interpretazioni fotografiche di Giovanni Ricci. È presente a molte altre rassegne e mostre collettive tra le quali, nel 1999 a Taegu (Corea), “99 Taegu–Milano Arts Exhibition”; nel 2000 alla XIIIa edizione della Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, (Proiezioni 2000 - Lo spazio delle arti visive nella società multimediale), a Seoul (Corea), Museo d’Arte Moderna “Brera in Corea”, Proiezioni internazionali dell’Accademia di Brera nel mondo ed a Milano, su invito di Luciano Caramel, al Rotary Club Milano Scala "Ovali Rotariani"; nel 2001 alla mostra “Materia Madre 3 - Tecnologia” a cura di Claudio Cerritelli e Massimo Bignardi presso la Fondazione Torre Colombera di Gorla Maggiore (Va); a Milano all’Accademia di Belle Arti di Brera “Orizzontale vs Verticale”; a Pieve di Cento (Bo) presso il Museo G. Bargellini alla mostra “Generazioni anni 30” a cura di Giorgio Di Genova.

Completa nel 2002 il progetto di un’installazione mobile di un’opera archetipo a luci al neon del Teatro Greco di Siracusa, in scala 1/10; nel 2003, è presente a “Blu eventi” dell’Associazione Culturale l’Arco e la fonte di Siracusa ed a Cadoneghe (Pd) ad “Arte costruita”, dal Museo Umbro Apollonio di San Martino di Lupari a cura di Malek Pansera e Giorgio Segato. Nel 2004 tiene sue mostre personali alla Galleria Vismara Arte di Milano “La pittura e l’oggetto cinetico” ed alla Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Brera “Utopie della città” curate da Claudio Cerritelli. Nello stesso anno partecipa a Fabriano alla manifestazione “Nel segno della solidarietà” a cura di Di Domizio Durini e progetta l’ambientazione nella città di Siracusa di due opere scultoree in acciaio specchiante, i cui bozzetti erano già stati realizzati sin dal 1987, l’una ”Lo specchio ustorio” opera mobile dedicata ad Archimede, l’altra “Luce stellare” dedicata a Santa Lucia; è presente nel 2005 in Pennsylvania (U.S.A) alla VI Biennale d’Arte Sacra itinerante” La scala di Giacobbe”, nel 2006 alle mostre “Per i cento anni della CGIL” a Siracusa ed a Mantova ed è invitato al 45° Premio Suzzara “Il futuro della tradizione” a cura di Claudio Cerritelli ed alla mostra “Sicilia!” presso la Galleria del Credito Siciliano ad Acireale a cura di Marco Meneguzzo, a Milano a “Venti più cento” gli anni della Permanente, a Verona ad “Art Verona ’06”,stand Valmore Studio d’arte Vicenza che nel 2007 lo presenta a Vicenza con una personale retrospettiva e contemporaneamente alla MIArt 07 a Milano.

Paolo Scirpa ha inoltre realizzato opere per spazi pubblici e chiese ed è presente in numerose collezioni pubbliche e private. Di recente ha realizzato con i ludoscopi di luce al neon, installazioni permanenti nella Chiesa della Madonna del Divin Pianto a Cernusco sul Naviglio, Milano, progettata dall’arch.Carlo Razzini. Nella stessa chiesa per diversi anni ha interpretato con installazioni temporanee le “direttive pastorali” del Cardinale Martini.

In un periodo eclettico come il nostro che permette anche fenomeni di rivisitazione di sé o di esperienze passate, Scirpa propone oggi i suoi percorsi prospettici di spazio–luce, recuperando il linguaggio delle sue prime denunce consumistiche o quello sperimentale del mezzo elettronico, ponendo così il fruitore dinanzi a nuove esperienze su cui riflettere. La sua ricerca tende anche ad una matericità pittorica e di spazio non più simulato ma rappresentato.







