sabato 17 gennaio 2009

ARTE/ EVENTI IN PRIMO PIANO




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Grandi artisti contemporanei






GRANDI ARTISTI: KEITH HARING
opera di Keith Haring




Milano - Vecchiato Art Galleries http://www.vecchiatoarte.it/

Keith Haring apre ufficialmente la nuova sede della galleria Vecchiato Art Galleries a Milano, nel cuore della città a pochi passi dal Duomo. La mostra, curata da Luca Beatrice, illustra i principali passi della creatività dell'artista attraverso una accurata selezione di opere, tra cui alcune sculture molto significative, dal 1981 al 1988. Le opere esposte ben rappresentano l'universo visuale di Keith Haring, coloratissimo, primitivo e simbolico, infatti tutti i lavori sono realizzati con materiali e supporti diversi: dall'inchiostro all'acrilico, dall'acquaforte allo smalto, dalla carta al cartone, dall'acciaio all'alluminio al legno intagliato. Luca Beatrice commenta: “la sua arte “per tutti”, come lui stesso amava precisare, si è andata definendo universalmente in segni che hanno trovato nelle più svariate forme - da un mini supporto in legno o metallo alla parete di una chiesa - lo spazio per una espressività senza eguali. Che si trattasse di cartone, polistirolo o alluminio, o che il suo strumento fosse un enorme pennello, un'incisione, o una pittura acrilica, gli omini stilizzati di Haring vivono nell'immaginario collettivo come ironico e giocoso messaggio di derisione al perbenismo imperante della società occidentale”.Afferma Haring nel 1984: “L'Arte vive attraverso l'immaginazione delle persone che la guardano. Senza questo contatto, l'arte non esiste. Ho dato a me stesso il lavoro di essere un produttore di immagini del ventesimo secolo e ogni giorno cerco di capire le responsabilità e le implicazioni che questa scelta comporta. E' diventato chiaro per me che l'arte non è un'attività elitaria riservata all'apprezzamento di pochi, ma essa esiste per tutti noi, ed è questo che continuerò a perseguire”.





L'esposizione si svolge in concomitanza con la rassegna che il museo BAM di Mons in Belgio riserva al grande maestro statunitense.

Accompagna la mostra un esaustivo catalogo bilingue in inglese e italiano, edito da Vecchiato Art Galleries con testo critico di Luca Beatrice.

Informazioni
Vecchiato Art GalleriesVia Santa Marta 3MilanoTel. 02 39661104

info@vecchiatoarte.ithttp://www.vecchiatoarte.it/



Chi è Keith Haring

Questa è la storia di un uomo che ha tracciato il proprio percorso danzando come la traiettoria, instabile ma potente, di una stupenda cometa. Il 4 Maggio 1958 Keith Haring nasce a Reading, in Pennsylvania, e cresce a ritmo di rock'n roll. Molto presto inizia a disegnare, incoraggiato dal padre Allen che condivide la sua stessa passione. Il debutto artistico di Keith è fortemente influenzato, infatti, dai fumetti che il padre schizza velocemente per lui. Conduce una vita ordinaria, nel cuore dell'America borghese: isolato dal mondo, distante dallo shock della controcultura degli anni '60, Keith si alimenta solamente di periodici come Look e Life e di televisione che, in quel periodo, si occupa ininterrottamente della guerra del Vietnam. Con l'arrivo degli anni '70, afferma la sua indipendenza incontrando inevitabilmente droghe e alcool, ma assaporando anche la pittura, che diventa e rimane per sempre la sua vera passione. Ascolta i Gratetful Dead, i Led Zeppelin, i Beatles e nel 1976 è accettato alla Ivy School of Professional Art di Pittsburgh dove studia Arte commerciale. Abbandonati velocemente questi studi, si mantiene con numerosi lavori saltuari e scopre, allo stesso tempo, Pollock, Warhol e Alechinsky. L'Arte e quel periodo storico sono strettamente legati: Keith inizia ad esplorare nuove tecniche, producendo opere dalle dimensioni maggiori. Si esibisce per la prima volta nel 1978 all'Arts and Crafts Center di Pittsburgh e, nello stesso anno, si trasferisce a New York. Qui incontra Basquiat, divora i libri scritti da Burroughs ed entra alla School of Visual Arts: studia semiotica, storia dell'arte, scultura e pittura, cibandosene per i suoi lavori futuri. Il suo linguaggio abbraccia inoltre i geroglifici e le linee geometriche, i collages testuali, le fotocopie, dando vita ad un'esplosione di energia. Nel 1980 si esibisce al Club 57, prende parte all'esibizione New York/New Wave e incontra artisti del graffito come Futura 2000 e Fab Five Freddy. In seguito, inizia a dipingere in luoghi pubblici, realizzando la sua prima opera murale nel 1981in una scuola del Lower East Side. Presente alla Documenta 1983 di Kassel, trascorre le notti in clubs e saune: lavoro e vita si fondono, diventando un'unica cosa. John Lennon è assassinato nel 1980: una decade sta finendo, un'era sta cambiando. Keith Haring è vivo!La città e la vita sono i suoi temi preferiti. Dovunque si trovi, disegna, dipinge, lasciando il sua firma ogni volta. Dipinge nelle metropolitane, sui cartelloni pubblicitari, fuggendo al controllo della polizia che lo segue ad ogni suo passo. Dipinge sui muri di qualsiasi città del mondo, da Melbourne a Manhattan, da Rio a Minneapolis, marchiando qualsiasi oggetto, partecipando inoltre alla Biennial of Whitney Museum e a quella di San Paolo in Brasile, senza mai perdere la sua coerenza artistica. La metropolitana di New York è il suo laboratorio, il luogo dove lui sperimenta, improvvisando ed inventando, ma sempre utilizzando lo stesso metodo: disegnata una prima trama, traccia con il pennello icone e modelli che ciascuno di noi, a poco a poco, è in grado di riconoscere. Così come la quantità delle sue creazioni aumenta, maggiore è il numero degli spazi pubblici a sua disposizione, luoghi in cui il pubblico può ammirare liberamente e gratuitamente la sua creatività. Nel 1984, Keith afferma: “L'arte vive attraverso l'immaginazione delle persone che la guardano. Senza questo contatto, l'arte non esiste. Ho scelto di diventare un produttore di immagini del XX secolo e ogni giorno cerco di capire le responsabilità e le implicazioni che questa scelta comporta. è diventato chiaro per me che l'arte non è un attività elitaria riservata all'apprezzamento di pochi, ma esiste per tutti noi, ed è questo che continuerò a fare”. Keith Haring compie 26 anni. Cosa rimane nella tua mente della tua infanzia quando compi 26 anni? Figure inanimate, alcuni ricordi sbiaditi, il mondo di Walt Disney rovinato, la certezza che il mondo stia arrivando alla sua conclusione, o piuttosto la convinzione che il futuro ed i sogni di ognuno di noi siano raggiungibili? Chi può saperlo? Keith sceglie il suo percorso, tornando ai luoghi della sua infanzia e trasportandoli agli anni della sua maturità. Cartoni animati ed energia atomica, icone infantili e industria del consumo, bambini schiacciati dal potere della tecnologia, schiavizzati, sacrificati al volere della macchina, gratificazione immediata dei bisogni del singolo e della totalità dei desideri, il potere del sesso. Egli si pone al centro dei problemi della sua generazione, della sua era. Riunisce, paragona e unifica figure opposte ed icone contraddittorie. La sua arte nasce da questo confronto. “Io dipingo quadri che rappresentano la mia ricerca. Lascio agli altri il compito di decifrarli, di capirne i simboli e le loro implicazioni. Io sono solo un intermediario”. Meglio di altri, Keith Haring intuisce di avere i giorni contati e capisce così di dover danzare attraverso la vita, viverla velocemente. Utilizza vari supporti per la realizzazione dei i suoi lavori: dal calco in gesso del David di Michelangelo al corpo di Grace Jones, tornando poi nuovamente ai murales. Il successo è lì, pronto ad incontrarlo. Si innamora di un DJ e Madonna canta al suo compleanno. Per condividere con i compagni di avventura la felicità ed il successo, organizza un enorme party a New York. Tremila persone si presentano al Garage Paradiso. E' la primavera del 1984 e la festa si intitola Party of Life. La vita è un viaggio. Keith continua a viaggiare. Presenta i suoi lavori alla CAPC di Bordeaux, e prende parte alla Biennale di Parigi. Le sue sculture in acciaio dipinto vengono esposte alla Leo Castelli Gallery di New York e in quell'occasione afferma: “Vedere le mie sculture in mostra presso la Leo Castelli Gallery è un grande onore…perché lì le sale sono sacre. Jasper Johns ha esibito i suoi lavori lì, Lichtenstein ha dipinto un murale gigante proprio lì. Per me questa è l'occasione per fare qualcosa di completamente irrispettoso!” Inizia così a dipingere i suoi personaggi, provenienti dalle strisce dei fumetti, direttamente sulle pareti della galleria. In questo maniera ritorna all'adolescenza, trovando allo stesso tempo anche che un modo ed un metodo personale tramite cui fare i primi passi verso lo status di artista consolidato. E' il 1985. Esiliato dal mondo artistico ufficiale, Keith Haring è tuttavia un artista di successo molto popolare. Sempre nel cuore della modernità, considera la sua arte come una massa risultante da prodotti commerciali. è molto attento alla promozione delle proprie opere, del proprio lavoro, e non è solo un businessman, ma anche un artista che vuole essere sicuro che il suo lavoro ed il suo impegno artistico siano disponibili a tutti. Capendo davvero l'importanza della distribuzione, Keith vuole che il suo nome non sia collegato ad uno stereotipo, ma piuttosto far sì che il suo lavoro sia aperto a tutti, in un incessante dare e avere. Questa apertura, questo scambio ed il commercio non sono sleali nei confronti dell'arte convenzionale, ma diventano una parte importante ed integrale di essa. Nel 1986, Keith Haring smette di disegnare nelle metropolitane una volta per tutte e apre un negozio a Manhattan nel quale vende magliette, cartoline, poster, prodotti figli della sua stessa arte: il Pop Shop. In questo modo vuole rendere la sua arte ancora più accessibile, includendola nella vita quotidiana di tutti: in seguito, Keith diventa un vero e proprio marchio. Così facendo, si assicura inoltre la libertà rifiutandosi di dipendere esclusivamente dai mercanti d'arte. Mantiene la distanza dal circolo ufficiale dell'arte, ma lo fa senza alterare la natura del suo lavoro come artista, e senza perdere popolarità. Molto presto, non contento di copiare vecchi modelli, concepisce dei prodotti originali per il suo negozio. In questo modo il suo nome, il suo marchio e la sua arte vengono distribuite a livello mondiale. Il pensiero corre allora a Warhol, anche lui di Pittsburgh, amico di Keith dal 1983 e soggetto di alcune sue opere in cui appare come Andy-Mouse – rappresentazione del mondo Disney e dei prodotti di Warhol - sottolineando la natura riproducibile dell'arte. Ad ogni modo, Haring non si lega alla riproduzione di marchi commerciali come la Campbell's Soup o la Coca Cola, ma inventa nuovi schemi che non smette mai di rappresentare. Nello stesso momento in cui il marketing si sviluppa, inizia l'era del marchio personale. Keith Haring continua a viaggiare per il mondo lasciando i suoi segni. In quell'anno dipinge murali a New York, a Parigi, ad Amsterdam dove espone allo Stedeljik Museum, arrivando anche al muro di Berlino. Tiene inoltre lezioni di disegno, prendendo parte a programmi d'aiuto ai bambini. Per celebrare il bicentenario della Statua della Libertà, disegna il profilo della statua su di un enorme telone, il quale viene poi appeso a un edificio arrivando a coprirne 11 piani: più di un migliaio di bambini colorano seguendo i contorni tracciati da Keith. Gli anni '80 sono anni caritatevoli e sinceri. Dal Band Aid fino a molti altri impegni umanitari, gli occidentali finalmente capiscono di non essere soli a questo mondo. Nel 1987 Keith Haring si impegna ancora di più nel suo lavoro con i bambini. In tutto il mondo dipinge murales all'aperto. In seguito, attraverso le commissioni statali e le operazioni di pubblicità per la beneficenza ai bambini, ritorna al suo primo amore, i fumetti. Dipinti e sculture ispirate ai bambini segnano il suo lavoro e, inoltre, aiuta con la propria pittura la campagna di alfabetizzazione sia in Germania che negli Stati Uniti. è totalmente parte di quest'epoca e sceglie di usare il suo lavoro per la causa nella quale ha sempre creduto, l'infanzia, e che, come spesso ha detto, non ha mai abbandonato. In quell'anno crea una delle sue sculture più importanti: Red Dog per Landois. Produce inoltre un'altra scultura monumentale per lo Schneider's Children Hospital of the Jewish Medical Center oni Long Island. Quando Andy Warhol muore, Keith afferma: “Lui è stato il primo artista pubblico, nel vero senso della parola, e sia la sua arte che la sua vita hanno cambiato la nostra concezione di arte e vita nel XX secolo”. Gli anni '80 sono segnati dal lutto. La malattia e la morte sono onnipresenti. Jean Michel Basquiat muore nel 1988. Keith, che si trova in Giappone, scopre che il suo corpo è coperto da piccoli punti viola e capisce di essere stato contagiato dall'AIDS. Dopo momenti di forte disperazione, Keith si lancia nel lavoro con un energia incredibile. Paga il suo tributo a Basquiat attraverso le sue tele, con lavori come Silence=Death, e altre opere in cui, anche se la morte è predominante, la promessa dell'arte e della sua continuità non lo abbandonano mai. Forse Haring voleva esorcizzare il suo destino o tentare di vedere la sua arte da un altro punto di vista. Collabora poi con Burroughs a una serie di stampe ad edizione limitata, Apocalypse e The Valley, e inoltre prepara quella che è la sua ultima mostra alla Tony Shafrazi Gallery, nella quale si condensano tutti i temi affrontati fino a quel momento. Figure intrecciate e tracce di pittura che corrono sulla tela, assurdi collegamenti tra l'uomo, l'animale e la macchina. Nel 1989 crea una fondazione con lo scopo di aiutare i bambini e di supportare le organizzazioni che si battono contro l'AIDS. Realizza infine il suo ultimo lavoro pubblico sulla facciata della chiesa di Sant'Antonio a Pisa: il murale Tuttomondo è la sua ultima celebrazione della vita.

