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venerdì 8 maggio 2015

Castello di Moncalieri - "Il Cuore Sacro dell'Arte / la dimensione spirituale nell'arte piemontese contemporanea"




SABATO 9 MAGGIO, dalle 17.00 alle 20.00, presso il Castello di Moncalieri, Giardino delle Rose Piazza Baden Baden, si inaugura la sesta edizione della BAM  


Biennale d'Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte On Tour.

Titolo della Mostra : "Il Cuore Sacro dell'Arte / la dimensione spirituale nell'arte piemontese contemporanea"



opera di  Roberta  Fanti  Le mie Prigioni 2015




La BAM ha una precisa finalità, in decisa controtendenza rispetto alla “biennalite” caratterizzante la scena artistica contemporanea nell’era della globalizzazione, che è quello di valorizzare l’arte e la creatività piemontese dal secondo dopoguerra ad oggi secondo un percorso che, ad ogni scadenza, si indirizza verso aree diverse di analisi storica e contenutistica. Dopo “Proposte artistiche in Piemonte 1996/2004” della sperimentale edizione del 2004, e “Arte in Piemonte 1975/1995” tema del 2006 e prima fase di reale consolidamento dell’iniziativa, ed il significativo intermezzo della “BAM on Tour 2007”, nel 2008 abbiamo approntato una manifestazione intitolata “Art Design”, che ha conosciuto un significativo corollario nell’estate 2009 con uno spettacolare allestimento presso il Castello di Racconigi che, unitamente alla presenza ad Artissima, ha sancito il lancio definitivo di una manifestazione nata per pura scommessa intellettuale e tramutatasi in un appuntamento importante nel folto panorama di iniziative artistiche che caratterizza Torino ed il Piemonte. Nel 2010 con “BAM Piemonte Project Grafik” , bissata con “BAM on Tour 2011” per la prima volta a Torino, abbiamo, con successo, privilegiato il rapporto tra l’arte e la grafica pubblicitaria ed industriale, ma anche il fumetto ed il neo pop. La quinta edizione della BAM si è svolta, dopo Verbania per le prime tre edizioni e Carmagnola per la quarta, a Chieri, in sedi prestigiose quali la Biblioteca e l’Imbiancheria del Vajro, ed anche nelle vetrine del centro cittadino, con il titolo “Contemporary Photobox 2012”, con l' obiettivo di cogliere l’evoluzione di una linea stilistica legata all’uso delle tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. La “BAM on Tour 2013”, dedicata alla giovane fotografia piemontese, si è svolta presso l'NH Lingotto Tech. Con la sesta edizione, anticipata rispetto al consueto nel febbraio 2014 sempre presso l'Imbiancheria del Vajro, “BAM Piamonte Project 6 80”, dedicata a quel stimolante e controverso decennio, ed un allestimento coronato da un autentico e pieno successo, riteniamo che la BAM sia entrata definitivamente nell'eccellenza delle rassegne artistiche della nostra regione.

L'occasione, imprevista e gradita, di poter disporre, per la prima volta, di una sede come il Castello di Moncalieri, importante reggia sabauda fino ad ora mai adoperata per rassegne di arte contemporanea, ci ha indotto ad approntare una “edizione straordinaria”. La concomitanza con eventi quali l'Ostensione della Sindone ed il Bicentenario della nascita di Don Bosco, la presenza ormai consolidata di una manifestazione come Torino Spiritualità, la possibilità di disporre dello spazio a partire da maggio, quindi di creare  attenzione sull'evento anche nei termini della ricaduta turistica sul territorio, ci hanno fatto optare per una riflessione sul tema del sacro ed un titolo quale “Il cuore sacro dell'arte : la dimensione sprituale nell'arte piemontese contemporanea”.

