mercoledì 28 febbraio 2018

UN ARTISTA AL MESE / Fausto Melotti


  UN  ARTISTA  AL  MESE / Marzo 2018

Ogni primo del mese e per 12 mesi verranno presentati  in queste pagine 12 artisti  con alcune opere significative  integrate da video e relativa biografia sintetica. Una collezione immaginaria e  ideale di arte contemporanea, una raccolta dei sogni  e anche dei  desideri.  Non ha la pretesa  di essere una raccolta museale definita, completa.  È la raccolta del momento, soggetta anche  a ulteriori aggiornamenti,   e   cambiamenti  sostanziali.  Nasce, soprattutto,   dal desiderio  di far conoscere alcuni artisti nati tra gli anni 20 e 60,  ancora non del tutto conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni  hanno  definito in modo  poetico e originale  una propria visione personale dell’arte.  Sandro  Bongiani



Fausto  Melotti




UN  SOFFIO  DI  VENTO

 Poema visivo 
dedicato a Fausto  Melotti

  
La vita  di un uomo è fatta di  oscuri tintinnii di campane appese per la gola, di cadute, di miraggi e anche  di memorie solitarie che nascono da cadenze antiche.
Solo nell’oscurità il silenzio  incarna  essenze malinconiche  senza tempo.  
La luce vola oscura tra fruscii e  rintocchi che sbattono cupi nell’aria come presagi dell’invisibile.
Solo nella fantasia il silenzio magicamente  vola e prende forma.
L’aspro vento  di Rovereto  sfiora e accarezza le  frange dei cenci appesi ad una trave  di ferro sibilando oscuri presagi e mirabili incanti, per poi  adagiarsi  fiera  sopra  la  polvere che il tempo ha  conservato.
Solo nei ricordi   il silenzio  diventa poesia   tra una  metamorfosi  e un battito d’ali che il tempo   si appresta a cancellare.
Nella penombra dei  pensieri,  insolite  presenze di latta e di ruggine  colano  orgogliosi lungo remoti pendii  per condensarsi in entità sospese.
Solo nel silenzio dell’oscurità gli incanti   si trasformano in  note  e  in contrappunti musicali nel tentativo  di esserci ancora.

Giovanni Bonanno © 2012




Le  opere:






L’esposizione di Fausto Melotti (Rovereto, 1901; morto a Milano nel 1986) accoglie,  in maniera cronologica, oltre duecento opere tra terracotte, disegni, ceramiche, gessi e sculture in ottone,  in un arco di tempo che va dal 1930 al 1986. La sua scultura nasce tra tradizione, rinnovamento del linguaggio e della scultura contemporanea: sensitiva, volubile, capricciosa; per questo  sembra che voli tanto appare leggera e precaria. Sono apparizioni provvisorie in attesa  di un soffio di vento per rianimarsi, per divenire viaggio, essenza, racconto. Apparizioni  che non tentano di "definirsi in forma”,  ma vivono l’istante come  momento sfuggente, insostanziale. Presenze che hanno bisogno dell’aria e dell’atmosfera per sopravvivere, includendo nell’azione  forze che possono apportare nuovi sviluppi. 

L’artista non fa leva  sull'accostamento casuale e ironico dell’objet  trouvè di matrice  duchampiana, non cerca  la provocazione e neanche  fa leva sull'utilizzo degli oggetti tout court,  ma incentra tutto il suo lavoro  sulla manualità, sulla manipolazione dei  materiali semplici e soprattutto sulla trasfigurazione in base ad un emergente bisogno espressivo e comunicativo. Per tale motivo i materiali non vengono mai presentati per quello che sono ma trasformati in funzione di una sintesi, per la carica di suggestione che possono trasferire.  Sono  presenze che tendono alla tensione, al flusso indefinito, nel tentativo di trasformarsi in contrappunto poetico e per apparire come favola. Una visione in realtà complessa e intricata. Un transitare veloce,  decisamente solitario,  sospeso al di là del logico e del consueto. Quelli di Fausto Melotti sono segni poetici situati nella dimensione più oscura e vera della penombra, presenze senza tempo in cui la vita, per un attimo, si è rappresa. Una rappresentazione decisamente inconsistente, immateriale, transitoria, sospesa tra un apparire indeterminato  che  cerca,  anche per un solo attimo di  trasformarsi in vertigine e  svelarsi.


