martedì 28 giugno 2016


EMILIO ISGRO' FIRMA L’IMMAGINE GUIDA DELLA DODICESIMA GIORNATA DEL CONTEMPORANEO


sabato 15 ottobre 2016
24 musei AMACI e 1000 realtà in tutta Italia
per il dodicesimo anno consecutivo
aprono gratuitamente al pubblico i loro spazi
e inaugurano ufficialmente la stagione dell’arte contemporanea





Preghiera per l’Europa, 2016
 Emilio Isgrò per la Dodicesima Giornata del Contemporaneo 




Si svolgerà sabato 15 ottobre 2016 la Dodicesima Giornata del Contemporaneo, la grande manifestazione organizzata ogni anno da AMACI, l'Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, per portare l’arte del nostro tempo al grande pubblico.

Per questa dodicesima edizione, i direttori dei 24 musei associati hanno chiamato a realizzare l'immagine guida Emilio Isgrò, proseguendo il progetto avviato nel 2006 di affidare a un artista italiano di fama internazionale la creazione dell’immagine guida della manifestazione. Isgrò succede a Michelangelo Pistoletto (2006), Maurizio Cattelan (2007), Paola Pivi (2008), Luigi Ontani (2009), Stefano Arienti (2010), Giulio Paolini (2011), Francesco Vezzoli (2012), Marzia Migliora (2013), Adrian Paci (2014) e Alfredo Pirri (2015).


 Emilio Isgrò

Preghiera per l’Europa, l’immagine creata appositamente dall'artista per la Giornata del Contemporaneo, mostra un’Europa cancellata che estende i suoi confini oltre a quelli dell’Unione Europea, abbracciando idealmente i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Realizzata a marzo 2016, prima del recentissimo referendum che ha sancito la scelta della Gran Bretagna di uscire dalla UE, l’immagine vuole essere una riflessione sulle divisioni – geografiche, politiche, culturali – che oggi più che mai alimentano sentimenti e spinte nazionaliste che la storia sperava di aver cancellato. “La mia Preghiera per l’Europa  sottolinea Emilio Isgrò – non vuole suggerire sgomento e paura; ma offrire, piuttosto, la possibilità di un confronto con chi, al di qua e al di là del Mediterraneo, chiede alla terra dei tre monoteismi di sovrapporre il suo “volto umano” alla maschera atroce di un mondo troppo condizionato da guerre e da conflitti. Nessuno può illudersi che l’arte, da sola, possa cambiare l’universo ma certamente tocca agli artisti e alle formiche, cioè alle creature più fragili, esprimere quella forza oscura capace di mutare la disperazione in speranza. Per questo l’arte deve essere libera da condizionamenti ideologici e mercantili: per riacquistare la credibilità perduta agli occhi di chi ne ha veramente bisogno […] È quando cominciamo a pregare tutti insieme – artisti e formiche, religiosi, miscredenti e laici – che la preghiera diventa finalmente efficace. E il cielo si intenerisce”. Una riflessione sulle divisioni, dunque, e sulla necessità di recuperare dal profondo quel senso di inclusione, quella capacità di sentirsi uniti e fare fronte comune che permette di costruire, anziché distruggere, e di essere più forti di fronte alle difficoltà.


Dal 29 giugno al 25 settembre, a Milano, Isgrò sarà inoltre protagonista di una grande mostra antologica contemporaneamente allestita in tre sedi, a cura di Marco Bazzini, promossa dal Comune di Milano | Cultura, da un’idea dell’Archivio Emilio Isgrò. A Palazzo Reale sarà esposta una selezione di lavori storici ricca di oltre 200 opere tra libri cancellati, quadri e installazioni; alle Gallerie d’Italia, sarà presentata l’anteprima del celebre ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Hayez e cancellato in bianco; alla Casa del Manzoni, l’artista sarà presente sempre con un nuovo lavoro: I promessi sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati.

venerdì 24 giugno 2016

Marcello Diotallevi / Autoritratti formato tessera


Marcello Diotallevi. Autoritratti formato tessera
Galleria Arianna Sartori, Mantova