La religione, come il pensiero mitico, il pensiero simbolico e la ragione, fanno parte della natura dell'uomo sia religioso che a-religioso. L'arte, ai suoi primordi, aveva il compito prioritario di esorcizzare la paura della morte, allontanare il senso della fine e dell'incertezza, cosi vivi e presenti nella nostra attuale ed incerta dimensione quotidiana. L'esclusività del rapporto tra il fruitore e l'opera, sia che generi fascinazione o distacco e repulsione, consente di porsi in una dimensione privilegiata, in grado di percepire il respiro della spiritualità, senza doverla necessariamente riconoscere nello stile, nelle forme e nei simboli della tradizione. Scrive il grande storico delle religioni Mircea Eliade : “ Il sacro nell'arte contemporanea è diventato irriconoscibile, si è camuffato in forme, propositi e significati che sono apparentemente “profani”. Il sacro non è scontato, com'era per esempio nell'arte del Medioevo. Non si riconosce immediatamente e facilmente, perchè non è più espresso attraverso il convenzionale linguaggio religioso”. Una attenta disamina non può negare l'esigenza del sacro che pervade la società e, di riflesso, il panorama dell'arte. Nonostante la secolarizzazione avvenuta nel corso del Novecento,  ancora più evidente in questa prima fase del nuovo millennio, e la parziale resa all'immanente costituito dalle ragioni della tecnica e del mercato, l'arte contemporanea è in realtà più spesso di quanto si creda alla ricerca di un confronto con la spiritualità, anche se spesso celato dall'abitudine, non sempre coronata da esiti felici quando l'intento è la ricerca del clamore mediatico fine a sé stesso, di mescolare l'iconografia del sacro con quella del profano.
Riepilogare il rapporto tra dimensione artistica e religione richiederebbe quantomeno un intero volume. Cosa che nella circostanza i parcellizzati spazi tipografici di cui dispongo rende impossibile. Tuttavia si possono sintetizzare alcuni passaggi storici, che traggo in buona parte dal mio saggio “Vocazione e progetto. Storia ed attualità della critica d'arte”, di cui è prossima la stampa della seconda edizione.
Per Platone l'espressione artistica non ha a che fare con il razionale o l'irrazionale, quanto con l'ultrarazionale. Il filosofo sosterrà il concetto di mimesi unicamente in quanto “hermeneia”, cioè interpretazione. Il poeta si pone come tramite privilegiato tra l'uomo e la divinità e parla in sua vece. Per Platone, infatti, ispirazione significa “entusiasmo” che, tradotto da un punto di vista etimologico, diventa “essere nel dio”, cioè porsi al di là della dimensione del contingente e del terreno, quindi della materia. Dopo la parentesi “laica” dello Stoicismo, profondamente influenzato dal pensiero di Aristotele, alla esasperazione formalista in atto nella parte terminale della stagione ellenistica, si oppone dapprima, con il richiamo all'esigenza di una maggiore attenzione alla dimensione spirituale, lo Pseudo Longino con il suo trattato “Del sublime”, probabilmente redatto in epoca augustea, poi un filosofo di primo rango come Plotino, nel terzo secolo dopo Cristo. Plotino condanna qualsiasi concezione rigida della bellezza, che è luce e splendore, secondo la teoria dell'”emanazione” divina, riscontrabile nelle religioni orientali, non si deve dimenticare che Plotino non è un autore cristiano. Anticipando il concetto di autonomia dell'arte, appare significativa la dicotomia instaurata tra materia e forma : la prima è bruttezza caratterizzata dall'assenza di forma, entità non valutabile e non visibile, vuoto assoluto. La materia prende vita solo in presenza della forma e quest'ultima, emanazione del divino, assume corpo in virtù della visione interiore che ne permette la percezione. Nella fase storica successiva, quella dell'Alto Medioevo, l'arte è vissuta come espressione diretta