Ci lascia il 16 Febbraio del 1990 dicendo: “I miei disegni non cercano di imitare la vita, ma cercano di crearla ed inventarla”.


Opere:

http://translate.google.com/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.haring.nebelbank.de/&ei=cfjeSd6qK86GsAaSnPHcCA&sa=X&oi=translate&resnum=5&ct=result&prev=/search%3Fq%3DKeith%2BHaring%26hl%3Dit%26rls%3Dcom.microsoft:it:IE-SearchBox%26rlz%
3D1I7GGLL_it


Il Murales di Pisa:
http://www.comune.pisa.it/turismo/itinerari/haring-it.htm



Video:
http://www.youtube.com/watch?v=ajNqEcBb_Hw

http://www.youtube.com/watch?v=KtCwnc_qPV0

http://www.youtube.com/watch?v=MR-MbMDmq4w

http://www.youtube.com/watch?v=NamYGuBUQC8

http://www.youtube.com/watch?v=sVqGOdYo5FU





Altri Eventi:




Spazio Brancaccio Ecostyle

COMUNICATO STAMPA


Giovanni Bonanno – Occupatio/Dissipatio
16 FEBBRAIO - 31 MARZO 2009

Inaugurazione: lunedì 16 Febbraio 2009 - h.19
Testo Critico di Sandro Bongiani


Spazio Brancaccio Ecostyle , Via Giovan Angelo Papio 39 (84122) Salerno
Tel. + 039 089 56 47 991
Contatti: info@brancaccio.it
Orario galleria: lunedì/sabato: 9.00 – 20.30



“Occupatio/Dissipatio”
è il titolo della mostra che lo Spazio Brancaccio Ecostyle
dedica a Giovanni Bonanno

(Ecostyle, il nuovo spazio aperto da Brancaccio in via Papio, propone 16 opere dell’artista contemporaneo Giovanni Bonanno con presentazione critica di Sandro Bongiani)




Bonanno, presenta sedici lavori, di cui alcuni sono dittici e trittici, incentrati sulla perdita dell’identità dell’uomo contemporaneo, in particolare, è interessato a definire una visione alternativa, un nuovo immaginario . In una società carica di profondi cambiamenti culturali, sociali, segnata dall’alterità e dai nuovi modi nella costruzione dell’io, i consueti concetti tradizionali vengono ripetutamente smantellati e sostituiti da nuove e provvisorie percezioni e dal nuovo modo di relazionarsi con l’io. Bonanno, da bravo analista, mette l’uomo a nudo di fronte a se stesso, al suo specchio culturale e sociale facendo intendere come la tecnologia odierna abbia sconvolto definitivamente in nostro io, con ciò non vuole rappresentare l’io come registrazione del bello, bensì come possibilità per accedere ad un livello più profondo di conoscenza. Con l’ultima serie di opere “Occupatio H.X.”, l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione, molto più espressivo e idoneo, in cui le fattezze esteriori del volto e del corpo, gli orifizi degli occhi, del naso, delle orecchie, della bocca e persino dei genitali vengono occupate ossessivamente da una miriade di formiche disegnate a china direttamente sulla fotografia digitalizzata. Ne vengono fuori esseri profondamente mutati, senza una loro chiara identità; esseri caratterizzati da certi stereotipi della società attuale, come quelli imposti attraverso la pubblicità commerciale di massa; non a caso l’artista preferisce lavorare spesso direttamente sopra foto anonime e impersonali, volutamente scelte per il dato asettico e anestetizzato. I corpi ripresi dalla realtà più oggettiva, “caricati” di accumuli di formiche occupano ossessivamente parti di corpo umano, creando stati d’animo e situazioni emotive da cortocircuito, rivelandosi decisamente destabilizzanti di un ordine apparentemente normale accettato per armonico.













Giovanni Bonanno, nato nel 1954 a Menfi, nella valle dei templi tra Selinunte e Agrigento. Di formazione comasca, da sempre interessato al Naturalismo Integrale, l’artista ha operato insistentemente ai confini delle soglie disciplinari, in una sorta di fertile e felice contaminazione poetica incentrata sul dato progettuale e utopistico avviato precedentemente a Como da artisti di grande interesse come Antonio Sant’Elia, Francesco Somaini, e Ico Parisi. Vive e lavora da diversi anni a Salerno.

Diverse le mostre personali e le rassegne internazionali a cui ha partecipato: Rassegna Castello Svevo a Termoli (1976), La Rassegna “ Scultura / Giovani “ - Galleria San Fedele di Milano (1980), diverse partecipazioni al Premio Internacional De Dibuix “Joan Mirò” Barcellona), (1981-1983), Muestra Internacional De Arte Grafico “Arteder 82 ”di Bilbao (1982), Salon de la Jeune Peinture” - Gran Palais (1983), Gallery Art Space di Nishinomiya (1985), Al Metropolitan Museum of Tokyo e all’ ABC Gallery of Osaka (1986), alla Biennale Internazionale di Malta, Museo Mystique d'Arte Moderna (1988) al Museum Municipal of Kyoto, (1988), Mostra Antologica “Natura-L-Mente”-Villa Camilla Olgiate Comasco (1991), al City Museum and Art Gallery, Stoke On Trent, (1993), alla Bienal Internacional De Arte Postal “ Colegio Universitas - Sao Paulo (1997-1999) alla Bienal Internacional De Arte Correo - Galeria De Arte Fernando Serrano, -Moguer, (1999). Recentemente ha esposto presso: “Le sembianze anatomiche“ – Palazzo Aragona Cutò di Bagheria, (2004). Mailmania Biennial Exhibition" Spaces Studio J, Victoria, British Columbia-Canadà (2008), Al Florean Muzeum –Romania (2008)







SPAZIO BRANCACCIO ECOSTYLE
Via Giovan Angelo Papio 39 (84122) Salerno
Tel. +039 089 56 47 991 Contatti:
info@brancaccio.it



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martedì 23 dicembre 2008

POIESIS/ L'ANGOLO DELLA POESIA



-P O I E S I S-
L'ANGOLO DELLA POESIA


















Il Poeta salernitano
Alfonso Gatto



Per fermare la guerra basta un lamento napoletano?



A volte la poesia ci offre sensazioni e emozioni forti, a volte le parole dei poeti diventano macigni come case che ci vengono addosso, quasi sempre le parole dei politici sono lettere morte che vagano e si perdono nel vuoto. La poesia è capace a fermare la stupidità e la vanità di questo animale pensante chiamato “uomo”, questo essere insospettabile che periodicamente è capace di distruggere tutto quello che trova e senza alcun orgoglio annulla e annienta qualsiasi nuovo desiderio. Bisogna per forza credere alla voce solitaria di un poeta, almeno per sopravvivere e per sperare ancora, soprattutto se il poeta in questione è Alfonso Gatto.







Si chiama “lamento d’una mamma napoletana”, e una poesia di Alfonso Gatto ed è stata scelta dalla Casa della Poesia come manifesto contro la guerra,in occasione del centenario della nascita del poeta salernitano, su http://www.casadellapoesia.org/ è possibile ascoltare dalla voce del poeta Jack Hirschman quello che è stato indicato il manifesto poetico contro la guerra.