Si è conclusa la personale “Autoritratti formato tessera” dell’artista Marcello Diotallevi, alla Galleria Arianna Sartori di Mantova. Artista di fama internazionale, ritorna per la terza volta ad esporre per il pubblico mantovano: nel 2008 aveva presentato la personale “Lettera di Citera” e nel 2010 “Arabe Fenici e Fiabe al Vento”.  Qui il significato, al di là dell’intrigante congegno linguistico-iconico, è da ricercare nell’idea-progetto di una “ripetizione differente.
La ricerca di Diotallevi si incentra in un gioco combinatorio il cui oggetto è la propria immagine; o meglio, la sua “riproduzione meccanica”, servendosi nel modo più usuale del “fai da te” fotografico cui sono adibite le apposite “cabine”. Autolesionismo a parte (“fa a pezzi” il proprio volto a colpi di forbici: sulla carta, è vero, tuttavia la metafora è bruciante) c’è il declassamento di questo “luogo” pittorico di illustre ascendenza che è l’autoritratto, a prodotto “senza qualità”.
Su di essa Diotallevi interviene con un procedimento di scomposizione-ricomposizione. Rimescolando però le car-te, per cui a reintegrarsi tra loro, per ricostruire l’insieme. Ne risulta un mosaico scombi-nato, dove i diversi spezzoni di tratti somatici, capi di vestiario, “ornamenti”, sono arbitrariamente accostati in mo-do da offrire quattro “apparenze” diverse dello stesso individuo. 






Marcello Diotallevi è nato il 24 aprile del 1942 a Fano. Ha vissuto a Roma dal 1946 al 1974 dove, per un decennio, ha esercitato l'attività di restauratore presso il Laboratorio di restauro in Vaticano. Ha inizio in quegli anni anche la sua attività artistica all'insegna dell'irrequietezza. Come pittore prima, poi come scultore - nei primi anni Settanta -, quindi per un po' si occupa di grafica e infine inizia a scrivere. Sul finire degli anni Settanta hanno inizio le sue incursioni nell'area della Mail Art e della Poesia Visiva. In oltre quarant'anni di costante attività ha collaborato con suoi interventi a libri e riviste nazionali e internazionali. Ha allestito mostre personali nelle maggiori città italiane e all'estero, partecipando nel contempo a esposizioni collettive in tutto il mondo. Fa parte del gruppo di intervento artistico "I metanetworker in spirit". Si occupa in prevalenza di Poesia Visiva, Mail Art, installazioni e libri d'artista. E' l'autore della copertina della Guida al Musée National d'Art Moderne - Centre Georges Pompidou di Parigi (Hazan Editeur, 1983). Nel 2007 è invitato al 52° Biennale di Venezia, Eventi Collaterali, "Camera 312 - promemoria per Pierre". Figura nella Storia dell'arte italiana del ‘900, Generazione anni Quaranta di Giorgio di Genova, edizioni Bora, Bologna 2007. Dal 1974 abita a Fano.


domenica 19 giugno 2016

Christo, poi, disse ai pellegrini di camminare sulle acque dell’Iseo.


 


Il miracolo di Christo.

Come per miracolo, è stato inaugurato il ponte dell’artista Christo  invitandoci a  camminare sulle acque del lago. I discepoli ammaliati dal nuovo Christo  si sono moltiplicati  e come per miracolo dei pani e dei pesci, hanno atteso l’alba, otto lunghe ore dall’apertura di «The Floating Piers», Il progetto nato nel 1970 è  realizzato grazie all’incontro  tra l’uomo dei miracoli Christo Javacheff, il curatore Germano Celant e l’industriale Beretta, proprietario dell’isolotto di San Pietro, che ha stabilito i contatti con le autorità locali agevolando praticamente tutto l’iter burocratico dell’evento. L’artista newyorkese, nato in Bulgaria nel 1935, con questa azione ha collegato Montisola e l’Isola di San Paolo alla terraferma con una passerella pedonale ricoperta di tessuto giallo dalia. L’opera, lunga 3km nel suo tratto più lungo e 4.5 complessivamente.  Si prevede un afflusso di un milione di “pellegrini” per sperimentare il prodigio delle acque. Tante anime pie in cerca stimoli e suggestioni, dopo Gesù, possono finalmente realizzare il sogno di aver camminato sulle acque e tramandare  orgogliosamente ai posteri il miracolo di Christo re del lago d’Iseo, percorrendo tra il pontile principale (che collega Montisola a Sulzano) e  i due altri  tronconi che collegano Montisola all’Isola di San Paolo, di proprietà della famiglia Beretta, (produttore di armi e occasionalmente anche sponsor).  Insomma, un   vero miracolo!!!





A questi eventi mondani il pubblico di oggi partecipa  numeroso alla ricerca di nuovi stimoli che lo possano stupire. In questi ultimi anni, poi,  si è passati dalla  frequentazione del libro, dell’opera d’arte, dei musei e dei cinema, alla  partecipazione e presenza di massa nei supermercati, condividendo qualsiasi  evento spettacolare  (inclusa  la Biennale di Venezia),  dove  la regola chiave è essenzialmente “esserci”, divertirsi  e essere stupiti a tutti i costi. Praticamente una frequentazione da Luna Park  con un convoglio dei divertimenti che di arte non propone un bel niente tranne che il mero evento provvisorio e spettacolare.  