della comunità di appartenenza che, a sua volta, con la mediazione dell'”artifex”, è rivolta verso l'adorazione della gloria del Signore. Dice Papa Gregorio Magno nel VII secolo che “la pittura per gli analfabeti e ciò che la scrittura è per i letterati”. Questa visione della funzione comunitaria e spirituale dell'arte trovò larga eco nell'Ottocento, all'interno delle varie correnti romantiche che si opponevano all'alienazione introdotta dall'avvento della Rivoluzione Industriale denunciando, non senza una certa dose di ragione alla luce delle esperienze di oggi, il rischio della serializzazione della pratica dell'arte e della riduzione del manufatto artistico a merce tra le merci. Basti pensare all'affermazione di John Ruskin a difesa dei Preraffaelliti, accusati di eccessiva leziosità. Il grande critico e storico dell'arte inglese sosteneva la religiosità della Confraternita Preraffaellita in quanto la loro “perdita di tempo” era una “perdita del tempo”, un annullamento, uno sprofondare in una dimensione “altra”. Nel Medioevo, se è sostanzialmente nullo il progresso della critica, intesa anche solo nella formula convenzionale della cronaca, così non è per l'estetica e la speculazione filosofica. Agostino, contrariamente a Plotino, sostiene la trascendenza divina rispetto al mondo e autorizza, da un punto di vista estetico, il “brutto”, in opposizione alla tradizione classica greca di matrice platonica, perchè esso è elemento del creato, legittimato dalla sofferenza di Cristo in croce. Molto secoli dopo Tommaso d'Acquino, colui che codificò l'aristotelismo facendone la struttura portante non solo della religione ma dell'intero edificio culturale occidentale, in omaggio all'importanza che nel pensiero del filosofo greco ebbe il concetto di mimesi, concede piena liceità alla fantasia, necessaria anche per la rappresentazione dell'inesistente. L'anonimato dell'artista medievale cessa gradualmente dopo l'anno Mille. L'architettura, arte aniconica, sintetizza l'estetica del Medioevo nell'essenza dell'edificio religioso per eccellenza, la cattedrale. L'eccessivo sfarzo delle cattedrali gotiche scatena delle critiche parallele che vari movimenti di contestazione religiosa muovono alla secolarizzazione ed al potere politico della Chiesa. La stagione della grande pittura toscana tra Due e Trecento, Cimabue, Giotto, Simone Martini, i senesi, porteranno alla ripresa di una dimensione figurativa e fortemente spirituale dell'arte. L'aureo Rinascimento, periodo che vede la nascita dell'era moderna con la regolamentazione della prospettiva da parte di Leon Battista Alberti e l'invenzione tipografica di Gutemberg è diviso, da un lato, dalla esaltazione degli studi classici e dalla rivalutazione del pensiero platonico nella cerchia padovana di Marsilio Ficino, dall'altro dalla rivendicazione dei valori dell'individuo che condurrà l'occidente europeo dritto verso la Rivoluzione francese, massima esaltazione dei valori laici. Tornando all'Alberti, egli è il prototipo dell'intellettuale rinascimentale, poliedrico ed aperto al mondo, mosso dal desiderio di comprenderlo, di spiegarne le leggi e di dominarlo, quasi come un nuovo Dio in terra, essendo dall' Altissimo stato creato a sua immagine e somiglianza. Lo spirito scientifico del metodo prospettico, e dell'intero Rinascimento, è affermato da Leonardo Da Vinci. Per lui la pittura è “scienza in atto”. Leonardo si definisce, per prendere le distanze dai canoni dell'umanesimo neoplatonico. “omo sanza lettere”, tant'è che apprese il latino solo in età avanzata. La dimensione spirituale sarà invece centrale nella poetica del “rivale” di Leonardo, quel Michelangelo che sfiorò, con la congrega degli Spirituali, l'adesione alla nascente Riforma Protestante. Dopo la lunga, intellettualmente stimolante, stagione Manierista, figlia di un'epoca di crisi