sandro bongiani
Exibart, mostra visitata il 21 dicembre 2011





Il Video:

Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura    

Fausto Melotti porta armonia nelle sale del Castello di Miradolo  a San Secondo di Pinerolo, mostra conclusasi  11 febbraio 2018.


durata 18:05 









Fausto  Melotti  (1901 - 1986)

Fausto Melotti nasce a Rovereto (Trento) nel 1901. Nel 1915 si trasferisce con la famiglia a Firenze dove conclude gli studi secondari. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. Nel frattempo porta a termine i cinque anni di studi musicali, conseguendo il diploma in pianoforte e intraprende lo studio della scultura, a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Si iscrive poi all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Si diploma nel 1928. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale del mobile di Cantù per un corso di plastica moderna. L’artista così si esprime: " Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare col proprio cervello." Nel 1935 aderisce al movimento "Abstraction-Création", fondato a Parigi nel 1931 da Herbin, Vantongerloo, Hellion, Arp, Gleizes, Kupka, Tutundjian e Volnier, con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. Nello stesso anno rende anche esplicita la sua adesione al gruppo degli astrattisti milanesi partecipando alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paulucci a Torino ed esponendo a Milano, alla Galleria del Milione, una sua personale con sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. "Attraverso queste opere è possibile scorgere l’operazione che Melotti sta sperimentando: il trasferimento dei valori musicali alla scultura. La musica diviene presupposto fondamentale, autentica disciplina della ricerca artistica, nuova metafora che apre a inedite esperienze. E’ la musica a guidare la scultura nel processo di defisicizzazione della materia; è lo studio della musica a presupporre l’idea di contrappunto nella scultura: Melotti giunge ad una sorta di "astrazione musicale" nel campo delle arte figurative: "…un’arte [che] è stato d’animo angelico, geometrico".
La sua prima esposizione non ha alcun esito positivo in Italia, né tra i critici né tra gli artisti, mentre riceve la dovuta considerazione, in Francia, grazie a Léonce Rosenberg, e in Svizzera, dove nel 1937 consegue il Premio internazionale La Sarraz.
Nello stesso anno, in occasione della VI Triennale di Milano, crea per la Sala della Coerenza disegnata dallo studio B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressuti, Rogers) un’opera-chiave, la Costante Uomo. L’idea è totalmente inedita e originale: dodici sculture scandiscono ritmicamente lo spazio in un progetto che, concertando armonicamente colore, parola e piani, suggella a paradigma d’opera d’arte l’installazione ambientale.
Dal 1941 vive per due anni a Roma, dove partecipa al progetto di Figini e Pollini per il Palazzo delle Forze Armate e nel frattempo realizza disegni, dipinti e compone poesie che, con il titolo Il triste Minotauro, saranno pubblicate da Giovanni Scheiwiller nel 1944. Nel dopoguerra, per vivere, si dedica alla ceramica e raggiunge, attraverso una tecnica raffinatissima, una qualità artistica ineguagliabile. Testimonianza ne sono i premi: il Gran Premio della Triennale di Milano nel 1951; nel 1958, la "Grande medaglia d’oro ad artefice italiano" dal Comune di Milano; nel 1959 la medaglia d’oro di Praga e anche quella di Monaco di Baviera. Nel 1967 espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione che lo ripropongono all’attenzione del pubblico e della giovane critica. Da questo momento ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero che lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua opera multiforme: sculture, bassorilievi, teatrini e opere su carta.
Così scrive Germano Celant: "È sull’uscita o sul dialogo tra penombra e luce, alla frontiera tra essenza e movimento, dove i corpi fluidificano e si presentano sinuosi e leggeri che Melotti imposta la sua ricerca, che esprime una svolta nuova alla scultura, perché non lavora più sul togliere dal pieno, ma sul far emergere dal vuoto."
Nel 1973 consegue il Premio Rembrandt, giudicato il Nobel delle arti; nel 1977 gli viene attribuito il Premio Biancamano.
Nel 1974 la casa editrice Adelphi pubblica una sua raccolta di scritti e poesie intitolataLinee, a cui viene conferito, nel 1975, il Premio Diano Marina. Nel 1978 sempre Adelphi pubblica Linee, secondo quaderno. Nello stesso anno riceve il Premio FeltrineIli per la scultura.
Nel 1979 un’antologica del suo lavoro è presentata a Milano a Palazzo Reale. Nel 1981 la città di Firenze gli dedica una mostra al Forte Belvedere.
Da questo momento in poi si susseguono le mostre personali e collettive in Italia e all’estero, che lo vedono tra i protagonisti dell’arte contemporanea. Firenze, Roma e Venezia ospitano importanti personali, ma è presente anche a New York, Londra, Zurigo, Vienna, Francoforte, Monaco e Parigi.  Muore a Milano il 22 giugno 1986.