La poesia scelta



“Mio, il figlio, non era della guerra,
dei padroni che lasciano ch’io pianga dietro la porta come un cane,
mio, delle mie mani, del mio petto giallo ove le mamme seccano sul cuore.
Mio, e del mare che ci lava i piedi tutta la vita,
del vestito nero che m’acceca di polvere se grido.
Mio, il figlio, non era della guerra,
non era della morte e la pietà che cerco è di svegliare col suo nome
tutta la notte, di fermare i treni perché non parta,
lui, ch’è già partito e che non tornerà.”





Video






Biografia sintetica

Nato a Salerno nel 1909 da una famiglia di marinai di origini calabresi, frequentò l' università di Napoli senza però laurearsi. Lavorò come commesso, come istitutore di collegio, correttore di bozze ed infine divenne giornalista. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista" Campo di Marte" che diventò la voce del più avanzato ermetismo.A partire dal 1943 fece parte della Resistenza e le poesie scritte in quel periodo offrono una testimonianza efficace delle idee che animarono la lotta di liberazione. A guerra finita, fu direttore di" Settimana" , poi co-direttore di "Milano-sera" ed inviato speciale dell'Unità. Nel 1951 lasciò clamorosamente e polemicamente il partito. Vinse vari concorsi letterari: "Savini" (1939), "St. Vincent" (1950), "Marzotto" (1954), "Bagutta" (1955) Oltre che poeta fu anche scrittore e, in particolare, scrisse testi per l'infanzia. Negli ultimi anni della vita si dedico' alla critica dell'arte e della pittura. Mori' a Orbetello (Grosseto) nel 1976, in un incidente d'auto.A partire dal limpido, musicale discorso svolto nelle prime raccolte, Alfonso Gatto sviluppa la sua poesia passando attraverso una serie complessa di esperienze: dai versi politici al lirismo umanitario appassionato e acceso, fino al raggelarsi della parola nella meditazione della morte e nella contemplazione lucidamente razionale del mutare oscuro della vita e delle forme che premono gli uomini.Il linguaggio del ventenne autore di ISOLA pare nascere dall' urgenza" di fondere determinati contenuti sentimentali, una propria retorica di sguardo e di memoria meridionali nell' irta e drammatica sintesi espressiva di un Ungaretti, passando attraverso Campana e sposando....i toni vociani più esasperati -quel Rimbaud...-, come una musica non più sensitiva, ma interiore."... Con tutte le sue ossessive effusioni sentimentali Alfonso Gatto è il solo temperamento di moralista che si sia affacciato, dopo Cardarelli, nella lirica d' oggi. Egli è il solo che abbia ... scalzato i motivi interiori...dalla loro vernice patetica, per far loro acquistare un sapore di verità rimproverata, cogliendo al vivo la parte di noi stessi che risponde all'ansia del tempo via via con maggior dolore e rancore.
Si dirà che un simile travaglio era un po' nell' aria; ma dobbiamo unicamente a lui la forza con cui esso è giunto...a darci l' immagine di una nuova" coscienza letteraria" ."...Dunque in Alfonso Gatto non si sente uno che racconta o canta; a un estremo di abbandono e di malinconia corrisponde un' eguale misura di macerato riserbo che si comunica a chi legge."...si capisce che, per arrivare all' amarezza ardita e sonante di questeultime cose, Gatto deve aver tenuto presente l' esperienza umana fatta nel dopoguerra; e quella letteraria...di altre liriche sbagliate o pericolanti nell' assurdo, ma che contenevano i più accesi stati d' animo della sua sensibilità: a frammenti, a stacchi pieni, quasi blocchi, gettati lì, col vergine stupore con il quale il pittore cubista avrebbe saputo comporre e scomporre geometricamente un paesaggio interiore." (G. Spagnoletti, La Fiera Letteraria)



Opere

Isola, Libreria del novecento-Napoli 1932

Morto ai paesi, Guanda-Modena 1937

Poesie, Milano 1939 Vallecchi-Firenze 1943

L' Allodola, Scheiwiller-1943

Amore della vita, Rosa e ballo-Milano 1944

Il sigaro di fuoco (Poesie per bambini) Bompiani-Milano 1945

Il capo sulla neve, Milano-Sera-Milano 1949

Nuove poesie, Mondadori - Milano 1950

La madre e la morte, Critone-Lecee 1950

La forza degli occhi, Milano 1954

Poesie, Milano 1961

Osteria Flegrea, Milano 1962

Il vaporetto (Poesie per bambini), Nuova Accademia - Milano 1963

Desinenze, Mondadori- Milano 1977





Per Alfonso Gatto, a cura della Amministrazione provinciale di Salerno Assessorato ai Beni Culturali, Salerno, Tipografi Guardamagna, è uscito nel 1994 un volume approntato in occasione della mostra" Salerno rima d'eterno: Alfonso Gatto" .Immagini, documenti, manoscritti, dipinti, testimonianze (Salerno, 23 aprile 1994)- contributi di:G. PAMPALONI, La poesia di Alfonso Gatto,G.C.SCIOLLA, Appunti per Alfonso Gatto pittore,G. DUCCILLI, Su la poesia di Alfonso Gatto, Alfonso Gatto: inediti con una nota di A. MODENA.S. RAMAT," Morto ai paesi"di Alfonso Gatto, in" Poesia", 1993, n. 68, pp.42-53.










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IL DIBATTITO E LA POLEMICA






LA POESIA DI TERMINELLI E L’OTTUSO OSTRACISMO DI UNA LETTURA FALSANTE.