e di pasaggio, il Seicento e la stagione barocca segnano sia un trionfo della ragione moderna, con la nascita del metodo scientifico, sia uno stretto e vincolante rapporto della religione con l'arte, per effetto dell'applicazione concreta della Controriforma. Gli artisti, la cui sopravvivenza economica era garantita in primo luogo dalla Chiesa, dovevano concentrarsi sulle rappresentazioni sacre, e sulle scene di martirio, per suscitare nei fedeli la devozione. Il naturalismo di Caravaggio e della sua cerchia aggirerà il vincolo calando nelle vesti di santi e martiri personaggi del popolo,  rappresentando quello che era l'underground dell'epoca. Il Settecento è la stagione del già citato Illuminismo, con le parole d'ordine “Libertà. Uguaglianza, Fraternità”. Nel corso di due secoli, Settecento ed Ottocento, gli intellettuali più sensibili ed avveduti rispondono prontamente con la scrittura alle mutazioni iconografiche di pittura e scultura, che gradualmente si sottraggono alla dittatura del racconto mitologico, religioso, storico e letterario, contribuendo alla costruzione della nuova immagine contemporanea che, dopo il traghettamento simbolista, approderà alla stagione delle avanguardie storiche. Dell'Ottocento e della temperie Romantica ho già fatto cenno. Le radici del movimento romantico in arte partono da un antagonismo, dal rivendicare il privilegio dell'antica teknè e l'artigiana lentezza della pratica artistica. Il primo, e più coerente di questi movimenti, è quello Nazareno, nato in Germania su impulso di Franz Pforr e Friedrich Overbeck. I Nazareni contestano integralmente l'alienazione della nascente civiltà industriale e l'ipocrisia borghese, nonchè l'assenza di tensione spirituale nell'arte, predicando e praticando un ritorno ai valori evangelici e la distanza da qualsiasi tentazione mondana, anticipando di più di un secolo quei movimenti di contestazione giovanile che attraverseranno l'America e l'Europa dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del Novecento. L'ingresso dell'arte nella dimensione culturologica della contemporaneità, a partire dalla fase finale dell'Ottocento, segna una nuova fase nel rapporto tra arte e dimensione spirituale. Il crollo dell'orizzonte metafisico, teorizzato da Nietzsche, che influenzerà profondamente soprattutto l'avanguardia storica futurista ed il pensiero di Marinetti, con temi quali la sovrumana volontà. il superuomo ed il volo visto come distacco dalla materia, e la provocatoria asserzione sulla “morte dell'arte” di Hegel, che significa in sostanza che l'arte si è liberata dall'asservimento al Bello ed ai dogmi della religione e della politica per diventare qualcos'altro rispetto al passato, conducono la spiritualità dentro il recinto dell'interiorità e della sensibilità dell'artista. Secondo Walter Benjamin, per effetto del progresso tecnologico e dell'avvento degli strumenti di riproducibilità tecnica, l'arte è passata dal dominio del rituale a quello della politica, aumentando la sua sfera di diffusione simultanea e di esponibilità. Il rapporto dell'arte con religione e spiritualità nel corso del Novecento non è venuto meno, ma si è manifestato con modalità diverse ed inedite rispetto al passato. Con l'eccezione di episodi significativi, quali il “Manifesto dell'Arte Sacra Futurista”, il rapporto con il sacro è diventato sempre più afferente alla dimensione privata e personale del linguaggio artistico. Come non rinvenire una forte tensione spirituale, ad esempio, nei lavori astratti del Neo Plasticismo di Mondrian, od in molte prove dell'Espressionismo Astratto, od ancora nel “blu assoluto” di Yves Klein? L'anelito verso una religiosità dell'arte è avvertibile, a mio avviso, anche in molte opere della tarda post modernità, all'apparenza provocatorie ai limiti del villipendio, come quelle di Andres Serrano.