LA CULTURA IN ITALIA TRA POLITICA E INGANNI






La cultura dell’inganno
(La grande incognita della politica culturale in Italia)



Questa  campagna elettorale, a pochi giorni dalle votazioni  si è basata  essenzialmente su polemiche, odio  diffuso  da parte dei diversi schieramenti e mancanza di seri programmi oppure di  proposte volutamente impossibili da realizzare.  L’unica cosa che accomuna i nostri partiti politici è di essere poco propensi a  parlare dichiaratamente di programmi per rilanciare la cultura e il turismo in Italia.  Qualche timida e labile proposta a  valorizzazione  un settore strategico per la crescita del Paese aleggia  per  il 4 marzo  dalle proposte di qualche  partito politico  che dichiara di voler  investire  concretamente nella Cultura pensando soprattutto al  rilancio a lungo termine. Vedremo a breve se sarà purtroppo solo una semplice offerta elettorale. La cultura rimane comunque  la "grande assente” di questa consulta  elettorale, da sempre volutamente ignorata proprio perché fa paura ai politicanti, meglio  negarla oppure lasciarla ai margini di un programma politico senza peso. Da qui arriva il manifesto – appello di 50 intellettuali e artisti che nei giorni scorsi hanno chiesto un maggiore impegno ai partiti, che come affermano, “la cultura potrebbe essere  il motore della crescita ", attingendo alla competenza e all'energia delle migliori risorse  presenti nel paese e valorizzando realtà che continuano a fatica a decollare. 
Basterebbe poco per  rilanciare l’occupazione e la crescita civile, sociale  ed economica di questo paese. Puntare sulla cultura significa valorizzare i tre quarti di beni culturali al mondo presenti tutti nel nostro paese,  attivare i viaggi, il turismo e persino l’editoria. Fare una politica culturale significa pensare a  nuove strategie possibili  avviando un progetto  credibile e  utile al futuro dei giovani, per educarli alla poesia, per concedergli un senso e una prospettiva certa.  Potremmo navigare in un mare di  ricchezza ben sapendo che il nostro petrolio si chiama “cultura”, purtroppo, molti dei nostri politici sono convinti che con la cultura “non si mangia” non pensando minimamente che essa potrebbe diventare il volano strategico di una futura crescita economica. Di certo, la  timida e debole  riforma attuata da  Franceschini va rivista e potenziata con energia e  più convinzione. Ci chiediamo: nei  prossimi anni desideriamo  puntare su una seria politica culturale, oppure,  continuare per inerzia ad andare alla deriva come  del resto abbiamo fatto prima e dopo la recessione?   Questa è la reale prospettiva di un prossimo e precario futuro in Italia.     
Sandro  Bongiani

domenica 11 febbraio 2018

MAURO MOLINARI "Plays", Tibaldi Arte Contemporanea - Roma




Mauro Molinari
Plays


(opere 2007-2017)
a cura di  Carlo Fabrizio Carli

Tibaldi Arte Contemporanea, 
via Panfilo Castaldi 18 - Roma 

dal 10 febbraio al 3 marzo 2018



La sua lunga carriera artistica è contrassegnata da diversi cicli di ricerca come la poesia visiva, i libri d’artista, la reinterpretazione degli antichi motivi tessili e infine il racconto della realtà urbana.