Secondo  lo storico dell'arte Philippe Daverio la passerella di Christo  è  semplicemente un’attrazione, un’alternativa alle sagre di paese, “una baracconata”, aggiungendo: “non è arte, perché l'arte è altra cosa”. Infatti, manca l’ambiguità, la complessità,  la profondità che la vera arte ti può suggerire. Per cui, il progetto provvidenzialmente  e provvisoriamente di the Floating Piers, rimane solo un’azione effimera, debolmente provocatoria  che si conforma  e si stabilizza in superficie come  pura spettacolarizzazione  ludica del vivere contemporaneo.   Sandro Bongiani


giovedì 16 giugno 2016

"WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS"




OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

La Galleria Tutta Virtuale

La Ophen Virtual Art Gallery è la prima galleria virtuale in cui l’arte contemporanea diviene virtuale e interattiva. Nessun muro e nessuna sala bensì solo il web per accogliere le opere, un luogo in perenne evoluzione dove si alternano i lavori di artisti più e meno noti. Ciò permette agli artisti emergenti di usufruire gratuitamente di una vetrina costante e consente, a quelli con maggiore esperienza nel settore, di rendersi sempre più internazionali. La Ophen Virtual Art Gallery è sempre pronta a spalancare le sue porte proponendosi come ponte tra l’arte in senso stretto e l’innovazione della rete internet. Senza dubbio si tratta, allo stato attuale, della prima e più importante galleria on-line a livello mondiale che si occupa di arte contemporanea. 

Visit.




Fino al 27 agosto 2016 ospita la mostra virtuale 2.0




"WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS"



venerdì 10 giugno 2016

Napoli, Personale di BLEDAR HASKO - MOVIMENTO APERTO.




BLEDAR  HASKO





Inaugurata  Giovedì 9 giugno 2016 dalle ore 17, presso MOVIMENTO APERTO via Duomo 290/c Napoli la mostra  fotografica di BLEDAR HASKO.

Introdotta dal testo di UGO PISCOPO, intitolato: "Si, ma non a casa mia o nel recinto di casa mia - Il buio alla luce del sole" .  Marcello Francolini tracce le note biografiche   del giovane giornalista albanese. 

La mostra rimarrà aperta fino al 30 giugno il lunedì e il martedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00, il mercoledì dalle ore 10.30 alle ore 12.30 e su appuntamento. 
info: 3332220274







Sì, ma non a casa mia o nel recinto di casa mia
Il buio alla luce del sole
di Ugo Piscopo


Nella luce piena di un giorno estivo, non turbato da tempeste o da altri avversi fenomeni atmosferici, tutto l’esistente materializzato non può non essere esposto al sole. E su questo saremmo pronti a giurare, che è così, che non può essere diversamente. Invece, è diversamente nel mondo attuale e sotto i nostri occhi in Occidente, dove in piena esposizione alla luce del sole resistono, anzi minacciano di dilatarsi e di crescere a montagne, irriducibili, intransitive, consistenze di tenebra. E’ la tenebra che sfida la meridianità, che anzi, alla maniera dell’antimateria che divora la materia, incombe sulla storia, sulla civiltà, sui valori pronta a fagocitarli. E sarà, nel caso che la minaccia abbia successo, la fine, cioè il ritorno ai primordi. Il cerchio rischia di chiudersi. Sarà un ritorno a quando si avviò il processo dell’autoconsapevolezza umana, fondata sulla presa d’atto che si era “pura e semplice carne” esposta, tra l’altro, agli assalti dei predatori, in particolare dei leoni, come sostiene David Quammen in “Alla ricerca del predatore alfa” (ed. Adelphi). Anche oggi, nel nostro soffertamente amato Occidente sembra che si venga allargando a slavina l’autoconsapevolezza che si è nient’altro che “pura e semplice carne” esposta ai predatori affamati. E, nel nostro immaginario eccitato dalla paura, ci fingiamo che i predatori affamati siano i migranti. Che dovremmo accogliere, dice Habermas, non tanto in nome dei valori, quanto in nome dei loro diritti. Invece, li guardiamo soltanto come masse in fuga che ispirano terrore. E, per sovrappiù, scarichiamo tutta la responsabilità di questo stato di cose sui governi. I quali, purtroppo, hanno gravi responsabilità nell’affrontare i problemi con lentezza, tortuosità, contraddizioni, come si registra all’interno dell’area dell’U. E., dove si è perfino disponibili a finanziare Stati terzi, perché si facciano loro carico di alleggerire e magari risolvere le difficoltà. Perché risulta naturale che siano gli “altri” a vedersela con gli “altri”. Ma la delega sia ai governi, sia agli “altri” è soluzione che non funziona. Che, anzi, mette a nudo la disumanità, baratrale, travolgente, che fermenta e cresce dietro la facciata della nostra umanità. All’aspetto e alle proclamazioni dei diritti e dei valori, ci inventariamo tutti sul registro di esseri umani, di cittadini che si riconoscono come portatori di diritti e di doveri in fatto di uguaglianza, di libertà, di fraternità. Ma tutto questo va bene, finché ci torna comodo nelle recite e nelle pratiche, che avvantaggiano noi altri, come privilegiati. Nel momento, però, in cui siamo chiamati alla prova della condivisione con gli altri delle loro sventure (fame, violenza, persecuzioni, guerra, povertà), ci precipitiamo a impiantare reticolati, a sbarrare le frontiere, ad alzare muri, a mobilitare truppe di difesa del suolo nazionale.