Questa volta la BAM, nella sua quinta edizione “On Tour”, in parallelo con una serie di eventi importanti ospitati dalla nostra regione, ha inteso operare una ricognizione dedicata ad un tema  con cui l'arte non può esimersi dal confrontarsi. La selezione di artisti del territorio, prevalentemente figure ormai storiche del panorama degli anni Settanta ed Ottanta, con alcune significative presenze emerse nei Novanta, e nel corso degli anni Zero, ha sposato al solito il criterio della qualità. In mostra sarà possibile ammirare diverse versioni del rapporto tra arte e spiritualità ; da una dimensione narrativa raccolta ed intima, prevalentemente pittorica ed installativa,  ad una estroversione visiva non priva di spirito gioiosamente sdrammatizzante ed ironico, nei versanti della fotografia, dell'oggettualismo e della pittura neo pop. Gli artisti invitati, di cui si allega l'elenco, sono stati lasciati liberi di esprimersi sia tramite una dimensione evocativa che con una citazione iconografica diretta. Il risultato penso sia interessante, e la libertà espressiva non si è tramutata, come spesso avviene per appagare gli appetiti mediatici, nella provocazione fine a sé stessa.

Artisti invitati :

Salvatore Astore, Laura Avondoglio, Cornelia Badelita, Angelo Barile, Ermanno Barovero, Enzo Bersezio, Mauro Biffaro, Corrado Bonomi, Antonio Carena, Gianni Caruso, Ferruccio D'Angelo, Filippo di Sambuy, Radu Dragomirescu, Roberta Fanti, Raffaello Ferrazzi, Silvia Fubini, Enzo Gagliardino, Titti Garelli, Theo Gallino, Riccardo Ghirardini, Carlo Giuliano, Santo Leonardo, Pino Mantovani, Plinio Martelli, Mario Marucci, Andrea Massaioli, Giancarlo Pagliasso, Luciano Pivotto, Francesco Preverino, Sergio Ragalzi, Franco Rasma, Ubaldo Rodari, Claudio Rotta Loria,Eraldo Taliano,  Valerio Tedeschi, Vittorio Valente, Ugo Venturini.



Durata : fino al 31 maggio. Venerdì 15.30-18.00.
Sabato-Domenica 10.30-12.30 15.30-18.00

Organizzazione : hakassociatiartecontemporanea
Patrocinio : Comune di Moncalieri, MIBAC Ministero Beni Artistici e Culturali, Regione Piemonte, Fondazione CRT, Piemonte Nuovo..da sempre, MAU Museo d'Arte Urbana di Torino
Info : 349 4665091   335 6398351 

mercoledì 22 aprile 2015

Small Scale Subversion: Mail Art & Artistamps di John Held Jr.



Small Scale Subversion: Mail Art & Artistamps


Copertina morbida, 318 Pagine 

Although increasingly appreciated in fine art and stamp collecting circles, artist postage stamps, or artistamps, are more likely to be traded between the people who create them than they are to be exhibited in commercial art galleries or read about in philatelic journals. Artistamps are part and parcel of the grassroots network known as Mail Art, an alternative art of creative long-distance communication that intuited the demand for cross-cultural exchange long before the Internet. Although seemingly rigid, the postage stamp format allows flexible approaches in painting, watercolor, offset, photography, photocopy, rubber-stamping, engraving, digitization and sculpture.

Dettagli del prodotto
ISBN   9781329058057
Copyright   John Held Jr. (Licenza di copyright standard)
Edizione  First Edition
Editore  TAM-Publications
Pubblicato   11 aprile 2015
Lingua   Inglese
Pagine   318
Rilegatura   Copertina morbida con rilegatura termica
Inchiostro contenuto  Bianco e nero
Peso  0,54 kg
Dimensioni (centimetri)   Larghezza: 15,24, altezza: 22,86
Prezzo €18,68
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venerdì 26 settembre 2014

BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI







BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI


Brescia 1914-1990
Guglielmo Achille Cavellini (o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.
Sta forse qui il cardine per capirlo. Non è stato un artista come tanti altri, con la sua piccola o grande innovazione. Non è stata una questione di stile la sua, ma una specie di giudizio illuminato che ha ricondotto giustamente all’individuo ed al suo pensiero i balbettii di un sistema che si stava sbriciolando in mille rivoli di potere dove l’arte e l’artista rischiavano di rimanere nell’ombra. Non è poco si dirà, eppure sembra che tutto ciò ancora ai più non sia chiaro.
La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che, chiamandosi astratta, coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti, se ne innamora come pittore e offre il suo primo giudizio all’arte. Per molti sembra che il suo valore termini qui, invece quella non fu altro che la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi un’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.
Nel 1960 ha ripreso il lavoro con forza, dapprima sul versante dell’astrattismo pittorico che tanta parte aveva avuto nei suoi interessi del decennio precedente, ma con un gesto, un segno nuovi che appaiono ora come anticipatori del suo lavoro sulla scrittura che prenderà corpo più tardi.
La sperimentazione continua e nel 1965 sforna un gruppo di lavori che sono un’ulteriore tappa verso un uso diversificato dei materiali. Recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale.
E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966-1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione-appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro.
Citazione-appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro.
Nei carboni (1968-1971), che per un certo periodo sono stati un vero e proprio simbolo del suo lavoro, dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi, coniuga più apertamente i concetti appena accennati nei lavori precedenti, dalla pittura all’oggetto, dalla citazione all’appropriazione fino a far assumere a certe icone la valenza di opera propria, usando opere di altri autori oppure l’immagine dell’Italia  in innumerevoli situazioni e contesti.
Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico. Il gioco e l’ironia prendono ancora più spazio lasciando posto anche al dubbio che ci si trovi di fronte ad un gesto estremo e lesionista (era sì o no Cavellini in tempi passati un famoso collezionista?).
Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione, che fu una vera e propria puntualizzazione, un modo per mettere in pratica il suo giudizio. Il termine può sembrare a prima vista un escamotage brillante e narcisista per mettersi in mostra, ma è tanto forte l’idea da intrufolarsi nel sistema dell’arte e straripare nei suoi gangli più vitali mettendone in luce ogni contraddizione.
Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi-museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.
Produce quindi i manifesti che innumerevoli musei di tutto il mondo dovranno usare per celebrare il suo centenario, abbinando al suo nome la sigla 1914-2014.
A questo punto la fantasia dell’artista, liberata da ogni pudore verso l’autocelebrazione, si scatena. Nei francobolli entra lui con la sua mimica votata allo sberleffo.
Scrive una Pagina dell’Enciclopedia partendo da una semplice cronaca autobiografica fino a sfociare in una vera e propria iperbole del culto della personalità. La sua scrittura diviene quindi una cifra pittorica usata con maniacale insistenza su tutti i supporti possibili: colonne, manichini, tele e drappi di dimensioni enormi.

E’ questa la realtà che vede Cavellini come autentico innovatore, ed anticipatore anche negli aspetti di una nuova comunicazione nell’arte, scavalcando i canonici rapporti che sembrano una base inscalfibile del sistema, dando una risposta concreta e carica di vitalità al suo messaggio di provocante giudice del territorio dell’arte.
                                                                                                         Archivio Cavellini di  Brescia



 



  
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Poema visuale di Giovanni Bonanno dedicato a Guglielmo Achille Cavellini





“ Carboni accesi ”

(Poema visuale dedicato a Guglielmo

Achille Cavellini in occasione del Centenario

del 2014)





Muri caduti,

arie sottili aleggiano vivide nel buio cupo della notte,

inseguono curiose primavere andate

prima di svanire all’improvviso.

Ho attraversato labirinti oscuri che non mi fanno più dormire.

Solo i ricordi non hanno peso.





Camminare a passi stretti,

cerco invano tracce di senso da dare alla mia esistenza,

mi trascino i miei cinquantacinque chili di ossa

annegati dentro una casacca di carne.

Tutt’intorno il silenzio.





L’arte è la mia vita,

buste bianche, timbri, francobolli

e un vecchio orologio appeso a scandire le mie ore.

Bisogna raccontarsi per frammenti

da conservare dentro anonime casse di legno.

L’occhio del ribelle non ha più voglia di vedere.





L’eco della mia voce rimbomba sorda,

a ferragosto ho strisciato lungo i margini senza uscita di un ascensore

e ho raccolto i miei pensieri che sembravano ortiche disseccate al sole.

Non mi guardo più allo specchio per non vedere la mia faccia.





Camera 61,

anche i sogni hanno finito di calpestare la putrida melma,

sono come macigni appesi che si consumano all’improvviso.

Ho accarezzato persino il nulla per non udire la vanità degli uomini

e mi sono trovato solo dentro un letto a S. Orsola.