Ho voluto far passare del tempo, prima di rispondere, con questo scritto, ad un articolo dal titolo “Pietro Terminelli: del pensiero e delle forme poetiche”, comparso nella rivista “Il Convivio”, n. 32 del gennaio-marzo 2008, a firma di Ciro Vitiello, per potere contenere quelle che, subito dopo la pubblicazione del suddetto articolo, potevano risultare delle impreviste e tumultuose reazioni emotive, anche se giustificate, nei riguardi delle tante sviste, distorsioni, omissioni e finale stroncatura operate dal Nostro, al fine di annullare per sempre tutta l'attività poetica ed etica svolta da Pietro Terminelli.Un’operazione, senza dubbio, indecorosa, inobiettiva e scandalosa, effettuata oltre tutto a distanza di molto tempo e per di più, non essendo in vita il Terminelli. Di certo, siffatte operazioni lasciano il tempo che trovano – mi sono detto – anche se evidenziano delle turlupinature vistose e delle distorsioni nei riguardi dello spessore etico e valore poetico dell’immaginazione terminelliana, che alla fine fanno tanto male, in quanto non si possono accettare.Cercherò allora di fare delle brevi annotazioni, seguendo quanto scrive il Nostro, che cavalca la tigre di carta dell’arroganza stroncatoria, riversando sulla poesia terminelliana le sue imprecisioni ed incoerenze estetiche, ideologiche e culturali.Occorre dire subito che, per buona parte dell’inizio del suo scritto, il Nostro non fa che presentare il Terminelli come il rappresentante di “una forma letteraria sovvertitrice dei modelli vigenti”, trattandosi di un “intellettuale emarginato ma non marginale; per questo, tuttavia –annota ironicamente – può godere pienamente del piacere dell’autonomia e della libertà”. Qui, il Nostro non riesce a capire che le vere motivazioni e ragioni che hanno attivato la poesia e le riflessioni critiche del Terminelli sono di carattere etico e di non accettazione di quella letteratura asfissiante e non democratica voluta e gestita dal Potere. Invero, il putrefatto accademismo della leadership degli intellettuali al potere, di fatto ed in modo reazionario, non aveva consentito il rinnovo della letteratura di fronte alle nuove esigenze culturali reali in modo da dar luogo ad una vera letteratura democratica, che offrisse una cultura come verità.Si comprende subito che il problema di fondo viene taciuto ed addossato alle “illibertà che tanto selvaggiamente (a disdoro del principio roussoiano) l’uomo contemporaneo sta ingene-rando”. Del resto, il Terminelli sapeva molto bene cosa significasse l’essere underground: “Essere underground significa scegliere una canalizzazione diversificante, concedere alla base una non fugace letteratura di sollazzi, sganciarla perciò da una codifica di messaggi comuni mercificati, ripulirla dalle scorie, la scorza controrivoluzionaria dei compromessi piccoli-borghesi e dei partiti ambivalenti: il messaggio deve scorrere limpido e necessario alla prassi rivoluzionaria, deve affrontare la storia, i problemi economici e politici, e disinnescare le istanze nel mondo meramente disalienante” (Ideologia ed intergruppo, in “Intergruppo”, n. 8 del gennaio 1976). E’ riduttivo e dovuto a chiare imprecisioni quanto poi seguita a scrivere: “Egli procede con fermezza controcorrente, convinto e sicuro che da quel “contro” germini la vera autentica arte la quale, scatto tra ragione e rivoluzione, scommessa della creazione sul nulla mostruoso della storia, sola propone il più profondo segno di una presenza vitale di riferimento”. Per il suddetto il procedere “controcorrente” è già una colpa e “l’essere underground”, uno status presentato come una sicura garanzia di attivazione e promozione di un’arte autentica, convinzione mai, in realtà, condivisa ed espressa dal Terminelli. In tal senso, però manca da parte del Nostro un’analisi anche minima riguardante l’operazione obiettiva elaborata dal Terminelli nell’ambito della sua poesia. In più, seguita col dire che “chi si spinge sulla strada della provocazione della creazione (…) deve costruirsi ogni elemento del poetare, il linguaggio, lo stile, le forme, le strutture. Per questo gli necessitano forza di pensiero, prospettiva filosofica, conoscenza della dinamica del linguaggio, coscienza civile” nella finalità di presentare poi “l’implosione dei valori, la forza dei linguaggi, la tormentata gestione delle forme, una natura singolare e autentica di creazione della realtà”, perché in un’opera inventiva il tempo ricercherà proprio queste caratteristiche formali, insieme ad una “potente sostanza del mondo”.Di certo, si tratta di annotazioni generiche estrapolate da un’estetica vaga e per di più riguardanti aspetti formali della poesia. Inoltre, scrive che Terminelli “ebbe l’intento di perseguire una poesia totale, non in senso poematico per aver indagato e verificato gli aspetti politici, sociologici, letterari del reale, bensì per aver intessuto la sua poesia “di tanti linguaggi e di vaste tematiche, dell’economia, della filosofia, della politica, della sociologia”.Più che agli stilemi formali, che erano numerosi ed inediti nelle sue liriche, l’attenzione del Terminelli era piuttosto concentrata sull’azione rivelatrice della poesia nei riguardi delle contraddizioni di una letteratura falsa, comprendente anche la neoavanguardia, “il cui equivoco era un dentro/fuori con mezzi tecnici e scarsezze innovative sul piano di una epifania, oltre la crisi del capitalismo e dei suoi strumenti non idonei ed anchilosati” (Antigruppo Palermo, n. 7 del luglio 1975) e, soprattutto, della realtà nei suoi risvolti demenziali ed alienanti, negli aspetti feroci e terribili, in forza di un verso lungo antilirico, paratattico, scoppiettante in un flusso esplosivo di enunciazioni tendenti a verificare e a svelare la sconcertante disumanizzazione dell’anima dell’uomo. Del resto, lo stesso Terminelli, nel luglio del 1975, nella rivista "Antigruppo Palermo", aveva annotato che "Una cultura alternativa nel senso dell'ordine della struttura di classe antagonista deve nascere ovviamente dall'impadronimento dei mezzi di produzione estetica da parte del popolo, all'interno del popolo, in cui lo scrittore, il poeta ne sia il soggetto/oggetto che si spinge negli interessi interreagenti, intersoggettivi, antagonistici dei rapporti di classe", perché “Il poeta, come uomo di strada, come un lavoratore manuale, ha sviluppato la sua res, ha svolto con un linguaggio proprio una misurazione poetica e desublimante del tessuto rivisitato storicamente, ha costretto se stesso ad una verifica- destruttura nuova espressamente internazionalizzante, svuotata da ogni compromesso oscuro ed ambivalente per porsi nella avanzata informatica ed ideologica, culturale, strabiliamente letteraria e rivoluzionaria” (Intergruppo, n. 9 dell’agosto 1976).Venendo, così, a trattare della poetica del Terminelli, il Nostro afferma che il Terminelli è approdato “a una sorta di psicologia personale e soggettiva, con una comunicazione diretta con l’oscuro dell’interiorità dove è assommata tutta la conoscenza, di persona e di civiltà”. Si comprenda che tutto ciò è falsante in sé, oltre che circoscritto e limitato al solo libretto dal titolo “Immagini ed ingrandimenti” del 1991, non tenendo presente le ben diverse poetiche rinvenibili nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, che non vengono neanche citate.Ma, sentite, che cosa scrive: “Pervicacemente l’io, tuttavia, se è eliminato nel soggetto, e se il soggetto è rovesciato come oggetto guardato (…) addiviene che è la mente, come ente a sé, a gestire e dominare il flusso irruente e massivo delle immagini, che avanzano in disordine…”.Non occorre molto per comprendere che siffatta asserzione serve al Nostro per poter qualificare la poesia del Terminelli come uno spurio risultato e prodotto della ragione, in quanto il lungo procedere del verso si origina dalle operazioni effettuate dalla mente che “accosta, accatasta, aggrega, ammassa in un debordare che dà il senso di sazietà e addirittura di crapula”. Una sorta di “accumulazione” alla Arman?Il che non risulta al critico Donato Valli secondo quanto annota nel suo scritto dal titolo “Il testo fluente”, comparso in “Quaderno di Intergruppo 2”, nel settembre del 1982: “La poesia di Terminelli si attesta, infatti, su un "continuum" di discorso, la cui principale caratteristica è quella dell’appropriazione di tutti i dati del reale, nessuno escluso, ma senza ordinarli categorialmente e aprioristicamente: la poesia "si fa" all’interno di quel discorso, coincide con esso, non ne è il risultato o la predeterminazione. Allora la grande rivoluzione rispetto alle dimensioni canoniche e scolastiche della poesia consiste non nell'esclusione della realtà e nell'eccentuazione del momento formale, quasi materica escrescenza di quella realtà svuotata di significati positivi, ma nella destituzione delle categorie razionali ordinatrici, al fine di rendere evidente, al termine dell'operazione, il caos insito nell'ordine apparente istituzionalizzato e la non-razionalità di ogni effimera ragione programmatoria e provvidenziale". Il Valli giustamente può precisare in modo chiaro che Terminelli rifiuta sia “la presunzione ordinatrice della perfetta razionalità hegeliana” che “il prospettivismo definitorio della prassi marxista”.Afferma il Nostro che per il Terminelli “l’io scompare per farsi noi, altro”, anche perché “l’esterno è un po’ l’immagine dell’interno”, mentre per il Valli il Terminelli mette in parentesi propriamente le due dimensioni del reale, quella visibile e invisibile, approdando ad un radicalismo poetico che evidenzia il ribaltamento della esaltazione dell’ideologia poetica nella contestazione e parodia di qualsiasi ideologia come strategia totalizzante e come esegesi dogmatica del reale ed il conseguimento della messa in crisi dell’ “intera struttura ideologica del linguaggio” e di qualsivoglia organizzazione logica. Pur tuttavia, il Vitiello, imperterrito, continua col dire che il Terminelli “capovolge l’ego e lo situa nell’altro, nella realtà, nella storia…” e al suo posto mette la mente “come coattiva funzione del rapimento delle immagini che nascono da incipit cosali o situazionali” e come “apice della comprensione, della interpre- tazione, destinata a disciplinare (nel senso di ordinare) l’ammasso tumultuante e smisurato che si agita nel cosmo/uomo/mondo/storia”. E’ certo che siffatti enunciati, circoscritti ad una sola silloge poetica, non possono essere assunti come unici ed esaustivi, fagocitando anche le ben diverse poetiche elaborate nelle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, nelle poesie de “Lo Schiaccianoci”. Ma di queste, il suddetto non osa parlare per delle ragioni che cercheremo di precisare in seguito. D’altra parte, lo stesso poeta, in Intergruppo, n. 10 del febbraio 1977”, aveva scritto che “Ogni dato estetico è un risultato della prassi e conoscenza ideologica, con la quale il soggetto operante viene a confluire nell’oggetto mediato, coinvolgendolo e conducendolo seco infuocato nella libertà della espressione, nella sostanzialità semantica, poetica ed estetica” e che “Se il contenuto è in un rapporto ideologico-dialettico (come così affrontato nella immediatezza della conoscenza dell’oggetto e della sua mediazione sociale e storica) è comprensibilissimo che l’avanzamento non conduce fuori dalla traiettoria della letteratura”.Ed, inoltre, “…ogni operazione intellettuale di avanguardia deve concepire un rapporto unico con la sovrastruttura di disalienazione del messaggio ideologico mercificato ed alienante” ed, in tal senso, occorre evidenziare che al poeta spetta il compito di “problematizzare il reale”, per dirla con il Valli, non la funzione di “accertare i meccanismi oscuri della perfidia dell’esistenza, bensì quella di elencare i dati sperimentali di questa perfidia”.Pur tuttavia, al nostro non piace neanche il verso terminelliano perché “è mortificato nella sua accezione ritmica e retorica, come misura quantitativa distinta e definita”, la cui caratteristica è il suo “lungo, inarrestabile procedere” la cui natura è solo docile alla volontà della mente, come abbiamo visto. Inoltre, il critico riporta 4 lunghissimi stralci di liriche desunte da Poesie Antigruppo del ’73, dalle Ideologie politiche del ’97, da Immagini e ingrandimenti del ’91 e da Involucro del ’92, appositamente scelti fra i più neutri, per potere affermare in modo generico la forza ma anche la precaria debolezza di una siffatta poesia tutta giocata sulla ragione e sull’assenza totale dell’anima del poeta. Asserzioni di comodo, dunque, inaccettabili per un esercizio che esula totalmente da una seria analisi critica, attivate unicamente da una egocentrica tracotanza intollerabile che, oltre tutto, offende i numerosi critici di vaglia che si sono occupati della poesia del Terminelli.Il bello è che prima il Nostro aveva scritto che Terminelli, a suo dire, “probabilmente ha una statura da essere ripresa e guardata, scrutata, indagata, sistemata in una prospettiva critica e storica giusta e non parziale come accade”. Visti i suddetti risultati, c’è molto da sperare!Ma, imperterrito, il Nostro, dietro false premesse, dà la stroncatura più penosa ed intollerabile. Infatti, scrive: “Spostando l’indice sul versante della valutazione, sobbalzano alcuni non peregrini interrogativi: una poesia che è tutta calata nella realtà storica e culturale – la mente non altro compone che l’essenza di essa – ha un destino duraturo? E a essere configurata in un’epoca successiva, che appare totalmente mutata non solo nella forma