La mostra Antologica  Plays  di  Mauro  Molinari ci propone una quindicina di dipinti recenti, per lo più di grandi dimensioni (anche di quasi sei metri quadrati), eseguiti nell’ultimo decennio, quasi tutti negli ultimi due anni. Percorso lungo e articolato caratterizzato dalla permanenza di motivi qualificanti, che assicurano la sussistenza di un filo rosso di continuità interna. La pittura di Molinari guarda con intelligenza e capacità selettiva a tendenze tra le più discusse e controverse (ma vitali) dello scenario estetico internazionale, come la Street Art, il Bad Painting, il Neo Pop.


Carlo Fabrizio Carli, presentandolo  in catalogo scrive:  “ …le figure di Molinari popolano stravolte ambientazioni urbane; esibiscono lineamenti allucinati e – fuori da ogni determinismo lombrosiano – socialmente inquietanti; indossano indumenti dagli improbabili colori violenti, mentre i cieli si caricano di blu elettrici (Untitled). Ecco gli abitanti di queste quinte urbane, per lo più periferie spersonalizzanti, ma pure allusive a stilemi postmoderni, con tanto di qualche rimando alle nostre architetture novecentiste (Casa del Jazz). Il procedimento con cui il nostro artista tratta tali contestualizzazioni urbane si fa ancora più complesso, non immediatamente percepibile all’immagine fotografica, consistendo in rese tridimensionali, dotate di spessore e di ombra propria” – aggiungendo – “ ovviamente, non c’è posto in questo universo stravolto per rapporti di proporzione, di verosimiglianza, di coerenza narrativa: il nano procede accanto al gigante; ed entrambi camminano per le strade, nell’assuefazione generale; magari si affacciano alle finestre, ma non possono sporgersi, perché la loro testa è più grande del vano di apertura. O, al contrario, basta una mano aperta per occultarlo interamente; sul filo verticale di una facciata figurine indiavolate scendono con la stessa disinvoltura di come si muoverebbero in orizzontale. Una sorta di teatro dell’assurdo, insomma, che però, a ben vedere, molto assume e molto allude alla nostra periclitante vicenda quotidiana”.









BIOGRAFIA
Mauro Molinari è nato a Roma nel 1942, vive a Velletri (RM). La sua ricerca artistica si è svolta per cicli che vanno dai registri informali degli anni ’60 alla pittura scritta e alle geometrie modulari del ventennio successivo. Nel 1974 personale alla galleria d’Arte Internazionale di Roma, pres. S. Giannattasio. Nel 1975 le sue opere sono presenti alla X Quadriennale di Roma. Dal 1974 all’81 partecipa alle rassegne internazionali sul disegno della Fundació Joan Miró di Barcellona. Nel 1979 personale alla galleria Il Grifo di Roma , pres. D. Micacchi. Nel 1982 personale alla galleria Il Luogo di Roma, pres. M. Lunetta e C. Paternostro. Nel 1983 e 1985 partecipa all’International Drawing Biennale di Cleveland. Nel 1987 personale alla galleria Incontro d’Arte di Roma, pres. I. Mussa. Negli anni ’90 si dedica alla rielaborazione pittorica dei motivi tessili avviando un ciclo che dura più di 15 anni. Nel 1995 nasce la collana di Orditi & Trame, di cataloghi editi in proprio. Il primo illustra la mostra itinerante promossa dalla Tessitura di Rovezzano e presentata a Roma alla galleria Pulchrum, pres. L. de Sanctis. Nel 1998 personale allo Spazio de la Paix e alla Biblioteca Cantonale di Lugano, pres. A. Veca. Dal 2000 al 2014 partecipa ai Rencontres Internationales di Marsiglia. Dal 2000 al 2008 collabora con la rassegna internazionale Miniartextil che si tiene a Como ogni anno. Nel 1999-2000 crea il ciclo Stellae Errantes sculture dipinte ispirate ai tessuti sacri, che è stato ospitato in numerosi musei italiani in occasione del Giubileo. Nel 2001 personali alla galleria Il Salotto di Como e al Museo Didattico della Seta di Como, pres. M. De Stasio. Nel 2001 personale al Museo dell’Infiorata di Genzano, pres. C. F. Carli. Nel 2002 personale al Museo S. Maria di Cerrate Lecce, pres. L. Caramel. Nel 2003 sala personale al Musèe de l’Impression sur Ètoffes di Mulhouse, pres. L. Caramel. Nel 2004 personale a Oman Caffè di Como, pres. L. Caramel. Nel 2005 esposizione allo Spazio Mantero di Como e al Salons de l’Hôtel de Ville di Montrouge, pres. L. Caramel. Nel 2006 Salone d’Arte Moderna di Forlì, pres. F. Gallo, e sala personale al Museo di Palazzo Mocenigo di Venezia, pres. L. Caramel. Nel 2007 personale alla Fondazione Venanzo Crocetti di Roma, pres. C. F. Carli e C. Paternostro. Nel 2008 sala personale alla VI Triennale Internazionale di Tournai, e personale alla Biblioteca Angelica di Roma, pres. E. Di Raddo. Dal 2008 sviluppa un ciclo pittorico dove è centrale la figurazione, che si pone come naturale evoluzione del suo percorso creativo. Nel 2009 personale alla galleria Renzo Cortina di Milano, pres. A. Veca. Nel 2010 personale al Museo Carlo Bilotti di Roma, pres. A. Arconti e L. Canova. Dal 2011 al 2014 partecipa al Festival del Libro d’Artista di Barcellona, pres. E. Pellacani. Nel 2013 due personali alla galleria Baccina Techne di Roma, pres. G. Evangelista e personale allo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno, pres. G. Bonanno. Nel 2014 personale allo Spazio COMEL di Latina, pres. M. Cozzuto e a Roma presso il Municipio Roma III, Aula 
Consiliare, pres. G. Evangelista.