Il sistema mi ha messo in croce.





Camminare stanca.

Ormai i ricordi  sono come carboni spenti

in una triste giornata di dicembre,

ti accarezzano e poi fugaci svettano via lontano.

Se ti lasci andare puoi vedere anche tu la bava del tiranno disseccarsi al sole.

Tento invano di toccare la mia carne.

Capisco di essere solo.



© Giovanni Bonanno

31 luglio 2014


Testo critico di Piero Cavellini









GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914-2014
Siglare nelle opere la data che celebra il proprio Centenario è stata una delle peculiarità nell’attività di Guglielmo Achille Cavellini a partire dal 1971, anno in cui decise che attraverso un meccanismo di Autostoricizzazione gli sarebbe stato permesso di incidere sull’identità dell’artista quasi sempre fuorviata e repressa da un sistema incapace di intenderne le libertà.  Azione questa che lo portò a destrutturare le condizioni del sistema stesso per condurle, a suo piacimento, in un ambito creativo nuovo che a molti parve un eccesso di megalomania ma che un contesto internazionale attento e desideroso di un cambiamento di queste condizioni acclamò come una nuova via dell’arte che, a partire da allora, l’avrebbe riavvicinata alla vita reale spostandola dalla rigidità evoluzionista in cui ancora si dibatteva, nonostante gli sforzi delle Avanguardie storiche del primo Novecento.  Un’anticipazione questa che precorre un concetto di liquidità sociale applicata allo specifico che sembra prevalere nell’analizzare il sistema complessivo della nostra epoca.  Tutto ciò per partire dalla fine e da quel work in progress che non senza un poco di meraviglia è vicino a concludersi ma la storia di GAC artista, usando l’acronimo con cui si firmava nel quale si specifica la sua formula comunicativa, ha ben più complessi antecedenti che di quell’atto finale sono un incipit molto più coerente di quanto non si possa pensare. Il suo avvento sulla scena dell’arte, ormai documentato da numerose biografie e autobiografie, si concretizza nell’incontro con Emilio Vedova a Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione e da allora ne è stato un continuo attraversamento attuato da un arbitro speciale, non un artista come tanti altri con la sua piccola o grande innovazione, uno stile, ma un individuo che conduce un giudizio illuminato, prima sulla sua generazione e poi sul resto del mondo e sulle trasformazioni che ha prodotto fino a che è stato in vita.  

Credo sia questo l’unico modo per coglierne la presenza, senza fraintendimenti sulla questione dei ruoli e sui cambiamenti di stato che sono un argomento stantio nel definire un comportamento che stava ormai nel futuro.  Con quell’incontro del 1946 scopre una nuova arte astratta europea, capace in un attimo di far svanire nel nulla i suoi primi tentativi espressivi autodidatti che, rivisti oggi, testimoniano la sua innata artisticità, e ci volle poco perché decidesse che fosse più producente farsene paladino per metterla in luce verso il mondo piuttosto che continuare l’apprendistato su argomenti che stavano oramai fuori da quella contemporaneità.  Basterebbe questo atteggiamento per decidere di escluderlo dalla storia del collezionismo per introdurlo nella storia dell’arte. E’ questo il suo primo giudizio, un giudizio da artista che, liberato dai propri fantasmi, sceglie di articolare la sua presenza all’interno dell’esperienza generazionale che forniva le novità più pregnanti con cui era venuto improvvisamente in contatto. E’ per ciò che parlo di giudizio, come poi avverrà per il resto delle sue frequentazioni e si tradurrà in quel lavoro in fieri di cui si è detto, portandolo al punto di creare un piedistallo per l’arte degli altri come fosse la sua o quella che non avrebbe avuto bisogno di fare perché già in atto in un contesto che trovava più producente condurre piuttosto che partecipare.  Fin qua il primo atto che, condotto in porto con la pubblicazione del libro Arte astratta e con l’esposizione di una selezione delle opere presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1957, ne aprì un altro dove degli altri colleghi non aveva più bisogno.  Ha inizio qui l’attraversamento che in definitiva è un giudizio anch’esso ma sporcandosi le mani producendo da autore a partire dal 1960.