ma anche nelle radici delle sue costumanze e dei fenomeni culturali e linguistici, regge di essere inserita nel nostro presente, di elevarsi a forza di rappresentazione di sé? Oggi che la società non detiene più nulla di appena cinque anni fa, che sono aborrite come lebbra le ideologie – assi portanti della struttura politica e sociale – le composizioni massive e oggettive di Terminelli perdono di efficacia”. Si comprenda subito che da una falsa impostazione dei problemi si perviene a delle false risultanze che poi, servono per avvalorare quelle sapide domandine del Nostro per consentirgli una falsante stroncatura. Allora, nel premettere che il discorso del Nostro riguarda solo una parte della poesia terminelliana, avendone tralasciato appositamente i risultati migliori rinvenibili nelle Poesie epidermiche e soprattutto nelle liriche de “Lo schiaccianoci”, non volendo richiamare quanto ho scritto nel volume dedicato alla poesia del Terminelli, lascio che sia il Di Maio a voler precisare alcuni aspetti della poesia terminelliana per poi chiarire, in che cosa obiettivamente è consistita l’operazione elaborata dal Terminelli.Scrive il Di Maio, in Antigruppo Palermo, n. 7 del lontano luglio 1975, che “La poesia di Pietro Terminelli, così densa di umori, di fatti, di eventi, così corposa nella sua cifra violenta, così irta e complessa nel suo "spessore" linguistico, recupera la "sovrastruttura" come campo di rigorosa ed attenta verifica demistificatrice (sottolineatura nostra), come luogo di incontro e di scontro, di puntuale intervento e di azione. E’ un recupero pieno, globale, a più strati e livelli, in cui il dato squisitamente intellettuale e ideologico integra precisi, puntigliosi riferimenti alla storia, alla cronaca, ecc. in un " continuum " di voce, in un rapporto dialettico acuminato e totale e in cui l’assunzione dell’elemento contestuale, quale esso sia, non assolve funzione intensiva di simbolo né esorcizza incubi privati, onirico-nevrotici, all’interno di una palus intellettuale sia pure fervidamente aggressiva”. Ciò per dire che è inaccettabile quanto prima è stato affermato dal Vitiello. Che poi la medesima “verifica demistificatrice” e la conseguente poesia che ne risulta non siano di stampo dogmaticamente ideologico, cioè condotte secondo una particolare ed aprioristica ottica ideologica di passivo incasellamento e riduzione della realtà vale quanto scritto dal Valli e, soprattutto, ciò che in proposito ho detto nel mio volume “La poesia di Pietro Terminelli” del 1995: “Riportiamo il passo in cui il Pasolini enuclea in modo chiaro la sostanza del problema ed in cui legittima una poetica fondata sulla verifica delle istanze che scaturiscono dall’ideologia estetica con quelle che derivano dall’ideologia politica”: “In altre parole l’ideologia di uno scrittore è la sua ideologia politica – condivisa, come fatto logico e morale, con tutti coloro che la pensano come lui – ma calata in una coscienza in cui si dà il massimo del particolarismo individualistico, con tutte le sue sopravivenze e contraddizioni storiche e concrete. La verifica di quello che succede in questo urto, in questa fusione, è la vera e propria ideologia di uno scrittore; quello che egli esprime poeticamente, va riportato a tale sua specifica ideologia; e non a quella, razionale e oggettiva, che egli professa come cittadino” (P.P. Pasolini, Le belle bandiere, a cura di G.C. Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 155-161). Chiarito questo aspetto fondamentale, occorre precisare che le “composizioni massive e oggettive del Terminelli” non perdono di efficacia nei riguardi del presente, appunto, per quell’essere intrise di quell’ethos che cerca di scrutare e di annullare gli aspetti disumani di una società e dell’anima dell’uomo, perché essi, anzi, diventeranno sempre più virulenti e travolgenti.Inoltre, propriamente in forza di ciò che afferma il Nostro, ossia che le ideologie sono obsolete ed in crisi, ci permetterà di dire che sono in crisi pure i valori condivisi, le poetiche e perfino la medesima critica che si dimena tra il conformismo alle mode attuali, il disconoscimento di certi valori alla parte avversa, quando essa risulta asservita, una stroncatura può allora sembrare, come afferma il Raboni (in L’Europeo del 15/11/1986), “l’espressione di un risentimento personale o di gruppo oppure uno strumento di vendetta, un messaggio di avvertimento…”. Ma, ciò che inquieta di più per i suoi riflessi antidemocratici riguardanti la gestione della cultura è il tenore delle seguenti affermazioni dello stesso Raboni: “Una stroncatura (…) presuppone, per avere senso, un sistema di valori (estetici, ma anche etici, politici, ecc.) in nome del quale il giudizio viene espresso. Una stroncatura, insomma, non è una semplice expertise; è anche e soprattutto la negazione di un progetto in nome di un altro progetto. E così, in effetti, essa è stata usata, per esempio, dai futuristi contro i "passatisti", o dai sostenitori dello sperimentalismo degli anni Sessanta contro i rappresentanti del realismo (non importa se "socialista" o "borghese") dello stesso periodo. Oggi, se non mi sbaglio, progetti così forti ed esclusivi, o escludenti, non esistono; e non si vede dunque in nome di chi o di che cosa un critico potrebbe "stroncare" se non in nome della scuderia (casa editrice, giornale, clan snobistici, cosca universitaria, ecc.) alla quale appartiene”. Non credo, allora, che il Nostro sia in possesso di un “progetto forte” e nuovo, tale da offrire un’estetica che possa spiegare totalmente che cosa si debba intendere per poesia e per l’unicità che la caratterizza, dal momento che scrive che “La poesia è singolare (e) si raffigura come unicità”, in forza dello “spirito simbolico che presentifica, nel gesto, nell’azione, nell’immagine”, perché non basta ricorrere al 142° verso dantesco del V canto dell’inferno “E caddi come corpo morto cade” per intendere in modo esauriente quell’unicità, che si deve senza dubbio riconoscere alla poesia, anche se fosse accolta nell’accezione proposta dal Brandi e dalla mia ipotesi esegetica della “Verifica trascendentale”, cioè come “astanza”, spazio virtuale, trans-temporale e trascenden- tale. Inoltre, occorrerà precisare il come debba intendersi quello “spirito simbolico” che caratte- rizza l’unicità della poesia, considerata la fondamentale distinzione offerta dalla Susanne Langer nel suo “Problemi dell’arte” (Milano, 1962), cioè intendere la funzione simbolica non nel senso di rappresentare l’idea di qualcosa d’altro, non nella modalità di esprimere direttamente i contenuti del sentimento, come pensava R. Carnap, bensì come oggettivazione espressiva di forme simboliche del sentimento vitale del soggetto, cioè nel senso che il linguaggio artistico si avvale di un simbolo presentativo e non rappresentativo.Comunque, alla fine, il Nostro riconosce al Terminelli “ripiani nuovi, spazi acquiescenti, dove l’intuizione apre sorvegliatissimi spiragli di immedesimazione personale”, che riscontra in tre ampi stralci di liriche, desunti dal volume “Immagini ed ingrandimenti”. Il che ci sembra molto riduttivo nel senso che il Nostro ha tralasciato il benchè minimo accenno alle “Poesie estetiche”, alle “Poesie epidermiche” e, soprattutto, alle fondamentali liriche dal titolo “Lo schiaccianoci”, per ripetere alla fine dello scritto il ritornello della poesia come unicità espressiva con il memento che, in assenza di essa, qualsiasi poeta è destinato a scomparire per sempre. Considerata la suddetta ricettina, avremmo preferito la seguente, estrapolata da “Ricette per fare poesia” del cuoco-poeta Queneau, almeno avremmo goduto del suo humour basato sul non-senso: “Prendete una parola, prendetene due, fatele cuocere come fossero uova, scaldatele a fuoco lento, prendete un pizzico di senso, versate la salsa enigmatica, spolverate con qualche stella e fatele andare a vela”. Fuor di celia, il non aver accennato il Nostro alle menzionate sillogi preoccupa non poco, in quanto sono propriamente esse, secondo lo Squarotti, che “tendono a una straordinaria libertà di forme e di invenzioni, tra parola e immagine, (…) in un agio di scrittura limpido e acuminato, ma senza più asprezze polemiche, anzi inteso a dare il piacere pieno della creazione” (in “Intergruppo, n. 16”). Infatti, con le Poesie epidermiche, le cui prime liriche sono state pubblicate ne “L’Involucro, n. 8, nel settembre del 1990, il Terminelli, ricorrendo ad un linguaggio medio-basso per riconoscere alla poesia un respiro umano, sociale e democratico, la pone su basi ontologiche come voce obiettiva e trascendentale dell’ “Essere”, come del resto riconoscono il Cardamone (Proposta di lettura, in “L’Involucro”, n. 9 del giugno 1991) e tanti altri critici.Invero, la poesia, per Terminelli, si poneva come lo strumento e la voce per realizzare un progetto che mirava alla fondazione di un essere in sincronia con la sua vera umanità. Infatti, nelle “Poesie epidermiche” ritroviamo il senso della catarsi e della sublimazione nei riguardi della disperazione di molte vite che non hanno trovato una piena realizzazione di sé. La stessa fuga di quel vecchio impiegato di Stato, come evasione dalla Storia, avviene per potere salvaguardare l’esile sprazzo di vita che gli è rimasto per il monotono ripetersi di momenti alienanti in una realtà soffocante ed inautentica. Sono queste pagine espressive del “forte senso di dignità morale” del Terminelli, scrive l’Alaimo, mai sceso a compromessi con il potere, date nello spazio inedito di un alto e viscerale senso dell’umanità e di un riscatto, nella sua totalità, della vera dimensione della spiritualità e dell’eticità del cuore dell’uomo, in cui, per il suddetto critico, il poeta “riconoscendo sé nella storia di altri uomini, oggettivizza stati d’animo, aspettative, problemi” (L’Involucro, n. 9, giugno 1991). Si tratta, allora, di una poesia diversa in cui, per la Fiorino, “Il riscatto è il sogno della ribellione, deterrente e stimolo della liberazione della materia dolorante” (L’Involucro, n. 10, aprile 1992).E, anche quando questa utopia fosse del tutto travolta, aggiunge Sanguineti, in extremis, l'intellettuale potrà pur sempre farla rinascere dalle "interferenze del cuore " (Il chierico organico, Milano). Comunque sia, ciò che risulta meritorio in Terminelli è la sua utopia, ossia il suo pensiero progettuale che lo porta ad esperire e a verificare aspetti del reale, che mantengono stretti addentellati con il concetto di "trascendenza" del Marcuse nel senso specificato da Palombella (Istituzioni e trascendenza in H. Marcuse, in SWIF, 1997-98), ossia con la "capacità in astratto di promuovere l'ingiustizia o la giustizia, la verità o il suo occultamento, e ancora la felicità o la repressione".Ma è soprattutto con le liriche de "Lo schiaccianoci" (il cui primo quintetto di liriche è comparso ne L’Involucro, n. 13, novembre 1994), cioè in una poesia eccelsa di un'alta postulazione metafisica, che il poeta cerca incessantemente di realizzare la piena e trascendentale libertà spirituale ed umanità dell’uomo ed il pieno significato della sua più intima identità in sincronia con l’idea dello Hegel del fine da riconoscere all'arte consistente nel dare "forma sensibile" a quel sentimento dell'uomo che vuole promuovere una vita di piena realizzazione e di una totale libertà spirituale.Invero, al tempo disintegrato della Storia, fatta di caos e di ferocie inaudite, Terminelli sa opporre la misura e lo spazio di una poesia che, nell'essere ricognizione trascendentale degli interrogativi più ossessivi dell'uomo, sa passare dal piano fenomenologico a quello noumenico, sublimando il tutto alle scaturigini primordiali di un'innocenza rigenerante. La sua è una poesia che sa esprimere l'essere della coscienza alienata dell'uomo d'oggi, le estrinsecazioni provenienti dalle attese del profondo, le peculiarità spirituali che l'io effonde tramite il suo sentimento e il suo pensiero. Il merito del Terminelli, allora, consiste nell'inesausta tensione di aver saputo guardare insistentemente alla "totalità" dell'uomo, alle sue alienazioni, al continuo sfaldamento dell'unitarietà della sua anima, tramite l'impiego di una poesia assunta come una modalità ricognitiva, valutativa e "verificale" e, quindi, come giudizio sulle aberranti manipolazioni esercitate dal potere e dalle sue strutture sulla coscienza di ciascun uomo.Lirica e trascendentale la sua poesia dà il fascino e la concretezza alla nostra coscienza della catarsi e della liberazione dagli schemi fossilizzati che l'opprimono e la alterano; il senso unitario di un'identificazione con la profondità della sua essenza spirituale e del ritrovamento significativo del nostro io sovrapersonale nella vitalità esistenziale di un'umanità assunta nella pienezza delucidativa delle sue luci e delle sue ombre.La lucidità inventiva della parola terminelliana qui è riuscita a svelare le fisionomie alte ed espressive dell'essere trascendentale dell' uomo con un pàthos che la sua investigazione poetica ricompone nel respiro metafisico e nel canto d'amore di una profonda chiarificazione e sublimazione della vera intimità spirituale dell'anima umana.Terminelli, invero, con le liriche dello "Schiaccianoci", ha aperto un'inedita pagina alla poesia trascendentale e metafisica, tesa oggettivamente alla fondazione della vera essenza dell'uomo con immagini fascinose di un mondo toccato dalla grazia di una poesia rivitalizzante la vera essenza della nostra spiritualità più alta ed avvincente. ANDREA BONANNO