Alcune opere presenti nella antologica a Roma
















www.mauromolinari.it

giovedì 1 febbraio 2018

UN ARTISTA AL MESE / Mattia Moreni







UN  ARTISTA  AL  MESE / Febbraio 2018

Ogni primo del mese e per 12 mesi verranno presentati  in queste pagine 12 artisti  con alcune opere significative  integrate dal video e relativa biografia sintetica. Una raccolta  immaginaria e  ideale di arte contemporanea, una raccolta dei sogni  e anche dei  desideri. Nasce, soprattutto,   dal desiderio  di far conoscere alcuni artisti nati tra gli anni 20 e 60,  ancora non del tutto conosciuti al grande pubblico che nel corso degli anni  hanno  definito in modo  poetico e originale  una propria visione personale dell’arte.  Sandro  Bongiani




MATTIA  MORENI



Da autentico irrequieto, nella vita come nell’arte, Moreni è stato capace di continui cambiamenti, seguendo una sua logica e un modo di fare del tutto personale, fino ad approdare a queste  ultime opere esposte a Milano all’età di quasi 76 anni. Un artista, in genere, all’età di Moreni, ha ormai detto tutto; vive il successo dei suoi migliori risultati ripetendo ciò che ha fatto precedentemente. Ciò non è però il caso di Mattia Moreni, perché più passa il tempo e più il suo lavoro risulta interessante e nuovo. Di sicuro è uno dei pochi artisti, dopo F. Bacon, ancora lucidi nel marasma anonimo e decadente della scena internazionale dell’arte. Le prime esperienze risalgono al 1948, interessato come tanti artisti della sua generazione alla sintassi post-cubista e astratta. Verso il 52-53 incomincia a definire nella sua pittura una sorta di espressionismo solare, come afferma Tapiè,”in cui il cerchio diventa sole mentre il segno astratto anche cespuglio e collina”. Dipinge opere come “L’urlo del sole e dell’uomo dietro la staccionata”, del 1954; “Colpo di vento” del 1955; “Un cielo attivo, “Vacca aperta”, del 1957. Ormai, la natura ha preso il posto della geometria. Inoltre, con le opere dei primi anni’60 la superficie pittorica si carica di nuovi significati; diventa annunciazione e ferita, ”Carne come paesaggio”; “Ancora un’immagine quasi travolta”, del 1960. Sembra che non esista più per Moreni una netta distinzione tra energia atmosferica e organica. Crea, così, le prime immagini segnaletiche “Immagine come un segnale”, del 1961, “Cielo e cartello come apparizione”, del 1962. Il periodo dei “segnali” dura fino al 64 per poi approdare alle “angurie”, prendendo spunto da un cartello di campagna che segnalava la vendita delle angurie. A metà degli anni 60, la fetta di anguria si trasforma in un oggetto e in un’ ossessiva e inquieta visionarietà, le angurie trasudano di energia cosmica, si ingrossano fino a scoppiare “I semi snaturalizzati impazziscono e tentano inutilmente di. abbandonare l’anguria.. è difficile fare impazzire i semi nel cielo di gas velenosi, è difficile fare l’anguria”. , del 1975. Nascono opere di forte impatto, come “Anguria americana assassinata sul campo-pelliccia Rosa”, 1969; “Un’anguria americana sognata e come una farfalla notturna sul campo-pelliccia-capra” ,1970; o “Ah quell’anguria anarchica che si è messa le mutande, o dell’assurdità”, del 1972, che evidenziano forme organiche vaginali con innesti di peluria vegetale(prato), che ci rimanda ambiguamente a brani di peluria naturale. Dopo gli anni dei cartelli e dei segnali, nel 1983-84 nasce il ciclo delle pattumiere e dei tubi (1984), delle lampadine (1984-85), delle geometrie indisciplinate (1985-86). Spesso l’oggetto naturale (l’anguria) va a confrontarsi con oggetti di uso domestico come la pattumiera o il televisore. Ne viene fuori una sorta di innesto “terapeutico” tra il dato naturale e l’artificiale, quasi a cercare la sintesi e la consistenza di una possibile relazione. Si determina una situazione sospesa tra natura e cultura, tra organicità e