Vive ed opera a Milano dove ha studio in Via Federico Chopin, 99, c.p. 20141,    tel. e fax 02-57404737
e-mail: paoloscirpa@virgilio.it








Ultima Monografia pubblicata

La monografia, appena pubblicata dalla casa editrice Mazzotta, documenta con circa duecento immagini a colori e in bianco e nero l’intensa produzione di Paolo Scirpa. Contiene un’ampia introduzione critica di Marco Meneguzzo (L’ottica dell’infinito in lingua italiana e inglese), una selezione di scritti di Paolo Scirpa e una ricca antologia critica (di Antonino Uccello, Gabriel Mandel, Vittorio Fagone, Pedro Fiori, Carlo Munari, Domenico Cara, Roberto Sanesi, Corrado Maltese, Miklos N. Varga, Demetrio Paparoni, Carlo Belloli, Marco Meneguzzo, Gillo Dorfles, Silvio Ceccato, Bruno Munari, Alberto Veca, Luciano Caramel, Annette Malochet, Riccardo Barletta, Pierre Restany, Daniela Palazzoli, Rossana Bossaglia, Carmelo Strano, Francesco Poli, Marina De Stasio, Cesare Chirici, Maurizio Vitta, Antonio Musiari, Andrea Del Guercio, Giorgio Di Genova, Flaminio Gualdoni, Francesco Poli, Claudio Cerritelli, Giorgio Seveso, Daniela Lussana, Emanuele Zucchini, Ginevra Bria, Ornella Fazzina).



LA CRITICA



Paolo Scirpa vive a Milano. Il suo lavoro è sempre stato proteso ad una ricerca interiore fuori da ogni legame di appartenenza. Dagli anni ‘70 passa da una iconografia bidimensionale alla modularità di uno spazio oggettuale che la luce e gli specchi trasformano in polioggettuale. La sua ricerca si orienta verso una dimensione in cui luce e spazio divengono protagonisti immateriali e spettacolari. L’artista è interessato a rappresentare non tanto la luce reale quanto la luce “ideale” cioè l’idea dell’infinito e per questo si serve dei mezzi a sua disposizione, tubi luminosi e specchi. Realizza i Ludoscopi, opere tridimensionali che propongono la percezione di profondità fittizie, veri iperspazi-luce in cui è abolito il limite tra il reale e l’illusorio. B. Munari ne evidenzia anche l’aspetto ludico. I suoi spazi virtuali sollecitano l’attenzione di studiosi di arte e scienza. Nel corso degli anni realizza anche grandi opere di denuncia consumistica, delle installazioni e delle pitture che sono quasi una rappresentazione bidimensionale dei Ludoscopi. Negli anni ‘80 sviluppa i primi interventi progettuali inserendo le sue voragini luminose in architetture varie. Per anni è presente al Salon Grands et Jeunes d’aujourd’hui di Parigi, poi alla IX e alla XIII Quadriennale di Roma e di recente allo ZKM di Karlsruhe e alla Neue Galerie di Graz. Inoltre sue opere sono in Musei e collezioni. E’ stato docente all’Accademia di Brera.



L’OTTICA DELL’INFINITO di Marco Meneguzzo

(…) I “Ludoscopi” sono opere tridimensionali, illuminate da elementi geometrici di neon, realizzate a partire dal 1972, - contemporaneamente, cioè, alle indagini sul consumismo - e nel corso degli anni successivi sono stati accompagnate da una serie di lavori – oli e acrilici su tela - che ne sembrano essere il ritratto, la rappresentazione bidimensionale. Sin dai primi “Ludoscopi” l’artista ha ridotto sostanzialmente a tre forme geometriche – il quadrato, il cerchio e il triangolo – tutto il suo alfabeto, e fa muovere queste forme, ripetendole all’infinito nello specchio, nello spazio: è uno spazio reale, perché l’opera è tridimensionale, la luce è generata da uno strumento luminoso, ma continua ad essere, anche, uno spazio mimetico, rappresentato, quasi bidimensionale. E, sostanzialmente, illusorio. Proprio Scirpa mi ha fatto notare recentemente, stupendosi di questo riconoscimento (conoscere di nuovo, vedere ciò che si era già visto), come nei cerchi concentrici di neon si ritrovi la forma della scalea, della gradinata del teatro antico, del teatro greco, quel teatro che lui stesso aveva visto, anzi vissuto, nella natia Siracusa, quasi fosse un imprinting indelebile, una cultura trasformata in biologia, in dna… La forma prescelta si moltiplica in una serie di traslazioni e di incroci che suggeriscono un proseguimento potenzialmente infinito nello spazio, ben oltre la reale dimensione fisica dell’opera. In questo senso, la scelta di utilizzare uno strumento luminoso vero e proprio come il tubo al neon appare naturale, perché sostenuta da una necessità interiore e ideale: si tratta infatti di una vera e propria adesione ai motivi più profondi di una ricerca che, per Paolo Scirpa, è quella della luce come elemento unificante della realtà (se fossimo un po’ più religiosi, potremmo dire “del creato”, come forse direbbe lui).