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L'ARTE POST - HUMAIN

Una situazione tutta Post-Humain





“Occupatio/Dissipatio”


Viviamo in una società globale piena di contraddizioni, l’uomo non ha perso soltanto i naturali riferimenti che aveva con la natura ma persino il desiderio di sognare. Da sempre l’uomo ha cercato di essere creatore d’immagini, talvolta sforzandosi di imitare la natura, fino a decidere di contraffarla e di sostituirla nell’artificiale. Di certo, non esistono più limiti, ormai si vive una situazione complessa e deviata. Voler assumere “la diversità del reale”, l’uomo vive una situazione decisamente “anomala”; questa è la realtà della “simulazione significante”, una realtà in cui gli eventi naturali vengono attraversati da accorgimenti che ne alterano le componenti temporali-spaziali, dandoci l’illusione di una verità. In questa condizione, la realtà viene spesso sostituita con quella “virtuale, quasi una seconda realtà simulata e immateriale. La produzione creativa, oggi, vive la dimensione conoscitiva di diverse ricerche e scoperte che vengono “filtrate” dall’artista, confrontate e sublimate in una cosa che chiamiamo “immaginazione”. La produzione artistica risente di questi nuovi fattori; ne è altamente condizionata. L’artista di oggi deve per forza di cose leggere in profondità, dentro una complessità ormai “Post-Humain”. Ormai, i progressi nella biotecnologia stanno variando i confini in corrispondenza dei quali si celebra la fine dell’uomo e l’inizio del post-umano.






Secondo tale ipotesi le nuove problematiche in atto contribuiranno a ridefinire “una nuova costruzione dell’io” determinata dall’applicazione consueta di tecniche di trasformazione fisica; la chirurgia plastica, gli interventi a livello celebrale, l’inseminazione artificiale diventeranno una prassi comune per cui bisognerà reinventare se stessi. Si dovrà necessariamente ridefinire i parametri dell’esistenza stessa in un regno evolutivo artificiale. In arte, oggi, emerge un rinnovato interesse verso la natura e il corpo umano, alcuni artisti come G. Bonanno dimostrano di essere molto interessati a tali problematiche, tentando in tutti i modi di rispondere a questi nuovi interrogativi. Già, qualche anno fa C. Strano scriveva: “La ricerca linguistica e iconografica di Giovanni Bonanno si è sempre basata sull’improbabile, sul virtuale. Non un referente eminentemente fantastico, semmai immaginativo. In sintesi: non l’impossibile, ma l’improbabile, appunto. Così è stato per le “Espansioni” (disegni), per i “Percorsi” (foto manipolate), per i “Territoires” (il suo segno grafico e pittorico lasciato sul poliestere, ad esempio). Il corsaro della traccia grafico-estetica: questo ha fatto Bonanno. Sostanzialmente, ha disegnato mappe, segni sul territorio, e il fruitore s’è mosso alla ricerca di un tesoro improbabile, il tesoro di una provocazione in senso naturalistico e ambientalistico. E’ accaduto allora che l’utopia ideologia ha coinciso con l’utopia dell‘immaginazione creativa. Ciò è stato possibile anche perché nei suoi territori improbabili Bonanno ha giocato ampiamente con la memoria”. L’artista, con queste ultime l’opere presenta una serie di lavori incentrati sulla perdita dell’identità dell’uomo contemporaneo, in particolare, è interessato a definire una visione alternativa, un nuovo immaginario. Da sempre, l’artista ha lavorato sulle “dis-nature” immettendo nell’opera, come scrive Flaminio Gualdoni, “una violenta mozione disequilibrante e destabilizzante all’interno di un ordine stabilito e accettato per armonico; atto di negazione profondamente consapevole, gesto provocatoriamente arbitrario, l’operazione di Bonanno frantuma la realtà un ordine apparente o quantomeno normale recuperando una diversa dimensione cognitiva e immaginativa con ciò si nega il normale nella loro prepotente carica liberatoria: dietro ad esse emerge, utopica, la volontà di un nuovo e possibile equilibrio”. In una società carica di profondi cambiamenti culturali, sociali, segnata dall’alterità e dai nuovi modi nella costruzione dell’io, i consueti concetti tradizionali vengono ripetutamente smantellati e sostituiti da nuove e provvisorie percezioni e dal nuovo modo di relazionarsi con l’io. Bonanno, da bravo analista, mette l’uomo a nudo di fronte a se stesso, al suo specchio culturale e sociale facendo intendere come la tecnologia odierna abbia sconvolto definitivamente in nostro io. Con ciò non vuole rappresentare l’io come registrazione del bello, bensì come possibilità per accedere ad un livello più profondo di conoscenza. Con l’ultima serie di opere “Occupatio H.X.”, l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione, molto più espressivo e idoneo, in cui le fattezze esteriori del volto e del corpo, gli orifizi degli occhi, del naso, delle orecchie, della bocca e persino dei genitali vengono occupate ossessivamente da una miriade di formiche disegnate a china direttamente sulla fotografia digitalizzata. Ne vengono fuori esseri profondamente mutati, senza una loro chiara identità; esseri caratterizzati da certi stereotipi della società attuale, come quelli imposti attraverso la pubblicità commerciale di massa; non a caso l’artista preferisce lavorare spesso direttamente sopra foto anonime e impersonali, volutamente scelte per il dato asettico e anestetizzato’, in questo modo, si misura direttamente senza filtri metaforici con il corpo umano, la fotografia non ha più l’angusta e precaria dimensione documentaria del ritratto , ma piuttosto l’immediatezza provocatoria che la manipolazione grafica sovraccarica di una quota di comunicazione che fa leva sull’immaginazione. I corpi ripresi dalla realtà più oggettiva, “caricati” di accumuli di formiche occupano ossessivamente parti di corpo umano, creando stati d’animo e situazioni emotive da cortocircuito, decisamente destabilizzanti di un ordine apparentemente normale. Inoltre è da segnalare anche la rappresentazione di presenze inconsistenti e apparizioni apparentemente illogiche che si condensano in modo assai nascosto e velato, ma che hanno la capacità di trasformare l’opera dal puro reperto documentario verso una dimensione “altra”, assai più complicata e pregnante rispetto quella che noi comunemente percepiamo. Condividiamo appieno tali proposte incentrate ad una definizione nuova dell’io, attraverso la commistione di fantasia, finzione e ossessione. Da tali proposte, l’artista perviene ad una riformulazione decisamente “schioccante” dell’ umanità, che trasmette una impressione inquietante della condizione post-umana verso la quale ci stiamo avviando. Il lavoro di Bonanno diventa, in definitiva, il promemoria della fragilità psicologica dell’uomo moderno: il ritratto abbandona la similitudine, la ripetitività e la somiglianza della copia reale, la “mimesi” per divenire presa di coscienza e di conoscenza di un’io che non riesce a definirsi e a consolidarsi in forme più stabili. Di certo, queste apparizioni precarie e negate di accumuli incontrollati di formiche smantellano i luoghi comuni e i modelli certi della pseudo-identità. La dissoluzione della nozione d’identità viene esibita nel tentativo estremo di recupero dell’unità persa, come l’unica condizione possibile per trovare se stesso. L’emozione alla vista di questi lavori è molto forte, nonostante l’evidenza fotografica dell’immagini, dandoci un certo fastidio nel sentirci smarriti e indifesi, forse perché siamo costretti a scrutarci allo specchio del nostro “io impersonale”,che definisce un’identità anonima, sterilizzata, ma perfettamente aderente alla precarietà di come siamo diventati.

Sandro Bongiani





L'ECOLOGIA, L'ARTE E LA NATURA

Cervello di pietre 2007


IL CORPO E LA NATURA

GIUSEPPE PENONE

Mostra al MAMbo di Bologna
25 sett. - 8 Dicembre 2008


a cura di Gianfranco Maraniello


Comunicato:
Nel corso dell’autunno 2008, il MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna, ha ospitato la mostra Giuseppe Penone, a cura di Gianfranco Maraniello, una delle più complete e articolate esposizioni finora dedicate all’artista piemontese.

Il progetto espositivo, interamente concepito in relazione agli spazi del museo, ha presentato un’ampia selezione di lavori appartenenti ai maggiori cicli realizzati dal maestro nel corso della sua carriera e alcune opere inedite esposte in anteprima. Proprio una di queste, “Scrigno”, apre il percorso di visita: composta da un elemento in bronzo e quarantadue elementi in cuoio, l’installazione si pone in rapporto di continuità con la produzione precedente, alla quale è accomunata da una “riflessione sulla prassi della scultura”. La mostra va oltre il concetto di retrospettiva: secondo le intenzioni dell’artista stesso e del curatore le opere vengono proposte come parte di un discorso in evoluzione e non come elementi di una sequenza cronologica. Il ciclo degli “Alberi”, esposto nella “Manica Lunga” del MAMbo, esemplifica tale approccio. Si tratta di una serie concepita nel 1969, con l’intenzione da parte di Penone di “ritrovare gli alberi all’interno della materia” portando alla luce gli anelli di crescita della pianta fino a ritrovarne il cuore. L’artista nel tempo ha prodotto numerose varianti, delle quali troviamo quattordici esempi nell’allestimento bolognese, disposti lungo una linea orizzontale di circa cento metri che, sfruttando l’illusione prospettica dello spazio, sembra dipanarsi all’infinito. L’allestimento nelle altre sale del MAMbo segue le più significative tappe della produzione dell’artista.Sono esposte “Soffio” e “Soffio di creta” (1978/1979), opere basate sul concetto del respiro che, in quanto volume d’aria, entra nella materia e si fa scultura, così come “Soffio di Foglie” (1979), in cui il peso corporeo imprime la propria traccia sulla materia stessa.Sul disegno come “azione” legata alla pratica della scultura si fondano lavori come “Palpebre” (1989-1991) e la serie “Pelle di Grafite” (2003-2006), nei quali i gesti del toccare e del segnare diventano tutt’uno nelle impronte lasciate dall’artista su superfici malleabili.Al MAMbo, i visitatori hanno modo di vedere anche due recenti sculture dal titolo “Geometria nelle mani” (2007) così come la serie “Spine d’Acacia”. Di quest’ultima sono in mostra: “Spine d’Acacia-occhio (2004), “Spoglia d'oro su spine d'acacia - bocca” (2002), “Spine D'Acacia – fronte” (2002) e “Spine d’acacia (mano) e pelle di marmo” (2003). Si tratta di lavori nei quali il disegno nasce dall’impronta della mano, sulla quale i punti di maggiore sensibilità vengono tracciati con le spine. È esposta a Bologna anche “Essere fiume 4” (1995-1996), che costituisce uno dei gesti più radicali nella poetica dell’artista: due pietre identiche, una risultato dell’azione della natura, l’altra opera dell’uomo. Il percorso espositivo include inoltre una selezione di opere fotografiche nelle quali la fisicità dell’artista viene trattata al pari degli altri fenomeni naturali: tra queste spicca “Rovesciare i propri occhi” (1970), serie di sette diapositive. Un’altra importante sezione della mostra è costituita dalle “Alpi Marittime” (1968-1978), immagini che ritraggono l’artista nell’atto di intervenire su elementi naturali, quali gli alberi di un bosco, lasciando una traccia indelebile che si trasformerà nel tempo. Completano il percorso oltre cento disegni prodotti tra il 1967 e il 2004.