Esemplari sono le terribili scene di Idomeni, nella Penisola Balcanica, in territorio macedone, dove il flusso di migranti, dalla Siria, dall’Afghanistan e da altre terre devastate e in via di ulteriore devastazione, è stato bloccato. Ogni giorno i giornali, le tv, la radio, ne parlano. Qua, adesso, ci giungono questi scatti in diretta di Bledar Hasko, che è andato a documentarsi sul luogo. Egli ha, con finezza di intuito, distribuito l’insieme degli scatti lungo l’arco di un giorno, che naturalmente va dal mattino alla sera. Sotto tale aspetto, ci aspetteremmo di vedere in sequenza, dopo le pallide luci mattinali, l’accendersi della luce piena nel corso della giornata, fino al suo stemperarsi col tramonto. Invece, l’intera vicenda della  giornata si assorbe in un triste pallore crepuscolare, sempre identico a sé stesso e al proprio squallore. Il giorno non c’è. come non c’è l’aurora, come non c’è la sera. C’è soltanto un giorno che non è giorno, c’è solo un ambiente straniato, irriconoscibile, fuori della storia e del bene e del male. E’ il limbo degli esseri umani, a cui si nega il diritto fondamentale di vivere e muoversi in un mondo umano. “Questi”, potremmo dire parafrasando Dante, “non hanno [neppure] speranza di morte”.


Bledar Hasko/ Biografia:  nasce a Gjirokaster il 16 settembre 1982. Nato tra le case di pietra che si estendono concentriche attorno ad un colle, dove in cima un castello si estende per millecinquecento metri, Bledar non poteva che sviluppare una geografica consapevolezza nel guardare il mondo. In una città riposta a valle di un abbraccio di montagne la vista impone uno sforzo immaginativo ulteriore, come avendo davanti la siepe leopardiana. A 17 anni pubblica una raccolta di poesie. Questo evadere oltre fino al mare dell’Adriatico lo porta in Italia a diciannove anni. Arriva a Salerno, dove per un anno frequenta la Facoltà di Economia, ma l’amore per la letteratura si ravviva e decide di iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Inizia il legame con la famiglia Francolini, Mauro, Antonella e Marcello. Con quest’ultimo fin da subito nasce un’intesa naturale come il ciclo dell’acqua dal mare al cielo e viceversa. Nasce l’esperienza del gruppo teatrale La Famiglia, la casa Francolini diviene non solo casa, ma covo di stimoli capaci di dare sfogo a quella già posseduta voglia di oltrepassare “la siepe”. Alla naturale propensione per la scrittura, con il teatro affiora l’amore al racconto della realtà. Inizia così la sua carriera giornalistica che lo porta a maturare esperienze parallele nell’ambito della carta stampata, della televisione, del foto-giornalismo e del web. Bledar Hasko è per tutto un uomo della strada, vorace di raccogliere i fatti del mondo, ma da una posizione ravvicinata, per non perdere nulla delle sensazioni che ne esalano: odori, rumori, vocii e sguardi. Il suo autore preferito, che è anche protagonista del suo lavoro di tesi, è Curzio Malaparte, da cui in ultimo eredita l’amaro sguardo verso l’estremità dell’essere. Tutto ciò si incontra nello spazio della Fotografia che è diventato il mezzo più chirurgico per entrare nella carne dei fatti. La fotografia è occasione di incontro diretto, di scambio, di pensieri che intercorrono tra gli scatti. È infine l’occasione prediletta per conoscersi con il corpo, quello stesso corpo che è poi il CorpoComune, pensiero artistico che ancora nasce dal covo Francolini.     Marcello Francolini