 E tutti i Sessanta risultano una sorta di viaggio propedeutico all’ultimo dei suoi atti che ho citato in testa a questo scritto, condotto tra citazione e autopresentazione, tra pubblico e privato, tra costruzione e incassettamento, tra incendio e purificazione, dove se l’oggetto è sempre l’arte il soggetto è la vita, quella dell’artista ma anche quella di noi tutti. Appropriandosi delle opere degli altri, attività divenuta molto in voga circa vent’anni dopo, ne assoggetta la forma a queste sue incessanti dualità, ne estremizza i significati ed inizia a definirne i confini sovrastrutturali come nei primi francobolli a partire dal 1966. Che differenza ci sia rispetto al primo atto credo non sia una questione sostanziale ma che si tratti di una sorta di delocazione dello stesso atteggiamento dove in un luogo diverso, con delle architetture create da sé, come con il libro e la mostra in precedenza, attua la sua presenza verso l’esterno, azione propria della creazione artistica. In definitiva: non c’è bisogno di creare figure nuove per parlare di ciò che anche quelle già fatte esprimono.  Il terzo atto, ho già detto, ha inizio a partire dal 1971, anche se le Proposte dell’anno precedente in cui seziona con atto apparentemente iconoclasta tele di autori museali sono un antefatto di un cambiamento di stato, anche se ripeto non di sostanza: la forma altrui non serve più se è di se stesso che si deve parlare. E quel se stesso siamo tutti noi, l’essere artista è una metafora dell’essere nel mondo.  Il giudizio diventa filosofico, si parla di identità, di stato, di presenza, e della biografia come atto primigenio che può assumere valenze divinatorie: l’Autostoricizzazione  travalica il tempo ed è posteriore a tutto, compresa la modernità e la sua stentorea presunzione cronicistica.  

Sembra proprio che ci siano i termini per constatare un’ulteriore preveggente anticipazione sui tempi a venire che tanti fiumi di parole hanno fatto scrivere senza individuare il soggetto vero delle cose, l’opera che le accompagnasse.
 Ed eccola allora quella scrittura incessante che copre tutto per svelare la coscienza individuale, il senso di sé nell’essere attore della coscienza di tutti.  E’ con questo atto nuovo che GAC esplode, come se quelle opere post che necessitano per affermare un pensiero nuovo su se stessi volesse farle tutte lui. Ed esplode anche la comunicazione, senza Rete senza Socialnetworks, bisogna attuare da soli anche quella e non lasciare alcunché di intentato. Nascono così le Mostre a domicilio, cataloghi-opera in diecimila copie che viaggiano in tutto il mondo per rimpiazzare la staticità dei luoghi deputati, per diffondere, segnalare, scrivere una post-storia che non ha tutti i vincoli della precedente. Tutto via Posta, il modo migliore per occupare tutti gli spazi possibili, con una rete che si crea da sé, senza condizioni, senza mercato.  I soggetti sono sempre gli altri, ma smaterializzati, ridotti ad idea funzionale a sé stesso, come nelle 25 lettere ai grandi della storia con cui si coinvolge in relazioni amicali, o I Frontespizi di famosi libri di ogni tempo di cui diviene il principale protagonista, e così via in un eccesso parossistico di riscrittura dove tempo e spazio  si frammentano, ed ancora diventano liquidi ed incapaci di costruzioni stabili ed esclusive.

Sappiamo bene che la libertà non arriva da questa condizione, anzi come ne abbiamo riprova oggi ne è ulteriormente complicata , ma se non si scardina il lessico che la descrive, come hanno fatto i Ready made duchampiani a suo tempo, non avremo l’occasione per conquistarla. GAC questa ulteriore operazione la fece a suo tempo, forse troppo in anticipo perché venisse compiutamente recepita. Chissà che la ricorrenza del 2014, ora così vicina, non ci porti l’occasione per finalmente riconoscerlo?
                                                                                                                        Piero Cavellini