VIDEO:
it.youtube.com/watch?v=8icoBV5gIbA


http://bologna.repubblica.it/multimedia/home/3271738/4



G. Penone, artista fondatore con il gruppo storico torinese dell’Arte Povera, è uno dei massimi scultori internazionali a cui musei di tutto il mondo hanno dedicato mostre personali di altissimo valore artistico e di grande richiamo per il pubblico. La poetica di questo artista si impernia sull’osservazione della natura e dei codici che la rendono scientificamente decodificabile. Lo sviluppo del tronco di un albero attorno alla mano bronzea che lo stringe impedendone la crescita, la terracotta come solidificazione del fiato attorno a un corpo o l’impronta di un dito su un foglio che diventa onda concentrica sono solo alcune delle tematiche di Giuseppe Penone. La sensibilità e l’interesse che ha sviluppato in oltre trent’anni di lavoro attorno al tema dell’uomo vegetale e della natura antropomorfizzata, ne fanno uno dei paladini di quella sensibilità, sviluppatasi attorno alle teorie di Joseph Beuys, sorte all’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo. I materiali naturali impiegati, come foglie, tuberi, tronchi e terra, assurgono a paradigma di simbolo, i tronchi si trasformano in corpi, le foglie in pelle, la terra in struttura e al contrario la pelle umana diviene mappa geografica, gli occhi acqua o cielo, un cranio la struttura del mondo. Attualmente Giuseppe Penone trasforma la corteccia di un albero in pelle animale che fusa in bronzo diventa corazza perdendo elasticità e duttilità. La proposta espositiva è quella di un omaggio alla natura che circonda il Filatoio attraverso il pensiero e l’opera di un artista che ha fatto della natura il centro della propria ricerca e della propria vita.






Cenni biografici.

Giuseppe Penone nasce a Garessio in provincia di Cuneo, nel 1947, e vive ed opera a Torino e a Parigi dove insegna all’École des Beaux-Arts. Fin dalla sua prima mostra personale nel 1968, presso il Deposito d’Arte Presente di Torino, Penone basa la sua ricerca sulla dialettica uomo-natura. L’uomo, attraverso i sensi, sperimenta le leggi della natura, la quale si manifesta come un processo di continua mutazione della materia. L’artista si inserisce in tale processo e crea le proprie opere dalla natura stessa, influendo ad esempio sullo sviluppo e la crescita di organismi viventi.
Ne sono un esempio le immagini di “Alpi Marittime” (1968), contributo di Penone al volume “Arte Povera” di Germano Celant (Mazzotta, Milano, 1969), che documentano gli interventi dell’artista sugli alberi di un bosco con lo scopo di influenzarne la crescita. Proprio l’interazione tra il corpo umano e gli elementi della natura caratterizzano la ricerca dell’artista piemontese, così come l’interesse per la storia della materia che utilizza per i suoi lavori, dai legni alle terre, dai bronzi alle terrecotte, dai marmi alla grafite.

Con il ciclo degli “Alberi”, al quale si dedica dal 1969 e che prosegue fino ad anni più recenti, l’artista agisce su travi di legno fino a far apparire la struttura dell’albero che la trave è stata in origine, prima di divenire strumento del lavoro umano. Anche la fisicità dell’artista viene trattata al pari degli altri fenomeni naturali. È il caso di “Rovesciare i propri occhi” (1970) in cui il corpo è la barriera che separa il soggetto dall’esterno.

Molte opere di Giuseppe Penone nascono altresì proprio dal contatto tra il corpo e la materia: succede con i “Soffi” (1978), sculture in terracotta che recano l’impronta del corpo e della bocca dell’artista così come con i “Soffi di foglie” (dal 1979), il cui incavo restituisce l’impronta dell’artista.

In lavori come “Patate” (1977) e “Zucche” (1978-79) la realizzazione dell’opera è demandata ai processi di crescita naturali, che vengono innestati ma senza che l’intervento umano possa controllarli completamente, mentre nei “Gesti vegetali” degli anni Ottanta, Penone realizza figure in bronzo dall’aspetto antropomorfo, la cui forma è data dal contatto della mano con la creta, e pone all’interno delle fusioni arbusti liberi di svilupparsi naturalmente.

Anche nei lavori degli anni ’90 e in quelli più recenti la dialettica tra essere umano e natura, tra individuo e materia non cessa di essere protagonista. Si pensi a “Palpebre” (1989-1991) e alla serie “Pelle di Grafite” (2003-2006) in cui l’artista agisce lasciando vere e proprie impronte su superfici malleabili.

Nel 2001 Penone ha ricevuto il prestigioso Rolf Schock Prize per le Arti Visive dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze.

Sue personali sono state allestite nei più prestigiosi musei e gallerie internazionali, tra i quali: Kunstmuseum di Lucerna (1977), Staatliche Kunsthalle di Baden-Baden (1978), galleria Konrad Fischer (Dusseldorf, varie occasioni), Museum of Contemporary Art (Chicago, 1984), Musée d’Art moderne de la Ville de Paris (1984), Galleria Marian Goodman (New York e Parigi, numerose esposizioni), Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento (1998), Centre Pompidou (2004) Museum Kurhaus (Kleve, 2006-2007), Villa Medici (Roma, 2008).


Nel 2007 l’artista, con Sculture di Linfa, è stato protagonista della 52a Biennale di Venezia nel nuovo Padiglione Italiano, mentre di recente ha completato nei giardini della Reggia di Venaria Reale (Torino) “Il giardino delle sculture fluide”.








ARTE NATURA
(L'altra faccia della medaglia)



Coltivazione in Giordania nel deserto



PERCOSI ARTE SELLA

http://www.artesella.it/spazi_percorso.html


Fabio Mauri


Gabriele Jardini



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LA MAIL ART, L'UNICO LABORATORIO DI RICERCA PLANETARIA



Cos'è la Mail art?

La Mail art (Arte postale) è Il più grande laboratorio di ricerca artistica in tutto il pianeta terra; un grande polmone planetario di ricerca libera, un'arte che usa il servizio postale come mezzo, ma che certamente non è soltanto l’arte spedita solo per posta. Ovviamente ci sono artisti Mail che si trovano occasionalmente dentro il circuito dell’arte postale e che non hanno niente da dire e tanti altri che lavorano assiduamente su questo versante producendo opere di grande interesse. Alcuni come Piermario Ciani, uno dei fondatori in Italia della mail Art,crede che la mail art è stata uccisa dalla posta elettronica; secondo Franco Fontana “… oggi è solo un meraviglioso graffito delle neoavanguardie, e quindi pensano che con l’arrivo di internet, l’arte postale è destinata a morire. Personalmente, credo, che la Mail Art, essendo incentrata sulla manualità del fare non sarà condizionata da questo cambiamento marginale, per cui, sicuramente continuerà a essere ancora prodotta utilizzando il sistema postale oltre che ad altri nuovi modi di spedizione.

In particolare,la Mail Art a me interessa perchè riesco a trovarmi più libero e più disponibile in senso creativo a sperimentare particolari modalità di lavoro al di fuori del circuito dell'arte ufficiale, ricerche che poi trasferisco nell'arte cosiddetta colta o ufficiale. Non sono due campi di lavoro separati ma concilianti e concidenti; c'è il momento della libera sperimentazione delle tematiche affrontate a confronto con altre realtà del pianeta(Il laboratorio globale del Network) e il momento della messa in atto d'interventi sperimentati e sperimentabili di ricerca personale. Tutto ciò è stato capito molto bene, prima di me, da artisti di grande interesse che hanno lavorato, alcuni in modo intenso, su questo versante di ricerca come:RAY JOHNSON, JOHN CAGE, GEORGE MACIUNAS, JOSEPH BEUYS, ALIGHIERO BOETTI,ENRICO BAJ, PABLO ECHAURREN, RUGGERO MAGGI,GIANNI DE TORA, MICHELE PERFETTI, TOMASO BINGA, ARRIGO LORA-TOTINO, PAOLO BARRILE, LUCIANO CARUSO, PAOLO SCIRPA, SHOZO SHIMAMOTO, CLEMENTE PADIN,ROBERT FILLIOU, MARCEL STUSSI E WOLF VOSTELL.

La Mail art è uno dei più longevi movimenti artistici della storia, una rete ormai assai complessa e sempre più imprevedibile, composta da milioni di artisti del Network che si scambiano messaggi creativi in forma di lettere, buste, cartoline postali, collage, poesia visiva, libri d’artista e persino oggetti tridimensionali. È un'arte che non viene creata per essere collocata in un museo o per essere mercificata, ma è arte spontanea che viene scambiata gratuitamente senza fini di lucro. L’arte Mail è nata negli anni ’50 grazie all’opera di Ray Johnson, ed evoluta da precedenti correnti artistiche, come il Futurismo, il Dadaismo, il Surrealismo e il gruppo Fluxus nel quale furono attivi personaggi come: John Cage, George Maciunas e Joseph Beuys.

-La Storia

Agli inizi del Novecento molti artisti inviavano Cartoline Postali, disegni e altro utilizzando il mezzo postale, tra questi ad esempio Cangiullo, G. Balla,Fortunato Depero e persino P. Klee che utilizzò il mezzo postale per le sue missive artistiche, vedi la cartolina indirizzata a Gabriele Munter, nel 1913, conservata a Monaco . Si può anche citare una cartolina fotografica in bianco e nero di Milano sulla quale Filippo Tommaso Marinetti era intervenuto con scritte a penna. Inoltre,bisogna ricordare anche il lavoro di un artista contemporaneo come Alighiero Boetti che ha fatto largo uso del mezzo producendo un'ingente quantità di lavori postali; fin dalla fine degli anni sessanta Boetti ha scritto e spedito migliaia di buste contenenti frammenti di altri lavori, e anche Enrico Baj e Pablo Echaurren, che hanno partecipato, a volte, attivamente all'interno del circuito della Mai Art.