(…) Paolo Scirpa poneva, e pone, il problema addirittura trascendentale della “luce”, di cui la luce reale – ottenuta con gli strumenti che anch’egli usa – non è che un riflesso. Come a dire che ciò che gli interessa è la luce ideale, e che per affermare questo interesse, e l’importanza che quella luce ha per sé e per l’interpretazione del mondo di cui l’artista si fa tramite, è disposto a sopperire con i poveri mezzi concreti che il mondo gli mette a disposizione, fermo restando però che questi mezzi non sono che l’ombra, il rappresentato, l’imitazione, il riflesso, appunto, di quel significato più grande.

In questo senso, dunque, Scirpa appartiene in toto alla tradizione, addirittura a una tradizione medievale, quella, per intenderci, che aveva fatto della luce non tanto un’esperienza ottico-percettiva, ma mistica: si potrebbe dire allora che Scirpa è molto più vicino a Beato Angelico che non a Lazlo Moholy-Nagy! Assumendo questo punto di vista, tutta la sua attività si ricompone in un continuum che giustifica appieno, ad esempio, la coesistenza pacifica tra pittura e neon: non si tratta più, infatti, di sostituire la “cosa rappresentata” – cioè la pittura che imita la luce – con la “cosa reale” – cioè con il neon che sarebbe invece la luce vera e propria -, perché entrambe queste situazioni non fanno altro che ricordare quella luce trascendente di cui ci vuole parlare Scirpa, e di cui entrambi gli strumenti, quello della pittura e quello più tecnologico del gas surriscaldato che produce una luce fisica, non sono altro che il fantasma visibile, rappresentabile. Di più, si potrebbe forse ribaltare ancor più l’ipotesi di ricerca di Scirpa suggerendo che neppure la luce è il suo fine ultimo, ma che questo si nasconde “dietro” la luce, ed è l’idea dell’infinito. In questo modo si spiegherebbe, ad esempio, la naturalezza con cui l’artista usa la superficie specchiante, sia nel ciclo del cosiddetto “consumismo”, sia nella lunga serie dei “ludoscopi”, sia in alcuni esperimenti precedenti, dei primissimi anni Settanta, in cui dipinge su lastre d’acciaio lucidissime: del resto, lui stesso suggerisce questa lettura in più occasioni, quando ad esempio afferma, proprio in un breve testo di spiegazione dei “ludoscopi” che “l’infinito nello spazio simulato è un’idea che ha nutrito a lungo i miei pensieri e la mia dimensione interiore” (…)


FLUORESCENZE LINEARI

PAOLO SCIRPA



L'importante ricerca condotta tra il 1964 e il 2009 dall’artista italiano che ha approfondito con le sue opere le possibilità percettive fisico-illusorie della luce.

Opere che sembrano delimitare uno spazio, invece ci trasportano in prospettive diverse create dal vuoto della luce [ ...] Domenico Nicolamarino


Al suo lavoro hanno dedicato saggi ed annotazioni critiche: Riccardo Barletta, Pietro Bay, Carlo Belloli, Luigi Bianco, Giovanni Bonanno, Guglielmo Boselli, Rossana Bossaglia, Domenico Cara, Luciano Caramel, Silvio Ceccato, Claudio Cerritelli, Cesare Chirici, Andrea Del Guercio, Mario De Micheli, Marina De Stasio, Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Ornella Fazzina, Pedro Fiori, Carlo Franza, Luca Frigerio, Carmelo Genovese, Aldo Gerbino, Flaminio Gualdoni, Annette Malochet, Corrado Maltese, Gabriel Mandel, Giuseppe Martucci, Giorgio Mascherpa, Marco Meneguzzo, Bruno Munari, Carlo Munari, Antonio Musiari, Daniela Palazzoli, Demetrio Paparoni, Francesco Poli, Pierre Restany, Roberto Sanesi, Giorgio Segato, Carmelo Strano, Luigi Tallarico, Carlo Terrosi, Maria Torrente, Antonino Uccello, Miklos N. Varga, Alberto Veca, Francesco Vincitorio, Maurizio Vitta.



L’artista ha partecipato recentemente alla Rassegna Astrazione siciliana 1945-68, con opere di trenta importanti esponenti dell'arte Astratta Italiana, a cura di Marco Meneguzzo. presso Fabbriche Chiaramontane di Agrigento.




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