tecnologia, tra speranza di un nuovo futuro e rimpianto di aver perso tutto. Moreni dipinge per trovare un senso nuovo alla pittura e per evidenziare la condizione emblematica dell’uomo in questo travagliato momento storico. Sarà la natura organica ad annientare la tecnologia o sarà la tecnologia a distruggere definitivamente la natura? Sono questi i dubbi che ci pone da un pò di tempo l’artista. Moreni è essenzialmente un pessimista, esprime tragicamente le sue ossessioni, il senso del disfacimento e dell’urlo, convinto, nonostante i suoi momentanei dubbi (perchè?), che alla fine la tecnologia annienterà e ingoierà la natura e anche l‘uomo, o ciò che rimarrà dell’uomo. Ci chiediamo : l’uomo sarà in grado di prendere coscienza dei suoi interminabili problemi o continuerà a percorrere quest’affannosa corsa verso il nulla e il niente? Di certo, Moreni coltiva certi inconsueti innesti di pensiero, forse per avvertire e annunciare la situazione precaria in cui ci siamo arenati. Anche le ricerche scientifiche di questi ultimi tempi ci prospettano un uomo regressivo e involutivo, come se stesse ripercorrendo a ritroso la scala evoluzionistica , tracciata da Darwin; vediamo il segno di questa regressione involutiva nei cromosomi. Moreni è convinto che si può ipotizzare, dopo una evoluzione, una marcia a ritroso verso una involuzione e regressione della specie umana; in fondo - confessa Moreni - bisogna capire che la. differenza di cromosomi tra una scimmia e un uomo e soltanto dell’1% . Basta poco per ritrovare il”disordine funzionale” che. modifica un equilibrio genetico e ci proietta verso la mutazione, e la regressione incontrollata, della specie umana. Marilù, come da tempo Moreni chiama la vulva., svelata nella emblematica presenza, -afferma E. Crispolti- “diventa luogo emblematico dell’avvertibile decisiva mutazione che sta avvenendo”. Moreni crede che una tale ossessione è condizione essenziale di ricerca. Negli ultimi tempi il richiamo più ricorrente è stato destinato al computer (conbuter, come a volte lo chiama Moreni), alla protesi tecnologica, alla tecnologia elettronica, all’amore virtuale, alla situazione Punk (Punk, avverte Moreni, è una parola come un’altra per dire che non abbiamo niente da difendere). E’ esemplare l’opera “Una “Marilù per Mantegna......”, realizzata nel 1990, di una corporeità alienata, stravolta e nello stesso tempo indifesa. Secondo Moreni, ”l’unico linguaggio dell’avanguardia è l’elettronico”. Di sicuro, la tecnologia elettronica in avanzata, riattiverà l’umanoide regredito attraverso l’‘innesto di protesi computerizzati. L’uomo, da tempo, fa uso di protesi (cuore, rene) e di leve bioniche per le braccia e le gambe. Ormai, quasi tutto è sostituibile. Opere come “L’umanoide allineato all’elettronica”; “ L’ultima apparizione con conbuter”, “L’identikit ratificato”, del 1993, oppure, “ Lo speleologo vaginale con computer, contro l’ingiustizia genetica, verifica l’atrofia delle ovaie”, del 1993-94, evidenziano una forte commistione tra naturalità e artificiosità fino alla trasmutazione del dato naturale al virtuale degli ultimi lavori dal titolo emblematico: “Marilù tecnologica ha fatto stop”; “L’esibizione Punk per l’amore virtuale….”, opere eseguite tutte nel 1994. Anche in queste ultime opere, l’artista evidenzia una sorta di intensa energia panica della natura, pregna di pulsioni molto forti, con innesti di brani di organicità sconvolta generati da quel sofferto senso catastrofico ch’è capace di trasformare tutto ciò che trova, condensandolo definitivamente in una realtà “innaturale e artificata”. Viviamo una situazione di un “ medioevo tutto nostro tra rinascimento e modernità che non ha ancora luogo”, dove la mutazione è regressione, la naturalità anche virtualità; di certo, l’ultima tragica stagione della specie umana.    Sandro  Bongiani,  1996
 