L'arte postale in Italia

Tra gli autori italiani di oggi è giusto ricordare: Ruggero Maggi, con l’Archivio Amazon creato nel 1975 a Milano, Giovanni Bonanno curatore dal 1989, dell'Archivio Ophen-Documentazione Arte Contemporanea e Mail Art di Mozzate (ora a Salerno), Claudio Grandinetti (direttore dell'Archivio Internazionale Mail Art), Vittore Baroni (curatore della rivista in lingua inglese "Arte Postale!" ed autore di libri dedicati all'arte postale), l'Archivio di Arte e Letteratura "Luigi Pirandello" di Sacile con il bollettino "Mail Art Service", Piermario Ciani, morto nel 2006, Vittorio Baccelli, Anna Boschi, Tiziana Baracchi, Francesco Mandrino, Bruno Capatti, Linda Pelati, Claudio Jaccarino, Piero Simoni (poesia postale), Daniele Ciullini, Fabio Sassi, Serse Luigetti, Demos Ronchi, Guglielmo Achille Cavellini, Giovanni e Renata Strada, Franco Santini e Raimondo Del Prete (I Santini Del Prete), Bruno Chiarlone (Work Area), Alessandro Corsi e Luca Brunori, Franco Nonnis, Tommaso Tozzi.


-Riflessione di Giovanni Bonanno/
Da 50 anni si sono aperte le frontiere internazionali dell’ arte."E’ interessante riflettere sul concetto di Frontiere aperte. Il 1993 è stato l’anno dell’apertura delle frontiere di diversi paesi Europei. Va riconosciuta all’ Arte Postale (Mail Art)il merito di averle aperte internazionalmente molto tempo prima, con l’attività trasgressiva di Ray Johnson che pensò di dare alla Mail Art un indirizzo autonomo estraendola dal magma “fluttuante” del movimento Fluxus di cui era uno dei tanti aspetti di ricerca, dandogli la possibilità di respirare di vita propria. Intanto, sono passati tanti anni e la Mail Art, dopo un’infanzia molto movimenta e una giovinezza vissuta in libertà, è diventata matura, attraente, desiderabile. Nonostante le svariate “offerte” dimostra ancora indifferenza a tante proposte mercantili. Convinta di rimanere “libera”, vaga dentro il flusso incontenibile delle nuove ricerche non curandosi dei “richiami all’ordine” del sistema. . Se concepirà “nuove idee”, saranno in direzione dì un’arte nuova e verso un naturale sviluppo di ricerche spontanee. Questo è il suo vero destino. Siamo convinti che non si farà facilmente “ammaliare” dalle richieste effimere, dai piaceri momentanei della moda, non verrà costretta a partorire aborti di mercificazione. Se si farà condizionare del mercato,anch'essa soccomberà alla furia distruttrice di questa inquieta, e vuota società".-(Manifesto Tecnico della Mail Art di Giovanni Bonanno - Milano,1991Per una nuova strategia dell'arte: "Al di là della linea di Greenwich".

-LA SITUAZIONE ATTUALE/Viviamo in una società che consuma di tutto, dai cosmetici alle armi nucleari :l'arte "ufficiale" si trova a che fare ormai con il patetico, perché non riesce più a convincere; si adatta alle tattiche e alle mode pre-confezionate, producendo oggetti sciatti che la critica tenta, in tutti i modi, di accettare, dando motivazioni di vario genere a giustificare le qualità che spesso non ci sono. Oggi l'artista contemporaneo vive la triste condizione dello sventurato: vittima. e carnefice, bombardato da ondate di dubbia informazione, per cui ha la tendenza ad auto-sterilizzarsi tra l'apatia e la paralisi collettiva. Secondo Peter Scotterdijk "viviamo in un mondo che mette le cose in una falsa equazione, produce una falsa uguaglianza di valori tra tutto e tutti e quindi raggiunge anche una disintegrazione e indifferenza": Con il tramonto del comunismo e delle rivoluzioni sembra vacillare la cultura di una società che fino a poco tempo fa chiedeva all'arte "l'immagine rivelatrice del proprio destino". L'arte moderna, teorizzata dalle poetiche d'avanguardia, da sempre, ha trovato nel confronto spietato delle ipotesi, la propria verità, rifiutando facili accomodamenti! Sembra che tutto sia stato dimenticato; tutto é terribilmente consueto, prevedibile, perché l'arte di oggi vive una dimensione immaginativa priva di tensione utopica. Sono convinto che soltanto "trascendendo le cose" così come sono, esse ci permettono di capirle e di svelarle.

-LA MAIL ARTIn questi ultimi anni qualcosa. sta cambiando, per convincersi di ciò basta seguire uno tra i tanti congressi decentrati (Networker Congress), che si svolgono in tutto mondo. Cos'è il Networker? E' la figura di un nuovo artista capace di ridefinire un ruolo "diverso" al futuro dell'arte. Questa esperienza continuo a chiamarla "arte marginale", proprio perché desidera sistemarsi al di fuori dal circuito ufficiale dell'arte e da certe relazioni mafiose (critico- galleria - mercato - museo). Le prime esperienze si erano avute con le carte postali di Cangiullo e di G. Balla, con gli interventi ironici e nichilisti degli artisti Dadaisti e con le ricerche di alcuni artisti del gruppo Fluxus. L'arte marginale, detta comunemente Mail Art, secondo il suo vero fondatore, l' americano Ray Johnson, non è un semplice mezzo d'informazione, ma un modo consapevole di produrre arte al di fuori dei principali "canali ufficiali". Nel 1958 l'artista americano dà vita ad una scuola; la "New York Correspondence School Of Art", nella quale per la prima volta raccoglie e archivia i lavori che riceve dai numerosi corrispondenti sparsi in tutto il mondo.Nasce ufficialmente la Mail Art. La. suddetta esperienza non è un'arte spedita per posta, ma un'arte realizzata appositamente per il mezzo postale. Secondo Eugenio Giannì, la Mail Art ha alcune caratteristiche storiche interessanti:
1- La sua marginalità rispetto al sistema dell'arte ufficiale.
2- scambio diretto tra gli operatori artistici, rifiutando ogni intermediario (Galleria -Critico -Mercato).
3- Rifiuto di mercificare l'opera realizzata.
4- Superamento della distanza geografica e culturale. In definitiva, la Mail Art non è altro che un "laboratorio planetario" composto da numerosi "Network" sparsi su tutto il pianeta: archivi di idee, di sperimentalismo e di ricerca spontanea. Ovviamente, l'arte marginale non può permettersi di assecondare concetti "tradizionali" come la qualità del lavoro, la professionalità o la credibilità., tanto cari a certi artisti nostalgici della tradizione.Quale credibilità può sussistere, se la filosofia di tutto il sistema dell'arte marginale s'incentra sul rifiuto totale di ogni condizionamento? Secondo me, essa può anche permettersi, a volte, di negare "la qualità tradizionale" dell'opera d'arte ufficiale, proprio perché ha bisogno di partecipare intensamente al flusso della comunicazione, che dilaga da una parte all'altra del pianeta in forme casuali, secondo una logica imprevedibile e con itinerari occasionali. In questo senso dettare regole prefissate, che appartengono ai cicli produttivi dell'arte ufficiale, significa "censurare" la libera ricerca dell'artista marginale.


-L'EVOLUZIONE DELLA RICERCA:
Questa prima fase di ricerca sta per essere sostituita da un'altra più evoluta di grande respiro. Mentre un tempo l'artista operava nel completo isolamento, al servizio del mercato e della critica, ora con i Network c'è, sempre più, il desiderio di autonomia, la necessità di instaurare rapporti e contatti esterni, al di fuori del sistema, attraverso le reti internazionali, utilizzando i diversi mezzi a propria disposizione: dall'arte postale alla copy-art, dalla pirateria telematica Ciberpunk all'editoria marginale non allineata. Questo nuovo sviluppo logico del pensiero sperimentale dovrebbe continuare a porsi al di fuori dei circuiti commerciali dell'arte. La ricerca di tutte queste idee e problemi può essere denominata "arte di confine", seconda fase dopo il primo primitivismo postale. L'arte di confine desidera vivere una dimensione creativa non interessandosi minimamente alla genealogia di ciò che si chiama storia dell'arte, viaggiare da un paese e l'altro tra un emittente e ricevente, con il fine essenziale di relazionarsi ai problemi della cultura di massa. In una società regolata da un libero mercato e del suo "diarroico" traffico economico di immagini, sussiste il desiderio, sempre più crescente, di collocarsi coscientemente al di fuori, in un "altrove" praticabile, rispetto allo scenario totalizzante di una mediocrità planetaria; al di là di una immaginaria linea di Greenwich, come possibile spartiacque e cesura tra il presente e il futuro. In questo senso il Networker esprime il dissenso nei confronti delle convinzioni. Mentre il capitalismo distribuisce ricchezza, e il successo costringe a produrre in modo standardizzato e seriale, l'arte di confine dilaga come flusso mentale, preferendo la contaminazione delle idee piuttosto che la monotonia. Essere "artisti di confine", non significa vivere intrappolati all'interno, in un caos organizzato, piuttosto convivere come libera presenza di frontiera, al di là del consueto e del banale. Mario Perniola, su tale problema afferma: "Contro l'accademismo fin dall'inizio si è levato la protesta degli artisti, l'intero movimento romantico può essere interpretato come l'affermazione intransigente della libertà, della produzione artistica contro qualsiasi nome, regola, modello in nome della autonomia assoluta, contro il mercato, la valutazione, la concezione della storia dell'arte, contro tutto ciò che condiziona l'attività dell'artista". Già Hegel aveva individuato il percorso che porta al di là dell'arte; con il Dada, anche gli artisti arrivano a una dimensione radicale dell'arte in tutti i suoi aspetti; pensano all'arte come ostacolo alla libertà della vita e, quindi, come costrizione. Secondo Perniola "l'arte è un carcere, perché gli artisti sono dei carcerieri; essi tengono imprigionata la creatività che si potrebbe manifestare nella società con ricchezza di forme e di espressioni". Il carcere per le false avanguardie è la società, il suo astratto ordine pianificato. Bisogna, quindi, ricominciare a giocare nei luoghi immaginari del tempo, poter rispecchiarsi dentro lo specchio dell'immaginario collettivo, come momento di recupero e di riappropriazione di una identità, come riflessione del proprio essere al di sopra del suo stesso presente e come metamorfosi di un tutto. Occorre liberare l'immaginario, reprimere i falsi concetti, prendere la distanza critica rispetto ai falsi problemi della società e della cultura del nostro tempo. Ciò che conta non è "lo stile", ma la sua necessità a dar voce e corpo al necessario e al diverso. La sfida di oggi è contro una vacua conformità di maniera sempre più dilagante. Prendere coscienza di tutto ciò significa produrre in modo totalmente diverso e inaspettato. Naturalmente Vi è l'esigenza di una verifica "trascendentale", come momento di recupero di una identità; svelamento e riappropriazione del reale, sintesi ed essenza della libertà. L'arte, ormai, ha a che fare con la circolarità elastica e nomade delle idee.