      





 MATTIA MORENI - visti da vicino 1981


 Video:  https://youtu.be/HClAxnSNcVs    durata 7:28





Alcune opere  di  Mattia Moreni:









 








MATTIA  MORENI   (1920-1999)

Mattia Moreni nasce a Pavia nel 1920. La sua formazione avviene presso l’Accademia Albertina di Torino mostrando inizialmente una linea neocubista vicina alle posizioni di Corrente. Nel 1947 è tra gli organizzatori del “Premio Torino”, evento di rottura nel panorama culturale torinese; dello stesso anno è la sua prima personale alla Galleria del Milione a Milano. Nel 1948 partecipa alla Biennale di Venezia; continuerà tale frequentazione in maniera assidua anche negli anni successivi. Nel 1952 entra a far parte del Gruppo degli Otto promosso da Venturi con Afro, Birolli, Corpora, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova. Gli anni cinquanta lo vedono sviluppare il linguaggio informale attraverso una forte carica gestuale e materica con chiari richiami naturalistici. Nel 1956 si trasferisce a Parigi dove vi rimarrà fino al 1966. In questi anni importanti antologiche hanno luogo al Kunstverein di Leverkusen e al Museo Civico di Bologna. A partire dagli anni sessanta riflette soprattutto sulla situazione dell’uomo contemporaneo: “il mestiere del guardare è un mestiere difficile e faticoso e richiede molto tempo, molta energia”, diceva alludendo all’importanza del saper osservare veramente il mondo che ci circonda. Prendono forma così i cartelli stradali, le baracche, le angurie-non angurie, i meli avvelenati. In particolare l’anguria viene elevata a simbolo antropologico, dalle angurie “sessuate” al femminile alle angurie “sofferenti”. Dagli anni ottanta sviluppa il tema dell’umanoide-computer attraverso una figurazione espressionista dai tratti infantili e violenti che rivela una riflessione pessimistica sull’evoluzione tecnologica. L’umanoide tubato dal computer ne è un esempio, così come la serie di autoritratti carichi di un’ironia trasgressiva. Sempre attiva è la sua partecipazione a importanti eventi artistici, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano nel 1980, alle antologiche a Santa Sofia di Romagna nel 1985 e alla Galleria Comunale di Arezzo nel 1989, al Liceo Saracco di Acqui Terme nel 1990, al Centro d’arte CL di Milano nel 1992. Importanti anche i suoi scritti: L’ignoranza fluida, 1979, L’assurdo razionale perché necessario, 1985. Muore a Brisighella (Ravenna) nel 1999 lasciandoci attraverso le sue tele la memoria di uno spirito ribelle e controverso.